L'applicazione del limite all'aumento della pena non influisce sulla natura della recidiva qualificata, né sul calcolo dei termini di prescrizione

Paolo Della Noce
03 Agosto 2022

«Il limite all'aumento di cui alla previsione dell'art. 99, comma 6, c.p.: non rileva in ordine alla qualificazione della recidiva, come prevista dal secondo e dal quarto comma del predetto articolo, quale circostanza ad effetto speciale; non influisce sui termini di prescrizione determinati ai sensi degli artt. 157 e 161 c.p., come modificati dalla legge n. 251/2005».

Il caso. La Corte d'appello di Roma confermava la sentenza di primo grado pronunciata in data 30 novembre 2012 dal Tribunale di Roma, con la quale l'imputato veniva condannato, in relazione all'art. 648 c.p., per aver acquistato un assegno provento di furto, nonché, in momento successivo, un secondo carnet di assegni anch'essi provenienti da furto.

L'imputato proponeva ricorso per cassazione avverso l'anzidetta pronuncia, lamentando, tra l'altro, che la Corte d'Appello avesse omesso di dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Il ricorso veniva rimesso alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 618 c.p.p., avendo la questione dato luogo a contrasto interpretativo in relazione al seguente quesito: «Se il limite dell'aumento della pena correlato al riconoscimento della recidiva qualificata previsto dall'art. 99, comma 6, c.p. incida sulla qualificazione della recidiva prevista dal secondo e dal quarto comma dell'art. 99 c.p. come circostanza ad effetto speciale e/o influisca sulla determinazione del termine di prescrizione».

Il contesto normativo. L'art. 99 c.p. regola, come noto, l'istituto della recidiva.

In particolare, il primo comma della disposizione prevede che qualora il soggetto che sia stato condannato per un delitto non colposo ne commetta un altro questi può essere sottoposto all'aumento di un terzo della pena prevista per tale nuovo reato; trattasi di recidiva, cosiddetta, semplice.

I commi successivi prevedono inoltre ulteriori aumenti di pena con riferimento alle circostanze di recidiva qualificata, e segnatamente di recidiva aggravata e recidiva reiterata. Peraltro, come ricordano le stesse Sezioni Unite, tali ultime ipotesi vengono pacificamente qualificate quali circostanze aggravanti ad effetto speciale.

L'anzidetta disciplina è d'altra parte temperata dalla previsione di cui all'art. 99, comma 6, il quale prevede che in nessun caso l'aumento della pena possa superare il cumulo delle condanne risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.

La soluzione offerta dalla Corte. La prima questione sottoposta all'attenzione delle Sezioni Unite afferisce alla natura di circostanza aggravante ad effetto speciale della recidiva qualificata, ed in particolare se la medesima venga modificata qualora nella fattispecie concreta l'aumento della pena dovesse risultare pari o inferiore ad un terzo per effetto della applicazione della limitazione di cui all'art. 99, comma 6.

La Corte ha adottato un'interpretazione logico-sistematica, valorizzando in particolare la lettera del quarto comma dell'art. 63 c.p., per cui «se concorrono più circostanze aggravanti (qualificate, al terzo comma del medesimo articolo, quali “quelle che importano un aumento […] della pena superiore a un terzo”) si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla».

Per mezzo di tale disposizione, il legislatore avrebbe invero espressamente riconosciuto come la natura delle circostanze in parola non venga meno in ragione del fatto che il giudice (peraltro, in via discrezionale) decida di operare in concreto un aumento della pena in misura pari o inferiore ad un terzo. Riscontrata l'esistenza di un parallelismo tra gli artt. 63 c.p. e 99 c.p., i giudici hanno dunque concluso come «l'aumento della pena in conseguenza della applicabilità del limite fissato dall'art. 99, comma 6, c.p., non incida sulla natura della recidiva qualificata contestata ai sensi dell'art. 99, comma 2, 3 o 4 c.p., la cui natura di circostanza aggravante ad effetto speciale resta – ad ogni effetto di legge – immutata».

Le Sezioni Unite procedevano dunque all'esame della seconda questione, ed in particolare, se l'applicazione del limite di cui all'art. 99, comma 6, c.p., influisca o meno sulla determinazione dei termini di prescrizione del reato.

I giudici, in particolare, richiamano gli artt. 157 e 161 c.p., la lettera dei quali indurrebbe a ritenere che il calcolo del termine di prescrizione non possa essere condizionato dal «criterio di temperamento» di cui all'art. 99, comma 6 c.p., posto peraltro che «il momento del computo della pena ai fini del calcolo del termine di prescrizione, da effettuarsi secondo parametri oggettivi, generali e astratti, va tenuto distinto dal momento della determinazione della pena da irrogare al condannato, nel quale vanno seguiti criteri concreti e soggettivamente più specifici».

Si confermava dunque che il calcolo del termine di prescrizione deve essere operato senza tenere conto del suindicato “meccanismo di ottemperamento”, ma ciò solo con riferimento alla disciplina successiva alle modifiche apportate dalla l. n. 251/2005.

Avendo rilevato che nella fattispecie concreta, in ragione del principio del favor rei, all'imputato doveva essere riconosciuta l'applicazione della disciplina anteriore alle predette modifiche, la Corte Suprema annullava senza rinvio la sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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