Colpa e nesso di causa nella responsabilità del Ministero della Salute per danni da emotrasfusione

Alessandro Benni de Sena
23 Agosto 2022

La Suprema Corte si pronuncia sulla sussistenza di responsabilità per colpa in capo al Ministero della Salute in caso di patologie contratte a seguito di assunzione di emotrasfusioni o emoderivati con sangue infetto e sui criteri di individuazione del nesso causale.
Massima

“In tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV, HIV e HCV, contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, il Ministero della salute è responsabile per i danni, provocati dall'omesso comportamento attivo di vigilanza e controllo in ordine alla effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto.

Il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della valutazione, le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (HBV, HIV e HCV), ma ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l'evento obiettivo dell'infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica”.

Il caso

Tizio evoca in giudizio il Ministero della Salute chiedendo il risarcimento del danno subito a seguito di emotrasfusione di unità di sangue infetto avvenuta nel 1990 in occasione di un ricovero.

Il Tribunale accolse la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma di euro 376.736,00 oltre interessi.

Proposto appello da parte del Ministero, il giudice di secondo grado lo rigettò, evidenziando che la responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute per l'omessa vigilanza sulla sicurezza del sangue umano per uso terapeutico sussiste anche per fatti antecedenti il 1978, vigilanza imposta da un complesso di fonti normative.

Inoltre, il Ministero rispondeva ai sensi dell'art. 2043 c.c. per l'omessa vigilanza sui centri emotrasfusionali con riferimento ai danni conseguenti ad epatite e infezioni da HBV, HIV e HCV, contratte dai soggetti emotrasfusi.

Infine, la Corte di Appello riconobbe che nella specie il nesso eziologico fra l'emotrasfusione e l'infezione contratta del virus HCV risultava accertato in sede di procedimento amministrativo per il riconoscimento dell'indennizzo ai sensi della l. n. 210 del 1992, conclusione condivisa anche dal CTU.

Il Ministero propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

La questione

In sostanza alla Suprema Corte vengono poste due questioni (con un unico motivo di ricorso), una attinente al profilo della colpa e l'altra attinente al profilo del nesso eziologico della responsabilità da emotrasfusione.

Il Ministero sostiene che la motivazione è apparente, non potendosi intendere l'obbligo di vigilanza quale garanzia di buona riuscita di ogni trasfusione, e che il potere ministeriale concerne l'emanazione di direttive, il rilascio di autorizzazione e la disciplina del settore in generale, mentre vi è estranea la gestione concreta del servizio di raccolta e di impiego mediante trasfusioni.

In particolare, poi, fin dal 1990 il Ministero aveva fornito alle singole strutture operative le direttive necessarie per evitare il contagio. Dunque, la responsabilità per l'omissione dei controlli sul sangue dei donatori deve addebitarsi alla singola unità operativa che ha effettuato la trasfusione.

Sotto il profilo della colpa, è evidente il tentativo di riversare la colpa della mancata vigilanza alle unità locali.

Osserva ancora il Ministero che la mera sussistenza del nesso causale fra trasfusione e contagio non è sufficiente per affermare la responsabilità del Ministero, dovendo invece essere svolto il giudizio controfattuale, che il giudice del merito non ha svolto, in base al quale accertare se i controlli spettanti al Ministero, ove effettuati, avrebbero evitato il verificarsi dell'evento lesivo.

Le soluzioni giuridiche

Sulle questioni poste dal Ministero della Salute, il Giudice di legittimità è tranciante, ritenendo il motivo di ricorso inammissibile. La decisione, nella sua linearità, è interessante perché fissa due punti fermi in tema di responsabilità da infezione da emotrasfusione e su due profili, quello della colpa e quello del nesso di causa. Esaminiamoli separatamente.

Sulla colpa

In termini generali, si iniziò ad ipotizzare una responsabilità del Ministero della Salute nel caso di infezioni emoderivati, sul presupposto che gli appartiene la competenza generale al fine di «provvedere alla tutela della salute pubblica», ai sensi dell'art. 1, comma 1°, l. 13 marzo 1958 n. 296, istitutiva del Ministero della Sanità. Da tale competenza si fece discendere una specifica responsabilità derivante dall'art. 2043 c.c., tutte le volte in cui sia accertato il mancato esercizio, da parte della Pubblica Amministrazione, dei propri poteri-doveri nella sorveglianza.

Si è esclusa, sia pure dopo qualche incertezza iniziale, la responsabilità oggettiva del Ministero ex art. 2050 c.c. per lo svolgimento di attività pericolose, tale non potendo qualificarsi il controllo sulle attività trasfusionali (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008 n. 576): “La responsabilità del Ministero della salute per i danni causati da infezioni contratte in seguito ad emotrasfusioni o somministrazione di farmaci emoderivati non si fonda né sull'art. 2049 c.c., perché il Ministero non risponde dell'operato delle Asl e delle strutture ospedaliere, pienamente autonome rispetto a quello; né sull'art. 2050 c.c., perché pericolosa è la produzione e distribuzione di sangue, ma non il controllo e la vigilanza su tali attività; né, infine, sull'art. 1218 c.c., perché tra paziente e Ministero non sussiste alcun vincolo contrattuale. Ne consegue che la suddetta responsabilità del Ministero per deficit di vigilanza può trovare fondamento solo nella clausola generale di cui all'art. 2043 c.c., con conseguente onere della vittima di provare la colpa dell'amministrazione e il nesso causale tra questa e il danno”.

La decisione annotata ricorda laconicamente che costituisce indirizzo consolidato e assai risalente della Corte di Cassazione quello secondo cui in tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV, HIV e HCV, contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, il Ministero della salute è responsabile per i danni, provocati dall'omesso comportamento attivo di vigilanza e controllo in ordine alla effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto.

È appena il caso di aggiungere che altrettanto consolidato è l'orientamento secondo cui in caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all'apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni ‘60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all'anno 1958, l'obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi.

In effetti, tale orientamento giurisprudenziale è ben presente. In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all'apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni '60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all'anno 1958, l'obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi (Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2019 n. 1566; Cass. civ., sez. VI, 4 febbraio 2016, n. 2232; Cass. civ., sez. VI, 10 maggio 2018, n. 11360; Trib. Milano, sez. X, 7 gennaio 2021, n. 51; Trib. Catania, sez. III, 22 novembre 2019 n. 4614)

Sul nesso di causa

Sotto il secondo aspetto, la Suprema Corte ricorda che in caso di patologie contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della valutazione, le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (HBV, HIV e HCV), ma ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l'evento obiettivo dell'infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica (Cass. n. 17084/2017).

In effetti, già le Sezioni Unite avevano ritenuto che nell'accertamento dell'illecito aquiliano il giudice deve accertare due distinti nessi causali: il primo è quello tra la condotta o l'omissione illecita ed il danno ingiusto inteso quale fatto materiale (c.d. "nesso di causalità materiale"), e va accertato secondo le regole dettate dagli art. 40 e 41 c.p, per effetto dei quali tale nesso di causalità va escluso quando al momento in cui è stata tenuta l'azione o l'omissione l'evento di danno appariva assolutamente imprevedibile ed inverosimile alla luce (non delle conoscenze dell'agente, ma) delle migliori conoscenze scientifiche del momento. Il secondo nesso causale che il giudice deve accertare è quello tra il fatto dannoso nella sua materialità e le conseguenze che ne sono derivate (c.d. "nesso di causalità giuridica"); tale nesso è disciplinato dalle diverse regole di cui agli art. 1223, 1226 e 1227 c.c. (oltre che dell'art. 1225 c.c., in tema di inadempimento contrattuale), ed al contrario del primo non è presupposto essenziale perché sorga la responsabilità del danneggiante, ma ha la più limitata funzione di circoscrivere l'area del danno risarcibile (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n.576).

Osservazioni

La sentenza in commento esprime effettivamente principi giurisprudenziali oramai consolidati.

Sul profilo della colpa.

Per le emotrasfusioni anteriori al 1978 (quando fu disponibile il test diagnostico contro il virus HBV) si riconosce la responsabilità del Ministero, poiché già dalla fine degli anni '60 era noto il rischio di infezione, rilevabile indirettamente con i test di funzionalità epatica mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell'anti HbcAg.

In effetti, il Ministero della Salute aveva attivi poteri derivanti dalla legislazione in allora vigente (l. n. 592/1967; d.P.R. n. 1256/1971; l. n. 519/1973; l. n. 833/1978) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.

In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, non sussistono eventi autonomi e diversi ma solo manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo, sicché anche prima dell'anno 1978, in cui il virus dell'epatite B fu definitivamente identificato in sede scientifica, con conseguente scoperta dei mezzi di prevenibilità delle relative infezioni, è configurabile la responsabilità del Ministero della salute per l'omissione dei controlli in materia di raccolta e distribuzione del sangue per uso terapeutico e sull'idoneità dello stesso ad essere oggetto di trasfusione, già consentiti dalle conoscenze mediche e dai dati scientifici del tempo (Fattispecie relativa a trasfusioni eseguite nell'anno 1976): Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2018, n. 18520; Cass. civ., sez. VI, 10 maggio 2018, n. 11360; Id., sez. VI, 4 febbraio 2016, n. 2232; Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 2019, n. 1566; Cass. civ., sez. VI, 2 luglio 2021, n. 21145; con ampi riferimenti giurisprudenziali e normativi si veda Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2790.

Di recente si è posto il dubbio di un limite temporale di individuazione dell'obbligo di vigilanza, quindi, di colpa per omissione, per le infezioni risalenti di più nel tempo, in particolare ante 1968 con l'introduzione della l n. 592/1967.

Secondo una recente decisione (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2022, n. 14748), soltanto a partire dalla pubblicazione della l. n. 592/1967 sono risultati integrati gli obblighi di cautela individuabili la cui violazione consente di considerare colposa l'omissione della vigilanza e del controllo da parte del Ministero della salute; peraltro, tenuto conto del lasso di tempo ragionevolmente occorrente per organizzare le attività di vigilanza e controllo, può individuarsi nel 1° gennaio 1968 la data oltre la quale è predicabile la responsabilità del Ministero in relazione a patologie correlate all'impiego di sangue infetto. Consegue che è possibile affermare la responsabilità del Ministero solo dall'1 gennaio 1968, in quanto: da una parte, la l. n. 296/1958 istitutiva del Ministero della Salute non è idonea allo scopo, in quanto si limitava a prevedere norme di carattere organizzativo dei servizi pubblici e non di controllo sulle trasfusioni; dall'altra, solo la l. n. 592/1967 prevede specifiche attribuzioni al Ministero di raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano.

Pertanto, solo a partire dalla pubblicazione della l. n. 592/1967 sarebbero individuabili specifici obblighi di cautela la cui violazione è fonte di responsabilità extracontrattuale per omissione colposa da parte del Ministero della Salute.

In sé la fissazione di questo limite temporale lascia perplessi, non solo perché il problema delle infezioni era noto, ma anche in base alla l n. 296/1958 istitutiva del Ministero della Sanità, delineandone i poteri e doveri di controllo per la salute pubblica. Per quanto genericamente, la legge stabiliva che «è istituito il Ministero della sanità con il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica. Per il conseguimento della finalità predetta spettano al Ministero della sanità le seguenti attribuzioni:

1) provvedere ai servizi sanitari attribuiti dalle leggi alle Amministrazioni civili dello Stato, ferme restando le attribuzioni delle Amministrazioni con ordinamento autonomo e quelle esercitate dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale a mezzo dell'Ispettorato del lavoro;

2) sovraintendere ai servizi sanitari svolti dalle Amministrazioni autonome dello Stato e dagli Enti pubblici, provvedendo anche al coordinamento, eventualmente necessario, per adeguare l'organizzazione e l'efficienza dei servizi stessi alle esigenze della salute pubblica;

3) emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le Amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari;

4) provvedere alla vigilanza tecnica sulle organizzazioni, enti e istituti che svolgano attività sanitaria e non rientrino tra quelli previsti dalle disposizioni precedenti.

Qualora la legge non disponga diversamente, i provvedimenti in materia di sanità rientrano nella competenza del Ministero della sanità».

Se è evidente che non ci sono previsioni specifiche in materia di emotrasfusione, tuttavia, l'affermazione tranciante di assenza di un obbligo normativo di vigilanza e controllo lascia perplessi anche per casi più risalenti nel tempo, non potendosi escludere la verifica caso per caso se era già nota la problematica e le cautele che dovevano essere poste in essere. In presenza di un'attività pericolosa di produzione e distribuzione di sangue (cfr. Cass. civ., sez. Un., 11.1.2008, n. 576 che poi ritiene non pericoloso la diversa attività di controllo di vigilanza) si potrebbe indagare e richiedere un grado di diligenza particolarmente rafforzato nella tutela della salute pubblica.

Ad ogni modo, tornando alla sentenza in esame, è interessante l'affermazione, sia pur incidentale, secondo cui sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all'apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni ‘60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all'anno 1958, l'obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi.

Pare quasi che il riferimento normativo valorizzato dalla Cassazione sia quello del 1958 e non del 1967 come ritenuto dalla precedente decisione.

Anche se il caso concreto non riguardava una trasfusione ante '68, non si può escludere che su questo specifico punto prima o poi vengano chiamate a risolvere la questione le Sezioni Unite.

Lasciando la questione delle infezioni contratte in tempi molto remoti, la decisione annotata è chiara nel ribadire il principio generale delle responsabilità del Ministero: in tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV, HIV e HCV, contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, il Ministero della salute va identificato come responsabile per i danni provocati dall'omesso comportamento attivo di vigilanza e controllo in ordine alla effettiva attuazione, da parte delle strutture sanitarie addette al servizio, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto.

Nel riparto di responsabilità ricordiamo solo per completezza che in materia di emotrasfusione e contagio da virus HBV, HIV, HCV, non risponde per inadempimento contrattuale la singola struttura ospedaliera, pubblica o privata, inserita nella rete del servizio sanitario nazionale, che abbia utilizzato sacche di sangue, provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale della USL, preventivamente sottoposte ai controlli richiesti dalla normativa dell'epoca, esulando in tal caso dalla diligenza a lei richiesta il dovere di conoscere e attuare le misure attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiale per evitare la trasmissione del virus, almeno quando non provveda direttamente con un autonomo centro trasfusionale. (Cass. civ., sez. VI, 29 marzo 2018, n. 7884; Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3261).

Sul profilo del nesso di causa.

La Suprema Corte ricorda che in caso di patologie contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della valutazione, le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (HBV, HIV e HCV), ma ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l'evento obiettivo dell'infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica.

La Cassazione respinge la tesi ministeriale secondo cui la mera sussistenza del nesso causale fra trasfusione e contagio non sarebbe sufficiente per affermare la responsabilità del Ministero, dovendo invece essere svolto il giudizio controfattuale in base al quale accertare se i controlli spettanti al Ministero, ove effettuati, avrebbero evitato il verificarsi dell'evento lesivo.

Anche in questo caso, la giurisprudenza è chiara. In tema di responsabilità del Ministero della salute per patologie derivanti da emotrasfusioni, ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l'evento obiettivo dell'infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica. Il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta viene apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della osservazione (quindi con valutazione ex post), le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2019, n. 2790; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2017, n. 17084).

Il nesso causale tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la patologia insorta va valutato non sulla base delle conoscenze scientifiche del momento in cui venne effettuata la trasfusione (che invece attiene alla colpa), stante l'irrilevanza del criterio della prevedibilità soggettiva, ma sulla base di quelle presenti al momento in cui viene svolto l'accertamento dell'esistenza del nesso causale, e cioè al tempo della valutazione da parte dell'osservatore, posto che ciò che deve essere considerato è il collegamento naturalistico fra l'omissione e l'evento dannoso.

In tema di danni da sangue ed emoderivati infetti, posto che l'indagine sul nesso causale intercorrente tra la somministrazione effettuata in assenza dei doverosi controlli e l'evento dannoso va svolta avendo riguardo alle cognizioni esistenti al tempo della valutazione, sussiste il legame eziologico allorché si possa accertare la derivazione probabilistica dell'infezione, quale evento di danno, dalla trasfusione, a prescindere dalla sua specificazione in termini di malattia tipica.

La distinzione tra causalità materiale e causalità giuridica deriva dalla distinzione tra danno-evento (inteso quale lesione dell'interesse giuridicamente tutelato e direttamente derivante dall'illiceità della condotta) e danno-conseguenza (inteso quale pregiudizio concretamente sofferto e il solo oggetto di risarcimento). Infatti, la causalità materiale offre il collegamento naturalistico tra la condotta, attiva od omissiva, e l'evento; la causalità giuridica consente un'imputazione di responsabilità in termini giuridicamente rilevanti, tali da determinare l'insorgenza dell'obbligo al risarcimento del danno.

Il secondo nesso causale che il giudice deve accertare è quello tra il fatto dannoso nella sua materialità e le conseguenze che ne sono derivate (c.d. "nesso di causalità giuridica"); tale nesso è disciplinato dalle diverse regole di cui agli art. 1223, 1226 e 1227 c.c. (oltre che dell'art. 1225 c.c., in tema di inadempimento contrattuale), ed al contrario del primo non è presupposto essenziale perché sorga la responsabilità del danneggiante, ma ha la più limitata funzione di circoscrivere l'area del danno risarcibile (Cass. civ., sez. un., 11/01/2008, n.576).

Riferimenti

AIELLO G.F., La responsabilità del ministero per omessa vigilanza sull'attività di raccolta e distribuzione di sangue ed emoderivati, in Nuova giur. civ., 2014, 664;

CAPECCHI M., Note in tema di illecito omissivo, in Danno e resp., 270;

COGGIOLA N., La Cassazione afferma la responsabilità del ministero della salute per i danni da sangue ed emoderivati infetti, in Resp. civ., 2006, 294;

CORONGIU S., Danno da trasfusioni di sangue infetto: il ministero è responsabile per omessa vigilanza fin dai primi anni settanta, in Danno e resp., 2006, 279;

GIANTI D., Danno da emotrasfusione e questioni di legittimità passiva: quando un errore costa caro, in Danno e resp., 2010, 1061;

MONTI S., Ministero e danno da emotrasfusione: «nihil novi, sed cave», in Danno e resp., 2015, 259;

RICCETTI I., Emotrasfusione: adducibile all'ospedale lo stato di necessità per i mancati controlli preventivi sulle singole unità da trasfondere?, in Riv. it. medicina legale, 2017, 377;

ROSSETTI M., Emotrasfusione ed emoderivati (danno da), in Ridare.it;

SERPETTI DI QUERCIARA A., Onere della prova in tema di responsabilità medica da infezione da emotrasfusione, in Ridare.it.

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