Ergastolo ostativo e permessi premio

Veronica Manca
01 Agosto 2022

Il "curriculum criminale” non può rappresentare una preclusione assoluta senza un'attenta indagine del percorso rieducativo.
Massima

Il giudice di sorveglianza, al fine di verificare la concedibilità dei permessi premio ex art. 30-ter ord. penit. a detenuti per delitti ostativi cd. di prima fascia anche in difetto di collaborazione con la giustizia, allorchè dagli elementi acquisiti possa escludersi sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che il pericolo di un loro ripristino, secondo le direttrici interpretative tracciate dalla Corte cost. nella sentenza n. 253 del 2019, è tenuto a compiere un esame in concreto di elementi di fatto “individualizzanti” del percorso rieducativo del detenuto, dai quali si possa desumere – non già e non necessariamente – un'emenda intima, personale ed umana del proprio passato, bensì la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli nel futuro, in una prospettiva dinamica di rieducazione e recupero del detenuto, monitorata attraverso un esame a tutto campo della sua vita.

Il caso

Il caso trae origine da una istanza di permesso premio presentata da un condannato alla pena dell'ergastolo, avanzata, secondo i criteri della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, al Magistrato di Sorveglianza di Milano, essendo detenuto presso i circuiti di Alta Sicurezza del carcere di Milano-Opera. A fronte del rigetto, il detenuto aveva esperito un primo reclamo al Tribunale di Sorveglianza di Milano, respinto e impugnato con ricorso per cassazione.

La Prima Sezione Penale della Cassazione aveva accolto le doglienze difensive dell'interessato, disponendo altresì un criterio di interpretazione per il Tribunale, nel giudizio di riesame, con l'acquisizione delle informative di polizia e della Procura Distrettuale e dei precedenti penali, oltre che delle sentenze di condanna e delle ordinanze di revoca del regime del 41-bis ord. penit. (abbreviazione per legge sull'ordinamento penitenziario del 26 luglio 1975, n. 354).

Nonostante l'integrazione dell'istruttoria, il Tribunale di Sorveglianza di Milano confermava la propria decisione: l'interessato, quindi, proponeva nuovamente ricorso per cassazione, adducendo, come unico motivo di ricorso, la violazione di legge sia del disposto dell'art. 30-ter ord. penit. sia del vincolo di rinvio: in sostanza, secondo la difesa venivano ampiamente disattese le indicazioni della Cassazione sull'implementazione dell'istruttoria e quelle della Corte costituzionale, laddove il Tribunale ignorava di valutare gli elementi favorevoli del detenuto, in relazione al suo distacco dall'ambiente mafioso di appartenenza, valorizzando invece la mancata collaborazione con la giustizia e il ruolo primario all'interno della consorteria criminale.

La Quinta Sezione della Cassazione, con la sentenza qui in commento, ha dichiarato fondato il ricorso, con annullamento e rinvio dell'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano, per un nuovo esame del reclamo, imponendo altresì al Collegio di seguire un preciso indirizzo interpretativo, sintetizzato nel modo seguente: «Il giudice di sorveglianza, al fine di verificare la concedibilità dei permessi premio ex art. 30-ter ord. penit. a detenuti per delitti ostativi cd. di prima fascia anche in difetto di collaborazione con la giustizia, allorchè dagli elementi acquisiti possa escludersi sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che il pericolo di un loro ripristino, secondo le direttrici interpretative tracciate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253/2019, è tenuto a compiere un esame in concreto di elementi di fatto “individualizzanti” del percorso rieducativo del detenuto, dai quali si possa desumere – non già e non necessariamente – un'emenda intima, personale ed umana del proprio passato, bensì la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli nel futuro, in una prospettiva dinamica di rieducazione e recupero del detenuto, monitorata attraverso un esame a tutto campo della sua vita».

La questione

Con la prima sentenza di annullamento, la Prima Sezione della Cassazione ha risolto alcuni punti interpretativi di interesse. In primo luogo, la Cassazione si è premurata di specificare che in fatto di impugnazione per permessi premio si è di fronte ad un vero e proprio mezzo di impugnazione, con pieno effetto devolutivo ai sensi degli artt. 30-bis ord. penit. e 597, comma 1 c.p.p.: «nell'ambito di valutazione delle censure, quindi, il potere di statuire sulla domanda si trasferisce in capo al tribunale di sorveglianza, che, in ragione di ciò, se riconosce la non correttezza della decisione contestata, non può limitarsi solo a rilevarla, ma deve invece decidere se confermare o riformare la pronuncia censurata, considerando le sopravvenienze rispetto a essa e colmandone le carenze istruttorie, tanto più nel caso in cui le stesse siano state rappresentate tramite specifici rilievi in sede di reclamo».

Nel decidere, quindi, il tribunale di sorveglianza non può limitarsi a valutare solo la correttezza dell'istanza, ma deve apprezzare l'apporto documentale fornito dall'interessato, anche in sede in udienza, nonché le informazioni pervenute o acquisite, esercitando i poteri di ufficio ex art. 666, comma 5 e 678 c.p.p. Non solo. Laddove, nelle more cambi il quadro normativo, come in questo caso per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019, il tribunale di sorveglianza deve prendere atto del mutamento ed applicarlo alla fattispecie in esame (così, in tal senso: Cass. pen., sez. I, n. 42723/2021; Cass. pen., sez. I, n. 5553/2020). Secondo la Prima Sezione, la prima ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano non aveva tenuto conto del mutato quadro normativo e per questo era stata annullata, con nuovo riesame, per adeguare l'istruttoria secondo i canoni “rafforzati” della sentenza n. 253 del 2019.

Sulla base di questa decisione, la Cassazione ha richiesto che il Tribunale di Sorveglianza di Milano acquisisse le note della Procura Distrettuale e di quella Nazionale, per procedere ad un esame rigoroso dell'attualità della pericolosità sociale, ostativa all'accesso al permesso premio.

Secondo la Quinta Sezione, chiamata nuovamente a valutare la correttezza della seconda ordinanza di rigetto del Tribunale di Sorveglianza di Milano, il Collegio si sarebbe distaccato dalle linee guida tracciate dalla Consulta con la sentenza n. 253/2019, dando origine ad una motivazione «dalla matrice spiccatamente eticizzante, che indulge in più punti ad osservazioni ispirate da moralismi, quasi puntando all'emenda del condannato da un punto di vista personale ed intimo». Per la Cassazione, «una simile sovrastruttura di pensiero dell'apparato motivazionale del provvedimento impugnato lo ha reso incapace di rispondere a quelle istanze di concreta verifica della pericolosità personale del ricorrente, alla base della valutazione individualizzata di meritevolezza, da parte sua, del beneficio del permesso premio ex art. 30-ter ord. penit., valutazione obbligata in ragione del superamento della presunzione di pericolosità assoluta prevista dall'art. 4-bis, comma 1, ord. penit.».

In altri termini, il Tribunale di Sorveglianza di Milano si sarebbe fermato all'esame degli elementi “negativi”, emergenti dal “curriculum criminale di elevatissimo spessore”, finendo per valutarlo come pregiudizialmente assorbente rispetto alla verifica degli altri “contro-elementi positivi”, come una sorta di presunzione assoluta di pericolosità sociale, di fatto. La Cassazione ha quindi ritenuto errato il percorso argomentativo, perchè eccessivamente orientato su una valutazione “morale” di insufficienza di riscontri positivi della personalità del detenuto, tenuto conto del peso di quanto fu commesso e «dell'enorme sproporzione tra condotte delittuose e l'appartenenza mafiosa ad altissimo livello, da un lato, e la ripresa di una vita corretta e coerente in carcere». Ancora. Per la Cassazione ulteriormente fuori luogo è anche il passaggio dell'ordinanza in cui il Tribunale di Sorveglianza rimarca la rilevanza del “pentimento”, sovrapponendo erroneamente – secondo la Quinta Sezione – il profilo del “pentimento individuale”, interiore e personalissimo con la collaborazione con la giustizia, sia pur nelle sembianze di una presa di distanza etica e morale dall'associazione criminale. Se è sottile la linea di confine tra valutazioni eticizzanti rispetto a delitti gravi e considerazioni sulla meritevolezza del permesso premio rispetto a percorsi individualizzanti, per la Cassazione, le uniche direttrici che devono essere applicate dalla Magistratura di Sorveglianza sono quelle indicate dalla Consulta, con le sentenze n. 253/2019 e 20/2022, «con un esame in concreto di elementi di fatto "individualizzanti" del percorso carcerario del detenuto, dai quali si possa desumere non già (o meglio, non necessariamente) un'emenda intima, personale ed umana del proprio passato – che appartiene alla sfera personalissima ed individuale, difficilmente sindacabile sulla base di indicatori fattuali – bensì la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli nel futuro, in una prospettiva dinamica di rieducazione e recupero del detenuto, monitorata attraverso un esame a tutto campo della sua vita».

Le soluzioni giuridiche

Secondo le conclusioni della Cassazione, dunque, l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Milano deve essere annullata per vizio di motivazione e va disposto il rinvio, per consentire un nuovo esame della situazione concreta del detenuto, alla luce del seguente principio di diritto: «Il giudice di sorveglianza, al fine di verificare la concedibilità dei permessi premio ex art. 30-ter ord. penit. a detenuti per delitti ostativi cd. di prima fascia anche in difetto di collaborazione con la giustizia, allorché dagli elementi acquisiti possa escludersi sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che il pericolo di un loro ripristino, secondo le direttrici interpretative tracciate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253/2019, è tenuto a compiere un esame in concreto di elementi di fatto "individualizzanti" del percorso rieducativo del detenuto, dai quali si possa desumere - non già e non necessariamente – un'emenda intima, personale ed umana del proprio passato, bensì la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli nel futuro, in una prospettiva dinamica di rieducazione e recupero del detenuto, monitorata attraverso un esame a tutto campo della sua vita».

Osservazioni

Con la pronuncia in esame, la Quinta Sezione Penale ha cristallizzato un importante principio di diritto, anche se finisce per ribadire un concetto che dovrebbe già essere insito nell'operato della Magistratura di Sorveglianza e per questo non dovrebbe necessariamente essere esplicitato in termini giuridici: è evidente, infatti, che il crinale di considerazioni eticizzanti, quando si parla di delitti così gravi è sottilissimo se non evanescente, e che le stesse possono condizionare la pre-comprensione del giudizio, ma non per questo debbono incidere sulla motivazione, che rimane pur sempre uno strumento di controllo, da un lato, e di garanzia del giudice che emette il provvedimento, dall'altro, rispetto al sistema delle impugnazioni e della correzione degli errori in fatto e di diritto.

La complessità della motivazione e quindi di tutto il ragionamento giuridico posto alla base è tanto più palese quando la Magistratura è chiamata ad effettuare un giudizio di bilanciamento tra gli elementi positivi e favorevoli al detenuto, per aver acquisito competenze e capacità lungo il percorso di detenzione, e il passato criminale dello stesso, che ben può “pesare” nei criteri di valutazione per la meritevolezza del beneficio richiesto.

Ciò che preme evidenziare, come correttamente ha concluso la Cassazione, è che, tanto più in questi casi, sarà necessario un attento e scrupoloso esame da parte del Collegio, che deve quindi risultare linearmente anche dalla motivazione, di tutti gli elementi offerti dall'istruttoria, per non finire in sostanza in un rigetto, basato sulla preclusione assoluta dello “spessore criminale” del richiedente (ciò che si è ormai ampiamente superato con la sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale).

Riferimenti
  • V. Manca, Ergastolo ostativo e permessi premio: le risposte della Magistratura di Sorveglianza nelle more della riforma parlamentare, in Osservatorio dell'Esecuzione Penale;
  • V. Manca, Reati ostativi ai benefici penitenziari. Evoluzione del “doppio binario” e prassi applicative, Giuffrè, 2020;
  • A. Ricci, Diritto di difesa e permessi premio: la “cassetta degli attrezzi” dopo la sentenza della corte costituzionale n. 253 del 2019, in Diritto di difesa.

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