Contratto di assicurazione danni: non è vessatoria la clausola che prevede l’impegno dell’assicurato a riparare il danno presso carrozzerie convenzionate

Santa Nitti
29 Luglio 2022

Nel contratto di assicurazione danni, la clausola che prevede quale forma di indennizzo la reintegrazione in forma specifica (nella specie, mediante riparazione del veicolo presso carrozzeria autorizzata), non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell'art. 1341 c.c., ma delimitativa dell'oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell'inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l'assicuratore è tenuto a rivalere l'assicurato.

Così ha deciso la Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 23415/2022 depositata il 27 luglio.

La questione esaminata dalla Cassazione afferisce al rapporto tra clausole di limitazione della responsabilità dell'assicuratore e clausole che attengono all'oggetto del contratto di assicurazione.

Con sentenza n. 1694/2018 il Tribunale di Torino ha rigettato l'impugnazione proposta dalla assicurata avverso la decisione del Giudice di Pace della stessa città con la quale era stata rigettata la domanda formulata dalla predetta assicurata nei confronti della propria Compagnia di assicurazione danni, per sentirla condannare al pagamento della somma di 902,60 euro a titolo di integrazione dell'indennizzo dovutole per i danni subiti a causa di una grandinata dalla sua autovettura, assicurata con la Compagnia convenuta con polizza che prevedeva l'indennizzo per pregiudizi derivanti da eventi naturali e fenomeni atmosferici. Nel caso specifico, l'assicurata aveva provveduto alla riparazione presso carrozzeria non convenzionata, pertanto la Compagnia assicuratrice giustifica la mancata integrazione della somma richiesta facendo valere apposita clausola contrattuale, mediante la quale a fronte di una riduzione di premio l'assicurata si impegnava a far riparare l'autovettura da un carrozziere convenzionato.

Avverso questa decisione, l'assicurata propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.

La decisione della Corte. Per quanto qui di interesse, la ricorrente deduce, fra gli altri motivi, violazione ed errata applicazione degli artt. 1341 e 1342 c.c. e degli artt. 33,34,35 e 36 del Codice del consumo per errato inquadramento e falsa applicazione alla fattispecie del contratto di assicurazione e clausole vessatorie.

Sul punto, la Suprema Corte ritenendo infondato il motivo, ribadisce il proprio orientamento consolidato secondo cui, in tema di contratto di assicurazione sono da considerare clausole limitative della responsabilità, per gli effetti di cui all'art. 1341c.c., quelle clausole che limitano le conseguenze della colpa o dell'inadempimento o che escludono il rischio garantito. Al contrario, le clausole che si riferiscono all'oggetto del contratto e che specificano il contenuto e i limiti della garanzia assicurativa, operando quali specificazione del rischio garantito dal contratto di assicurazione, sono clausole non vessatorie in quanto attengono all'oggetto del contratto.

Alla luce di tale orientamento, pertanto, la Corte ha statuito che siffatte clausole, con le quali il contratto di assicurazione disciplina le modalità con cui l'assicuratore è tenuto a rivalere l'assicurato del danno prodotto dall'avveramento di un sinistro (coperto dalla polizza), in quanto clausole volte a delimitare l'oggetto del contratto e non già a prevedere esclusioni o limitazioni di responsabilità, non richiedono l'approvazione per iscritto del contraente/assicurato ai sensi e per gli effetti dell'art. 1341 c.c.. Inoltre, sempre seguendo il ragionamento della Suprema Corte, la clausola che preveda il risarcimento in forma specifica non va vista quale peso che rende eccessivamente onerosa o difficoltosa la realizzazione del diritto dell'assicurato. Egualmente, siffatta previsione non pone l'assicurato all'arbitrio dell'assicuratore.

Infine, seppure in obiter dictum, la Corte afferma come la previsione del risarcimento in forma specifica, non solo si palesa quale normale nel contratto di assicurazione, ma normalmente risulta più adeguato al fine risarcitorio e, quindi, al soddisfacimento dell'interesse creditorio.

Il risarcimento in forma specifica quale clausola di limitazione dell'oggetto del contratto. La sentenza in commento, in linea con altre decisione della Corte, individua il risarcimento in forma specifica quale forma di risarcimento del danno alternativa al risarcimento per equivalente. Mediante il risarcimento in forma specifica, il debitore (nella specie la Compagnia di assicurazioni) si libera dell'obbligazione di risarcimento del danno, ripristinando la situazione di fatto antecedente alla perdita procurata, e consente al danneggiato di attuare l'interesse vantato senza in luogo dell'equivalente pecuniario.

Campo elettivo del risarcimento in forma specifica è l'illecito aquiliano, in quanto espressamente previsto dall'art. 2058 c.c., in forza del quale il danneggiato può chiedere il risarcimento in forma specifica, ove sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia, il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente con corresponsione di una somma di denaro, se la reintegrazione risulti eccessivamente onerosa per il debitore.

In proposito occorre, infatti, precisare che il risarcimento del danno in forma specifica e quello per equivalente sono espressione della medesima esigenza di eliminazione del pregiudizio derivante dall'illecito e si distinguono fra loro esclusivamente per le differenti modalità di attuazione. Tali distinte modalità attuative sono tuttavia del tutto fungibili fra loro, essendo entrambe riconducibili alla comune finalità di porre riparo agli effetti negativi dell'illecito, e in tal senso si è implicitamente espressa questa Corte in proposito, che segnatamente ha reiteratamente riconosciuto al giudice il potere di disporre autonomamente il risarcimento per equivalente, anziché in forma specifica, ed alle parti la facoltà di mutare la domanda dall'una all'altra ipotesi, essendo qualificata la nuova configurazione della richiesta come semplice "emendatio libelli" della richiesta originaria (Cass. civ., sez. unite, n. 11912/2014).

(Fonte:

dirittoegiustizia.it

)

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