Il contratto con effetti protettivi a favore del terzo

Daniela Zorzit
21 Luglio 2022

Nell'Approfondimento verranno illustrate le origini ed il (dubbio) fondamento del contratto con effetti protettivi a favore del terzo, ponendo attenzione agli aspetti critici ed ai più recenti arresti della Cassazione. Il cuore della trattazione è racchiuso nel seguente interrogativo: è possibile accordare una tutela ex contractu a soggetti che, seppur estranei al vincolo negoziale, abbiano subito un pregiudizio, alla persona o ai propri beni, in occasione della esecuzione della prestazione?
Natura e caratteri

Secondo la ricostruzione della giurisprudenza, con il contratto ad effetti protettivi si attribuisce ad un soggetto “terzo” (che cioè non è parte) il diritto - non di esigere la prestazione principale ma - di non essere danneggiato dalla sua esecuzione. Un caso paradigmatico in cui la figura ha trovato applicazione è quello della omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata: la Cassazione ha stabilito che, a fronte dell'inadempimento del sanitario (che non ha correttamente adempiuto l'obbligazione assunta verso la gestante), il padre del bimbo può chiedere, ex contractu, il ristoro dei pregiudizi patiti (Cass. n. 9735/2002, in Giust. civ., 2002, I, 1490;. Cass. n. 14488/2004; Cass. n. 20320/2005; Cass. n. 16123/2006; Cass. n. 10741/2009).

Nello stesso schema rientra anche la tutela accordata al neonato che, a causa della negligenza o imperizia del medico, abbia riportato lesioni in conseguenza del parto (Cass. n. 11503/1993, in Giust. civ., Mass. 1993, fasc. 11, ha fatto riferimento al contratto con effetti protettivi tra gestante e struttura per giustificare il diritto al risarcimento ex art. 1218 c.c. in capo al nascituro. Nello stesso senso ex plurimis Cass. n. 11001/2003; Cass. n. 13066/2004; Cass. n. 14488/2004, in Giust. civ., 2005, 1, I, 121; Cass. n. 10741/2009, in Resp civ. e prev. 2009, 10, 2063; Cass. n. 13/2010).

L'istituto in esame ha ricevuto anche l'imprimatur delle famose sentenze gemelle del 2008 (Cass. 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975, in Danno e Resp. 2009, I, «4.3. Vengono in considerazione, anzitutto, i c.d. contratti di protezione, quali sono quelli che si concludono nel settore sanitario. In questi gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali. In tal senso si esprime una cospicua giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto modo di inquadrare nell'ambito della responsabilità contrattuale la responsabilità del medico e della struttura sanitaria (sent. n. 589/1999 e successive conformi, che, quanto alla struttura, hanno applicato il principio della responsabilità da contatto sociale qualificato), e di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi, ai quali si estendono gli effetti protettivi del contratto, e quindi, oltre alla gestante, al nascituro, subordinatamente alla nascita (sent. n. 11503/2003; n. 5881/2000); ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (sent. n. 6735/2002; n. 14488/2004; n. 20320/2005)».

Dopo alcune iniziali incertezze, la Suprema Corte ha ulteriormente esteso il modello in parola ai congiunti della vittima di malpractice: i famigliari del paziente, seppur estranei al contratto stipulato tra quest'ultimo e la struttura, possono agire ex art. 1218 cc. per ottenere il risarcimento dei danni patiti iure proprio – e ciò consente loro di beneficiare di una disciplina di gran lunga più favorevole rispetto a quella ex art. 2043 c.c., per es. in tema di prescrizione ed onere dellaprova. (Cass. 30 marzo 2011, n. 7256 relativa ad un caso di gravi lesioni subite da un neonato in conseguenza di inadeguata assistenza al parto; ancor più di recente, Cass. 02.10.2012 n. 16754 che, in caso di omessa diagnosi di malformazioni, estende espressamente la responsabilità ex art. 1218 cc. non solo al padre, ma anche ai fratelli e alle sorelle del bimbo).

Nella giurisprudenza di meritocc.; ma in non pochi casi manca, sul punto, una specifica ed approfondita motivazione. Trib. Venezia 9 febbraio 2009 (Trib. V sono numerose le sentenze che accordano agli stretti congiunti del paziente (rimasto vittima di errore medico) una tutela ex art. 1218 enezia 09.02.2009 in Giur. merito, 2009, 5, 1280) si limita a dare per pacifica la natura della responsabilità contrattuale della struttura anche in relazione ai danni patiti iure proprio dalla moglie e dai figli del malato, deceduto per effetto di negligenza degli operatori. Il Tribunale di Brindisi (Trib. Brindisi 30 marzo 2009) ammette tranquillamente – senza soffermarsi sulla questione - il diritto al risarcimento ex art. 1218 c.c. in favore non solo del paziente danneggiato (a seguito di non corretta esecuzione di intervento di varicocelectomia), ma anche nei confronti della moglie dello stesso. Il Tribunale di Piacenza (Trib. Piacenza 6 marzo 2012, n. 146) riconosce il diritto al risarcimento del danno ex contractu anche alla madre del soggetto che, a seguito di errata esecuzione dell'operazione, aveva perduto la vista. Sono interessanti anche le pronunce che, dopo aver affermato la responsabilità. del datore di lavoro per i danni subiti dal dipendente (per mesotelioma pleurico e asbestosi da amianto), ammettono il risarcimento ex art. 2087 c.c. (anche) in favore dei congiunti, senza peraltro fare alcun riferimento al contratto con effetti protettivi: (si vedano per es. Cass. 21 aprile 2011, n. 9238; Trib. Reggio Emilia 26 ottobre 2007, inedita).

Il vantaggio è evidente: a rigore, nelle ipotesi testé considerate dovrebbe trovare applicazione il paradigma aquiliano perché il comportamento tenuto dal debitore nell'attuazione del rapporto si atteggia, rispetto al terzo, non come inadempimento, ma come un (qualunque) fatto illecito. Ed è proprio da tale constatazione che trae origine l'interrogativo più insidioso: qual è la ragione, la causa che giustifica una simile estensione (degli effetti e delle regole del contratto a soggetti che parti non sono)?

Dagli obblighi di protezione al contratto con effetti protettivi a favore del terzo

L'indagine non può che prendere avvio dalla teoria dei cd. obblighi di protezione, che ha sicuramente influenzato il pensiero delle corti, finendo con l'essere (seppure a volte tralatiziamente) recepita e tradotta in sentenza (in Italia i primi ad occuparsi degli obblighi di protezione sono stati U. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1954, I, 66 ss. e L. Mengoni, Obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi, in Riv. dir. civ., 1954, I, 368, nonché C. Castronovo, voce Obblighi di protezione, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1990, XXI). L'eco di tali apporti dottrinari risuona chiaramente nelle pronunce sin qui ricordate e, in particolare, nella massima che recita: «Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze» (ex plurimis Cass. 28 novembre 2007 n. 2472, in Ragiusan, 2009, 297, 211; Cass. 14 giugno 2007, n. 13953, in Giust. civ., 2008, 11, 2519; Cass. 9 novembre 2006, n. 23918, in Ragiusan, 2007, 281). Per cogliere appieno la portata di tale assunto conviene tornare indietro nel tempo e soffermare l'attenzione sui risultati cui l'autorevole dottrina più sopra citata è pervenuta.

Secondo l'impostazione tradizionale, gli obblighi di protezione si collocherebbero accanto alla prestazione principale e sarebbero volti alla tutela di interessi diversi da quello specificamente dedotto nell'affare; essi, in particolare, sarebbero finalizzati (non a soddisfare precipuamente il bisogno di beni o servizi cui l'atto tende, ma) alla tutela della persona e del patrimonio dell'altra parte. I contraenti, quindi, sarebbero tenuti non solo a quanto appositamente pattuito, ma anche ad una serie di comportamenti ulteriori, tesi appunto a preservare l'integrità del creditore/debitore e dei suoi beni (L. Mengoni, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Riv. dir. comm., 1954, I, 309). In caso di violazione di tali doveri, si configurerebbe, quindi, un vero e proprio inadempimento, come tale soggetto alla disciplina di cui agli artt. 1218 c.c. ss. Va detto altresì che, secondo l'opinione maggiormente diffusa, la fonte di tali obblighi sarebbe da rinvenire nel «principio della buona fede negoziale [che] completa e rafforza la tutela del diritto assoluto, espressa nella regola generale dell'art. 2043 c.c.» (L. Mengoni, cit.).

Non è questa la sede per approfondire il tema; è opportuno peraltro sottolineare che la teoria in esame venne elaborata dalla dottrina tedesca al precipuo scopo di ovviare alle debolezze che, nel regime del BGB allora vigente, presentava la disciplina del torto, caratterizzato dalla tipicità degli illeciti, da un breve termine prescrizionale e dalla larga possibilità di individuare cause di esonero dalla responsabilità (anche per i riferimenti alla dottrina tedesca, Di Majo, La protezione del terzo tra contratto e torto, in Europa e dir. priv., 2000, 1 ss.).

La categoria è stata poi importata in Italia, non senza incontrare resistenze. Lo spazio di queste pagine non consente di dare conto di tutte le opinioni al riguardo: sarà sufficiente ricordare la (autorevole) obiezione di chi ha rilevato come gli obblighi di protezione siano una inutile superfetazione, non abbiano alcuna autonomia, perché costituiscono in realtà «momenti in cui si specifica la prestazione principale», la quale, in virtù del dovere di diligenza di cui all'art. 1176 c.c., li assorbe e li comprende (Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1991, 93-94 «La dottrina riconosce generalmente che l'obbligazione implica il rispetto della sfera giuridica del creditore ma ipotizza al riguardo l'esistenza di obblighi distinti e accessori rispetto all'obbligazione principale. Questi obblighi vengono comunemente chiamati obblighi di protezione o di sicurezza, e il loro fondamento è ravvisato nella buona fede. Contro questa concezione va osservato che al debitore non si richiede semplicemente un comportamento improntato a correttezza ma un comportamento obiettivamente adeguato a evitare l'evento dannoso, cioè un comportamento diligente. Tale comportamento, inoltre, fa parte integrante della prestazione dovuta senza che si debbano ostruire artificiosamente altri obblighi del debitore. Precisamente, il debitore è tenuto ad una prestazione di contenuto prudente». In tal senso anche U. Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, Milano, 1974, I, 26.Così anche U. Majello, Custodia e deposito, Napoli, 1958, 151 ss.).

Al di là delle critiche, è innegabile che la figura in esame ha esercitato una certa suggestione, specie se si considerano i risultati dei suoi sviluppi: una volta ammessa l'esistenza di obblighi di protezione inter partes ed ex contractu, la giurisprudenza ne ha esteso la portata a (certi) terzi, per sottrarli alla (meno vantaggiosa e più stringente) disciplina di cui all' art. 2043 c.c.

E' nato così il cd. Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte: il contratto con effetti protettivi fa sì che il terzo diventi titolare (non di una propria pretesa alla prestazione principale ma) del diritto a non essere danneggiato dalla sua esecuzione. In sostanza, tale figura altro non è se non una costruzione, uno strumento attraverso il quale gli obblighi di conservazione dell'altrui sfera giuridica, che graverebbero sulle parti in forza del principio di buona fede, sono stati dilatati oltre il perimetro negoziale, sino al punto di farne beneficiare soggetti altri (Sul punto si veda M. Maggiolo, Effetti contrattuali a protezione del terzo, in Riv. dir. civ., 2001, I, 39 ss., il quale rileva che «Nel contratto con effetto di protezione per il terzo, in altre parole, il dovere di comportarsi con cautela (sorgsame Verhalten), dovere che sempre grava sul debitore nei confronti del creditore, viene esteso sino al punto di farne beneficiare anche il terzo, nei cui confronti si ritiene dunque esistere un dovere secondario di risarcimento assoggettato alle regole della responsabilità contrattuale»).

Al fine di evitare eccessive ed arbitrarie derive, la giurisprudenza tedesca ha tentato di individuare alcuni parametri capaci, almeno in tesi, di attuare una selezione nel novero teoricamente illimitato dei terzi in qualche modo toccati dal contratto. E così si è detto che la cerchia dei soggetti protetti poteva comprendere solo coloro che si trovavano in una situazione di prossimità rispetto alle parti (ad es. congiunti, persone di servizio o comunque coloro verso i quali il creditore sarebbe stato responsabile in base ad un rapporto di lavoro subordinato o di altra natura) (Per una analitica esposizione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza tedesca si rinvia a A. Di Majo, cit., 16 ss.).

L'aspetto cruciale su cui occorre soffermare l'attenzione attiene, tuttavia, alla ricerca di una ragione giuridica idonea a spiegare il se, il come ed il perché di tale estensione; nel panorama tedesco, dopo diversi tentativi, si è concluso che tale fondamento avrebbe dovuto essere ravvisato nel principio di buona fede (lo stesso, che, in base al § 242 del BGB, giustificava l'esistenza degli obblighi di protezione tra debitore e creditore (sul punto M. Maggiolo, cit., 55 ss.).

Tale impostazione è stata peraltro fortemente criticata, nella dottrina italiana, da chi ha rilevato come, nel sistema delineato dal nostro legislatore, la buona fede presupponga (e non crei essa stessa) il vincolo, poiché il momento in cui essa «si rende applicabile è logicamente successivo alla individuazione dei soggetti, tra i quali quel dovere di comportamento verrà ad instaurarsi» (Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotti, 1979, 231 ss.). Si è sostenuto, per converso, che il fondamento della estensione degli obblighi di protezione dovrebbe rinvenirsi nel dovere di solidarietà ex art. 2 Cost.. Sotto altro profilo, si è osservato che tale dilatazione non può dirsi in contrasto con la regola di cui all'art. 1372, comma 2, c.c. posto che, secondo la visione più moderna, il principio di relatività va inteso in senso negativo, essendo sempre possibile (come dimostrerebbe l'art. 1411 c.c.) estendere a terzi gli effetti positivi del contratto (salvo però sempre il potere di rifiuto) (F. Caringella-G. De Marzo, Manuale di diritto civile, II, Le Obbligazioni, Milano, 2006, 416 ss.; P. Fava, Il contratto, Milano, 2012, 1598 ed ivi riferimenti bibliografici).

Il “fondamento” del contratto con effetti protettivi a favore del terzo: perplessità e critiche

A parere di chi scrive, il fondamento dogmatico del contratto con effetti protettivi rivela qualche ombra. Il tema meriterebbe ben altro approfondimento ma, in via di estrema sintesi, alla figura in esame potrebbero essere mosse più obiezioni:

In primo luogo, occorre tener conto del dato storico: la figura del Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte fu concepita dalla dottrina e dalla giurisprudenza tedesche al precipuo scopo di ovviare alle debolezze che, nel regime del BGB allora vigente, presentava la disciplina del torto. Tale giustificazione pratica è elemento di indiscutibile valenza perché sta a significare che la categoria in esame è nata proprio per offrire tutela a situazioni che, per definizione, avrebbero dovuto essere regolate entro il paradigma della responsabilità aquiliana (sul punto A. Di Majo, La protezione del terzo, cit., 21).

Non sembra che la giurisprudenza italiana si sia soffermata a spiegare quale sia la giustificazione del contratto in esame, essendosi piuttosto limitata ad importarne tralatiziamente la formula. In un noto arresto la Cassazione (Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, in Giust. civ., 2002, I, 1490, in Foro it., 2002, I, 3115) ha sostenuto che «Il tessuto dei diritti e dei doveri che secondo l'ordinamento si incentrano sul fatto della procreazione - quali si desumono sia dalla legge 194 del 1978; sia dalla Costituzione e dal codice civile, quanto ai rapporti tra coniugi ed agli obblighi dei genitori verso i figli (artt. 29 e 30 Cost.; artt. 143 e 147,261 e 279 cod. civ.) - (...) vale poi a spiegare perché anche il padre rientri tra i soggetti protetti dal contratto ed in confronto del quale la prestazione del medico è dovuta».

Non può peraltro fare a meno di notarsi che il riferimento ai diritti della famiglia, se può senz'altro giustificare il risarcimento del danno non patrimoniale, non può, di per sé, mutare il titolo della responsabilità.

A ben vedere, poi, non è chiaro se gli effetti “protettivi” si estendano verso (certi) soggetti in forza di una (espressa o implicita) volontà delle parti (come se si trattasse di ripetere lo schema dell'art. 1411 c.c., seppur in versione ridotta posto che il terzo non ha diritto di pretendere la prestazione); o se ciò derivi automaticamente dal principio di buona fede di cui all'art. 1375 c.c., da leggersi in correlazione con l'art. 1374 c.c (Nella dottrina italiana, L. Mengoni, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Riv. dir. comm., 1954, I, 309, osserva che la fonte degli obblighi di protezione sarebbe da rinvenire nel «principio della buona fede negoziale [che] completa e rafforza la tutela del diritto assoluto, espressa nella regola generale dell'art. 2043 c.c.»). Ove però si voglia seguire tale seconda prospettiva, probabilmente coglie nel segno l'obiezione dell'autorevole dottrina che ha osservato come, nello schema delineato dal legislatore, la buona fede presupponga il (ed operi solo entro i confini del) contratto, sia cioè destinata ad integrare, indirizzare, guidare un rapporto che nasce tra - ed è limitato alle sole - parti (C. Castronovo, Problema e sistema nel danno da prodotti, 1979, 231 ss.). Anche a voler ammettere che essa “crei”, in forza dei citati paradigmi normativi, obblighi di “conservazione” delle altrui sfere di integrità, ciò vale solo tra i contraenti; come e in base a cosa, dunque, tali effetti potrebbero/dovrebbero estendersi a terzi?

Per ovviare al problema, si è ritenuto di richiamare il principio di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione che, come tale, sarebbe in grado (si è sostenuto) di fondare quell'allargamento, quella dilatazione soggettiva a cui sopra si è fatto cenno (C. Castronovo cit.; in tale prospettiva parrebbe collocarsi anche Cass. 11 maggio 2009, n. 10741 ). Contro tale tesi si è peraltro- a parere di chi scrive condivisibilmente - obiettato che il dovere di cui all' art. 2 della Costituzione finisce così per diventare una clausola generale buona per tutto (F. Benatti, Doveri di protezione, in Dig., Disc. priv., 222 ss. il quale rileva altresì che «(..)l'interesse di ciascun soggetto a non essere danneggiato nella propria persona e nelle proprie cose, che è l'interesse protetto dagli obblighi di conservazione, esiste prima ed indipendentemente dall'esistenza di un rapporto obbligatorio ed è già tutelato sufficientemente dall'art. 2043 c.c.».). E tale rilievo sembra trovare un altro argomento di supporto nel fatto che sono moltissime le pronunce in cui la Cassazione sostiene che, nell'ambito contrattuale, il principio di solidarietà trova espressione nella buona fede e si declina, nelle sue varie manifestazioni, sempre entro i limiti del rapporto tra le parti (ex plurimis Cass. 10 aprile 2012, n. 5691). Che esso, dunque, ne autorizzi il superamento potrebbe non essere così certo.

In una prospettiva di più ampio respiro, i punti “nodali” su cui si potrebbe costruire la critica sono forse almeno tre.

a) Può davvero dirsi che “nasce dal contratto” ciò che in realtà discende già dall'art. 2043 c.c.? Il (mero) diritto del terzo a non essere leso nella propria persona o nei propri beni preesiste, è già posto dalla norma generale aquiliana; anche a voler ipotizzare che le parti possano creare, attraverso una volontà espressa o implicita (magari ricavata in via interpretativa), un modello attenuato rispetto al 1411 c.c. (prospettiva, questa, che è tutta da verificare), ci si potrebbe domandare se l'accordo volto appunto a far sì che dal vincolo nascano effetti di mera conservazione sia davvero valido o non sia, invece, nullo per mancanza di causa (trattandosi di attribuire ad un soggetto un diritto che ha già);

b) se è vero - come sostenuto dalla teoria in esame - che ai terzi si estendono gli stessi obblighi di protezione che la buona fede impone tra le parti, l'impostazione finisce col presentare un evidente limite proprio nel settore in cui è più utilizzata (quello della RC sanitaria). Invero, nel contratto di spedalità l'interesse dedotto è proprio quello di cura e tutela della salute; gli obblighi di salvaguardia non sembrano autonomi, ma accessori e strumentali rispetto alla prestazione (di cui costituiscono mere specificazioni). Se così è, cade in un sol colpo la possibilità di estendere a terzi obblighi a latere che, in realtà, non esistono (c'è solo la prestazione);

c) al di là di ciò, ove pure si volesse accedere all'idea per cui l'art. 2 della Costituzione giustifica l'estensione a terzi di quegli stessi obblighi protettivi imposti, inter partes, dalla buona fede, è sin troppo evidente il rischio di una incontrollabile deriva. La stessa esperienza tedesca ha rivelato la oggettiva difficoltà di individuare criteri selettivi veramente univoci ed efficaci (la cui applicazione viene, in ogni caso, delegata alle larghe maglie dell'interpretazione giudiziale). è allora ben chiaro il pericolo: attraverso un (generico) aggancio al principio di solidarietà, i confini della responsabilità contrattuale potrebbero essere dilatati a tal punto da cancellare del tutto la disciplina del torto (e la sua autonoma ragion d'essere).

Cass. Sez. III, 8 maggio 2012, n. 6914: ripudio del contratto con effetti protettivi a favore del terzo?

Occorre a questo punto dare atto di una pronuncia della Suprema Corte, la n. 6914 dell'8 Maggio 2012 (Cass. 08.05.2012 n. 6914, in Danno e Resp. n. 12/12 con nota di D. Zorzit), che si pone in almeno apparente contrasto con l'orientamento consolidato: la Cassazione sembra aver dimenticato (o, tra le righe, rinnegato?) il contratto con effetti protettivi a favore del terzo.

Il caso trattato riguarda il suicidio di una anziana paziente avvenuto all'interno di una casa di riposo: la figlia della signora (terza rispetto al contratto stipulato con l'istituto) chiede, ex art. 1218 c.c., il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita della madre (rimproverando alla struttura comportamenti colposi di omesso controllo). Il giudice di merito rigetta la domanda (per difetto di prova, non l'avendo l'attrice assolto l'onere di dimostrare la non imprevedibilità dell'evento) e la Cassazione conferma la decisione osservando che l'ambito entro il quale la pretesa doveva essere ricondotta «è necessariamente» quello aquiliano.

Nella vicenda esaminata sussistevano tutti i presupposti per replicare lo schema del Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte, ormai ampiamente sdoganato nell'ambito della RC sanitaria; a fronte dell'inadempimento della struttura per non aver impedito il suicidio dell'anziana madre, sarebbe stato naturale attendersi l'accoglimento della domanda proposta dalla figlia. E pare difficile credere che la soluzione negativa data dalla Cassazione sia dipesa dalla diversità del tipo: non sembra, cioè, che il contratto con la casa di riposo presenti significative differenze rispetto a quello di spedalità (essendo anzi fondato sulle medesime esigenze di assistenza, custodia e salvaguardia della persona). E comunque, una simile discriminazione avrebbe dovuto essere giustificata, posto che lo schema degli effetti protettivi pare avere una portata (almeno teorica) generalizzata, che prescinde cioè dalla species negoziale (Per l'affermazione della responsabilità della struttura ospedaliera per il suicidio del paziente si veda, per es., Trib. Trieste 30 aprile 1993, in Resp. civ. e prev. 1994, 302, nonché Trib. Monza 22 ottobre 2001, inedita, relativa al caso di una bambina schizofrenica lanciatasi dall'undicesimo piano da una finestra priva di inferriate. Cass. 4 agosto 1987, n. 6707, in Foro it., 1988, I, 1629, del resto, ha, in un caso relativo al rapimento di un neonato dalla nursery, espressamente affermato, riconducendo la responsabilità della struttura ospedaliera entro l'inadempimento di un obbligo ex lege, che «La tutela della salute come fondamentale diritto dell'individuo (...) non si esaurisce, per quanto attiene agli ospedali, nella mera prestazione delle cure mediche, chirurgiche generali e specialistiche (...). Per tali persone, [ndr. ricoverate], la protezione è parte essenziale, a volte la massima parte, della cura sanitaria, sicché è implicita nello stesso concetto di cura, il quale dev'essere assunto come includente nel comportamento dovuto tutte le attività essenziali per l'effettiva realizzazione dell'utilità perseguita dall'obbligazione»).

E dunque, o la Cassazione si è semplicemente dimenticata della figura del Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte,oppure ha intenzionalmente assunto, rispetto ad essa, una posizione di distacco (sia pure, sia detto, senza alcuna espressa argomentazione), in qualche modo facendosi portatrice delle critiche e delle perplessità già mostrate dalla dottrina circa il suo fondamento.

“Gli sviluppi più recenti della giurisprudenza di legittimità: il perimetro del contratto con effetti protettivi è limitato ai soli rapporti inerenti alla procreazione”.

Nel corso degli ultimi anni la giurisprudenza ha avuto modo di “rimeditare” la figura del contratto con effetti protettivi ed è di recente giunta a limitarne fortemente l'ambito di applicazione.

Come si è visto, l'insegnamento consolidato riconduceva la domanda proposta iure proprio dai famigliari nell'alveo dell'art. 1218 cc. in ragione del fatto che la responsabilità dell'ente di cura verso costoro troverebbe essa stessa titolo nel contratto di “spedalità”, in quanto produttivo di “effetti protettivi nei confronti dei terzi” (In tal senso le pluricommentate sentenze gemelle di San Martino 2008, in Danno e Resp. 2009, I, nonché, Cass. 30 marzo 2011, n. 7256, Cass. 2 ottobre 2012 n. 16754).

La decisione di Cass. n. 6914/2012 ha rappresentato il primo, se si vuole “timido”, segnale “di inversione” che, dopo qualche incertezza, ha aperto la strada al cambiamento.

Deve essere ricordata infatti Cass. civ. Sez. III, 20 marzo 2015 n. 5590, che ha lapidariamente e laconicamente sottolineato: <<Il diritto che i congiunti vantano, autonomamente sebbene in via riflessa, ad essere risarciti dalla medesima struttura dei danni direttamente subiti a causa dell'esito infausto dell'operazione cui è stato sottoposto il danneggiato principale si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale e pertanto è soggetto alla prescrizione quinquennale prevista dall'articolo 2947 cc., non potendo essi giovarsi del termine più lungo del quale gode la “vittima primaria” in virtù del diverso inquadramento, contrattuale, del rapporto tra la stessa ed il soggetto responsabile>> (Cass. civ. Sez. III, 20 marzo 2015 n. 5590, in Ridare, con nota di D. Zorzit “Responsabilità del medico anche per la “causa incerta o ignota” e la prescrizione quinquennale per il risarcimento del danno dei prossimi congiunti”).

Ciò che peraltro va qui evidenziato è che entrambe le pronunce (Cass. 5590/2015 e Cass. n. 6914/2012) non hanno preso posizione sul diverso orientamento che faceva leva sul contratto con effetti protettivi, non hanno cioè spiegato per quale motivo detta figura dovesse ritenersi “inadeguata” per giustificare l'estensione (ai congiunti) della disciplina dell'art. 1218 cc.

Sia l'una che l'altra decisione appaiono piuttosto “essenziali” nel senso che liquidano la questione in poche righe, quasi per inciso, come se si trattasse di una soluzione “ovvia”. La motivazione è talmente lineare e piana da apparire quasi scarna: il diritto al risarcimento dei danni vantato iure proprio dai parenti stretti della vittima “primaria” di malpractice si colloca nell'ambito della responsabilità aquiliana per il semplice fatto che il rapporto contrattuale risulta intercorso tra il paziente stesso e la struttura (e non tra quest'ultima ed i famigliari).

Come si è anticipato, tuttavia, la novità è di straordinario impatto, perché rompe con il passato e contribuisce ad allargare una breccia in quella che pareva essere la “tradizione”.

Va segnalato, tuttavia, che dopo le citate sentenze del 2012 e del 2015 la Cassazione non ha continuato “sulla stessa linea”.
Cosí, per es., Cass. 19 marzo 2018 n. 6689 ha tranquillamente “ripreso” l'orientamento consolidato affermando (in un caso di lesioni subite da una donna in occasione di errata esecuzione di intervento chirurgico in occasione del parto) che <<Non può inoltre considerarsi incoerente rispetto a tale inquadramento l'operata estensione della responsabilità contrattuale dell'ente anche nei confronti del coniuge e dei figli della paziente. Tale estensione deve infatti considerarsi corretta alla luce del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che connette al contratto di spedalità effetti protettivi anche nei confronti di chi sia legato da un particolare rapporto di natura familiare ed affettiva al diretto destinatario della prestazione sanitaria in ragione dell'esigenza di riconoscere tutela, oltre al paziente, a soggetti terzi (v. Cass.11/05/2009, n. 10741; Cass. 02/02/2010, n. 2354; Cass. 02/10/2012, n. 16754)>>.

Nella giurisprudenza di merito, invece, non sono mancate decisioni che hanno ricondotto il rapporto struttura - congiunti nell'alveo aquiliano (si segnalano per es. Trib. Bergamo 28.03.2017 n. 797; Trib. Livorno, 19.03.2018 n. 332).

In tempi molto recenti la Cassazione è peró tornata sul tema ed ha deciso di affrontarlo con maggiore approfondimento, dedicandovi più ampie e meditate argomentazioni. La questione è stata esaminata, con rinvio in pubblica udienza <<in ragione del rilievo nomofilattico>>, in una serie di pronunce “ravvicinate” Cass. 8 luglio 2020 n. 14258, Cass. 9 luglio 2020 n. 14615 e Cass. 15 settembre 2020 n. 19188, che hanno confermato l'inquadramento entro le maglie dell'art. 2043 cc. (con tutte le conseguenze in termini di riparto dell'onere e di prescrizione).

In tali dicta il Collegio precisa che il campo di applicazione del contratto con effetti protettivi va circoscritto <<al solo “sottosistema” in cui vengono in rilievo quelli che, nel modo di lingua inglese, vengono definiti come “wrongful birth damages”>>, ossia ai danni subiti dal padre e dal nascituro (in relazione al caso della gestante che si rivolge al medico ai fini della diagnosi di eventuali patologie o malformazioni del feto o per l'assistenza al parto).

La Corte (richiamando Cass. 11 novembre 2019 n. 28991) motiva l'assunto osservando che <<perché, dunque, sia possibile – in un simile contesto – postulare l'efficacia protettiva verso terzi, occorre che l'interesse di cui essi siano portatori risulti anch'esso strettamente connesso a quello regolato già sul piano della programmazione negoziale>> Cass. 14258/2020.

Nel caso dei congiunti (al di fuori delle ipotesi di “wrongful birth”) <<difettando un'incidenza diretta dell'obbligazione sanitaria sulla loro posizione, non v'è possibilità di sostenere l'esistenza di effetti protettivi e di affermare una responsabilità contrattuale al di fuori del rapporto fra la struttura o il medico e il paziente>> Cass. 14615/2020.

In termini ancor più chiari si esprime Cass. 19188/2020 laddove rileva che <<La figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è giustificata con l'argomento che il terzo ha un interesse identico a quello dello stipulante, un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l'interesse della parte contrattuale, del creditore della prestazione. Nel contratto tra la struttura e la gestante, l'interesse di quest'ultima è la nascita del figlio: la donna si affida alla struttura sanitaria (o al medico) allo scopo di avere assistenza al parto. L'esecuzione del contratto, si osserva, soddisfa (o lede, in caso di inadempimento) l'interesse dell'altro genitore allo stesso modo di come soddisfa (o lede) l'interesse della gestante contraente. Non v'è dunque motivo di riconoscere azione da contratto all'una ed azione da delitto all'altro. Il tema merita ovviamente approfondimenti maggiori, che non possono qui farsi, ma queste osservazioni bastano ad escludere che la figura possa ragionevolmente essere utilizzata nella fattispecie: qui, infatti, l'interesse delle figlie non è il medesimo di quello dedotto in contratto dalla madre. Quest'ultima si era affidata alla struttura per la cura della salute, e l'inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura ha leso due beni diversi: la salute, per l'appunto, della donna (o la vita, più precisamente), ed il rapporto parentale invece quanto alle figlie. Manca, quindi, la ragione che giustifica la figura degli effetti protettivi verso terzi: l'identità dell'interesse coinvolto dalla esecuzione del contratto>>.

Sembra dunque potersi dire che nel cammino della “medmal” sia stato segnato un nuovo punto fermo: i congiunti dovranno assolvere un onere più gravoso, essendo chiamati a dimostrare anzitutto la colpa della struttura / dei sanitari (oltre al nesso ed al danno); e il regime di prescrizione sarà quello dettato dall'articolo 2947 cc. (restando salva l'applicazione del termine più lungo laddove siano accertati gli estremi del reato) (In argomento si veda G. Sileci, “Prescrizione del diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale provocato da errore sanitario”).

Una tale impostazione è stata ulteriormente confermata da numerose altre pronunce, tra cui Cass. 7 aprile 2022 n. 11320 in cui si pone in evidenza come il criterio “discretivo”, che giustificherebbe l'estensione degli effetti ai terzi nei soli casi dei rapporti attinenti alla procreazione ed alla nascita, sarebbe fondato sulla “identità” o “sovrapponibilità” dell'interesse (nei termini anticipati da Cass. 19188/2020). A parere di chi scrive, tale “parametro”, tuttavia, rischia di essere sfuggente: se il risultato (di una maggior tutela della madre e dei congiunti rispetto al “sottosistema dei wrongful birth damages) è senz'altro condivisibile, è forse poco convincente continuare a “mantenere in vita” una figura ambigua come quella del contratto con effetti protettivi (per un primo commento a Cass. 7 aprile 2022 n. 11320 sia consentito rinviare a D. Zorzit, “Il perimetro del contratto con effetti protettivi è limitato all'ambito delle relazioni tra gestante e struttura sanitaria (o professionista)”. Luci ed ombre del nuovo orientamento di legittimità, su questa Rivista).

Quid iuris per la tutela di “certi terzi”?

Se, sulla scia di un - implicito - monito contenuto nella pronuncia sopra menzionata, la figura del contratto con effetti protettivi dovesse essere abbandonata o rimeditata, resterebbe da chiedersi quale sorte tocchi per es. al padre del bimbo nato con malformazioni (allorquando il medico abbia erroneamente fatto credere che il feto fosse sano) o che protezione possa riconoscersi al nascituro che, per effetto di negligenza del sanitario, abbia subito lesioni venendo alla luce.

Prendendo le mosse da tale secondo caso, non sarebbe forse del tutto arbitrario invocare la disciplina del contratto a favore del terzo, recuperando una opzione a suo tempo prospettata dalla stessa giurisprudenza (per la possibilità di ricondurre la fattispecie, in caso di lesioni al nascituro determinate da errato trattamento medico durante il parto, al contratto a favore del terzo si veda Trib. Verona 15 ottobre 1990). Tale risultato potrebbe essere conseguito valorizzando, da un lato, l'assunto secondo cui «con il ricovero l'ente ospedaliero si obbliga non solo ad erogare alla gestante le cure necessarie al fine di consentirle il parto, ma altresì ad effettuare con la dovuta diligenza tutte quelle altre prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sì da garantirne la nascita» ( Cass. 22 novembre 1993, n. 11503) e dando seguito, dall'altro, a quell'orientamento che ritiene utilizzabile il paradigma di cui all' art. 1411 c.c.«anche a beneficio di un soggetto giuridicamente inesistente» (Cass. 30 marzo 1982, n. 1990; Cass. 28 aprile 1989, n. 1993 secondo cui «un contratto a favore di terzo, secondo la previsione dell'art. 1411 c.c. può essere stipulato a beneficio di un soggetto non ancora giuridicamente esistente, quale una società da costituirsi su iniziativa degli stessi contraenti, che venga ad acquistare i diritti derivanti dal contratto medesimo solo al momento della sua costituzione». In dottrina ammettono la possibilità di un contratto a favore di soggetto futuro: V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura G. Iudica-P. Zatti, Milano, 2001, 583; M. Tamponi, Il contratto a favore di terzo, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, vol. XIII, tomo VI, Torino, 2000, 370.).

Per quanto riguarda, invece, l'ipotesi della wrongful birth, è chiaro che il problema non si pone ove il padre sia egli stesso parte (avendo personalmente conferito l'incarico al sanitario). Al di fuori di tale evenienza (laddove cioè l'accordo sia intervenuto solo tra il professionista e la madre), si potrebbe tentare di rendere operante - seppur con qualche forzatura - lo schema dell' art. 1411 c.c. sostenendo ad es. che destinatario della prestazione - di consulenza e di diagnosi - richiesta dalla donna è (anche) l'altro genitore (in ipotesi rimasto terzo), in quanto portatore di un interesse per così dire diretto e primario alla sua esecuzione. Quest'ultimo sarebbe così titolare non di un mero diritto a non essere danneggiato dal contratto, ma a pretenderne egli stesso l'adempimento (ed a chiedere quindi il risarcimento ex art. 1218 c.c.).

Va detto però che tale impostazione deve fare i conti con la possibilità di ammettere un contratto a favore del terzo implicito, ipotesi, questa, tutta da verificare posto che la norma richiede una specifica stipulazione. Il dubbio è più che legittimo se si considera che, in base alle regole generali, l'attribuzione del beneficio al terzo deve essere voluta da entrambe le parti (promittente e stipulante): è piuttosto difficile credere che il medico o la struttura manifestino, implicitamente, tale volontà posto che essa comporta conseguenze piuttosto rilevanti, determinando l'estensione verso l'esterno della disciplina contrattuale e, quindi, del più favorevole - per il danneggiato - regime di responsabilità. In ogni caso, una simile soluzione si presta essa stessa ad alimentare derive (P. Fava, Il contratto, cit., 1519. Si veda altresì G. Cian-A. Trabucchi, Commentario breve al Codice civile, Padova, 1992, 1132, ove si sottolinea che la volontà di attribuire il diritto ad un terzo deve essere provata).

Oppure ancora, più in generale, il problema potrebbe essere risolto valorizzando a tutto tondo la cd. responsabilità da contatto, sì da affermare (senza bisogno di ricorrere alla finzione del contratto con effetti protettivi) che ogni soggetto (nella specie il famigliare) che, entrando appunto in relazione con il medico, faccia affidamento sulla sua professionalità potrà, in caso di danno, per ciò solo invocare una tutela ex art. 1218 c.c. Il tema non può essere affrontato nello spazio di queste poche pagine: basti qui dire che la figura da ultimo menzionata si presta a sua volta a critiche che ne pongono in dubbio il fondamento (sia consentito qui rinviare, per una sintetica rappresentazione dei termini del problema e per i richiami ivi effettuati a M. Hazan-D. Zorzit, Responsabilità sanitaria e assicurazione, Milano, 2012, 100 ss.).

Il dibattito è dunque aperto: si tratta di vedere se l'orientamento espresso dalla sentenza della Cassazione n.6914/2012 troverà o meno ulteriore seguito. (la di poco successiva Cass. 2.10.2012 n. 16754 ha peraltro ribadito l'orientamento tradizionale, applicando la figura del contratto con effetti protettivi a favore dei congiunti della vittima di malpractice).

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