Stato di abbandono e presupposti di adottabilità

05 Luglio 2022

La Corte di Cassazione nella sentenza in commento affronta due questioni di notevole interesse, una relativa alla convocazione della famiglia affidataria nell'ambito del procedimento di adottabilità, e l'altra in merito alla verifica dei presupposti dello stato di abbandono quale elemento necessario per pervenire alla dichiarazione dello stato di adottabilità.
Massima

La dichiarazione di adottabilità del minore se, per un verso, non necessita della previa convocazione della famiglia affidataria del bambino, richiesta per la diversa ipotesi di affidamento extrafamiliare di cui all'art. 4 l. n. 184/1983, presuppone, invece, ai fini della legittimità della sentenza resa a conclusione del relativo procedimento, che la stessa sia adeguatamente motivata, con riferimento, in particolare, agli elementi fattuali posti a sostegno della dedotta incapacità genitoriale, oltre che al concreto e reale pregiudizio per la prole rispetto all'assunzione di differenti soluzioni.

Il caso

Con pronuncia resa dal Tribunale per i Minorenni di Venezia veniva dichiarato lo stato di adottabilità di una minore e la decadenza dei genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale con conseguente sospensione dei contatti tra questi ultimi e la bambina, nomina di un tutore e affidamento della fanciulla ai Servizi Sociali. Avverso detta pronuncia proponevano opposizione ex art. 17 l. n. 184/1983 i genitori della bambina, evidenziando l'insussistenza dello stato di abbandono della piccola e, comunque, il sopravvenuto mutamento delle condizioni esistenti al momento dell'emanazione della pronuncia impugnata, tali da giustificare la revoca dello stato di adottabilità e della decadenza genitoriale.

La Corte di Appello di Venezia rigettava la proposta opposizione confermando la sentenza resa in primo grado facendo leva, innanzitutto, sugli elementi acquisiti dal precedente giudicante dai quali emergevano le difficoltà della coppia a prendersi cura della minore. In particolare, il lungo monitoraggio della famiglia da parte dei Servizi Sociali, iniziato con la nascita della minore quale conseguenza dei pregressi problemi di natura psichiatrica che avevano interessato la madre della bambina anche durante la gravidanza, aveva permesso di accertare che la stessa era affetta da psicosi di NAS, oltre che la sua totale incapacità di rispondere ai bisogni della piccola pur quando appariva compensata per effetto della terapia farmacologica eseguita. Per tale ragione il Tribunale per i minori decideva di procedere al collocamento di entrambe in comunità e, a seguito del rifiuto della madre, all'inserimento della piccola in una famiglia affidataria.

Unitamente a tali valutazioni la Corte poneva a sostegno della decisione assunta, il percorso di integrazione compiuto dalla minore nell'ambito della famiglia affidataria, ove era stata inserita all'età di un anno e mezzo, e il sentimento di attaccamento da quest'ultima dimostrato nei confronti degli affidatari, a cui si contrapponevano i persistenti problemi di natura mentale dimostrati dalla madre della piccola, non definitamente colmati nonostante il percorso terapeutico ed educativo intrapreso, oltre che le lacune sul piano comportamentale dimostrate dal padre della piccola che portavano i giudici territoriali a individuare nel proseguimento dell'affido familiare la soluzione maggiormente rispondente all'interesse della minore.

Detta pronuncia veniva successivamente impugnata con ricorso per Cassazione nel cui ambito i genitori della minore eccepivano la nullità della sentenza resa a conclusione del giudizio di appello per la violazione di molteplici disposizioni di legge afferenti sia al piano strettamente processuale che a quello di merito.

Tuttavia, mentre i motivi di doglianza relativi all'aspetto processuale venivano rigettati dalla Corte di legittimità, quelli connessi alla valutazione dello stato di abbandono venivano ritenuti fondati con conseguente rinvio del procedimento alla Corte di Appello di Venezia al fine di procedere, in diversa composizione, alla rivalutazione della questione alla luce delle criticità evidenziati nella pronuncia in commento.

La questione

La Corte di Cassazione nella sentenza in commento affronta due questioni di notevole interesse, l'una afferente al piano processuale, relativa alla convocazione della famiglia affidataria nell'ambito del procedimento di adottabilità, e l'altra concernente il merito della vicenda e in particolare alla verifica dei presupposti dello stato di abbandono quale elemento necessario per pervenire alla dichiarazione dello stato di adottabilità.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità attiene ad un aspetto prettamente processuale avendo i genitori della minore eccepito, con i vari motivi di ricorso formulati, la nullità della pronuncia impugnata per omessa convocazione della seconda famiglia affidataria della piccola, in violazione delle previsioni contenute all'art. 5 l. n. 184/1983 come integrato dalla l. n. 173/2015. Tale motivo di gravame è stato considerato infondato dalla Corte che, richiamando l'orientamento già espresso in altre pronunce, ha delimitato l'ambito di applicazione della citata disposizione di legge all'affidamento extra familiare, disposto ai sensi dell'art. 4 l. n. 184/1983 e non all'affidamento preadottivo ravvisabile nella fattispecie che ci occupa. A dire della Corte tale differenza trova la sua ragion d'essere nelle diversità che caratterizzano delle due misure e, in particolare, nella necessità, ravvisabile nel primo caso, di tutelare il minore che, a causa del lungo protrarsi dell'affidamento extrafamiliare, abbia instaurato con la famiglia affidataria una relazione di tipo genitoriale, sicchè la partecipazione di questi ultimi al giudizio appare necessaria al fine di farsi portavoce degli specifici interessi del minore. Tale necessità non appare, invece, sussistere nella fattispecie che ci occupa, ed anzi qualunque diversa soluzione sarebbe stata inaccettabile in quanto avrebbe finito per violare le specifiche esigenze di riservatezza e segretezza che caratterizzano il procedimento di adottabilità.

Fondate sono state ritenute, invece, le questioni afferenti al merito della vicenda e, in particolare, al vizio di motivazione apparente dedotto dai ricorrenti per effetto di una tecnica argomentativa definita “discutibile avendo la Corte territoriale semplicemente ripreso quanto addotto dai Servizi Sociali nelle relazioni poste a fondamento della pronuncia di primo grado, senza aver proceduto ad alcuna ulteriore valutazione circa la sussistenza dei presupposti legittimanti lo stato di adottabilità della minore, onde far comprendere quale il percorso compiuto per la formazione del proprio convincimento.

Siffatto modus operandi costituisce, a dire dei giudici di legittimità, una impropria delega ai servizi sociali di decisioni di natura giurisdizionali che non solo non appare legittima ma che, per la loro particolare portata, avrebbero dovuto comportare la rielaborazione delle informazioni da questi ultimi rese anche al fine di rispondere ai motivi di gravame formulati in sede di appello.

Tale violazione è stata ritenuta dalla Corte di legittimità ancor più grave in quanto riferita ad un procedimento, quale quello di adottabilità, assai delicato e che, tra i rimedi attuabili, rappresenta l'extrema ratio, dovendosi riconoscere al minore l'interesse preminente a crescere nella propria famiglia di origine, così come sancito non solo dall'ordinamento interno ma anche da quello internazionale.

Ciò impone al giudice di dover ampiamente verificare le possibili capacità di recupero delle competenze genitoriali, anche sulla scorta di percorsi di supporto alla genitorialità, potendo procedere alla dichiarazione di adottabilità solo nel caso in cui la capacità genitoriale appaia irrimediabilmente compromessa in considerazione di fatti gravi, reali e concreti che siano indicativi dello stato di abbandono morale e materiale del minore.

Tale valutazione, a dire della Corte di legittimità, manca nella decisione impugnata soprattutto in considerazione delle molteplici circostanze addotte dai ricorrenti in sede di gravame, tra cui la stabilizzazione della situazione psichica della madre, la disponibilità dei genitori ad essere seguiti in un percorso di sostegno alla genitorialità nonché la disponibilità di un alloggio adeguato, non adeguatamente valutati e approfonditi dai giudici territoriali.

Osservazioni

Ancora una volta i giudici di legittimità, chiamati a statuire circa la legittimità della pronuncia concernente la sussistenza dei presupposti per addivenire alla dichiarazione di adottabilità del minore, ribadiscono l'orientamento, ormai granitico, assunto dalla giurisprudenza sia interna che comunitaria, finalizzato alla tutela delle relazioni familiari, in applicazione delle previsioni di cui alla l n. 184/1983 che dalle numerose convenzioni internazionali che si occupano della materia a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959.

Per la Corte, infatti, l'interesse preminente cui occorre tendere per la salvaguardia del benessere psico–fisico del minore è quello a rimanere nel proprio nucleo di origine, costituendo la dichiarazione di adottabilità una misura del tutto eccezionale, cui poter ricorrere quale extrema ratio, solo nel caso in cui manchino misure alternative, ovvero i genitori abbiano dato dimostrazione, con fatti concreti e attuali, e non per mezzo di giudizi prognostici, della irreversibilità della loro incapacità genitoriale.

Ciò impone, dunque, la necessità che la pronuncia con la quale si pervenga alla dichiarazione in questione dia conto in maniera chiara ed esaustiva dell'ter argomentativo seguito per la formazione del convincimento espresso, nonché delle ragioni che portano a qualificare la scelta quale quella maggiormente corrispondente all'interesse del minore, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con congetture di vario tipo.

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