Accertamenti peritali sul testimone: la valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza
31 Ottobre 2016
Abstract
Dopo l'acquisizione delle sommarie informazioni testimoniali da parte della polizia giudiziaria e l'audizione protetta del minore in incidente probatorio, la valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza del minore o della persona in condizione di particolare vulnerabilità “chiude” il processo di acquisizione delle dichiarazioni della vittima/testimone. Inquadramento giuridico e psicologico-forense
La perizia relativa a tale valutazione è però in questo caso di tipo clinico, atta ad esaminare il funzionamento del minore e ad evidenziare eventuali “criticità” (cognitive o psicoaffettive) che rilevano nelle competenze del soggetto che rende testimonianza; può essere riferita a consulenza tecnica del P.M., perizia predisposta dal Gip o perizia durante il dibattimento. È opportuno quindi richiamare quanto il codice di procedura penale tratta dell'istituto della testimonianza ed in particolare l'art. 196 c.p.p. Capacità di testimoniare che riferisce:
La capacità quindi si presume sino a prova contraria e, ancora, non possono intervenire come testimoni i minori di anni 14 e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope (art.120 c.p.p.). Ma tale principio non si applica appunto quando minore o persona in condizione di particolare vulnerabilità siano vittime del reato oggetto del procedimento. In tale situazione il minore di anni 14 e la persona in condizione di vulnerabilità possono essere ascoltati in qualità di testimoni e le loro dichiarazioni possono essere contemplate come fonte di prova. In questo senso quindi va precisato che nella valutazione della testimonianza si scindono in modo specifico quanto attiene:
Tale valutazione è in deroga all'art. 220 c.p. (che vieta la perizia psicologica) e può essere richiesta anche in assenza di condizioni patologiche. La perizia però, va precisato, non stabilisce l'attendibilità del testimone né la veridicità o falsità delle dichiarazioni, compito questo che spetta solo al giudice. In termini giuridici inoltre una importante sentenza della Cassazione ha indicato specifiche categorie definitorie della capacità di testimoniare, specificando che con accertamento della capacità a testimoniare deve intendersi l'accertamento della sua capacità a recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle ed esprimerle in una visione complessa, da considerare in relazione all'età, alle condizioni emozionali che regolano la sua relazione con il mondo esterno, alla qualità e alla natura dei rapporti familiari (Cass. pen., Sez. III, 3 ottobre 1997, n. 8962). E ancora molto recentemente un'altra importante sentenza di Cassazione ha affermato la necessità di disporre perizia psicologica in contraddittorio al fine di accertare l'aderenza alla realtà o meno della narrazione dei fatti, in dipendenza di eventuali elaborazioni fantasiose relative all'età o alla struttura personologica del minore (Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2016, n.43245). Per quanto sopra descritto valutare l'idoneità del soggetto a rendere testimonianza consiste quindi nell'accertare la capacità del minore di percepire, ricordare ed esprimere eventi in generale ed informazioni specifiche in relazione all'età e al contesto famigliare e sociale dello stesso. Il focus della valutazione verte quindi sul rapporto tra realtà oggettiva e realtà soggettiva e fa riferimento alla valutazione delle sue capacità percettive, mnestiche, cognitive e linguistiche e alla corrispondenza tra il livello di funzionamento psichico e l'accuratezza della testimonianza. (SARTORI, 2010). I meccanismi del ricordo, come è già stato approfondito in precedenza (BRAMANTE – LAMARRA, La psicologia della testimonianza. Accuratezza e rappresentazione della realtà), sono piuttosto complessi. La testimonianza è direttamente correlata alla fissazione e all'evocazione di un evento ed, in questo senso, la valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza è un passaggio importantissimo al fine di valutare che non vi siano delle “lacune” di tipo cognitivo o psicoaffettivo che possano incidere sulla capacità di rievocare e raccontare da parte del testimone, gli eventi oggetto del procedimento giudiziario. Nel lavoro peritale notevole importanza assume la valutazione degli aspetti cognitivi e del funzionamento psichico del testimone. Il ricordo infatti risulta necessariamente correlato alla memoria sia nella sua fissazione che nella sua rievocazione, memoria che, come abbiamo visto negli articoli precedenti, si distingue in una memoria di fissazione e una di rievocazione. La prima consta nel processo di memorizzazione attraverso il quale il soggetto può richiamare esperienze ed eventi recenti ed è direttamente correlabile alla memoria a breve termine (M.B.T. di tipo verbale o visuo-spaziale) ove il ricordo, se non riceve opportuno rinforzo, può decadere. La seconda invece consiste nel processo che consente di richiamare alla coscienza eventi acquisiti anche in tempi più remoti e si riferisce alla memoria a lungo termine (M.L.T. di tipo dichiarativo e di tipo procedurale) ove si sono consolidate le informazioni. A sua volta la memoria cosiddetta dichiarativa si suddivide ancora in memoria semantica (relativa alla rappresentazione concettuale dell'evento e al conferimento del suo significato) e a quella episodica che rende possibile rievocare episodi in una dimensione temporo-spaziale. Infine la memoria procedurale si occupa della modalità di apprendimento e di ritenzione del ricordo (il come) ed è indipendente dalla memoria episodica. La memoria emotiva e sensoriale integra all'evento una valenza emotiva correlata al proprio mondo interno. La memoria affettiva consiste infine nel ricordo delle esperienze emotive correlate all'evento che conferiscono significatività al ricordo stesso. E in ultimo la memoria autobiografica consta di tutte le informazioni relative a se stessi e alla propria storia, nell'integrarsi delle tipologie di memorie sopra descritte. Come già evidente da quanto esposto brevemente sopra, il percorso funzionale alla base della fissazione del ricordo e della sua rievocazione è molto complesso e articolato, pur nella apparente semplicità e automatizzazione del processo nell'individuo. Già da subito, nell'immediatezza dell'evento e tanto più con il trascorrere del tempo, intervengono fattori che possono incidere e disturbare la fissazione del ricordo e, di conseguenza, la sua rievocazione. Questi fattori, attivi sia nei minori che negli adulti, non sono correlati ad aspetti psicopatologici del funzionamento psichico della persona, ma intervengono in modo più o meno trasversale per tutti. Essi sono come riporta FORNARI (2015):
Quindi va sempre considerato il fatto che il ricordo non è racconto semplice, obiettivo e fedele di quanto esperito ma frutto di una elaborazione successiva, di una ricostruzione che potrebbe integrare anche memorie più recenti che a loro volta possono influire e modificare il ricordo stesso (distorsione del ricordo). Inoltre, come ampiamente acclarato dalla comunità scientifica, il ricordare un evento molte volte aumenta potenzialmente il grado di distorsione del ricordo stesso, che integra inconsapevolmente elementi aggiunti, creando, in alcuni casi, false memorie. Tale situazione non è di poca rilevanza soprattutto per un bambino in quanto le diverse situazioni in cui il minore dovrà fornire il suo racconto e le sue dichiarazioni durante il procedimento giudiziario, pur limitate al minimo, sono comunque molteplici, senza contare le richieste in sedi diverse e da figure diverse (famigliari, insegnanti, operatori sanitari, terapeuti). In questi casi si possono creare un effetto di misinformazione (o di suggestionabilità) o un effetto compiacenza (quando il testimone riferisce quello che l'intervistatore vuole sentirsi dire); entrambi dipendono inoltre dalla capacità di memorizzazione e dall'età del soggetto (con una maggiore incisività per i più piccoli). Un altro fattore importante da tenere in considerazione è che la capacità di ricordare diminuisce naturalmente con il passare del tempo (curva dell'oblìo o di Ebbinghaus) e che i ricordi in generale si organizzano focalizzandosi su dettagli significativi per la persona e non su una sequenzialità e linearità che solo successivamente può essere stata ricostruita, frammentandone quindi gli elementi. Quanto sopra descritto si riferisce a fenomeni che interferiscono in modo più o meno incisivo nella memoria e nel ricordo di tutti i soggetti. Per quanto riguarda i processi della memoria e del ricordo dei bambini è importante considerare le peculiarità e le limitazioni ulteriori in essere. In effetti vi sono molte differenze tra il funzionamento cognitivo di un bambino e quello di un adulto. Infatti, per esempio, per i bambini prima dei 2 anni e mezzo o 3 esiste una fascia d'età critica per il ricordo nella quale agisce la cosiddetta amnesia infantile. Risulta alquanto improbabile quindi recuperare ricordi ed informazioni relative a quell'età. I bambini di 4-5 anni, invece, possono avere ricordi autobiografici specifici per eventi occorsi prima dei 3 anni ma sotto forma di immagini visive e conoscenze concettuali, generalmente poco dettagliate ed organizzate, che poi generalmente decadono nell'oblìo negli anni successivi. La possibilità di ricordare successivamente fatti avvenuti fra i 4 ed i 7 anni, inoltre, non è scontata, ma si implementa nel tempo; solo a partire dai 8-10 anni i ricordi cominciano ad acquisire una loro strutturazione simile a quelli dell'adulto, competenza che si attesta e stabilizza come in età adulta intorno ai 14-15 anni. Inoltre i bambini di fatto “ricordano raccontando”, nel senso che costruiscono il ricordo attraverso la sua narrazione e ciò deve essere tenuto in debita considerazione dall'adulto che ne sollecita il racconto in quanto con la formulazione di domande e di supporti più o meno inconsapevoli, può influenzarne il contenuto (vedi importanza utilizzo delle domande aperte, chiuse, non induttive o suggestive). Per questo motivo in ambito giudiziario sono importanti le prime dichiarazioni e la modalità con cui esse vengono assunte. Nella valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza risulta sicuramente importante la disamina di eventuali fattori legati ad aspetti disfunzionali, psicopatologici o meno, che possano aver influenzato la capacità del soggetto nel ricordare e raccontare un evento oggetto del procedimento. L'idoneità a testimoniare quindi verte sulla valutazione delle competenze di base del soggetto (aspetti funzionali e/o eventuali aspetti psicopatologici) e l'esame delle influenze suggestive che possono aver interagito (aspetti funzionali e motivazionali). Le aree da esplorare nella valutazione clinica dell'idoneità mentale a rendere testimonianza sono:
Tali aree possono essere esaminate ed approfondite mediante:
Ma cosa si intende per valutazione delle funzioni cognitive o affettive? La valutazione sia degli aspetti cognitivi che di quelli affettivi ed emotivi di un minore presunta vittima di abusi, ha reso necessario, da parte degli esperti, un confronto e poi una presa di posizione su alcuni elementi imprescindibili in un percorso di esame più strutturato. Nelle Linee guida nazionali sull'ascolto del minore testimone (2010) per esempio, alcune tra le più importanti società scientifiche (Società italiana di criminologia, Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni, società italiana di neuropsichiatria infantile, Società italiana di neuropsicologia, Società italiana di psichiatria, Società italiana di psicologia giuridica) hanno ritenuto necessario fissare alcuni principi fondamentali per gli specialisti del settore relativamente l'ascolto del minore testimone e la valutazione della sua capacità di testimoniare direttamente correlata. In tale documento si riassumono elementi fondamentali cui riferirsi al fine di evidenziare le aree di valutazione e di approfondimento degli aspetti funzionali basilari per poter rendere testimonianza. Nel documento ovviamente sono riportate alcune criticità a cui l'esperto deve prestare attenzione. Quali:
Altri fondamentali elementi sono quelli relativi alla possibile formazione dei falsi ricordi. Infatti le Linee guida Nazionali riportano:
Infine è stata considerata la rilevanza del vissuto emotivo sulla rievocazione, vissuto che spesso accompagna il racconto stesso: Nei bambini la risposta emotiva di fronte ad un evento non sempre rispecchia quella degli adulti. I bambini possono avere percezione emotiva diversa dell'evento a causa di differente o limitata comprensione della qualità e significatività del fatto e del non aver ancora maturato un giudizio morale adulto rispetto ad esso. Può accadere che il bambino non abbia percepito l'evento con elevata emotività e possa pertanto fornire un resoconto abbastanza lucido e “freddo” dell'accaduto; nei bambini più piccoli, poi, il vissuto emotivo può essere dissociato dal ricordo traumatico. Non deve meravigliare, dunque, che talvolta bambini abusati non mostrino particolare disagio quando parlano dell'abuso subito o, al contrario, che bambini possano far propri vissuti emotivi appartenenti ad altri. E infine riguardo la suggestionabilità riporta: Il livello di suggestionabilità nelle fasi dello sviluppo è inversamente proporzionale all'età. La suggestionabilità non rende di per sé il bambino incapace di rendere testimonianza, costituendo solo un fattore di rischio. Pur in presenza di suggestionabilità, se le domande sono poste correttamente, il bambino può fornire risposte coerenti ai suoi contenuti di memoria. La vulnerabilità alle domande suggestive aumenta col diminuire dell'età del testimone. Secondo alcune ricerche a 4 anni le domande suggestive inducono risposte errate in percentuale pressoché doppia rispetto a 10 anni e pressoché tripla rispetto all'adulto.
Le aree di approfondimento nella valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza sopra descritte comprendono quindi in termini più specifici tutte le aree funzionali correlate alle abilità “generiche” e “specifiche” necessarie a quelle funzioni. Per abilità generiche si intendono le competenze cognitive quali:
Per competenze specifiche invece si intende la capacità di organizzare e riferire un ricordo in relazione alla complessità narrativa e semantica ed all'eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, che possono avere agito. La disamina del perito quindi deve descrivere e valutare la personalità del bambino, il suo funzionamento psicologico, la qualità dell'esame di realtà, tenendo in considerazione anche gli aspetti emotivi, affettivi e relazionali, e il livello maturativo acquisito dal bambino in rapporto ad età e stadio di sviluppo psicologico.
Nello specifico si dovrà esaminare e verificare la capacità del bambino a:
La suggestionabilità del minore, come abbiamo visto inversamente proporzionale alla sua età, va sempre considerata, anche per il fatto che ci sono aspetti psico-evolutivi che interferiscono normalmente nella sue abilità cognitive ancora limitate. Va valutato per esempio che nei primi 5 anni di vita il bambino può contaminare la realtà con la fantasia, che sino ai 7 anni risulta difficile contestualizzare i fatti in modo temporalmente preciso (meglio quindi identificare il periodo contestualizzando altri fattori come la frequentazione della scuola, la stagione calda o fredda, altri eventi di contesto più facilmente posizionabili nel tempo), fino ai 12 anni il pensiero astratto non è ancora sviluppato e quindi la concettualizzazione (e il racconto) sarà di descrizione di eventi semplici. Inoltre i bambini in generale, pur avendo buone competenze espressive, non si possono considerare esenti da suggestioni e condizionamenti nella relazione con gli adulti che sentono competenti e sono un riferimento per loro nel quotidiano (effetto compiacenza) e possono avere difficoltà a distinguere il valore della verità da quello della menzogna (magari per paura di punizioni o abbandoni). Utilizzo test di approfondimento diagnostico
Nella valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza spesso vengono utilizzati strumenti e test di approfondimento diagnostico atti valutare le specifiche abilità e competenze richieste, siano queste di tipo cognitivo o di tipo affettivo-relazionale. Per i minori i più diffusi sono il disegno tematico, il Rorscharch, il CAT (Children Apperception Test), il Tat (Test di Appercezione Tematica tavole per bambini) il Blacky Pictures Test, le favole della Duss, il test di Machover, test importantissimi e utili in un inquadramento clinico e relazionale del minore ma che non possono fornire misurazioni riguardo le abilità cognitive sopra menzionate, per esempio. Purtroppo molto spesso questi stessi test possono essere utilizzati in modo non corretto, avvalendosi per esempio di test proiettivi utilizzati come “strumenti di misura” degli aspetti cognitivi e non come ausilio per l'inquadramento psicologico del minore. Inoltre non possono essere utilizzati, come purtroppo ancora accade, per valutare elementi specifici correlabili al tema dell'abuso, in quanto come già ampiamente descritto e raccomandato, essendo dei proiettivi non identificano delle realtà ma delle interpretazioni e inoltre numerose ricerche hanno evidenziato che non emergono significative differenze nelle risultanze di minori sessualmente abusati e non (VELTMAN e BROWNE, 2003). Questi quindi possono essere utilizzati per fornire un quadro personologico, indicazioni sulla struttura di personalità del minore, sul suo funzionamento, sul suo assetto relazionale e sulla presenza di eventuali disturbi psicopatologici. I test di livello possono invece dare una misurazione più attendibile delle abilità cognitive richieste per l'idoneità a rendere testimonianza, in quanto effettivamente standardizzati e validati, oltre al fatto che le risultanze sono misurabili secondo standard condivisi a livello internazionale. Già da alcuni anni, specialisti del settore hanno individuato test ancora più specifici, validi e affidabili nei termini richiesti nell'ambito forense. Tra questi:
Conclusioni
Da quanto sopra descritto risulta certamente chiara la necessità di utilizzare una metodologia corretta ed evidence based nelle valutazioni della testimonianza del minore, riferendosi a metodologie validate, condivise dalla comunità scientifica di riferimento e, soprattutto, pertinenti alle aree da esaminare. Ciò proprio per la delicatezza del tipo di approfondimento richiesto, della peculiarità del testimone (minore o in condizione di vulnerabilità e presunta vittima di reato) e al fine di evitare una molteplicità di errori metodologici, ampiamente prevedibili nell'utilizzo di strumenti che lasciano ampio spazio all'interpretazione soggettiva dell'esperto. Questo a tutela di tutte le persone coinvolte nel procedimento giudiziario e in primis proprio il minore. Importante inoltre è ricordare che la valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza deve essere rapportata necessariamente alla complessità del fatto/reato oggetto della narrazione, proprio perché in relazione con la possibilità di recuperare proprio quelle informazioni specifiche utilizzando le competenze acquisite in quello stadio psico-evolutivo del minore con quelle specifiche caratteristiche. L'idoneità quindi non è un concetto astratto ma deve riferirsi ad una idoneità a raccontare un determinato tipo di fatti con determinate caratteristiche spazio-temporali da parte di quel soggetto. Purtroppo attualmente, pur in presenza di prassi condivise dalla comunità scientifica, spesso, come già nell'audizione protetta e nella raccolta delle Sommarie informazioni testimoniali, queste non sempre vengono ancora recepite dai consulenti/periti coinvolti nell'ausilio e nella valutazione. L'utilizzo di strumenti specifici, attendibili e validati che consentano di indagare le aree sopra descritte, non sono ancora adottati con sistematicità. Infatti spesso per la valutazione del minore ci si avvale di metodologia e di strumenti clinici che spesso non soddisfano i criteri di scientificità richiesti nell'ambito forense, ben diverso per finalità, aree e modalità di valutazione, da quello clinico e terapeutico. Inoltre, in considerazione delle tempistiche previste per i procedimenti giudiziari risulta compito non di facile attuazione valutare la competenza del bambino nel rievocare e raccontare fatti avvenuti mesi o anni prima, in periodi di tempo diversi in cui il percorso psico-evolutivo personale presenta, nel frattempo, acquisizione di competenze prima assenti o più limitate come normalmente prevedibile; senza considerare poi le interferenze normalmente incidenti la memoria e il ricordo. L'idoneità inoltre dovrebbe essere intesa in relazione alla complessità del fatto che deve essere oggetto della narrazione secondo i parametri relativi alla distanza nel tempo dell'evento oggetto della testimonianza, del livello di sviluppo del minore al momento dell'evento, della complessità relazionale dell'evento e dell'attribuzione di significato. La disamina del perito deve comunque basarsi su dati empirici finalizzati ad evidenziare in primis la presenza o meno di processi cognitivi e psicoaffettivi funzionali. Ma è anche necessario tenere in considerazione che la valutazione della idoneità del minore a rendere testimonianza rappresenta una tipologia di perizie particolarmente delicata, in quanto il testimone è anche vittima di reati di abuso e il suo racconto a volte è anche l'unica evidenza probatoria, mancando nella maggior parte dei casi altri riscontri esterni. Questo però non ha sortito una maggiore coesione dei consulenti nei confronti di una metodologia condivisa anche nella pratica (e non solo nella dissertazione accademica o di società scientifiche) ed è ancora presente una sostanziale varietà metodologica dove i periti/consulenti utilizzano non tanto gli strumenti più utili e pertinenti, quanto piuttosto quelli che conoscono o di più antico utilizzo (proiettivi) e peraltro coinvolgendosi spesso in “valutazioni” che poco hanno a che fare con aspetti clinici e forensi che sono richiesti (un bambino dice sempre la verità, non ha motivo di mentire, il disagio che dimostra è un chiaro sintomo legato all'abuso, dice di non ricordarsi perché ha rimosso, ecc.). Baron-Cohen, S., O'Riordan, M., Jones, R., Stone, V.E. & Plaisted, K. (1999). A new test of social sensitivity: Detection of faux pas in normal children and children with Asperger syndrome”, 1999, Journal of Autism and Developmental Disorders, 29, 407-418; Biscione M.C., Pingitore M. 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