Recesso dell'avvocato dal mandato professionale tra giusta causa e diritto al compenso

Redazione scientifica
02 Agosto 2022

La Suprema Corte riafferma e conferma un orientamento “risalente”, tracciando la differenza tra la specialità della disciplina del recesso del prestatore d'opera e dell'avvocato, rinvenibile nel sistema normativo.

Una società proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale in favore di due avvocati, per l'attività di assistenza giudiziale prestata in una causa di merito e in due procedimenti cautelari.

Eccepiva l'inadempimento grave degli avvocati per avere gli stessi receduto senza giusta causa dal mandato professionale relativo alla causa di merito, in violazione dell'art. 2237 c.c., e affermava che non era dovuto alcun compenso.

Il Tribunale rigettava l'opposizione, ritenendo che nel caso di specie potesse applicarsi in via analogica la disposizione del preventivo sottoscritto dalla cliente e dagli avvocati e riconoscendo, per l'effetto, il diritto al compenso ai difensori.

La società proponeva ricorso straordinario per cassazione, lamentando che il Tribunale era incorso in errore nel riconoscere il compenso ai professionisti, in quanto l'esercizio del recesso del recesso era avvenuto in assenza di giusta causa.

Il Collegio ha rigettato il ricorso, sottolineando la specificità della disciplina dettata per il contratto d'opera professionale dell'avvocato rispetto a quella generale dettata dall'art. 2237 c.c. (che ammette il recesso solo per giusta causa).

A tal fine rileva in primo luogo l'art. 85 c.p.c. che dispone, ancorchè al fine di limitare i disagi provocati dalla rinuncia alla controparte, che «la procura può essere sempre revocata e il difensore può sempre rinunciarvi, ma le revoca e la rinuncia non hanno effetto nei confronti dell'altra parte finchè non sia avvenuta la sostituzione del difensore», ma sottendendo con la tale formulazione la soluzione per cui il recesso dell'avvocato dal mandato è sempre ammesso, e non quindi necessariamente ancorato alla ricorrenza della giusta causa.

E' stato inoltre valorizzato il dettato dell'art. 7 della l. 794/1942 che, con riguardo proprio alla disciplina del corrispettivo per le cause non giunte a compimento stabilisce che «per le cause iniziate ma non compiute ovvero nel caso di revoca della procura o di rinuncia alla stessa il cliente deve all'avvocato gli onorari corrispondenti all'opera prestata», previsione anche questa che riferisce in maniera ampia di un diritto di recesso dell'avvocato, senza alcun richiamo alla necessità della giusta causa.

Da ultimo si pone la specifica disciplina dell'art. 32 del codice deontologico forense vigente la quale prevede «Rinuncia al mandato 1. L'avvocato ha la facoltà di recedere dal mandato, con le cautele necessarie per evitare pregiudizi alla parte assistita».

In definitiva, risulta confermata la soluzione giurisprudenziale risalente (Cass. civ., n. 1380/1959) della libera recedibilità dal mandato anche ad opera dell'avvocato, il quale è tuttavia tenuto sempre a preservare il cliente da pregiudizi derivanti dalla propria decisione di recedere dal rapporto d'opera.

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