Ne bis in idem, doppio binario sanzionatorio e diritto d'autore: prima pronuncia di illegittimità costituzionale

Andrea Nocera
13 Luglio 2022

La questione affrontata dalla Corte costituzionale con la pronuncia in commento involge la possibilità, in tema di violazione del diritto d'autore, della preclusione al procedimento penale, prevista dall'art. 649 c.p.p., in caso di provvedimento amministrativo con il quale, per il medesimo fatto, sia stata applicata una sanzione pecuniaria nei confronti del trasgressore.
Massima

La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), «nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall'art. 171-ter l. 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l'illecito amministrativo di cui all'art. 174-bis della medesima legge». Fattispecie relativa all'applicazione di sanzione amministrativa pecuniaria nei confronti del titolare di una copisteria per avere fotocopiato abusivamente dei libri di testo, in cui la Corte costituzionale, ha precisato che il diritto al “ne bis in idem” mira anzitutto a tutelare la persona contro le sofferenze e i costi di un secondo procedimento, riconoscendo carattere punitivo alle sanzioni pecuniarie previste in materia di diritto d'autore ed escluso che tra queste sanzioni e le pene previste per gli stessi fatti dalla norma incriminatrice di cui alla legge n. 633/1941 sussista una connessione sufficientemente stretta da far apparire le due risposte sanzionatorie come una risposta coerente e sostanzialmente unitaria a questa tipologia di illeciti.

Il caso

Il Tribunale di Verona, Sezione penale, con ordinanza del 17 giugno 2021, nel giudizio instaurato a seguito di opposizione a decreto penale di condanna alla pena della multa (pari ad euro 8.100,00) per il reato previsto dall'art. 171-ter, comma 1, lett. b), l. 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. «nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo non connesso a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei relativi protocolli», in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu)».

Nel caso di specie al titolare di una copisteria veniva contestato di avere, a fini di lucro, detenuto per la vendita e riprodotto abusivamente opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito, in numero pari a quarantanove testi. Per la medesima condotta, l'imputato, in solido con la società gestrice della copisteria, era già stato colpito, ai sensi dell'art. 174-bis l. n. 633/1941, da sanzione amministrativa, divenuta ormai definitiva, di rilevante importo (euro 5.974,00, pari al doppio della sanzione minima di 103,00 euro, moltiplicato per venticinque libri di testo, dei quarantanove totali, dal prezzo non determinabile, oltre a «un terzo dell'importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di vendita era conosciuto»).

La questione

La questione involge la possibilità, in tema di violazione del diritto d'autore, della preclusione al procedimento penale, prevista dall'art. 649 c.p.p., in caso di provvedimento amministrativo con il quale, per il medesimo fatto, sia stata applicata una sanzione pecuniaria nei confronti del trasgressore.

Nell'ordinanza di rimessione il Tribunale di Verona rileva, quanto al profilo della non manifesta infondatezza della questione sollevata, che, in base alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande camera, del 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, e della Corte di giustizia dell'Unione europea, Grande sezione, del 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci, la sottoposizione di un imputato a un processo penale, per il medesimo fatto per cui sia già stato definitivamente sottoposto a sanzione amministrativa di carattere punitivo o sostanzialmente di natura penale, integra una violazione del principio del ne bis in idem, salvo che tra i due procedimenti parallelamente svolti sussista “un legame materiale e temporale sufficientemente stretto. Si afferma, alla luce dei cd. “criteri Engel”, che è consentita la cumulabilità delle diverse sanzioni quando queste perseguano scopi diversi e complementari, la duplicazione dei procedimenti sia prevedibile per l'interessato e siano tra loro coordinati sul piano probatorio, oltre che temporale, e, soprattutto, il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, non risulti eccessivamente afflittivo per l'interessato, in rapporto alla gravità dell'illecito.”

Nel caso di specie, il giudice rimettente ha ritenuto “punitiva”, alla luce dei suddetti criteri, la sanzione amministrativa contemplata dall'art. 174-bis l. n. 633/1941, perchè il meccanismo moltiplicatore per la determinazione della pena previsto dalla norma ha significative ricadute nella sfera patrimoniale del trasgressore, anche in relazione a fatti di modesta gravità, ed è espressiva del «carattere afflittivo e non meramente restitutorio nonché (del)la finalità repressiva e deterrente» della sanzione amministrativa applicata ex art. 174-bis l. n. 633/1941».

Per le medesime ragioni, la questione posta è ritenuta rilevante, in quanto solo una sentenza additiva della Corte costituzionale che, secondo un'interpretazione «convenzionalmente orientata» dell'art. 649 c.p.p., ampli lo spettro applicativo della norma ai procedimenti amministrativi, consentirebbe di «neutralizzare», in relazione alle violazioni alle norme in tema di diritti di autore, la duplicazione dei giudizi, precludendo la possibilità di intervento del giudice penale nei confronti del trasgressore che abbia già riportato in via definitiva, per il medesimo fatto, una sanzione solo formalmente amministrativa.

Le soluzioni giuridiche

1. Premessa: i dubbi sull'ambito applicativo dell'art. 649 c.p.p.

L'art. 649 c.p.p., quale norma generale, di chiusura del sistema processuale penale, finalizzata alla «neutralizzazione» della duplicazione dei giudizi, è da sempre interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, per il suo tenore letterale, come inequivocabilmente riferita all'autorità giudiziaria penale.

La preclusione prevista dalla norma investe la possibilità di iniziare o proseguire un nuovo procedimento penale nei confronti dell'imputato prosciolto o condannato, in relazione al medesimo fatto, con sentenza o decreto penale di condanna divenuti irrevocabili. La S.C., pur prendendo atto che il principio del ne bis in idem di cui all'art. 4, Protocollo 7, della Conv. EDU, nell'interpretazione datane dalle sentenze Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi e Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia, può riguardare anche il rapporto tra procedimento penale ed amministrativo, ove la sanzione prevista da quest'ultimo abbia natura sostanzialmente penale, valuta erronea l'applicazione del divieto di doppio giudizio di cui all'art. 649 c.p.p. nel caso di intervenuta irrogazione di sanzioni amministrative per gli stessi fatti oggetto del procedimento penale, in quanto «sanzioni irrogate l'una dal giudice penale, l'altra da un autorità amministrativa» (Cass. pen., sez. III, 21 aprile 2016, n. 25815, P.G. in proc. Scagnetti, nel caso di specie il giudice aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'imputato del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000; Cass. pen., sez. III, 15 ottobre 2021, n. 2245, Colombo).

Il medesimo principio è stato di recente ribadito in tema di abuso di informazioni privilegiate (Cass. pen., sez. V, 15 aprile 2021, n. 31507, Cremonini), di sanzione amministrativa irrogata in ambito assicurativo (ISVASS) a seguito di procedimento disciplinare relativo agli stessi fatti oggetto di procedimento penale (Cass. pen., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 5048, Russo), di applicazione della pena militare accessoria della rimozione, ai sensi degli artt. 20 e 33 cod. pen. mil. Pace (Cass. pen., sez. I, 26 settembre 2019, n. 2969, Bonomo, in cui la Corte ha precisato che nessuna duplicazione sanzionatoria potrebbe mai ravvisarsi tra la rimozione e la sospensione dal servizio, in quanto disposte all'esito di procedimenti complementari, diretti al soddisfacimento di finalità giuridiche e sociali differenti e sottoposte a regole applicative distinte).

L'approccio interpretativo della giurisprudenza di legittimità, fondato sull'insuperabile dato letterale dell'art. 649 c.p.p., ha registrato alcune aperture alla luce dei principi sanciti dagli artt. 50 CDFUE e 4 Prot. n. 7 CEDU, come interpretati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nelle sentenze Grande Sezione, Menci (C-524/15); Garlsson Real Estate SA e altri contro Consob (C-537/16); Di Puma contro Consob e Consob contra Zecca (C-596/16 e C-597/16) e dalla Corte EDU, Grande Camera 15 novembre 2016, c. 24130-11 e 29758-2011, A. e B. contro Norvegia.

La S.C. ha affermato la possibilità per il giudice di merito, ricorrendo le condizioni previste dall'art. 620, comma 1, lett. l) c.p.p., di disapplicare integralmente la sanzione penale, ove il cumulo delle sanzioni risulterebbe radicalmente sproporzionato e contrario ai principi sanciti dagli artt. 50 CDFUE e 4 Pro. n. 7 CEDU, (Cass. pen., sez. V, 15 aprile 2019, n. 39999, Respigo,in tema di abuso di informazioni privilegiate, in cui la Corte ha precisato che il giudice, nella valutazione complessiva dell'afflittività del carico risultante dalla combinazione delle discipline sanzionatorie, tenendo conto delle sanzioni principali e accessorie e della confisca, ha il dovere di spingersi oltre la verifica meramente quantitativa o legata alle ragioni di tutela dell'interesse protetto, valorizzando anche le esigenze di garanzia individuale).

Con la sentenza sul caso A e B c/ Norvegia, la Grande Camera della Corte EDU, con riferimento al caso di sanzioni irrogate per violazioni tributarie configuranti anche l'illecito della frode fiscale aggravata, ha affermato che non costituisce violazione dell'art. 4 del protocollo n. 7 Cedu la previsione di norme interne che strutturino un duplice binario processuale, penale ed amministrativo, per la medesima condotta illecita, intesa nel senso dello “stesso fatto” come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, secondo le decisioni Corte EDU, V Sezione, 27 novembre 2014, Lucky Dev contro Svezia, e Corte EDU; Grande Camera, 10 febbraio 2009, Sergey Zolotukin c. Russia, ove le sanzioni siano riconducibili ad un sistema processuale integrato, facenti parte di un complesso sistema retributivo interno.

La Grande Camera ha fornito, inoltre, la chiave interpretativa per una lettura del divieto di doppio giudizio posto dall'art. 50 della Carta di Nizza, in conformità al principio del ne bis in idem espresso dall'art. 4 del protocollo 7, della Convenzione EDU (del tutto aderente è, del resto, l'interpretazione della Corte di Giustizia in Cort. Giust. UE, sez. III, 23 dicembre 2009, Spector Photo Group N.V. c. CBFA), per le ipotesi di illeciti di natura tributaria, richiamando il principio di proporzionalità della sanzione complessivamente inflitta.

L'impossibilità di estendere l'applicazione dell'art. 649 c.p.p. in via interpretativa ai procedimenti amministrativi ha indotto i giudici a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma.

In tema di condotte di abuso del mercato, Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2014, n. 1782, Chiarion Casoni, ha prospettato il contrasto dell'art. 649 c.p.p. con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 4, Protocollo n. 7, della Convenzione EDU, nella parte in cui la disposizione codicistica non prevede «l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio al caso in cui l'imputato sia stato giudicato, con provvedimento irrevocabile, per il medesimo fatto nell'ambito di un procedimento amministrativo per l'applicazione di una sanzione alla quale debba riconoscersi natura penale».

Sulla questione, Corte cost. n. 102/2016 ha dichiarato inammissibile la questione posta perché priva di rilevanza, non avendo il giudice rimettente offerto la prova della definitività dell'accertamento tributario (sulla esclusione dell'applicabilità della preclusione in assenza di definitività del concorrente provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa in tema di violazioni tributarie, cfr. Cass. pen., sez. III, 12 maggio 2016, n. 27814, Drago ed altri; Cass. pen., sez. III, 13 luglio 2016, n. 42470, Orsi, che, in un'ottica meramente processuale).

L'intervento della Corte delle Leggi viene valutato come necessario in quanto il giudice nazionale, nell'interpretazione delle norme interne, è vincolato dai soli orientamenti consolidati della Corte di Strasburgo e non può disapplicare una norma interna per contrasto con una norma convenzionale, ma ha l'onere di sollevare questione di costituzionalità della norma interna, per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., onde consentire alla Corte costituzionale (unica attributaria del relativo potere-dovere) di verificare se tale interpretazione della norma della Convenzione EDU non si ponga in conflitto con altre norme costituzionali, ovvero di valutarne la compatibilità con il nostro ordinamento costituzionale (Cass. pen., sez. II, n. 23043/2018, P.G. c. Gentile; Cass. pen., sez. II, n. 43435/2017, P.G. c. Cataldo).

La Corte costituzionale è intervenuta sulla questione con successive pronunce (C. cost. n. 145/2020, C. cost. n. 222/2019 e C. cost. n. 43/2018), in cui, alla luce dei criteri applicativi dettati dalla citata pronuncia A e B contro Norvegia, ha escluso che possa sussistere violazione del principio convenzionale nel caso di inizio o prosecuzione di un secondo procedimento di carattere sostanzialmente punitivo, allorché tra i due procedimenti vi sia una «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta», così che essi rappresentino una risposta coerente e sostanzialmente unitaria al medesimo illecito.

2. Le ragioni della dichiarazione di illegittimità costituzionale

Con la sentenza in esame, la Corte costituzionale, al fine di individuare i limiti di operatività del sistema di “doppio binario” sanzionatorio in materia di protezione del diritto d'autore, svolge una preliminare esegesi della garanzia convenzionale del divieto di bis in idem.

Il principio riconosce il diritto fondamentale dell'imputato a non subire l'inflizione di una seconda pena e, ancor prima, un secondo processo per il medesimo fatto. Il divieto non si oppone, tuttavia, alla possibilità che l'imputato sia sottoposto, in esito a un medesimo procedimento, a due o più sanzioni distinte per il medesimo fatto (ad esempio, a pene detentive, pecuniarie e interdittive), ferma la diversa garanzia rappresentata dalla proporzionalità della pena.

Presupposti per l'operatività del “ne bis in idem convenzionale” sono la sussistenza di un idem factum, come individuato da Corte EDU, Grande camera del 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia (§§ 79-84), e la sussistenza di secondo procedimento o processo di carattere penale per i medesimi fatti già giudicati e sanzionati.

La violazione del divieto convenzionale viene esclusa sulla base dei citati “criteri Engel”, determinanti per definire il perimetro applicativo della “materia penale”, secondo l'interpretazione della Corte EDU (ex multis, Corte EDU, 18 maggio 2017, Jóhannesson e altri contro Islanda; Corte EDU 16 aprile 2019, Bjarni Ármannsson contro Islanda; Corte EDU, 6 giugno 2019, Nodet contro Francia) e l'approdo ormai consolidato della Corte di giustizia dell'Unione europea sulla corrispondente garanzia apprestata dall'art. 50 CDFUE (C. Giust, Grande sezione, sentenze 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA e altri, cit.; in causa C-524/15, Menci; in cause C-596/16 e C-597/16, Di Puma e altri).

In tema di disciplina penale del diritto d'autore, il “doppio binario” sanzionatorio dettato dalla legge n. 633/1941 si struttura attraverso la previsione delle fattispecie incriminatrici di cui all'art. 171-ter, commi 1 e 2, punite con la pena congiunta della reclusione e della multa, e, in parallelo, delle sanzioni amministrative di cui all'art. 174-bis, introdotto dall'art. 8, comma 1, l. 18 agosto 2000, n. 248 (Nuove norme di tutela del diritto di autore), che sanziona esattamente le medesime condotte materiali con l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, determinabile attraverso il ricorso a criteri moltiplicatori, per espressa previsione normativa cumulabili con le prime (Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 2017 n. 30319).

Per effetto della pacifica sovrapponibilità – quanto meno sul piano dell'elemento oggettivo - degli illeciti previsti dalle due disposizioni, si verifica il rischio che l'agente sia sanzionato più volte, in via penale ed amministrativa, per un idem factum, secondo la richiamata interpretazione della Corte EDU (Corte EDU, Zolotoukhine c. Russia, cit.), con la prospettiva dell'instaurarsi di più procedimenti sanzionatori che si sviluppano parallelamente o consecutivamente.

Secondo la Corte Costituzionale, inoltre, non è da dubitarsi della «natura punitiva delle sanzioni amministrative previste dall'art. 174-bis l. n. 633/1941», alla luce dei citati criteri Engel, la cui finalità dissuasiva, per effetto del meccanismo moltiplicatore nel determinismo della pena, è da ritenersi «in tutto e per tutto sovrapponibile a quella caratteristica delle sanzioni penali».

Alla luce dei criteri enunciati dalla Corte EDU nella sentenza A e B contro Norvegia, il sistema normativo della legge n. 633/1941 consente al destinatario dei suoi precetti di essere soggetto a due procedimenti distinti, e conseguentemente a due distinte classi di sanzioni. Tuttavia, nel caso di specie, i due procedimenti non perseguono scopi complementari, o concernano diversi aspetti del comportamento illecito, tali da ritenersi avvinti da una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, come parti di un unico sistema integrato di tutela dei medesimi beni giuridici, disegnando un sistema di “doppio binario” del tutto incompatibile con l'art. 4 Prot. n. 7 CEDU e con l'art. 117, comma 1, Cost., suscettibile di produrre effetti sproporzionati sui diritti fondamentali dell'interessato.

In particolare, la sanzione amministrativa prevista dall'art. 174-bis l. n. 633/1941 esprime una chiara intentio legis di potenziamento dell'efficacia generalpreventiva dei precetti penali già contenuti nella legge, con un comune scopo dei due diversi illeciti, tra loro oggettivamente sovrapponibili, volto a dissuadere potenziali autori dal commettere gli illeciti in parola.

L'impianto normativo della legge n. 633/1941 non ha previsto, come nella materia tributaria, un sistema di soglie in grado di selezionare le sole condotte che per la loro gravità appaiano meritevoli anche della sanzione penale ovvero meccanismi atto a evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, e ad assicurare una ragionevole coordinazione funzionale o temporale dei procedimenti, attraverso l'affidamento al giudice penale (ovvero all'autorità amministrativa in caso di formazione anticipata del giudicato penale) della possibilità di tenere conto della sanzione già irrogata ai fini della commisurazione della pena, in modo da evitare che una medesima condotta sia punita in modo sproporzionato.

Né il potenziale conflitto con la norma convenzionale può essere evitato, in mancanza di rapporto di pregiudizialità tra illecito penale e illecito amministrativo, mediante il ricorso alla clausola di connessione di cui all'art. 24 l. n. 689/1981.

Alla luce di tali rilievi, trova fondamento e giustificazione la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. «nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall'art. 171-ter l. n. 633/1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l'illecito amministrativo di cui all'art. 174-bis della medesima legge».

Osservazioni

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. è limitata allo specifico sistema di “doppio binario” sanzionatorio, come disegnato dal legislatore italiano in materia di protezione del diritto d'autore.

La Corte ha osservato che, per le richiamate condizioni, il sistema di “doppio binario” di cui alla legge n. 633 del 1941 non è normativamente congegnato in modo da assicurare che i due procedimenti sanzionatori previsti apprestino una risposta coerente e sostanzialmente unitaria agli illeciti in materia di violazioni del diritto d'autore, già penalmente sanzionati, creando così inevitabilmente le condizioni per il verificarsi di violazioni sistemiche del diritto al ne bis in idem.

Tuttavia, la Corte ammonisce che suo precipuo compito «non è quello di verificare la sussistenza di violazioni del diritto fondamentale in esame nel singolo caso concreto, bensì quello di stabilire se il meccanismo normativo disegnato dal legislatore sia tale da determinare violazioni di tale diritto fondamentale in un numero indeterminato di casi».

La decisione in esame non rappresenta, dunque, argine idoneo ad evitare tutte le possibili violazioni del diritto al ne bis in idem fisiologicamente create dalla legge n. 633/1941 (si pensi al caso inverso in cui l'autore della violazione sia stato già definitivamente giudicato per uno dei delitti di cui all'art. 171-ter della legge, e sia successivamente sottoposto a procedimento amministrativo ai sensi dell'art. 174-bis), né a conferire razionalità complessiva al sistema sanzionatorio in materia, regimentando l'apertura di due procedimenti e il loro svolgimento parallelo.

Acquisizione non più discutibile è l'affermazione generale di un diritto al ne bis in idem, a tutela della persona. La duplicazione di sanzioni – e prima ancora di procedimenti – per la medesima violazione determina sofferenze e costi ingiustificati per la persona interessata.

Per evitare la violazione di tale diritto fondamentale dell'imputato, la Corte costituzionale invita il legislatore a rimodulare la disciplina in tema di diritto d'autore, in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie e, più in generale, ad eliminare le possibili disarmonie, nel quadro un'auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla Corte di giustizia e dalla stessa Corte.

Riferimenti
  • P. Fimiani, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem. Luci e ombre della recente giurisprudenza, in ilpenalista.it;
  • L. Giordano, La Corte di giustizia sulla questione pregiudiziale in tema di bis in idem per manipolazione del mercato, in ilpenalista.it;
  • A. Giovannini, Il ne bis in idem per la Corte EDU e il sistema sanzionatorio tributario domestico, in Rass. Tributaria, 2014, 5, 1155;
  • B. Lavarini, Corte europea dei diritti umani e ne bis in idem: la crisi del "doppio binario" sanzionatorio, in Dir. Pen. e Processo, 2014, 12 - Supplemento, 82;
  • A. Procaccino, Ne bis in idem: un principio in evoluzione - assestamenti e osmosi nazionali sul bis in idem, in Giur. It., 2019, 6, 1457.

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