Pedone travolto e ucciso da un'ambulanza: l'urgenza non esclude la responsabilità del conducente

Giuseppe Davide Giagnotti
07 Luglio 2022

In caso di investimento di un pedone sulle strisce pedonali, da parte di veicolo adibito ad uno dei servizi di urgenza disciplinati dall'art. 177 C.d.S. e in presenza delle condizioni per l'esonero dell'osservanza degli obblighi e dei divieti relativi alla circolazione stradale, trova comunque applicazione la presunzione di piena responsabilità del conducente del veicolo investitore, come previsto dal primo comma dell'art. 2054 c.c.

Tale presunzione opera sempre, a meno che il conducente riesca a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l'investimento, ma, data l'imprevedibilità della condotta del pedone e la situazione di concreta urgenza in cui si trovava, non ha potuto evitarlo.

L'esistenza di questa presunzione, tuttavia, non esonera pedone dall'obbligo di concedere precedenza a tali veicoli, come previsto dal terzo comma dell'art. 177 C.d.S.

Con l'ordinanza n. 21402/22, depositata il 6 luglio 2022, la Corte Suprema di Cassazione, Terza Sezione Civile, ha affrontato il tema della presunzione di piena responsabilità, per l'investimento di un pedone sulle strisce pedonali, del conducente di un veicolo adibito ai servizi urgenti disciplinati dall'art. 177 C.d.S., quali il trasporto sanitario di emergenza.

Il fatto. All'origine della fattispecie processuale c'è la tragica morte di un pedone travolto e ucciso da un'autoambulanza che procedeva ad alta velocità e a sirene spiegate verso l'ospedale, per condurvi un paziente in gravi condizioni.

La figlia e i nipoti del defunto agivano, in primo grado, per ottenere il riconoscimento e la conseguente liquidazione dei danni patrimoniali e non, ottenendo il totale accoglimento delle loro richieste.

La sentenza veniva impugnata dalla compagnia assicuratrice e dalla società proprietaria dell'autoambulanza ed in tale sede il contenuto della decisione veniva parzialmente riformato, con attribuzione di responsabilità maggioritaria al pedone, nella produzione del sinistro e conseguente riduzione proporzionale del risarcimento.

Avverso la sentenza di secondo grado gli eredi proponevano ricorso innanzi alla Corte di Cassazione.

La presunzione di responsabilità del conducente. La Terza Sezione della Corte ha voluto chiarire un importante principio di diritto, secondo cui, in caso di investimento di un pedone avvenuto sulle strisce pedonali, da parte di veicolo adibito ad uno dei servizi di urgenza disciplinati dall'art. 177 C.d.S. e in presenza delle condizioni per l'esonero dell'osservanza degli obblighi e dei divieti relativi alla circolazione stradale, trova comunque applicazione la presunzione di piena responsabilità del conducente del veicolo investitore, come previsto dal primo comma dell'art. 2054 c.c.

Tale presunzione opera sempre, a meno che il conducente riesca a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l'investimento, ma, data l'imprevedibilità della condotta del pedone e la situazione di concreta urgenza in cui si trovava, non ha potuto evitarlo.

L'esistenza di questa presunzione, tuttavia, non esonera pedone dall'obbligo di concedere precedenza a tali veicoli, come previsto dal terzo comma dell'art. 177 C.d.S.

La prova della condotta prudente e di quella imprevedibile. Secondo la Suprema Corte, la presunzione di responsabilità del conducente opera attribuendogli, ab origine, la totale responsabilità per l'investimento del pedone, salvo il caso in cui sia possibile accertare e graduare l'eventuale corresponsabilità di quest'ultimo, così da ridurre proporzionalmente il grado di colpa del primo.

Affinché ciò accada, tuttavia, il conducente deve provare di aver adottato tutte le cautele esigibili, in relazione alle concrete circostanze del sinistro, al fine di evitare il danno, non potendo semplicemente invocare l'anomalia della condotta del pedone, a meno che egli non riesca a provarne l'assoluta imprevedibilità.

Danno da lesione del rapporto parentale. La Suprema Corte, con la pronuncia in esame, precisa anche due ulteriori principi di diritto, inerenti la lesione del rapporto parentale col defunto e la perdita delle prestazioni economiche aggiuntive.

Sotto il primo profilo, secondo la Corte, affinché sussista, per gli eredi, un danno da lesione o perdita del rapporto parentale con il defunto, non è strettamente necessario che vi fosse un rapporto di convivenza fra loro, essendo sufficiente dimostrare, anche con elementi presuntivi, l'esistenza di rapporti effettivi di reciproco affetto o solidarietà familiare. La valutazione dell'intensità di tali rapporti e delle ricadute costituite dalla perdita degli stessi consente al giudice di operare la liquidazione in via equitativa, del relativo danno non patrimoniale.

Le prestazioni economiche aggiuntive. Per quanto riguarda, infine, le prestazioni economiche aggiuntive, costituite dalle erogazioni liberali in denaro o altre utilità, che il defunto elargiva spontaneamente agli eredi, la Corte ritiene che queste rilevano, quale danno patrimoniale, solo se vi era una preesistente convivenza o altra situazione ad essa assimilabile.

In caso contrario, infatti, non potrà desumersi con sufficiente certezza che tale prassi si sarebbe protratta nel tempo, in modo da trasformarsi in un beneficio economico durevole, la cui perdita può essere oggetto di risarcimento.

(Fonte:

Diritto e Giustizia

)

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