Danni da cose in custodia e riparto dell’onere della prova

02 Agosto 2022

La giurisprudenza di legittimità ha qualificato la situazione di responsabilità ex art. 2051 c.c. come una ipotesi di "responsabilità oggettiva". Tale inquadramento comporta precise conseguenze in tema di onere probatorio gravante sulle parti.
La natura della responsabilità ex art. 2051 c.c. e la ripartizione dell'onere probatorio

Il presupposto della responsabilità per danno cagionato da cose in custodia è l'esistenza di un rapporto di custodia tra il bene e il proprietario del medesimo, identificandosi la custodia in un potere di effettiva disponibilità e controllo della cosa; a tale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, ovvero di vigilare e mantenerne il controllo affinché non provochi danni a terzi.

La giurisprudenza di legittimità ha qualificato la situazione di responsabilità ex art. 2051 c.c. come una ipotesi di "responsabilità oggettiva" (Cass., n. 11096/2020; Cass. n. 2480/2018; Cass. n. 25837/2017), per la cui configurazione in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza: la responsabilità è cioè sempre acclarata ed esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già a un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'oggettiva imprevedibilità e inevitabilità.

In altre parole la responsabilità ex art. 2051 c.c., postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (Cass. n. 15761/2016).

È peraltro ormai consolidato il principio secondo il quale responsabile del danno proveniente dalla cosa non è necessariamente il proprietario, in quanto ciò che conta è la relazione di fatto, e non semplicemente quella giuridica, tra il soggetto e la res, sì da legittimare un'affermazione di responsabilità fondata su un effettivo potere fisico, che implica il governo e l'uso della cosa ed a cui sono riconducibili l'esigenza e l'onere della vigilanza affinché dalla cosa stessa, per sua natura o per particolari contingenze, non derivino danni ad altri; potere che in definitiva si concretizza in tre aspetti fondamentali: di controllo, di modifica e di esclusione di qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa (AGNINO, Danno cagionato da cose in custodia. Principi generali e fattispecie particolari della responsabilità del custode, Milano, 2020, 6 e ss.)

L'inquadramento nell'ambito della suddetta norma comporta, quindi, precise conseguenze in tema di onere probatorio gravante sulle parti. Più esattamente: spetta all'attore la prova della derivazione del danno dalla cosa, nonché quello dell'esistenza di un rapporto di custodia tra il convenuto e la cosa stessa; solamente ove sia assolto dal danneggiato tale onere della prova, spetterà poi al convenuto la prova liberatoria del caso fortuito, ovverosia la prova di un fattore interruttivo del nesso di causa ex art. 41 cpv. c.p. che lega la cosa al danno, non potendo, invece, dispiegare alcuna rilevanza la prova della diligenza del custode, trattandosi – come detto – di un'ipotesi di responsabilità oggettiva (Cass. n. 2488/2018).

In definitiva l'esistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno è il solo onere che rimane a carico del danneggiato (Cass. n. 25460/2020; Cass. Civ. 2405/2017).

Il caso fortuito: la condotta colposa del danneggiato

Il caso fortuito idoneo ad interrompere il nesso causale si individua in quel fatto dotato dei requisiti dell'autonomia, dell'eccezionalità, dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità e che sia, così, idoneo a produrre autonomamente l'evento di danno.

Il caso fortuito può trovare una triplice origine: l'evento naturale, il fatto del terzo oppure la condotta del danneggiato (Cass. n. 17443/2019).

Con specifico riferimento all'ipotesi in cui l'eventuale interruzione del nesso causale sia ascrivibile alla condotta del danneggiato, è necessario precisare quanto segue.

Occorre precisare che la cosa oggetto di custodia può essere in movimento o inerte (Cass. n. 1705/2021). Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 29465/2020), tale distinzione non incide sulla prova del nesso causale, ma consente di ravvisare una differente rilevanza dell'apporto del danneggiato alla causazione dell'evento dannoso. Nel caso di cose cd. seagenti o dinamiche l'apporto concausale della condotta dell'uomo è limitato o addirittura talora assente, così come emerge, ad esempio, nel caso dello scoppio di una caldaia, di esalazioni venefiche da un manufatto e, infine, di caduta dalle scale mobili; nell'ipotesi di cose inerti, quali ad esempio pavimentazioni scivolose o irregolari che cagionino la caduta del soggetto che le percorre, il danno si verifica, invece, con la necessaria interazione della condotta umana, la quale è indispensabile per la produzione dell'evento. Pertanto, il concorso della condotta del danneggiato nella causazione dell'evento è elemento che necessariamente interviene nella serie causale che porta alla verificazione dell'evento di danno.

Ed inoltre, nel caso di danno cagionato da cose in custodia inerti, è necessario ulteriormente distinguere due ipotesi: da un lato, può sussistere il nesso causale tra la cosa e l'evento dannoso, in quanto la cosa in custodia, pur nell'interazione con la condotta umana (cd. fortuito concorrente), ha avuto una qualificata capacità eziologica rispetto all'evento nella sua specificità; dall'altro lato, la cosa in custodia può costituire una mera occasione della verificazione dell'evento di danno rispetto al quale la condotta colposa della vittima riveste efficacia esclusiva in termini causali. In tale ultimo caso ricorre il cd. fortuito incidente (Cass. n. 24513/2014), la cui integrazione può essere valutata anche officiosamente in applicazione dell'art. 1227, co. 1, c.c. (Cass. n. 26524/2020).

In tale direzione, sul presupposto che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale; tuttavia, nei casi in cui il danno non sia effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento, ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (Cass. n. 56/2016, nella specie è stato escluso il risarcimento in favore del danneggiato, che era caduto da uno scalino di una scaletta di ferro che consentiva la discesa a mare, atteso che il fatto che sugli ultimi gradini della scala non fossero state applicate strisce antiscivolo non era incompatibile con una struttura dei gradini di per se predisposta per evitare di scivolare. La corte territoriale inoltre aveva evidenziato che il particolare luogo in cui era avvenuto l'infortunio fosse un luogo che richiedeva da parte dei fruitori una particolare attenzione ad esso adeguata).

I requisiti del caso fortuito

Per quanto concerne i presupposti per l'integrazione del caso fortuito incidente emerge un quadro giurisprudenziale non univoco.

Più chiaramente, è incontestato che, perché la condotta del danneggiato possa interrompere il nesso causale, essa debba essere connotata da colpa, nella specie da imprudenza o negligenza. Per svolgere tale accertamento, il giudice deve comparare la condotta tenuta dal danneggiato con quella che avrebbe dovuto tenere una persona di normale avvedutezza, “secondo lo schema di cui all'art. 1176 c.c.” (Cass. n. 25837/2017).

In relazione alla prova della colpa è opportuno ricordare altresì la distinzione proposta in giurisprudenza circa la natura insidiosa o meno della cosa oggetto di custodia (Cass. n. 25837/2017) e comunque sempre riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. (impregiudicata l'eventuale qualificazione della responsabilità anche ex art. 2043 c.c.).

Nel caso di cosa insidiosa, ovverosia oggettivamente pericolosa e soggettivamente non percepibile da parte del danneggiato, è limitata la prevedibilità del pericolo da parte di quest'ultimo sicché sarà maggiormente scusabile la condotta della vittima che non era in grado di prevedere l'evento dannoso; pertanto, in quest'ipotesi appare plausibile concludere per una valutazione in termini di diligenza della condotta tenuta che, quindi, esclude la ricorrenza del caso fortuito ex art. 2051 c.c. Si pensi al caso in cui vi sia sulla carreggiata una macchia d'olio non immediatamente percepibile da parte del danneggiato: in assenza di una previsione del pericolo da parte della vittima non può qualificarsi come colposa la mancata adozione di adeguate cautele per evitare il danno.

Di converso, quanto più la pericolosità della cosa è visibile, tanto più la situazione di danno è suscettibile di essere prevista ed eventualmente evitata dal danneggiato attraverso l'adozione delle cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze ed esigibili in considerazione del dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost. (Cass. n. 2872/2020; Cass. n. 9315/2019). Tali parametri consentono, quindi, di ravvisare la negligenza o imperizia della condotta del danneggiato, che può rilevare ai fini dell'integrazione del caso fortuito. Si pensi all'ipotesi di una caduta occorsa in strada sterrata, ricoperta da ghiaia e ciottoli: in caso di mancata adozione delle ordinarie cautele volte ad evitare il danno, la condotta del danneggiato potrà dirsi colposa.

Il requisito del carattere colposo della condotta del danneggiato, secondo una parte minoritaria della giurisprudenza, è sufficiente ad integrare il caso fortuito. Si afferma, infatti, che la prova liberatoria prevista per il custode ex art. 2051 c.c. non può coinvolgere alcun accertamento in ordine all'eventuale prevedibilità della condotta colposa del danneggiato da parte del custode dal momento che tale tipo di valutazione “postula la rilevanza di un coefficiente colposo, in capo al custode, che è invece estraneo alla fattispecie astratta di responsabilità, la quale come detto si colloca interamente sul piano oggettivo del rapporto causale tra cosa in custodia e danno” (Cass. n. 8216/2021).

Di diverso avviso è, invece, la giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale, ai fini dell'integrazione del caso fortuito, oltre alla prova della colpa del danneggiato, è necessario che venga allegata e provata l'imprevedibilità e inevitabilità della condotta colposa del danneggiato da parte del custode.

Si argomenta, infatti, che, diversamente opinando, si giungerebbe ad “ad una sorta di moderno paradosso di Epidemide, in quanto delle due l'una: a) se la condotta della vittima è prudente, essa è in grado di avvistare il pericolo ed evitarlo, ed alcun danno potrebbe mai verificarsi, sicché in questo caso la responsabilità del custode mai potrebbe sorgere; b) se la condotta della vittima è imprudente, tale imprudenza escluderebbe di per sé la responsabilità del custode, la quale anche in questo caso mai potrebbe sorgere” (Cass. n. 25837/2017; Cass. n. 18100/2020).

Tale argomentazione pare convincente, sicché deve ritenersi che la prova liberatoria prevista dall' art. 2051 c.c. sia raggiunta ove risulti provato non solo il carattere colposo della condotta tenuta dal danneggiato, bensì anche la imprevedibilità e inevitabilità di tale condotta colposa del danneggiato da parte del custode. E' bene evidenziare che tali valutazioni muovono sempre sul piano oggettivo, non invece su quello soggettivo, dal momento che sono finalizzate ad accertare l'eccezionalità del fattore esterno e la conseguente interruzione del nesso causale, non invece l'eventuale colpa del custode.

La condotta colposa del danneggiato è imprevedibile allorché, secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, essa costituisca un'evenienza non ragionevole o accettabile e, quindi, possa ritenersi eccezionale, inconsueta, inattesa da una persona sensata, in applicazione del criterio della causalità adeguata (Cass. n. 17443/2019). Il giudizio di imprevedibilità deve svolgersi considerando la prospettiva del custode, accertando se, secondo una prognosi postuma, era prevedibile ex ante da parte di quest'ultimo la condotta colposa tenuta dal danneggiato. Solo in questo modo è possibile mantenere distinto il profilo della colpa del danneggiato da quello della prevedibilità della condotta colposa della vittima da parte del custode, così come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, la quale evidenzia che si tratta di concetti eterogenei che non si implicano a vicenda (Cass. n. 25837/2017).

D'altro canto, però, è evidente che l'abnormità della condotta del danneggiato esclude la sua prevedibilità da parte del custode: tanto maggiore è la divergenza tra la condotta tenuta dal danneggiato e le cautele di cui il custode poteva ragionevolmente attendersi il rispetto da parte della vittima, alla luce delle circostanze concrete e in considerazione del dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., tanto maggiore è l'abnormità della condotta colposa del danneggiato e la sua imprevedibilità da parte del custode (Cass. n. 18100/2020).

Un esempio potrà chiarire quanto detto. Si pensi ad una cosa obiettivamente pericolosa, la cui pericolosità è soggettivamente percepibile, come in ipotesi di presenza di neve sul marciapiede: è possibile esigere un comportamento particolarmente accorto da parte della vittima conformemente al principio secondo cui la cautela richiesta è direttamente proporzionale al grado di (percepita) pericolosità della cosa. Nel caso in cui il danneggiato non adotti alcuna cautela e percorra velocemente e senza alcuna accortezza il marciapiede, il suo comportamento imprudente potrà dirsi abnorme e, quindi, imprevedibile da parte del custode (Cass. n. 29465/2020). È oggettivamente imprevedibile ex ante, infatti, che, a fronte di una situazione di pericolo facilmente evitabile da parte del danneggiato con le ordinarie cautele, la vittima non le adotti e concorra (in tutto o in parte) con la sua condotta a cagionare il danno. È bene evidenziare che, onde evitare che il giudizio di imprevedibilità si riduca ad un accertamento privo di reale valore, tale requisito deve essere vagliato con riferimento alle peculiarità del caso concreto, in applicazione del criterio della causalità adeguata secondo il quale la (con)causa deve essere adeguata alla verificazione dell'evento in concreto verificatosi.

Più chiaramente, considerando l'evento in astratto, potrebbe dirsi che ogni evento è prevedibile da parte del custode: può infatti, dirsi prevedibile dai custodi l'attraversamento da parte di animali anche di piccola taglia sulle autostrade, così come la perdita di olio da parte dei veicoli che transitano sulle strade. Tali eventi, pur prevedibili in astratto, potrebbero non esserlo in concreto, in relazione ad un determinato momento storico e in considerazione delle circostanze specifiche che connotano la singola fattispecie. È per questa ragione che il giudizio di prevedibilità non va inteso in termini assoluti, ma deve essere circostanziato nel caso concreto.

Utile criterio per l'accertamento della prevedibilità da parte del custode del caso fortuito (inteso sia come fatto del terzo, sia come evento naturale, sia, infine, come condotta colposa del danneggiato) è la sua prevedibilità/evitabilità da parte di quest'ultimo. La non evitabilità del fattore che si innesta nel decorso causale può, infatti, evidentemente derivare da una sua non prevedibilità in concreto da parte del custode.

Si pensi, ad esempio, alla formazione di macchie d'olio sulle strade: la giurisprudenza ritiene che “la prova della presenza recente di una macchia d'olio, non prevedibile e dunque non evitabile da parte del Comune a cagione del fatto di essersi formata poco prima dell'incidente” (Cass. n. 8827/2021) esclude la responsabilità del Comune, proprio perché, seppur astrattamente prevedibile che un'auto possa lasciare delle macchie d'olio sulla strada, non è prevedibile l'integrazione di tale evento nel caso concreto, proprio per le circostanze specifiche in cui è occorso (es. il fatto che sia avvenuto nell'immediatezza dell'evento di danno); tanto è vero che tale evento, in quanto in concreto non prevedibile, non è evitabile (in un tempo ragionevole a seconda dei casi) da parte del custode.

Sembrerebbe, dunque, pacifica la visione secondo cui, in presenza di una macchia d'olio sull'asfalto che provoca un sinistro, l'amministrazione obbligata alla manutenzione delle strade viene esentata (sempre) da responsabilità, in virtù di una presunzione secondo lo sversamento di per sé non è conoscibile nell'immediatezza. In altri termini, il caso della macchia d'olio rappresenterebbe l'esempio più emblematico di fortuito, poiché si configura come fattore di pericolo originato occasionalmente da terzi e che ha esplicato le sue potenzialità offensive prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode (Cass. n. 6101/2013); nonostante il fatto che l'amministrazione si adoperi per svolgere la migliore attività di controllo utile a garantire un intervento tempestivo, la macchia non può essere rimossa o segnalata per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere: questo equivale ad affermare che l'estraneità della macchia d'olio alla sfera del custode è in re ipsa.

Ciò nondimeno, la giurisprudenza non risulta essere così granitica come appare: difatti, alcune pronunce sono giunte a conclusioni differenti, affermando che l'amministrazione deve dar prova in concreto che la macchia d'olio è di recente formazione, non determinando quindi, implicitamente per la sua natura, esenzione da responsabilità. Cass. n. 7361/2019).

In altri termini, l'ente danneggiante deve dimostrare concretamente, affinché si posa configurare il caso fortuito, che la stessa si sia formata in un lasso di tempo talmente breve (rispetto all'incidente) da rendere impossibile un suo tempestivo intervento.

Preme evidenziare che il giudizio di inevitabilità deve essere inteso a supporto di quello di prevedibilità, nei termini innanzi chiariti, e non deve ricondursi all'elemento soggettivo della colpa del custode. È certamente errato ravvisare il caso fortuito, e quindi l'esclusione della responsabilità del custode, nel giudizio controfattuale, e cioè ritenere che il custode si liberi dalla responsabilità provando che se avesse rispettato la norma cautelare l'evento non si sarebbe verificato. In definitiva, l'esame del giudizio controfattuale circa le conseguenze della possibile adozione della regola cautelare è irrilevante ai fini dell'accertamento o meno del caso fortuito. Diversamente opinando si rischia evidentemente di ricondurre la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. ad un'ipotesi colposa, eventualità chiaramente incompatibile con la qualificazione della fattispecie in esame quale ipotesi di responsabilità oggettiva.

Solamente la prova da parte del custode del fatto del terzo, dell'evento naturale o della condotta colposa del danneggiato integra gli estremi del caso fortuito, e non certamente la prova del rispetto della regola cautelare.

È bene, infine, puntualizzare che il giudizio di inevitabilità del caso fortuito è diverso da quello di inesigibilità da parte del custode di una condotta volta ad evitare il caso fortuito, seppur talvolta la giurisprudenza faccia ricorso a tali termini quasi fossero sinonimi (si parla di inesigibilità in Cass. n. 2872/2020). Nel primo caso si fa riferimento all'impossibilità di impedire il fatto che integra il caso fortuito (anche) in quanto imprevedibile; di converso, l'inesigibilità allude all'impossibilità di tenere una condotta che avrebbe, comunque, consentito di impedire l'evento. Ad esempio, per impedire che i cittadini possano scivolare sulla neve in un Comune di montagna, il sindaco non può provare il caso fortuito adducendo essergli impossibile/inesigibile spazzare tutta la neve presente nel territorio comunale (nella sentenza Cass. n. 2872/2020 si dà rilievo alla inesigibilità della condotta volta a fronteggiare nell'intero territorio comunale le condizioni climatiche conosciute a tutta la popolazione). In definitiva, anche la prova sull'esigibilità o meno della condotta che avrebbe potuto evitare l'evento avverso è del tutto irrilevante ai fini dell'accertamento del caso fortuito.

In conclusione, qualora ricorrano i presupposti sopra indicati, ovverosia il carattere colposo della condotta tenuta dal danneggiato e l'imprevedibilità/inevitabilità di tale condotta da parte del custode, si assiste ad un'interruzione del nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso: l'iniziale (apparente) riconducibilità dell'evento alla cosa in custodia provata (già) dal danneggiato, qualora venga successivamente provato dal custode il caso fortuito, regredisce a mera occasione o 'teatro' della vicenda produttiva di danno, atteso che la condotta colposa del danneggiato assume efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente (Cass. n. 29465/2020).

Fattispecie particolari: a) Allagamento di strade pubbliche

In tema di allagamento delle strade pubbliche, da cui derivino pregiudizi a cose o persone, per la Cassazione mentre il danneggiato, attore per il risarcimento dei danni, è tenuto a dar prova del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno, sul comune, in qualità di custode della via pubblica, incombe invece l'onere di dimostrare di non essere, apertis verbis, in colpa (Cass. n. 3261/1982).

Nel caso in esame - conclude la Corte -, l'accertamento in appello di alcune omissioni da parte della pubblica amministrazione comunale, sia con riguardo alla conformazione territoriale della strada allagatasi (oggetto di precedenti interventi urbanistici che ne avevano modificato quote e pendenze, riducendo altresì la superficie a terreno vegetale), sia con riguardo all'assenza di manutenzione dei canali di scolo e al mancato adeguamento della rete fognaria, induce ab origine ad escludere la ricorrenza del caso fortuito (e la sua imprevedibilità), e dunque conduce ad una valutazione "depotenziata" dell'efficienza causale del fenomeno temporalesco.

b) Appalto pubblico

In tema di contratti di appalto pubblico Il principio dell'autonomia dell'appaltatore, dapprima elaborato dalla giurisprudenza nell'ambito degli appalti privati, è stato ritenuto comunque applicabile anche nell'ambito degli appalti pubblici sul presupposto che, anche in tale ipotesi, l'appaltatore, sebbene in limiti più ristretti rispetto all'appalto di opera privata, in ragione dell'obbligatorietà della nomina del direttore dei lavori e della continua ingerenza dell'amministrazione appaltante, conservi margini di autonomia (Cass. n. 5641/2012).

Una responsabilità del committente potrà solo eccezionalmente configurarsi in caso di culpa in eligendo per avere affidato l'opera ad un'impresa palesemente inidonea, in quanto priva delle necessarie capacità tecniche ed organizzative, ovvero quando l'appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale suo nudus minister, attuandone specifiche direttive, ovvero ancora in base al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. in caso di specifiche violazioni di regole di cautela (Cass. n. 11757/2011).

Ed invero, un dovere di controllo di origine non contrattuale gravante sul committente al fine di evitare che dall'opera derivino lesioni del principio del neminem laedere, di cui alla norma generale contenuta nell'art. 2043 c.c., può essere configurato solo con riferimento alla finalità di evitare specifiche violazioni di regole di cautela e non già anche al fine di realizzare una generale supervisione da parte del committente sulla conformità del comportamento dell'appaltatore al principio base della responsabilità civile; e ciò in quanto la funzione di controllo è assimilabile ad un potere che può essere riconosciuto nei rapporti interni tra committente ed appaltatore, in correlazione alla riduzione o eliminazione della sfera di autonomia decisionale del secondo, e solo eccezionalmente può assumere rilevanza nei confronti dei terzi.

Il committente, dunque, può essere chiamato a rispondere dei danni derivanti dalla cosa di sua proprietà in quanto, per sopravvenute circostanze di cui sia venuto a conoscenza, come ad esempio l'abbandono del cantiere o la sospensione dei lavori da parte dell'appaltatore, sorga a suo carico il dovere di apprestare quelle precauzioni che il proprietario deve adottare per evitare che dal bene derivino pregiudizi a terzi (Cass. n. 10665/2010).

Sul versante dell'onere probatorio ciò comporta che incomberanno rispettivamente sul danneggiato, che voglia agire nei confronti del committente, e sull'appaltatore, che voglia essere esentato dalla responsabilità, l'allegazione e la prova delle circostanze che comportano la deroga al principio dell'esclusiva responsabilità dell'appaltatore (Cass. n. 12971/2012)

Non v'è chi non veda come una simile impostazione si traduca, di fatto, in una limitazione di tutela per il terzo danneggiato, il quale, nell'eventuale azione risarcitoria, potrà, di regola, contare solo sulla solvibilità dell'impresa appaltatrice — sovente molto precaria — anziché anche sulla responsabilità dell'Ente appaltante.

Inoltre, essa trascura di considerare le specifiche peculiarità dell'appalto pubblico nell'ambito del quale, si ricorda, persiste, in capo alla stazione appaltante, un obbligo di continua vigilanza sui lavori, con una penetrante ingerenza nello svolgimento del rapporto, anche sotto il profilo dell'esecuzione delle opere anche con poteri di direzione dei lavori.

Ed invero, in tema di appalto di opere pubbliche, gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della P.A. nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l'ente committente (Cass. n. 4591/2008); il committente (proprietario del bene demaniale) non può essere esonerato da un controllo continuo sul bene pericoloso.

Come è stato acutamente osservato in dottrina, proprio la sussistenza, in capo all'Amministrazione, di tale potere di dettare precise direttive esecutive nell'appalto pubblico, rende difficile distinguere i casi in cui l'appaltatore è ridotto a nudus minister (con responsabilità della stazione appaltante) dai casi in cui la stazione appaltante esercita semplicemente il suo potere di ingerenza (con responsabilità del solo appaltatore), con conseguente necessità di doversi procedere ad una valutazione particolarmente attenta della fattispecie concreta (BASSO, Appalto pubblico: buona fortuna al terzo danneggiato, in www.personaedanno.it).

Sulla scorta di tali osservazioni critiche e nel solco di un progressivo innalzamento del grado di responsabilizzazione degli enti pubblici per danni subiti dagli utenti a causa del cattivo stato di manutenzione delle strade, la giurisprudenza, più recentemente, ha sviluppato un nuovo orientamento, da considerarsi ormai consolidato, secondo cui l'esistenza di un contratto di appalto non vale affatto ad escludere la responsabilità dell'Ente committente nei confronti degli utenti delle singole strade ai sensi dell'art. 2051 c.c.

In qualche pronuncia si è incominciato ad affermare che la stazione appaltante, nonostante il contratto di appalto, sarà in ogni caso tenuta a controllare l'esecuzione dei lavori dell'appaltatore, sino a svolgere un'effettiva e ingerente attività di vigilanza: è dalla stessa titolarità della strada, dalla destinazione di questa all'uso pubblico e dai precetti sanciti dalla legge che discende il dovere per la P.A. di adoperarsi affinché l'uso da parte di terzi venga svolto in condizioni di normalità, regolarità e senza alcun pericolo per gli utenti (Cass. n. 29639/2009); al limite, si potrà porre un problema di concorso di responsabilità dell'impresa appaltatrice.

c) La rete autostradale

In tema di ripartizione dell'onere probatorio nelle cause di risarcimento danni subiti dagli automobilisti per la presenza di un ostacolo sulla carreggiata autostradale, spetta al gestore dell'autostrada provare l'inesistenza di una propria negligenza per omessa vigilanza, sia quando il titolo della responsabilità dedotta in giudizio dall'utente abbia natura contrattuale sia quando abbia natura extracontrattuale. Nel primo caso, infatti, la società concessionaria, per liberarsi dal risarcimento, deve provare che l'inadempimento è derivato da causa a lei non imputabile ex art. 1218 c.c.; nel secondo caso, invece, deve dare la prova liberatoria del caso fortuito di cui all'art. 2051 c.c.,, attesa la possibilità della vigilanza da parte del soggetto concessionario dell'autostrada (Cass. n. 10689/2008).

Ove si ritenga di dedurre il titolo di responsabilità extracontrattuale deve infine darsi atto di quel consolidato indirizzo secondo cui deve trovare applicazione l'art. art. 2051 c.c., anzichè l'art. 2043 c.c., attesa la possibilità della vigilanza esercitabile da parte dell'ente proprietario o del soggetto concessionario dell'autostrada sulla medesima in considerazione dello spazio circoscritto e rigorosamente delimitato della rete autostradale stessa e in virtù degli obblighi di manutenzione e custodia che discendono dalle norme di legge.

Ed invero, la Corte di Cassazione si è orientata nel senso della piena configurabilità del rapporto custodiale tra costoro e la struttura autostradale, in ragione della destinazione della rete viaria alla percorrenza veloce in condizioni di massima sicurezza per gli utenti (Cass. n. 8377/2009).

Con la precisazione, tuttavia, che l'applicazione dell'anzidetta disposizione normativa (art. 2051 c.c.) è limitata a quelle situazioni di pericolo (ed ai danni dalle stesse derivati) connesse alla struttura ed alle pertinenze dell'autostrada, configurandosi, invece, il caso fortuito (tale da liberare il custode da responsabilità) nel caso di situazioni di pericolo causate dagli stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa, che, nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire l'intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario per provvedervi, nonostante l'attività di vigilanza e controllo a tal fine preposte (Cass. n. 783/2013).

d) Il lastrico solare

Infine, in relazione alla domanda risarcitoria proposta nei confronti del proprietario o comunque titolare di uso esclusivo del lastrico solare e condominio occorre richiamare i seguenti principi di diritto:

a) "in tema di condominio negli edifici, qualora l'uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l'usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell'art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (Cass. n. 951/2021: in tema di condominio negli edifici, qualora l'uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l'usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell' art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria");

b) nei confronti dei terzi danneggiati dall'esecuzione di opere effettuate in forza di un contratto di appalto il committente è sempre gravato dalla responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c. la quale non può venir meno per la consegna dell'immobile all'appaltatore ai fini dell'esecuzione delle opere stesse con l'unica eccezione del caso fortuito (Cass. n. 41709/2021, fattispecie relativa alla responsabilità del titolare dell'immobile soprastante e della ditta che avevano eseguito dei lavori di ristrutturazione per i danni subiti dall'appartamento di proprietà del danneggiato a seguito dell'allagamento che si era verificato a cagione anche dell'errata installazione di alcuni serramenti in un cavedio; Cass. n. 7553/2021: in tema di appalto, la consegna del bene all'appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicché questi resta responsabile, alla stregua dell'art. 2051 c.c., dei danni cagionati ai terzi dall'esecuzione dell'opera salvo che provi il caso fortuito, quale limite alla detta responsabilità oggettiva, che può coincidere non automaticamente con l'inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente).

e) Danni all'interno di supermercati

In caso di lesioni occorse all'interno di un supermercato, la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che l'interesse del cliente di un supermercato a conservare la propria integrità fisica dinanzi al fatto dannoso che può verificarsi all'interno dei locali dello stesso, è un interesse che riceve tutela nella vita di relazione a prescindere dall'acquisto delle merci ivi poste in vendita, e la cui lesione costituisce danno ingiusto risarcibile a titolo di responsabilità extracontrattuale. Precisamente, allorché il danno sia cagionato dalle cose che si trovano all'interno dei locali del supermercato, si integra, nel concorso di tutti gli altri elementi costitutivi, l'ipotesi speciale di responsabilità extracontrattuale di cui all'art. 2051 c.c., con conseguente obbligo risarcitorio in capo al custode delle cose medesime (Cass. n. 16224/2022, nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ricondotto all'art. 2051 c.c. la responsabilità del gestore di un supermercato per il danno occorso a un cliente a causa dell'urto contro le porte scorrevoli, ritenendo che il rischio di danno non fosse legato all'attuazione dell'obbligo contrattuale ma piuttosto alla potenzialità dannosa delle cose poste all'interno del locale, sì da attingere allo stesso modo tanto la persona che avesse provveduto all'acquisto, in qualità di parte di un contratto di compravendita con l'eventuale responsabile, quanto quella che, pur non avendo comprato alcunché, si trovasse comunque all'interno dei locali).

Sul rilievo che l'art. 2051 c.c., non prevede una responsabilità aquiliana, ovvero non richiede alcuna negligenza nella condotta che si pone in nesso eziologico con l'evento dannoso, bensì stabilisce una responsabilità oggettiva, che è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall'ordinaria diligenza del custode. Da tale premessa, nel caso di caduta determinata da alcuni acini d'uva presenti sul pavimento di un supermercato, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del gestore ritenendo, da un lato, che la condotta della danneggiata, consistita nel non prestare attenzione alla presenza dell'insidia, fosse stata gravemente imprudente, e perciò sufficiente da sola ad integrare il caso fortuito e, dall'altro, che sarebbe stato, invece, impossibile per il personale addetto rimuovere oggetti di dimensioni tanto piccole, sparsi verosimilmente da qualche cliente poco prima dell'infortunio (Cass. n. 12027/2017).

In altri termini, tenuto conto che la responsabilità del custode, di cui all'art. 2051 c.c., ha natura oggettiva e presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza d'un nesso causale tra la cosa ed il danno, essa è perciò esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta della stessa vittima, ma, nella valutazione dell'apporto causale da quest'ultima fornito alla produzione dell'evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (Cass. n. 4476/2011, nella specie, in base al principio di cui alla massima, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità del proprietario di un supermercato per i danni patiti da una cliente scivolata sul pavimento insaponato, avendo il giudice di merito affermato che il mancato avvistamento della chiazza di detersivo, da parte della cliente, aveva costituito elemento idoneo a interrompere il nesso di casualità senza tener conto che è massima di comune esperienza che chi frequenta un supermercato ha la ragionevole aspettativa di circolare in un posto sicuro, soprattutto con riferimento alla manutenzione del pavimento, essendo interesse del gestore che l'attenzione degli avventori sia catturata esclusivamente dai prodotti esposti).

(Fonte: il processo civile)

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