La psicologia della testimonianza. Accuratezza e rappresentazione della realtà

Alessandra Bramante
30 Giugno 2016

La psicologia della testimonianza è una disciplina che esamina gli aspetti relativi alle condizioni in cui un testimone è in grado di riportare il contenuto di avvenimenti cui ha assistito. Alla base dell'applicazione delle conoscenze psicologiche in tale ambito infatti si ritrova l'assunto che esiste una realtà fenomenica (che si tende ad avvalorare) e una realtà intersoggettiva, mediata da un “filtro” che inconsapevolmente dà il significato a ciò che viviamo/vediamo secondo la nostra esperienza.In tal senso la psicologia della testimonianza approfondisce il rapporto fra realtà soggettiva (ciò che il testimone ritiene di aver visto o udito) e realtà oggettiva, consapevoli che quanto emerge potrà essere una rappresentazione di quest'ultima.
Abstract

La psicologia della testimonianza è una disciplina che esamina gli aspetti relativi alle condizioni in cui un testimone è in grado di riportare il contenuto di avvenimenti cui ha assistito.

Non si limita alla definizione della personalità del testimone o delle sue condizioni psicologiche e/o psicopatologiche che possono identificare una limitazione o criticità alla testimonianza (come invece nella valutazione dell'idoneità a testimoniare della vittima vulnerabile) ma basa le sue valutazioni sui processi percettivi e visivi implicati nella testimonianza, sui processi attentivi e la loro influenza sul ricordo e infine sull'eventuale distorsione di quest'ultimo.

Inoltre esamina le condizioni più idonee nelle quali il testimone può fare una corretta identificazione, quelle in cui il testimone potrebbe dire il falso, gli indicatori di menzogna e le variabili per distinguere le affermazioni false da quelle vere.

Risulta quindi essere ambito della psicologia imprescindibile e necessaria sia nelle indagini investigative al fine di identificare elementi utili e probanti che, conseguentemente, successivamente nel processo per supportare o meno l'aspetto probante della testimonianza.

Alla base dell'applicazione delle conoscenze psicologiche in tale ambito infatti si ritrova l'assunto che esiste una realtà fenomenica (che si tende ad avvalorare) e una realtà intersoggettiva, mediata da un “filtro” che inconsapevolmente dà il significato a ciò che viviamo/vediamo secondo la nostra esperienza.

In tal senso la psicologia della testimonianza approfondisce il rapporto fra realtà soggettiva (ciò che il testimone ritiene di aver visto o udito) e realtà oggettiva, consapevoli che quanto emerge potrà essere una rappresentazione di quest'ultima.

Non a caso la prova testimoniale viene definita anche nella giurisprudenza una prova complessa in cui la valutazione complessiva comprende sia il contenuto della deposizione, sia il teste stesso (fonte di prova) di cui viene valutata l'attendibilità e la credibilità (termini di competenza giuridica).

Il ricordo e i suoi processi psichici

I processi psichici della percezione, della memorizzazione e della rievocazione del ricordo rilevano nella valutazione della testimonianza essendo in grado di valutare anche le eventuali distorsioni cui le informazioni acquisite da un soggetto vanno incontro.

Infatti non bisogna trascurare gli elementi contestuali ed emotivi che accompagnano non solo il racconto ma l'intero processo di acquisizione e consolidamento dei ricordi stessi.

La testimonianza può essere, per esempio, ampiamente influenzata dalle caratteristiche emozionali dell'evento oggetto di ricordo fenomeno del cosiddetto weapon focus che si verifica quando un elemento specifico di una scena (ad esempio l'arma utilizzata per minacciare o aggredire) si impone alla nostra attenzione, ponendo sullo sfondo, e quindi oscurando, altri elementi e dettagli presenti nella scena il cui ricordo sarà offuscato.

Le fonti di distorsione del ricordo inoltre possono prevedere svariati altri fenomeni.

Peraltro il ricordo di per sé, FORNARI, già solo con il trascorrere del tempo, sia nei bambini che negli adulti, subisce almeno 4 fattori che possono “disturbare” o deformare la fissazione e di conseguenza, la rievocazione del ricordo:

  1. la carica affettiva che accompagna la particolare esperienza del soggetto;
  2. i significati conferiti all'evento;
  3. la suggestione di origine esterna;
  4. la continua normale interferenza dell'immaginario sul reale.

Il ricordo quindi non può essere considerato una semplice riproduzione (ripescaggio) di un evento ma un processo di ricostruzione dinamica.

Di conseguenza il ricordo è il risultato di processi di ragionamento e di elaborazione e non un semplice ripescaggio fedele e obiettivo di informazioni a suo tempo registrate, andando a recuperare le tracce nella memoria a lungo termine (FORNARI).

In questo lavoro di recupero è possibile utilizzare anche memorie più recenti che non fanno parte del ricordo, dati più recenti e informazioni successive che creano fenomeni di interferenza più o meno consapevole.

Inoltre, come comprovato da numerosi studi, ricordare un evento più volte aumenta il grado di distorsione di quest'ultimo in quanto possibile l'aggiunta di elementi e nuove elaborazioni in ognuna delle situazioni di rievocazione.

Il nostro bagaglio di memorie si sviluppa infatti attraverso processi di codifica, immagazzinamento e recupero ricostruttivi e interpretativi.

Già per quanto riguarda gli aspetti di codifica, numerose ricerche sul campo rivelano che il materiale che ha un significato si ricorda meglio di quello che non ce l'ha; informazioni presentate lentamente si ricordano in modo migliore rispetto a quelle presentate velocemente; informazioni concrete si ricordano meglio di quelle astratte; eventi inusuali si ricordano più facilmente di quelli comuni.

Per quanto attiene al recupero di un ricordo, esso avviene attraverso una ricostruzione di elementi che non sempre sono ben collegati tra loro e che subiscono influenze ambientali, culturali ed emotive.

Inoltre ciò è particolarmente significativo quando si parla di ricordi di eventi traumatici.

Le fonti di distorsione del ricordo possono inoltre essere:

  1. interne, cioè legate al testimone;
  2. esterne, quando informazioni successive all'evento incidono sulla fissazione del ricordo del soggetto;
  3. relazionali, cioè legate ad aspetti relazionali e di comunicazione con l'intervistatore nella rievocazione.

Inoltre, ma affatto non meno importante, vi è una rilevante influenza relativa alla suggestionabilità del soggetto e alla sua capacità correlata al source monitoring, ovvero alla capacità di identificare il contesto nel quale è avvenuto l'evento oggetto del ricordo e le informazioni invece pervenute successivamente da altre fonti.

Rispetto infine ai fattori esterni all'individuo nella percezione e recupero del ricordo, risultano fattori importanti:

  1. la frequenza dell'esposizione all'evento;
  2. la durata dell'osservazione;
  3. posizione dell'evento, cioè la collocazione di un singolo fatto in una serie più vasta di avvenimenti.

Ciò perché, per esempio, la durata di esposizione all'evento aumenta la possibilità di percezione e dunque di codifica, mentre se si assiste a una sequenza di eventi è più facile percepire e ricordare quelli che si sono verificati all'inizio (effetto primacy) e alla fine (effetto recency) rispetto a quelli nel mezzo.

Inoltre è da valutare, tra i diversi fattori che possono incidere sulla rievocazione del ricordo, lo stress derivante dall'evento traumatico stesso. Situazione questa che può incidere anche relativamente situazioni di amnesia retrograda o dissociativa e rimozione.

Suggestionabilità e testimonianza

Le informazioni post-evento interagiscono spesso con le caratteristiche del soggetto nella sua capacità di rievocare e possono essere particolarmente incisive nel distorcerne inconsapevolmente il ricordo.

Studi di LOFTUS hanno posto particolare attenzione sull'incisività di alcune tipologie di domande che possono considerarsi induttive o suggestive. Aggiungere o modificare alcune indicazioni può portare persino a modificare il ricordo di un evento; tale fenomeno si chiama post-event misinformation effect, ovvero l'effetto di un'informazione fuorviante fornita dopo l'evento.

La suggestionabilità non implica solo aggiungere o modificare elementi dell'evento ma riguarda anche ricordare eventi mai vissuti e falsi ricordi , distorsione in questo caso che, per configurarsi necessita che:

  1. l'evento suggerito abbia una sua plausibilità, cioè deve trattarsi di qualcosa di possibile;
  2. il soggetto costruisca nelle mente un'immagine del ricordo e una narrazione dotata di una sua logica;
  3. si verifichi un errore nella valutazione della fonte dell'informazione, ovvero la credenza che l'informazione non è stata creata da lui ma provenga dalla realtà esterna/vissuta.
Fattori cognitivi e metacognitivi: l'influenza sulla accuratezza della testimonianza

Nella valutazione della testimonianza quindi è importante valutare quei fattori che influenzano la percezione del soggetto e, conseguentemente, la fissazione del ricordo (codifica dell'informazione), i fattori che riguardano l'immagazzinamento e la conservazione dei ricordi (tra questi anche semplicemente il tempo trascorso) e infine la rievocazione (legati all'interazione del soggetto con il contesto e le modalità dell'intervista).

I fattori sopra riportati sono detti cognitivi.

I fattori di livello metacognitivo inoltre sono considerati altrettanto importanti in quanto agiscono sui processi cognitivi e influenzano la memoria.

Autori quali KORIAT e GOLDSMITH distinguono tra fattori metacognitivi riferiti al monitoraggio dell'informazione (riguardo la fonte dell'informazione, la stima dell'accuratezza dell'informazione stessa – confidence rating) e fattori riconducibili al controllo dell'informazione (che determinano se il grado di accuratezza dell'informazione è sufficiente per l'utilizzo in ambito giudiziario).

Entrambi i fattori metacognitivi consentono di monitorare e, con gli opportuni interventi/supporti, di migliorare l'accuratezza dell'informazione riportata.

Per quanto riguarda il controllo dell'informazione possono essere attuate da parte del testimone due diverse strategie; quella del report option e quello del controllo del livello di dettaglio.

La prima strategia si riferisce alla opportunità o meno di riportare l'informazione; se la possibilità di decidere è lasciata al testimone, solitamente aumenta l'accuratezza dell'informazione, anche se, al contrario, tale strategia può inficiare la quantità delle informazioni.

Stessa problematica si riferisce anche al controllo del livello di dettaglio, modalità secondo la quale ad una maggiore accuratezza del ricordo coincide una limitazione della quantità delle informazioni.

Da valutare poi con attenzione che, quando un soggetto assume il ruolo di testimone, tende, più o meno inconsapevolmente, a cercare di essere creduto e perciò cerca di presentare i fatti in modo più preciso possibile, a scapito delle “naturali“ incertezze.

Ciò che non risulta per lui chiaro viene inconsapevolmente corretto a supporto di una logicità e coerenza interna “ricostruita” dalla mente e il racconto del “fatto”, una volta rievocato con queste correzioni, si consolida nel tempo e sostituisce di fatto le prime percezioni distorcendo alla base il ricordo stesso.

Infine i criteri di desiderabilità sociale e di compiacenza nei confronti dell'interlocutore spesso influenzano il soggetto a dire ciò che ritiene giusto rispondere piuttosto che ciò che realmente pensa e si sommano alla pressione psicologica proveniente dal contesto istituzionale (inquirenti, tribunale, processo) in cui si inserisce.

Intervista cognitiva e giudizio di validità delle dichiarazioni (Statement validity assessment-SVA)

Oltre alle problematiche sopra esposte va considerata la difficoltà di ricordare di per sé e, come richiesto in tali situazioni, di ricordare con precisione, fatti, eventi, dinamiche e dettagli che il testimone in quella determinata situazione e spesso sotto stress, certamente non ha avuto la possibilità di memorizzare con consapevole attenzione. In questi casi nella rievocazione si cerca di utilizzare strumenti atti a far emergere ricordi ed elementi non consapevolmente fissati dal soggetto.

L'intervista cognitiva (v. BRAMANTE – LAMARRA, Psicologia forense: i colloqui e le interviste investigativi) è una tecnica investigativa utile per intervistare i testimoni di un evento criminoso specificatamente adulti ma, con opportune modifiche, anche con bambini di età superiore ai 7-8 anni.

Essa consiste in strategie di recupero del ricordo guidate, quali:

  1. Ricreare il contesto, sia l'ambiente fisico, sia le proprie sensazioni, emozioni e reazioni agli eventi. Si basa sul principio della specificità di codifica secondo il quale il ricordo di un evento è migliore quando il contesto dell'immagazzinamento della codifica è simile a quello nel momento del recupero. Il soggetto viene incoraggiato sia a creare immagini mentali della scena, sia a recuperare informazioni codificate secondo altre modalità sensoriali (tracce uditive, tattili, cinestesiche, ecc.).
  2. Riportare ogni cosa, indipendentemente da quanto il soggetto crede le informazioni rilevanti. È importante incoraggiare a non considerare la completezza o la rilevanza di un dettaglio.
  3. Riportare gli eventi in ordine diverso, ricordando i fatti in più di un ordine sequenziale, poiché cambiare l'ordine del resoconto aiuta ad utilizzare differenti strategie di recupero che aumentano le probabilità di rievocare nuovi dettagli.
  4. Cambiare prospettiva per facilitare il recupero di informazioni che passerebbero inosservate perché non direttamente connesse al soggetto. Infatti generalmente si ricordano di più fatti collegati a situazioni che ci coinvolgono direttamente da altri che coinvolgono altre persone.

L'Intervista cognitiva si struttura poi in:

  • una presentazione al fine di stabilire un rapporto di fiducia con l'intervistatore e di presentare al testimone i principi mnemonici che si utilizzeranno nel corso dell'intervista;
  • un racconto libero al fine di permettere al testimone di narrare la propria versione dei fatti senza vincoli particolari e spiegando che se non ricorda qualcosa può dichiararlo senza preoccupazioni;
  • un utilizzo di tecniche di recupero guidato che guideranno il testimone attraverso le rappresentazioni mentali dell'evento;
  • domande specifiche e chiuse adattate a ciò che il testimone ha detto nelle fasi precedenti. Da evitare domande a scelta multipla o domande suggestive, interruzioni o contestazioni che possono “bloccare” o distorcere le risposte.
  • una revisione e riassunto di quanto emerso monitorando i ricordi del testimone e verificando di aver ben compreso le informazioni ricevute e di correggere eventuali fraintendimenti .

Inoltre la necessità di valutare le dichiarazioni emerse nelle interviste e negli interrogatori, ha contemplato l'utilizzo di criteri specifici atti a dare supporto critico alla complessità inerente una testimonianza.

Una delle tecniche, originariamente adottata nei casi di abuso sessuale su minori, ma attualmente utilizzata anche per valutare la credibilità delle dichiarazioni rilasciate dagli adulti è la Statement Validity Assesment-SVA.

Essa consta in tre componenti:

1. intervista strutturata (videoregistrata e trascritta integralmente);

2. analisi del contenuto basata su 18 criteri (Criteria-based Content Analysis, CBCA), di tipo qualitativo, suddivisi in 5 categorie utilizzando una scala a 3 punti (0=assente, 1 parzialmente presente, 3 fortemente presente). I criteri nello specifico si riferiscono a valutare:

  • struttura logica
  • produzione non strutturata
  • qualità dei dettagli
  • inserimento nel contesto
  • interazioni
  • riproduzione di conversazioni
  • complicazioni inattese
  • dettagli inusuali
  • dettagli superflui
  • dettagli riportati accuratamente ma fraintesi
  • associazioni esterne
  • descrizione dello stato mentale soggettivo
  • attribuzione all'accusato di uno stato mentale
  • correzioni o aggiunte spontanee
  • ammissione di lacune di memoria
  • manifestazione di dubbi sulla propria testimonianza
  • auto accuse
  • perdono dell'accusato

3. Lista di controllo della validità che integra l'analisi dei contenuti con altre informazioni derivate dall'intervista e da fonti esterne. Si riferisce a:

  • caratteristiche psicologiche quali limitazioni cognitive ed emotive, linguaggio e conoscenze utilizzate (in linea con quanto atteso oppure anomale), risposta affettiva (appropriata o meno), suggestionabilità;
  • caratteristiche dell'intervista quali utilizzo di procedure di intervista adeguate, presenza di influenze inopportune (domande direttive, suggestive, pressioni):
  • fattori motivazionali come presenza di motivazioni per una falsa denuncia, valutazione del contesto della rivelazione, presenza di suggestione o pressione da parte di terzi
  • aspetti investigativi come lamancanza di realismo delle dichiarazioni, il loro essere non concordanti, la presenza di prove contraddittorie e la mancanza delle caratteristiche di base del reato.

Tale complessa valutazione della testimonianza ai fini giudiziari attualmente viene utilizzata maggiormente (anche se non in modo strutturato) nell'ambito dei presunti abusi su minori, inserita in un quadro di attività atte sia alla tutela del minore (vedi Carta di Noto e suoi aggiornamenti, Linee guida Nazionali: l'ascolto del minore testimone del 2010) sia della corretta procedura atta a validare la sua testimonianza.

La menzogna: comportamento non verbale e indicatori

Nella attività investigativa risulta necessario, oltre a identificare situazioni o elementi che possono indurre il testimone in errore (inconsapevolmente), anche il non facile lavoro di distinguere un atteggiamento menzognero da uno sincero, specialmente in considerazione delle dinamiche e delle situazioni di pressione psicologica inerenti situazioni di intervista/interrogatorio in ambito giudiziario.

La ricerca nella psicologia della testimonianza riferita alle risposte fisiologiche attese, al comportamento non verbale e all'analisi del contenuto dell'eloquio, ha rivelato indicazioni utili e specifiche a supporto di criteri validi utilizzabili nella valutazione delle informazioni.

Riguardo l'analisi del contenuto dell'eloquio per esempio, con la tecnica del Reality Monitiring (RM) sono stati individuati 8 criteri che valutano la veridicità di una testimonianza e la presenza di influenze esterne o di fantasia.

I criteri utilizzati sono infatti riferiti alla chiarezza del racconto, alle informazioni percettive emerse (se include cioè esperienze sensoriali come suoni, odori, sensazioni fisiche, ecc.), alle informazioni spaziali e temporali riportate, agli aspetti affettivi (descrizioni di stati emotivi, ricostruibilità della storia), al realismo delle affermazioni (se presente logica e se la storia è realistica e plausibile), alle operazioni cognitive (presenza di ragionamenti ed inferenze del testimone sui fatti).

Ulteriori studi nell'ambito della rilevazione di menzogna hanno inoltre avuto come oggetto di disamina il comportamento non verbale del soggetto, comportamento che, in antitesi con quanto verbalizzato, è molto meno controllabile ma di contro anche altrettanto confusivo in quanto non sempre correlabile in modo specifico ad un atteggiamento menzognero piuttosto che ad una semplice presenza di disagio del testimone.

Gli elementi correlabili alla menzogna sono suddivisibili in:

  • comportamenti non verbali visivi come la diminuzione dello sguardo diretto verso l'interlocutore, un aumento di sorrisi e di gesti di adattamento, del toccamento delle labbra o del colletto (per i maschi), toccamento delle mani e delle dita, aumento della sudorazione delle mani, aumento dei movimenti delle braccia e del corpo. Da valutare in questi casi la situazione inerente il movimento delle mani e delle dita, generalmente in aumento per il nervosismo di essere scoperto nella fase in cui è sottoposto a verifica della sua sincerità, in diminuzione quando il canale verbale diventa quello privilegiato per poter mentire in modo “coerente” a domande specifiche sui fatti. Stessa valutazione risulta inerente all'incremento di movimento dei piedi e delle gambe;
  • comportamenti vocali - uditivi come l'aumento del tono di voce, l' aumento di un tono lamentoso, aumento dei tempi di latenza, una diminuzione della velocità dell'eloquio, un aumento delle esitazioni, una maggior brevità delle frasi, una diminuzione del numero di frasi, una diminuzione di riproduzione di conversazioni;
  • comportamenti verbali quali un aumento degli errori nell'eloquio, una diminuzione di plausibilità e coerenza, un aumento di numero di frasi in cui il soggetto prende le distanze dal fatto, un aumento di termini evasivi, aumento di gentilezza e condiscendenza nei confronti dell'interlocutore.

Importante però rimane sempre contestualizzare comportamenti e verbalizzazioni in quanto, come spesso si verifica, la produzione di domande atte a verificare la sincerità del soggetto può influenzare il suo atteggiamento “difensivo” che a sua volta supporta l'implementazione di domande dirette a verificare la sua sincerità.

In una serie di studi di HILL si sono esaminati aspetti legati al fenomeno dell'investigative bias in particolare riferiti a come la presunzione di colpevolezza influenzi il modo di porre le domande e come le domande influenzassero il comportamento non verbale del sospettato determinando il fenomeno della profezia che si autoavvera.

Nel primo caso è stata confermata la tendenza a porre domande in senso accusatorio (bias confirmatorio) e che l'atteggiamento dell' intervistato tende a confermare nel comportamento non verbale quanto atteso in termini di atteggiamento colpevole, anche quando innocente.

Criticità dell'indagine

Le problematiche e le criticità inerenti la testimonianza sono ancora oggetto di studi e approfondimenti.

La valutazione, per esempio, relativa alla attendibilità dei riconoscimenti di sospettati da parte di testimoni oculari già da tempo ha fatto emergere una intrinseca “labilità” della stessa proprio in considerazione di criticità correlabili a alla fissazione, alla rievocazione e alle distorsioni del ricordo del testimone.

Inoltre, come ampiamente evidenziato, le modalità utilizzate nell'intervista e nell'interrogatorio, la strutturazione delle domande da parte dell'intervistatore e la suggestionabilità correlata a situazioni di stress e pressione psicologica possono influire in modo incisivo nella rievocazione del ricordo e nella attribuzione di significato degli eventi su cui verte la testimonianza.

La strutturazione di interviste e di strumenti di valutazione delle dichiarazioni (SVA) sono un utile strumento per limitare e monitorare le influenze relative a distorsioni o inferenze esterne ma ovviamente vanno utilizzate con grande attenzione da esperti e specialisti che ne conoscano utilità e soprattutto i limiti; il solo utilizzo dello strumento di per sé (in considerazione della complessità degli elementi osservati) non può essere considerato come dirimente tutte le criticità.

In tal senso infatti alcuni esperti hanno evidenziato criticità relativamente la stessa SVA utilizzata per la determinazione della credibilità di testimonianza resa da minori, in quanto, nonostante la complessità dei criteri presenti e utilizzati, essa ancora non possiede un grado di consolidamento scientifico tale da poter soddisfare i criteri previsti dalla sentenza Cozzini.

Gli stessi tentativi di validazione empirica in questi anni hanno portato a risultati contradditori sulla sua applicabilità in sede di processo.

Inoltre la mancanza di standardizzazione ha reso difficile utilizzare in modo coerente i criteri previsti, non essendo assegnato un grado di importanza relativo ognuno dei criteri e quindi un “peso specifico” significativo nella valutazione delle dichiarazioni.

Le valutazioni quindi sono ancora altamente soggettive nonostante (lo schema e i criteri) e quindi variabili nelle conclusioni a seconda di chi le valuta: il supporto teorico è tuttora insufficiente nel dirimere una problematica quale quella della credibilità o della veridicità dei fatti dichiarati.

Come riporta lo stesso GULOTTA: Esistono in letteratura strumenti (ci riferiamo per esempio al CBCA o al Reality Monitoring ) che si prefiggono tale scopo ma certamente sono ben lungi dall'avere raggiunto un grado di consolidamento scientifico da poter essere considerate “Daubert-certificate”.

Per quanto riguarda infine la prova dichiarativa e l'accuratezza del ricordo nel novembre 2013 a Milano è stato redatto un interessante documento Linee guida psicoforensi per un processo sempre più giusto, sottoscritto da esperti del settore psicologico-forense (con l'apporto interdisciplinare di avvocati, magistrati, psicologi, neuropsichiatri infantili, psichiatri e criminologi), che di fatto indica alcune delle problematiche inerenti l'introduzione della scienza nel processo e il suo corretto utilizzo ai fini di giustizia.

Nello specifico introduce sull'argomento alcune indicazioni di prassi utili ed esemplificative:

9. L'esperienza e la ricerca confermano che esistono oltre a confessioni sincere altre che non lo sono o perché frutto di particolari situazioni psicologiche del dichiarante o perché frutto di pressioni esterne o perché causate dall'attività di interrogazione. Per questo, in linea di principio, ogni interrogatorio investigativo, per i delitti più gravi, andrebbe video o audio registrato, anche nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla legge.

10. Tenere conto che non è possibile evincere dal solo comportamento verbale e non verbale se il dichiarante sia sincero o se stia mentendo.

11. Diversi protocolli, indicati nella letteratura scientifica di riferimento nazionale e internazionale, inerenti la raccolta delle dichiarazioni dei testimoni e delle persone informate sui fatti, suggeriscono, al fine di ottenere risposte quanto più accurate possibile, di:

a) controllare il proprio comportamento verbale e non verbale (tono di voce, gesti, postura, espressioni del volto…);

b) iniziare con domande aperte, generali, per poi proseguire con quelle più specifiche;

c) privilegiare domande neutre, evitando domande suggestive, salvo nel controesame dibattimentale;

d) favorire la ricostruzione del contesto in cui il fatto da rievocare è accaduto;

e) ai fini di un recupero più articolato, domandare al testimone, all'interno dello stesso ascolto, di descrivere più volte i fatti con cronologie differenti (es. prima la fine, poi dall'inizio);

f) invitare il testimone a distinguere il ricordo dei fatti dalle proprie supposizioni;

g) evitare di fare domande multiple, in forma negativa o con doppia negazione;

h) non dominare l'interazione, evitando di interrompere il testimone e di fare troppe domande.

12. Particolari cautele e specifici accorgimenti vanno adottati nella raccolta e nel vaglio della testimonianza di minori, di soggetti portatori di deficit cognitivi e di altri soggetti deboli. Sul punto si faccia riferimento ai seguenti protocolli: la Carta di Noto, le Linee guida nazionali – L'ascolto del minore testimone, L'ascolto dei minorenni in ambito giudiziario (documento redatto da C.S.M. e Unicef), le Linee guida per l'ascolto del bambino testimone presso la questura di Roma e, in tema di abusi collettivi, il Protocollo di Venezia.

13. Nella gestione delle udienze dibattimentali è opportuno che il giudice non ponga domande induttive o suggestive.

Per quanto sopra descritto quindi, la valutazione delle testimonianza è ambito piuttosto complesso in cui si identificano problematiche e criticità intrinseche alla stessa azione del fissare un'esperienza nella memoria e nel rievocarla nel modo più corretto possibile da parte del soggetto.

I fattori intervenienti sono molteplici e, nella valutazione della testimonianza, l'analisi di quanto avvenuto nel tempo dal fatto-reato sino al momento delle dichiarazioni e, ancora successivamente, nelle ripetizioni di quanto dichiarato, è disamina alquanto complessa da svolgere, ma imprescindibile ai fini di avvalorare o destrutturare (nel caso si riscontrino distorsioni del ricordo) la prova testimoniale.

Gli strumenti presentati dalla comunità scientifica (se pur con i limiti evidenziati) e le indicazioni di prassi sono le uniche modalità con le quali si può tentare di monitorare eventuali modificazioni del ricordo (distorsioni, suggestioni, falsi ricordi) che possano inficiare i contenuti della prova testimoniale.

Guida all'approfondimento

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Carta di Noto (1996 e suoi aggiornamenti del 2002 e del 2011);

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