Inutilizzabilità delle intercettazioni alla luce delle Sezioni Unite Cavallo e giudizio di revisione

14 Luglio 2022

La Suprema Corte è stata chiamata ad esprimersi su una problematica, per certi aspetti, del tutto nuova, dopo che la Corte di appello di Roma aveva dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di revisione presentata rispetto a una sentenza di condanna per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio.
Massima

In tema di revisione, nella nozione di nuove prove rilevanti a norma dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza, non rientra l'ipotesi di rivalutazione - derivante dal divieto di cui all'art. 270 c.p.p. - dell'utilizzabilità dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza - con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'art. 266 c.p.p.

Il caso

La Suprema Corte è stata chiamata a esprimersi su una problematica, per certi aspetti, del tutto nuova, dopo che la Corte di appello di Roma aveva dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di revisione presentata rispetto a una sentenza di condanna per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio. La difesa aveva presentato l'istanza assumendo che avrebbe dovuto essere ricondotta al concetto di “fatto processuale nuovo” ai sensi dell'art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p. non una “nuova prova” quanto sostanzialmente un nuovo caso di revisione, consistente nella valutazione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni eseguite durante le indagini, acquisite ed utilizzate in violazione dei criteri di interpretazione dell'art. 270 c.p.p. espressi dalla S.U. con la nota decisione Cavallo, n. 51/2020. Tesi disattesa dalla Corte di Appello, per la quale l'opzione ermeneutica espressa dalla menzionata decisione avrebbe dovuto essere considerata irrilevante ai fini del giudizio di revisione, giusto il divieto posto dall'art. 637 comma 3 c.p.p.

La questione

Nel ricorso presentato alla S.C. sono stati ipotizzati violazione di legge, in relazione agli artt. 630, 631, 634 e 271 c.p.p., e vizio di motivazione; in particolare, la sentenza oggetto del ricorso avrebbe erroneamente dichiarato l'inammissibilità della richiesta di revisione non cogliendo il quid novi sotteso alla richiesta: non una prova sopravvenuta o scoperta dopo la decisione, ma una prospettiva ermeneutica diretta a evidenziare l'illegalità dell'unica prova posta a fondamento della decisione di condanna. E' stato, in tal modo, proposto un parallelismo con la decisione della C. cost. n. 113/2011 che ha dichiarato illegittimo l'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede una ulteriore ipotesi di revisione penale, quando ciò risulta necessario per conformarsi ad una decisione definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo, nei casi nei quali la Corte europea ha condannato con sentenza definitiva lo Stato italiano per violazione di una norma convenzionale in tema di giusto processo penale. In questo modo, la decisione avrebbe introdotto una ulteriore ipotesi di ricorso al mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze penali passate in giudicato.

Le soluzioni giuridiche

La S.C. rigetta la prospettazione contenuta nel ricorso, rilevando, in primo luogo, la genericità del motivo dello stesso: in particolare, non sarebbe stato correttamente formulato il confronto tra la decisione della Corte di Appello e il divieto posto dall'art. 637 c.p.p., comma 3, secondo cui, nel giudizio di revisione, «Il giudice non può pronunciare il proscioglimento esclusivamente sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio». In questo senso, in tema di revisione, la circostanza che la inutilizzabilità della prova sia stata dedotta sulla base di un orientamento giurisprudenziale innovativo implica che «le nuove prove, valutate di per sé o unite a quelle già valutate, ben possono portare ad una totale rielaborazione della verità processuale acquisita, a patto però che esse si collochino al di fuori del quadro probatorio già valutato nel giudizio definitivo, giacché, altrimenti esse, ponendosi all'interno di tale quadro, costituirebbero un mezzo per invalidare il giudizio di attendibilità già formulato sulle prove acquisite e, conseguentemente, si risolverebbero in un espediente diretto a trasgredire il suddetto divieto (Cass. pen., sez. I, 24 febbraio 1992, Ced 191710)».

Il profilo di maggiore interesse della decisione in commento deve essere individuato nell'inquadramento della tipologia di censura contenuta nel ricorso e nella possibilità di “ampliare” l'ambito di applicazione del disposto dell'art. 630 c.p.p. In relazione al primo aspetto, la decisione si limita a osservare che l'inutilizzabilità patologica della prova delineata dalla sentenza Cavallo, doveva essere eccepita o rilevata nel giudizio di cognizione; non solo, la stessa deve intendersi definitivamente sanata dal passaggio in giudicato epoca successiva al momento della irrevocabilità della sentenza. Un argomento che la S.C. rafforza sottolineando come esempi- pure rari - di “cedevolezza” del giudicato (come avvenuto, ad es., nei casi di nei casi di illegalità della pena per sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di disposizioni afferenti al trattamento sanzionatorio o in relazione alle ipotesi di cui agli artt. 670 e 673 c.p.p.), risultano ontologicamente non assimilabili a «mere violazioni di norme di legge processuale che comportano esclusivamente la configurabilità di una illegittimità della decisione, denunciabile nelle forme e nei termini indicati dalla legge processuale».

La sentenza completa la propria argomentazione con un confronto con due ipotesi solo apparentemente sovrapponibili alla prospettazione contenuta nel ricorso, in ordine all'ampliamento della portata applicativa dell'art. 630 c.p.p., in relazione alla possibilità di revisione della condanna in conseguenza di una sopravvenuta causa di inutilizzabilità della prova fondante della decisione. Nel primo caso, si tratta della già menzionata sentenza 113/2011 C. cost., che ha introdotto la cd. revisione Europea. Per la S.C., si sarebbe trattato di un «eccezionale meccanismo di adeguamento del sistema processuale penale italiano in ragione dell'esigenza garantire, attraverso il "filtro" dell'art. 117 Cost., una reale effettività all'obbligo dettato dall'art. 46 CEDU che impone agli organi dello Stato membro di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell'uomo laddove la stessa comporti la necessità di una riapertura del processo penale». Una situazione non riscontrabile nel caso di specie, che potrebbe, al più costituire il presupposto per la richiesta di un nuovo intervento della Corte di Strasburgo per determinare indirettamente una nuova ipotesi della revisione della sentenza di condanna.

Inoltre, la S.C. esclude che la censura contenuta nel ricorso possa essere assimilata a quanto precisato incidentalmente dalle S.U. civili, laddove le stesse hanno affermato - in relazione alla inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto effettuate presso impianti diversi da quelli installati negli uffici della competente procura della Repubblica – che tale criticità resterebbe "denunciabile" dall'interessato mediante il rimedio della revisione (Cass. civ., sez. un., 4 agosto 2021, n. 22302, non massimata sul punto). Un principio non solo espresso in materia differente dalla revisione delle sentenze penale (quanto in riferimento all'istituto della revisione delle sentenze di condanna per illeciti disciplinari dei magistrati, di cui al d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 25) e adottato in sede civile ma con oggetto una pacifica ipotesi di inutilizzabilità delle intercettazioni prevista da una norma del codice di procedura penale diversa dalla inutilizzabilità denunciata dall'odierno ricorrente. In questo senso, pertanto si tratterebbe di un «mutamento di orientamento interpretativo che… non costituisce di per sé fonte del diritto, ma solamente il risultato di una evoluzione esegetica che non può travolgere il principio di intangibilità della res iudicata, espressivo dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici esauriti (in questo senso C. cost., n. 230 del 2021)».

Osservazioni

La decisione in commento, pur affrontando nello specifico un tema sostanzialmente nuovo, si inserisce in un dibattito ermeneutico sull'istituto della revisione particolarmente vivo. Pure per situazioni differenti, il principio generale della decisione in oggetto era stato evidenziato dalla S.C. (Cass. pen., Sez. IV, 15 maggio 2018 (dep. 3 ottobre 2018) n.43871, Ced. 274267 – 01). In questo senso, il contrasto di giudicati di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., che legittima la revisione, attiene ai fatti storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto-reato e non alla valutazione dei fatti né all'interpretazione delle norme processuali in relazione all'utilizzabilità di una determinata fonte di prova; nel caso di specie si trattava di istanza di revisione con oggetto una sentenza di condanna basata su intercettazioni telefoniche ritenute inutilizzabili da una sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di coimputati per insussistenza del fatto.

Analogamente (Cass. pen., sez, VI, 9 gennaio 2009 (dep. 16 giugno 2009) n. 25110, Ced. 244519 – 01) si è affermato che in tema di revisione per contrasto di giudicati, l'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p. non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto posto a fondamento della sentenza di condanna, attraverso la difforme interpretazione di una norma processuale relativa alla utilizzabilità di una determinata fonte di prova, operata in una sentenza di assoluzione pronunciata a carico dei coimputati in altro procedimento. Una fattispecie in cui l'istanza di revisione riguardava una sentenza di condanna basata su intercettazioni telefoniche ritenute inutilizzabili da una sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di altri coimputati per insussistenza del fatto.

Sul tema dell'ambito dell'art. 630 comma 1, lett c) c.p.p., di grande interesse risultano, infine, alcune decisioni che hanno affrontato l'aspetto relativo alla “novità” della prova sul piano della valutazione scientifica. Al riguardo la S.C. (Cass. pen., sez IV, 14 luglio 2021 (dep. 23 luglio 2021), n. 28724. Ced 281740 – 01) ha precisato che ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire "prove nuove" ai sensi del menzionato articolo, quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili. Nell'affermare tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure il provvedimento che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di revisione, escludendo che il riversamento in HD ad alta definizione del contenuto di un CD contenente un filmato dei fatti potesse integrare "prova nuova", in quanto tale tecnologia ad alta definizione era già operativa ai tempi del processo definitosi con la sentenza oggetto dell'istanza. Di rilievo anche un'altra decisione, sul tema del nesso di causalità tra l'esposizione all'amianto e l'insorgenza di carcinoma polmonare) per la quale non costituisce prova nuova, ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., quella fondata su nuovi studi che, pur giungendo a diverse valutazioni degli elementi di fatto già apprezzati, non neghino la validità scientifica del sapere posto a base della condanna, risolvendosi, in tal caso, la richiesta di revisione della pronuncia irrevocabile nella domanda di un diverso apprezzamento critico di dati di fatto processualmente acquisiti in via definitiva ovvero di una loro lettura alternativa rispetto a quella contenuta nella sentenza (Cass. pen., sez. III, 21 maggio 2019 (dep. 17 luglio 2019), n. 31309, Ced 276594 – 01).

Riferimenti
  • Rombi, La Cassazione torna sui limiti di operatività dello strumento della 'revisione europea', ilpenalista.it, 21 marzo 2019;
  • Tutinelli, La Cassazione e i limiti della nuova prova rilevante ai sensi dell'articolo 630 c.p.p., ilpenalista.it, 30 maggio 2022.

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