Giurisdizione internazionale e provvedimenti di modifica delle condizioni di divorzio

Paolo Bruno
12 Luglio 2022

La questione di diritto affrontata incidentalmente dai giudici italiani attiene all'individuazione del giudice competente in ordine alla domanda di modifica delle condizioni di divorzio, laddove questo sia stato dichiarato prima del 31 dicembre 2020 (fine del periodo transitorio che ha preceduto la Brexit).
Massima

Alla modifica delle condizioni di cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due cittadini italiani, sposati e divorziati in Italia ma residenti all'estero in due diversi Stati terzi al momento della domanda di modifica, non si applica la Convenzione di Lugano del 2007 ma la Legge 218/1995, venendo in rilievo tanto i criteri di rilevanza soggettiva che oggettiva idonei a radicare la giurisdizione del giudice italiano.

Il caso

La vicenda riguarda due coniugi, cittadini italiani, che dopo aver contratto matrimonio concordatario in Italia nel 1992 ed essersi ivi separati nel 2008, avevano presentato nell'ottobre 2019 ricorso congiunto per cessazione degli effetti civili del matrimonio al Tribunale di Milano, per vedersi accogliere la domanda nel febbraio 2020 alle condizioni da essi richieste.

Adito con ricorso per modifica di tali condizioni nel maggio 2021, il Tribunale dichiara il difetto di giurisdizione in favore del giudice inglese ai sensi dell'art.5(2) lett.a) della Convenzione di Lugano del 2007 ma la Corte d'Appello annulla il decreto impugnato per violazione dell'obbligo di integrazione del contraddittorio ed afferma incidentalmente l'inapplicabilità di detta Convenzione nei rapporti tra Italia e Regno Unito e la giurisdizione italiana in virtù dei criteri dettati dalla legge n.218/1995 di riforma del diritto internazionale privato.

La questione

La questione di diritto affrontata incidentalmente dai giudici italiani attiene all'individuazione del giudice competente in ordine alla domanda di modifica delle condizioni di divorzio, laddove questo sia stato dichiarato prima del 31 dicembre 2020 (fine del periodo transitorio che ha preceduto la Brexit). In particolare, essendo entrambi cittadini italiani ma residenti in due Stati terzi rispetto all'Unione Europea (Principato di Monaco e Regno Unito) il punto da dirimere è quello dello strumento applicabile per accertare la giurisdizione: europeo, convenzionale o nazionale (legge di diritto internazionale privato).

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello di Milano annulla il decreto del Tribunale rilevando che la notifica del ricorso ex art.710 c.p.c. non era andata a buon fine e che ciononostante il primo giudice aveva dichiarato il difetto di giurisdizione (ritenendo superflua la rinnovazione della stessa, atteso l'insuperabile difetto processuale).

Sennonché, il giudice dell'impugnazione rileva innanzitutto che alla fattispecie dedotta in causa non si applica la Convenzione di Lugano del 2007 – mai entrata in vigore nei rapporti tra l'Unione Europea ed il Regno Unito, stante la nota opposizione della Commissione Europea – e nemmeno i regolamenti europei in materia di diritto di famiglia, bensì la legge italiana di riforma del diritto internazionale privato (Legge n.218/1995), di cui nel caso di specie si intravedono tanto i connotati soggettivi di applicazione (accettazione espressa della giurisdizione italiana, evincibile dal ricorso congiunto per divorzio) quanto quelli oggettivi (cittadinanza italiana dei coniugi o celebrazione del matrimonio).

All'esito della disamina, la Corte d'Appello richiama anche l'orientamento della Suprema Corte in tema di giudicato implicito sulla giurisdizione e sottolinea come la questione della regolare integrazione del contraddittorio avrebbe dovuto formare oggetto di esame pregiudiziale rispetto alla questione della giurisdizione (peraltro risolta in modo erroneo dal Tribunale). Ne consegue la nullità del decreto impugnato e la rimessione della causa al primo giudice ai sensi degli artt.353 e 354 c.p.c.

Osservazioni

Il provvedimento in esame – che qui si commenta solo per i profili di diritto internazionale privato – giunge ad una condivisibile soluzione, affermando la giurisdizione del giudice italiano a scapito di quella inglese, con un percorso motivazionale che tuttavia avrebbe forse potuto seguire un approccio diverso.

Giustamente la Corte d'Appello rileva come le vicende relative alla richiesta di adesione del Regno Unito alla Convenzione di Lugano del 2007 sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale siano sfociate in una sostanziale opposizione dell'Unione Europea e di conseguenza detta Convenzione non sia mai entrata in vigore nei rapporti tra l'organizzazione regionale e la controparte inglese.

Ed invero, forte del suo potere discrezionale di presentare (o meno) al Consiglio una proposta ai sensi dell'art.218 TFUE, in quell'occasione la Commissione ha ritenuto di non dover procedere in tal senso adducendo una serie di ragioni politiche che in questa sede non è necessario approfondire. Basti qui rilevare che, non avendola presentata, di fatto l'Unione Europea ha negato al Regno Unito la possibilità di instaurare con essa relazioni internazionali e pertanto la Convenzione non fa parte dello strumentario azionabile dai giudici di Italia (in quanto Stato membro dell'UE, che ne è parte contraente) e Regno Unito per accertare quale sia il giudice competente in un caso transfrontaliero che abbia implicazioni per entrambi.

Orbene, una volta ritenuta inoperante la Convenzione di Lugano, la Corte d'Appello attribuisce la giurisdizione al giudice italiano sulla base della Legge n.218/1995 che reputa applicabile sulla scorta di due elementi: il primo, relativo al fatto che il ricorso congiunto di divorzio è stato presentato davanti al Tribunale di Milano; il secondo, relativo alla cittadinanza italiana dei coniugi ed al fatto che il matrimonio era stato celebrato in Italia.

Ci si chiede, tuttavia, se la fattispecie possa essere comunque ricondotta all'ambito di operatività del Reg. (CE) n.2201/2003 (c.d. Bruxelles II-bis).

Ed invero, la sentenza di divorzio congiunto è stata resa nel febbraio 2020, ovvero durante il periodo transitorio (che ha coperto l'intero anno 2020) governato dall'accordo di recesso che a sua volta ha introdotto una disciplina di diritto intertemporale per quanto attiene a competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie.

L'art.67(1) del suddetto accordo ha previsto, quanto alle regole di giurisdizione, che nel Regno Unito, nonché negli Stati membri dell'UE in situazioni che coinvolgano il Regno Unito, ai procedimenti avviati prima della fine del periodo di transizione (31 dicembre 2020) e ai procedimenti o alle cause connesse ai sensi dell'articolo 19 del Reg. (CE) n. 2201/2003 o degli articoli 12 e 13 del Reg. (CE) n. 4/2009 si applicano le disposizioni sulla competenza di entrambi i regolamenti.

È ben vero che nel caso di specie il ricorso per modifica delle condizioni di divorzio è stato introdotto il 21 maggio 2021, ed è noto l'orientamento maggioritario che lo configura come procedimento “nuovo”, ma ad avviso di chi scrive esso potrebbe legittimamente essere considerato non già come un nuovo procedimento bensì come un procedimento connesso a quello principale.

Non si tratterebbe, in tal caso, di connessione in senso proprio – per intenderci, quella disciplinata dal sopra citato art.19 del Reg. Bruxelles II-bis – ma di attrazione del procedimento di modifica a quello principale, riconducibile al fatto che quelli adottati nel diritto di famiglia sono provvedimenti rebus sic stantibus, soggetti a modifica in ogni tempo laddove ne sussista la necessità.

Seguendo questo percorso logico, il ricorso per modifica delle condizioni di divorzio costituisce uno sviluppo della vicenda processuale che nella sentenza di divorzio ha un punto fermo ma non definitivo; tanto basterebbe a conservare la forza attrattiva delle regole europee anche verso i procedimenti iniziati dopo la fine del periodo transitorio, se essi siano proceduralmente dipendenti o conseguenti a quello principale che si sia tenuto sotto la vigenza delle regole suddette.

Non sfugge a chi scrive che, così ragionando, i regolamenti europei in materia continuerebbero ad operare anche per lungo tempo, e che agli stessi occorrerebbe guardare nelle cause che involgono il Regno Unito fino al 2038 (quando acquisteranno la maggiore età i minori nati proprio nel 2020, anno del recesso, e rispetto ai quali una controversia sull'affidamento o sul mantenimento sia insorta prima della fine di quell'anno).

Tuttavia, se si guarda anche alle regole sulla circolazione dei provvedimenti giurisdizionali contenute nell'accordo di recesso, si potrà notare che a mente dell'art.67(2) nel Regno Unito, nonché negli Stati membri in situazioni che coinvolgano il Regno Unito, le disposizioni dei regolamenti europei sopra citati si applicano alle decisioni emesse in procedimenti giudiziari avviati prima della fine del periodo di transizione (31 dicembre 2020) quand'anche le prime siano rese dopo il secondo. In altri termini, l'accordo di recesso garantisce una continuità di governo delle fattispecie sotto le stesse regole ed evita conseguenze paradossali che potrebbero derivare dall'applicazione di norme diverse alle stesse situazioni.

Secondo questa lettura alternativa la vicenda di cui si è occupato il Tribunale avrebbe potuto avere un esito processuale differente – al netto delle considerazioni in punto di integrazione del contraddittorio nei confronti della parte reclamata, nei cui confronti la notifica non era andata a buon fine – in quanto l'applicazione del Reg. Bruxelles II-bis avrebbe portato il giudice di prime cure a constatare di essere competente in base all'art.3(1) lett.b) che fa riferimento alla cittadinanza italiana di entrambi i coniugi (circostanza che la Corte d'Appello cita espressamente).

Come infatti la Corte di Giustizia ha avuto modo di chiarire già da tempo, l'applicazione dei regolamenti europei ha carattere espansivo e lungi dall'essere limitata dalla ricorrenza di un solo criterio di collegamento (residenza o cittadinanza delle parti) è invece innescata dalla presenza di un elemento di transnazionalità che può essere anche diverso (una residenza non più attuale ma qualificata, la celebrazione del matrimonio, la presenza di un bene immobile comune, il luogo di decesso di un coniuge, etc.).

Sullo sfondo della vicenda resta la Legge n.218/1995, il cui carattere residuale ne circoscrive oramai l'operatività alle sole fattispecie in cui non operano né i regolamenti europei né le Convenzioni internazionali.

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