Particolare tenuità del fatto: e il risarcimento?

14 Luglio 2022

Una volta che nel processo si è accertato, con pronuncia idonea ad acquisire efficacia di giudicato, che sussiste il fatto ascritto all'imputato e che egli lo ha commesso e, altresì, che tale fatto integra una fattispecie di illecito penale, risulta irragionevole l'impossibilità di una pronuncia sulla pretesa risarcitoria (o restitutoria) della parte civile, ad opera dello stesso giudice penale.

Restituzioni e risarcimenti: le parti offese devono aspettare. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 538 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art. 131-bis c.p., il giudice decida sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile, a norma degli artt. 74 e ss. c.p.p. Secondo il rimettente, la disposizione censurata violerebbe, innanzitutto, il diritto della parte civile all'accesso ad un tribunale e alla celebrazione di un giusto processo entro un termine ragionevole: in particolare, sarebbe leso il diritto di difesa della parte civile, di cui rimarrebbe frustrata l'aspettativa legittima a che la sua domanda di risarcimento del danno sia debitamente esaminata dal giudicante, in contrasto con l'art. 24 Cost. Inoltre, sarebbe violato l'art. 3 Cost., stante l'ingiustificata disparità di trattamento tra la fattispecie contemplata dall'art. 131-bis c.p. e altre analoghe, in cui, pur a fronte di una sentenza penale di proscioglimento dell'imputato, è invece consentita la sua condanna civile restitutoria o risarcitoria sul presupposto dell'accertamento pieno dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato e della sua commissione da parte dell'imputato. La norma censurata, poi, lederebbe l'art. 111 Cost., ponendo a carico della parte civile l'aggravio di dover introdurre un nuovo giudizio dinanzi al giudice civile per ottenere il risarcimento di un danno già prontamente liquidabile dal giudice penale: si darebbe così luogo ad una irragionevole dilatazione dei tempi del processo, non giustificata da alcuna esigenza logica; al contrario, l'eventuale (contestuale) decisione del giudice penale sulle questioni civili non comporterebbe alcun vulnus alla sollecita definizione del procedimento penale, le cui finalità prioritarie di natura pubblicistica non sarebbero in alcun modo pregiudicate. Per la stessa ragione sarebbe violato, secondo il giudice a quo, il diritto a un processo equo, garantito dall'art. 6 CEDU.

I criteri direttivi della legge delega per la riforma del sistema sanzionatorio. L'art. 131-bis c.p., rubricato “Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, è stato introdotto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 28/2015, nel contesto di una più ampia riforma del sistema sanzionatorio, che ha anche previsto l'introduzione di nuovi istituti processuali, diretti ad escludere la punibilità della condotta con possibile dichiarazione di estinzione del reato, vuoi per la particolare tenuità dell'offesa, vuoi per l'esito positivo della messa alla prova dell'imputato con sospensione del procedimento. In particolare, il Governo era delegato ad escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, quando risulti la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno e adeguando la relativa normativa processuale penale (art. 1, comma 1, lett. m, l. n. 67/2014). Questo specifico criterio di delega aveva, quindi, una duplice direttrice, in quanto concerneva non solo l'imputato, la cui condotta avrebbe potuto essere dichiarata non punibile in ragione della “particolare tenuità dell'offesa”, ma anche la parte civile, la quale non avrebbe dovuto subire “pregiudizio” nell'esercizio della sua azione per il risarcimento del danno. Il legislatore delegato avrebbe, dunque, dovuto bilanciare la rinuncia dello Stato a sanzionare penalmente l'imputato per determinate condotte “minori” con la garanzia, al contempo, che alcun pregiudizio ne derivasse per le pretese risarcitorie e restitutorie della parte civile: ed è ciò che il legislatore delegato ha fatto introducendo l'art. 131-bis c.p. e l'art. 651-bis c.p.p.

La disciplina delegata. L'art. 131-bis, comma 1, c.p. prevede che, nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale. Il fatto non è punibile, non perché inoffensivo, ma perché il legislatore, pur in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno punirlo, ove ricorrano le condizioni indicate dalla medesima disposizione (così Cass. pen., n. 18891/2022). In questo modo, il legislatore, da un lato, ha riaffermato la natura di extrema ratio della pena e, dall'altro, ha tentato di contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla giurisdizione (C. cost., n. 279/2017). L'esimente, dunque, trova fondamento, non già nella mancanza di offensività del fatto, ma nel rilievo per cui, in corrispondenza di un giudizio di “lieve” offensività, l'esigenza punitiva diviene recessiva. In simmetria con l'art. 131-bis c.p., si colloca l'art. 651-bis c.p.p., attraverso il quale il legislatore delegato è intervenuto per evitare il pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno, come prescriveva il criterio di delega. In particolare, il primo comma della citata disposizione prevede che la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento abbia efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. Pertanto, la sentenza che dichiara la non punibilità del fatto ex art. 131-bis c.p., pur integrando una decisione di proscioglimento, contiene già l'accertamento, con efficacia di giudicato, delle circostanze che possono essere poste a fondamento di una pretesa risarcitoria. Se c'è l'accertamento dell'illecito penale, è irragionevole non provvedere sul risarcimento. Questo parallelismo tra la regola dell'estinzione del reato per la particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p..) e quella dell'efficacia della relativa sentenza di proscioglimento nel giudizio civile o amministrativo di danno (art. 651-bis c.p.p.) cela, però, un deficit di tutela per la parte civile ad opera della disposizione censurata (art. 538 c.p.p.), secondo cui il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta dalla parte civile, “quando pronuncia sentenza di condanna”. L'idoneità dell'istituto ad adempiere pienamente alla sua funzione riparativa «senza pregiudizio per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del danno» trova un limite nell'impossibilità, derivante dalla norma menzionata, per il giudice penale di conoscere della domanda restitutoria o risarcitoria formulata dalla parte civile quando, con sentenza resa all'esito del dibattimento, dichiara la non punibilità dell'imputato per la particolare tenuità del fatto; impossibilità che discende dalla qualificazione formale della sentenza, la quale è pur sempre di proscioglimento per estinzione del reato, anche se – come detto – ha un contenuto positivo di accertamento dei presupposti di tale reato. Per il Giudice delle leggi, una volta che nel processo si è accertato, con pronuncia idonea ad acquisire efficacia di giudicato (ex art. 651-bis c.p.p.), che sussiste il fatto ascritto all'imputato e che egli lo ha commesso e, altresì, che tale fatto integra una fattispecie di illecito penale, sussistendo il relativo elemento soggettivo del dolo o della colpa, risulta irragionevole l'impossibilità di una pronuncia sulla pretesa risarcitoria (o restitutoria) della parte civile, ad opera dello stesso giudice penale che contestualmente adotti una sentenza di proscioglimento dell'imputato per non punibilità ex art. 131-bis c.p. La mancanza di una pronuncia sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile comporta che quest'ultima debba promuovere ex novo un distinto giudizio civile in cui azionare la medesima pretesa, nonostante il giudicato che si forma già nella sede penale in senso favorevole alla possibile fondatezza della sua domanda: ciò determina l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui non prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di proscioglimento per la particolare tenuità del fatto, decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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