L'usucapione ventennale può essere provata dall'accordo di separazione personale dei coniugi

Elisa Pradella
26 Luglio 2022

I Giudici della Suprema Corte ammettono l'usucapione se il possesso ultraventennale viene provato dalle condizioni di separazione personale dei coniugi.
Massima

La causa petendi delle azioni giudiziarie di accertamento della proprietà e degli altri diritti reali di godimento, quali diritti c.d. "autodeterminati", si identifica con i diritti stessi, non con il relativo titolo – usucapione, contratto, etc…- che ne costituisce la fonte e la cui eventuale deduzione non ha alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo necessario ai soli fini probatori.

Il caso

La Corte d'Appello di Firenze, adita su ricorso della moglie, con sentenza 16/6/2017, riforma la decisione del Tribunale di Firenze, accertando che, per effetto dell'usucapione ventennale, la donna era proprietaria esclusiva dell'intero immobile acquistato in regime di comunione dei beni unitamente al marito, per la quota della metà dell'intero ciascuno, anche nei confronti del fallimento (in estensione) del coniuge, che, per effetto dell'accordo di separazione personale, omologato da Tribunale di Firenze, aveva ceduto alla moglie la sua quota ideale di proprietà di tale bene, divenendo, così, la moglie, titolare dell'intero, che possedeva in esclusiva uti domina dal 1993, non rilevando la trascrizione dell'accordo separativo successivamente alla dichiarazione di fallimento del marito.

La curatela del fallimento della S.a.s del marito, cui era stato esteso il fallimento – dichiarato il 17/07/2014 dal Tribunale di Firenze - in quanto socio accomandatario, proponeva ricorso per Cassazione avverso la decisione della Corte territoriale.

I Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto manifestamente infondati i tre motivi proposti - confermando la decisione della Corte territoriale e condannando la curatela ricorrente alle spese - con i quali la curatela fallimentare denunciava la violazione degli artt. 99, 112, 115 c.p.c., dell'art. 1158 c.c., nonché l'erronea motivazione in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. rispetto all'applicazione dell'art. 45 l. fall.

La moglie resisteva con controricorso.

La questione

Con il primo motivo del ricorso, in particolare, la curatela fallimentare pone due questioni.

La prima di natura processuale che riguarda la pronuncia giudiziale sulla domanda che si assume essere stata proposta in via subordinata, cioè l'acquisto del bene immobile per usucapione, senza esaminare quella principale, ovverosia l'acquisto di quota ideale, pari alla metà dell'intero, di proprietà del medesimo bene per effetto dell'accordo separativo intervenuto ex ante rispetto alla dichiarazione di fallimento del disponente e trascritto successivamente alla sentenza di fallimento.

Sul punto la Corte rileva che le domande sono state poste in alternativa tra loro, poiché la moglie ha chiesto l'accertamento del diritto di piena proprietà “o comunque” l'intervenuta usucapione.

La seconda di natura sostanziale poiché attiene alla compatibilità tra le due domande, l'una di accertamento della proprietà del bene per effetto dell'acquisto a titolo derivativo (accordo separativo) e l'altra di accertamento dello stesso diritto per effetto dell'usucapione.

La Corte afferma la compatibilità tra le due domande di accertamento sul presupposto che il diritto di proprietà è a contenuto autodeterminato, rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, statuendo che l'acquisto di tale diritto è avvenuto per usucapione ventennale avveratasi prima della dichiarazione di fallimento, non sussistendo il presupposto di applicabilità dell'art. 45 l. fall.

Le soluzioni giuridiche

È proponibile la domanda di acquisto della proprietà immobiliare per usucapione nei confronti della curatela del fallimento, atteso il carattere di acquisto a titolo originario che con essa si intende far verificare.

Non sono, infatti, ostativi l'art. 42 l. fall., che si limita a porre il vincolo di indisponibilità sui beni del fallito, non a fatti acquisitivi di diritti reali tipici già compiuti e produttivi di effetti in capo al fallito, né l'art. 45 l. fall., non essendovi alcun onere di pubblicità della domanda a carico di chi agisca per conseguire l'accertamento dell'usucapione, limitandosi, l'art. 2651 c.c., a disporre riguardo alla trascrizione della sentenza, priva di effetti sostanziali.

L'accordo di separazione personale costituisce la fonte di prova dell'acquisto della proprietà per l'usucapione ventennale, facendo presumere che il possesso necessario all'usucapione ventennale abbia avuto inizio alla data del titolo, inopponibile alla massa dei creditori del fallito, poiché il fatto storico dimostra la data di inizio del possesso da parte dell'acquirente, nei confronti di tutti quelli che potenzialmente subiscono gli effetti dell'usucapione, ivi compreso il curatore del fallimento dell'alienante.

Nel caso di specie, il possesso della moglie uti domina, anche della quota ideale di cui il marito era titolare, durava da oltre venti anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento del marito.

Osservazioni

L'ordinanza de quo ribadisce il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei c.d. diritti "autodeterminati", …omissis…, con la conseguenza che la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo…omissis…che ne costituisce la fonte, la cui eventuale deduzione non ha, dunque, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessario ai soli fini della prova.

I diritti autodeterminati sono quelli “la cui individuazione prescinde dal titolo d'acquisto allegato ed è motivata in relazione alla natura unica ed irripetibile della situazione sostanziale dedotta(Cass. civ. n. 7502/2014), mentre quelli eterodeterminati sono i diritti la cui “identificazione è in funzione dello specifico fatto storico contrattualmente qualificato, sicché la causa petendi si risolve nel riferimento concreto a quel fatto specifico che è affermato ed allegato come costitutivo, e che perciò possiede una specifica attitudine a individuare il diritto fatto valere in giudizio”.

I primi, che comprendono la proprietà e gli altri diritti reali di godimento, sono individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto: il bene che ne costituisce l'oggetto. Pertanto, nelle azioni ad essi relative, la deduzione del fatto costitutivo rileva ai soli fini di prova, nel caso di specie l'accordo di separazione omologato.

Tale distinzione costituisce jus receptum della Corte Suprema, elaborata allo scopo di fissare i limiti entro cui la domanda può essere modificata senza incorrere nel divieto di mutatio libelli.

La deduzione dei diritti autodeterminati dipende dalla titolazione che collega la pretesa alla norma invocata, senza la mediazione dei fatti storici su cui si fonda l'acquisto del diritto.

I diritti eterodeterminati, invece, traggono senso e contenuto – sostanziazione - dai fatti storici da cui origina il rapporto giuridico.

Nel caso che ci occupa, in cui vi è titolo valido astrattamente inopponibile alla massa dei creditori del disponente fallito, il titolo può rilevare facendo presumere che il possesso necessario all'usucapione ventennale abbia avuto inizio alla data del titolo (Cass. cass. n. 17605/2015).

Il verbale di separazione consensuale, che dopo il decreto di omologazione della separazione assume la forma di atto pubblico, ex art. 2699 c.c., e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari è prova del possesso, costituisce valido titolo per la trascrizione (Cass. civ. sez. un. n. 21761/2021), ma la sua trascrizione, priva di effetti sostanziali, non lo rende opponibile al fallimento, atteso, nel caso de quo, il carattere acquisitivo del bene a titolo originario non essendo configurabile, a carico di chi agisca per conseguire l'accertamento dell'usucapione, alcun onere di pubblicità.

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