Condannati al risarcimento del danno erariale il direttore generale e l'avvocato dell’Ausl per la mancata adesione ad una transazione vantaggiosa

Alessandro Lacchini
07 Settembre 2022

La questione in esame concerne la possibilità di un addebito di responsabilità per danno erariale in capo ai dirigenti e ai legali di una P.A. per essersi ritirati dalla definizione transattiva di un giudizio ritenuta palesemente vantaggiosa per la stessa P.A.
Massima

"Il danno risarcibile va identificato nel differenziale tra il costo che l'ente ha dovuto sostenere a seguito della soccombenza e quanto avrebbe potuto essere pattuito per definire la controversia in via bonaria. Questo ammontare rappresenta, dunque, il danno ingiusto e quindi risarcibile all'amministrazione, posto che si rileva irragionevole la mancata adesione alla soluzione transattiva, conveniente per l'Ausl e condivisa tra le parti".

Il caso

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. depositato da 15 dipendenti, l'Ausl era convenuta in giudizio dinanzi alla Sezione Lavoro del Tribunale di Perugia; l'azione promossa aveva oggetto il riconoscimento della retribuzione dovuta in relazione al tempo necessario a ciascun lavoratore per indossare la tenuta da lavoro.

Costituitasi in giudizio l'azienda sanitaria, alla prima udienza le parti chiedevano un rinvio della causa per trattative; successivamente, il legale dell'Ausl formulava una proposta transattiva, cui seguiva una richiesta di rinvio del legale dei ricorrenti, resisi disponibili ad una definizione nei termini prospettati.

Ad una successiva udienza il legale dell'Ausl ritirava la proposta conciliativa, la cui accettazione era stata al contempo depositata dai ricorrenti.

Con sentenza 19 maggio 2017, n. 200, il Tribunale di Perugia accoglieva le domande dei ricorrenti, condannando parte resistente al pagamento di € 117.954,44.

La Procura regionale umbra, venuta a conoscenza, tramite gli organi di stampa, dell'esito sfavorevole del giudizio per l'amministrazione, avviava un'azione di responsabilità nei confronti dei dirigenti e del legale dell'azienda; era ritenuta provata, infatti, la cattiva gestione della vertenza del contenzioso lavoristico, dalla quale sarebbe derivato un danno erariale, essendo stata ritirata l'adesione ad un accordo transattivo già raggiunto tra le parti, tale da consentire una minor esborso in misura pari a € 87.854,44 (il differenziale tra l'esborso di € 117.954,44 che l'ente dovette sostenere per la soccombenza ed i € 30.100,00, transattivamente pattuiti per definire la controversia).

La questione

La questione in esame è la seguente: sono passibili di addebiti di responsabilità per danno erariale i dirigenti ed i legali di una pubblica amministrazione che non addivengano ad una definizione transattiva di un giudizio, vantaggiosa per la P.A.?

Le soluzioni giuridiche

La Corte dei Conti, con sentenza di accoglimento n. 9/2022, ha così statuito: «la giurisprudenza ha più volte rimarcato come sia sindacabile una transazione ove irragionevole, altamente diseconomica o contraria ai fini istituzionali (cfr. ex multis Corte dei conti, Sez. giur. Lombardia, sent. 31 luglio 2016, n. 127; Sez. giur. Campania, sent. 29 febbraio 2012, n. 250; Sez. giur. Abruzzo, sent. 5 gennaio 2012, n. 1). Il medesimo principio trova applicazione nella fattispecie qui in esame nel senso che, così come è sindacabile la scelta di addivenire ad una transazione palesemente svantaggiosa per l'amministrazione, altrettanto sindacabile è la scelta di non concludere una transazione palesemente vantaggiosa, in applicazione dell'ancor più generale principio in base al quale il limite all'insindacabilità delle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione risiede nella “esigenza di accertare che l'attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici” (Corte dei Conti, sez. III, sentt. 9 luglio 2019, n. 132 e 30 luglio 2019, n. 147; sez. II, sent. 13 febbraio 2017, n. 91). [...]

Quanto al legale, la circostanza di aver dato notizia ai vertici aziendali della convenienza dell'ipotesi transattiva non può da sola escludere l'illiceità della condotta del convenuto, in relazione alle funzioni esercitate ed al grado di diligenza e di perizia che esse avrebbero richiesto, né tantomeno il nesso causale che lega tale condotta alla mancata definizione dell'accordo transattivo. Gli obblighi afferenti al rapporto di servizio dell'avvocato dirigente avrebbero dovuto, infatti, opportunamente suggerirgli di attivarsi con maggior premura, se del caso sollecitando ulteriormente i vertici aziendali, cosa di cui non vi è prova in atti; la formalizzazione di una mera comunicazione, la quale sembra abbia avuto essenzialmente lo scopo di precostituire una circostanza da voler utilizzare a propria discolpa, non può infatti ritenersi sufficiente né adeguata. [...]

Viene sostanzialmente in rilievo una fattispecie nella quale i dirigenti dell'amministrazione sembrano essersi per tutto il tempo maggiormente premuniti di addossare la responsabilità l'uno all'altro, piuttosto che di tutelare le ragioni dell'ente di appartenenza; pertanto le condotte di entrambi, causative del danno così determinato, risultano caratterizzate da colpa grave, sotto forma di negligenza ed imperizia, sebbene l'apporto causale al manifestarsi del danno deve ritenersi maggiore nel caso del direttore generale, per le ragioni esposte».

La sentenza in commento ha avuto notevole risonanza tra chi si occupa del contenzioso nei confronti della Pubblica Amministrazione, proprio in ragione del principio enunciato, l'epifania di quello che si prospetta come un solido e duraturo orientamento giurisprudenziale: “così come è sindacabile la scelta di addivenire ad una transazione palesemente svantaggiosa per l'amministrazione, altrettanto sindacabile è la scelta di non concludere una transazione palesemente vantaggiosa”.

Si tratta, a ben vedere, di un principio cui si perviene per logica, senza complesse costruzioni giuridiche; ed infatti, quel che riteniamo di sottolineare in questa sede, non è tanto l'idea espressa dalla Corte umbra, quanto l'averla finalmente enunziata senza possibilità di fraintendimento, così da far ipotizzare possibili positive ricadute in termini deflattivi del contenzioso sia nei sinistri sanitari che in quelli di competenza del Fondo di Garanzia Vittime della Strada.

a) La peculiare gestione dei sinistri sanitari

La gestione dei sinistri in ambito di med-mal che vedano coinvolti enti sanitari pubblici (infra, E.S.P.) rimane ancora di una difficoltà spesso insuperabile e le dinamiche interne sottese alla loro amministrazione di difficile interpretazione.

Innanzitutto, è raramente dato di sapere se la struttura sia dotata di copertura assicurativa e, se sì, quali siano scoperti, massimali, S.I.R., franchigie, ecc.

Altrettanto incerti i criteri coi quali gli Enti procedono alla gestione dei sinistri, non essendo possibile individuare un comune modus operandi; ci sono Regioni in cui in ogni struttura esistono c.v.s. (comitati valutazione sinistri) decentrati, altre in cui la direzione sembrerebbe essere accentrata in un super-c.v.s. territorialmente competente (Regione Veneto?); talvolta vi sono società di servizi esterne, altre, unità di gestione interna; in alcuni casi ci si relaziona con avvocati dell'azienda, in altri con professionisti esterni.

In un simile contesto, così variegato ed imprevedibile, esistono tuttavia in molteplici casi dei comuni denominatori: (i) istruttorie farraginose, (ii) carenze informative, (iii) imprevedibilità delle trattative, (iv) rifiuto di aderire alle mediazioni:

(i) al ricevimento di una denuncia di sinistro, gli E.S.P. provvedono immediatamente ad aprire la pratica, a protocollarla, nonché a domandare al danneggiato la sottoscrizione di moduli privacy; parimenti istantanea la notifica al personale dipendente coinvolto nella vicenda (ai fini della rivalsa ex Legge 24/2017).

Tutto ciò avviene, di norma, in una settimana, senza distinzioni geografiche.

Una simile solerzia lascerebbe presagire una altrettanto tempestiva istruttoria, ma così non è.

Alle procedure di indagine interna, con richieste di chiarimenti ai sanitari coinvolti, valutazioni e rivalutazioni, seguono consulenze e domande di pareri tecnici, talvolta “esternalizzati”. Tutto ciò, di norma, senza alcuna indicazione temporale per i danneggiati: l'iter istruttorio può durare a tempo indeterminato, senza che vi sia necessariamente una correlazione tra difficoltà del caso e tempistiche di redazione delle analisi.

Nella peggiore (ma frequente) delle ipotesi, le risposte (e la conseguente presa di posizione dell'azienda) non arrivano prima che il danneggiato sia costretto ad intraprendere la causa “al buio”, decida di abbandonare la prospettiva di un risarcimento o, in non pochi casi, deceda;

(ii) non è rinvenibile alcuna relazione tra impegno del legale del danneggiato nella gestione del caso e tempestivo aggiornamento sulle fasi di avanzamento della pratica risarcitoria.

Raramente vengono fornite informazioni sullo stato del procedimento; ciò è deleterio per il paziente, in quanto il danno-nel-danno che subiscono le vittime di malpractice è proprio il disorientamento.

Non comprendono, i pazienti, come sia possibile che una struttura sanitaria pubblica, un vero e proprio punto di riferimento all'interno del tessuto sociale, possa da un giorno all'altro divenire incontattabile, sfuggente, spesso arrivando a frapporre ostacoli all'acquisizione della documentazione sanitaria: i brevi e precisi termini di consegna previsti dall'art. 4 della L. 24/2017 si dilatano e le cartelle cliniche giungono spesso incomplete, prive degli esami strumentali;

(iii) di conseguenza, parimenti complesso prevedere se la struttura sanitaria, e ciò a prescindere dalla fondatezza della domanda risarcitoria, si siederà al tavolo delle trattative;

(iv) gli E.S.P., salvo isolate eccezioni, non partecipano ai procedimenti di mediazione ex art. 8 Legge 24/2017: o non rispondono alla convocazione dell'organismo prescelto, sic et simpliciter; oppure, in alternativa, al primo incontro programmatico, dichiarano la propria indisponibilità a prendere parte al procedimento, senza addurre motivazioni.

Sono timore, strategia, disinteresse, le cause di un simile approccio da parte degli organismi preposti?

Nel prosieguo cercheremo di dare risposta all'interrogativo.

b) La peculiare gestione dei sinistri di competenza del Fondo di Garanzia Vittime della Strada

I sinistri di competenza di Con.s.a.p. s.p.a. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici, società per azioni italiana controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze del quale è una società in house) sono affidati, con competenza regionale, ad imprese di assicurazione private: Allianz per Lombardia, Marche, Lazio, Puglia; Generali per Campania, F.V.G., etc.

Si tratta di compagnie serie, dotate di procedure di liquidazione ampiamente collaudate dalla gestione dei sinistri R.C.A., con le quali - al netto delle rispettive antitetiche posizioni - esistono solide basi su cui condurre delle trattative: i criteri di riparto degli oneri probatori e delle responsabilità sono quelli degli artt. 2697-2054 c.c., la quantificazione dei danni non patrimoniali avviene in ossequio al metodo tabellare e con riferimento ai precedenti, il danno patrimoniale è computato coi canoni usuali. Tutto ciò rende pronosticabile l'esito giudiziale e, dunque, favorisce la composizione ante causam dei sinistri.

Ebbene, tutto quanto precede parrebbe non valere per gli incidenti di competenza del Fondo di Garanzia: le testimonianze perdono di validità, le presunzioni non operano, il calcolo tabellare non è sufficientemente affidabile, così come inefficace risulta ogni riferimento ai precedenti.

Che ci si interfacci con l'una o l'altra compagnia, frequentemente le risposte sono le medesime: “non è possibile transare”, “ci sono paletti strettissimi”, “la mandante (Con.s.a.p., n.d.r.) non autorizza”, “paghiamo solo su sentenza”.

Riepilogando, a fronte di medesimi oggetto (risarcimento dei danni da circolazione stradale), parti (compagnia assicuratrice privata e danneggiato), normativa e giurisprudenza applicabili, le regole di gestione dei sinistri mutano radicalmente, senza apparente motivazione.

Osservazioni

Le fattispecie della responsabilità sanitaria e della R.C.A. - Fondo di Garanzia, così apparentemente distanti per contenuti fattuali e giuridici, in realtà condividono un file rouge, individuato il quale apparirà comprensibile (ma non condivisibile), questo peculiare processo di gestione, nel quale le regole non sono regole, la razionalità è irrazionale e la convenienza è sconveniente.

Un simile trait d'union è da individuarsi nella verifica cui il pubblico agire è sottoposto dalla Corte dei conti: ricordiamo, infatti, che “la giurisprudenza ha più volte rimarcato come sia sindacabile una transazione ove irragionevole, altamente diseconomica o contraria ai fini istituzionali (cfr. ex multis Corte dei conti, Sez. giur. Lombardia, sent. 31 luglio 2016, n. 127; Sez. giur. Campania, sent. 29 febbraio 2012, n. 250; Sez. giur. Abruzzo, sent. 5 gennaio 2012, n. 1)”.

Dissipare risorse erariali, dunque, è fonte di responsabilità; il che, naturalmente, non significa che sia illegittimo spendere il denaro pubblico, quanto - piuttosto - impiegarlo male.

Nelle fattispecie, il “corretto agire” di chi presieda alla liquidazione dei danni provocati dalla P.A. (o per conto della P.A., vedi F.D.G.V.S.), deve esprimersi in una “buona amministrazione del patrimonio”, da intendersi come “ragionevole, economica e coerente con le finalità istituzionali”(C.d.C., cit.).

Ma quel “bene”, inevitabilmente, risulta essere un concetto astratto che, nell'applicazione al caso concreto, (in tema di R.P. sanitaria o R.C.A.) necessita di un esercizio di discrezionalità e comporta una valutazione frutto di approfondita conoscenza della materia e, in sostanza, determina un'assunzione di responsabilità.

È in tale frangente del processo liquidativo che il meccanismo sembra incepparsi; il timore di sbagliare induce spesso a non assumere decisioni possibilmente foriere di conseguenze patrimoniali personali (vedi azione di responsabilità per danno erariale): chi non decide, non sbaglia, chi non sbaglia, non ha responsabilità.

- E dunque, i comitati valutazione sinistri (C.V.S.) delle aziende sanitarie molto spesso evitano confronti in sede stragiudiziale (vedi la mediazione), fino al salvifico intervento di una sentenza, esercizio discrezionale di un Giudice, che si suppone (erroneamente, alla luce della sentenza in commento) preservi da qualsivoglia censura dei controllori dei conti.

- E, dunque, le compagnie di assicurazione privata delegate dalla Con.s.a.p. altrettanto spesso non partecipano al procedimento di negoziazione assistita, considerando insufficienti i principi di accertamento di an e quantum che loro stesse hanno fortemente voluto e comunemente adottano nella usuale pratica liquidativa; anch'esse, dunque, si sottraggono a quel potere discrezionale di corretto (“Ragionevole, economico, coerente con le finalità istituzionali”) impiego del denaro pubblico che, tuttavia, è anche un obbligo istituzionale.

Perché, come ci ricorda la pronuncia in esame, vi è l'obbligo per i soggetti preposti di definire transattivamente contenziosi con accordi vantaggiosi, speculare a quello di non dissipare il patrimonio pubblico con transazioni non convenienti alla P.A.; non farlo significa arrecare danno all'erario: “altrettanto sindacabile è la scelta di non concludere una transazione palesemente vantaggiosa, in applicazione dell'ancor più generale principio in base al quale il limite all'insindacabilità delle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione risiede nella “esigenza di accertare che l'attività svolta si sia ispirata a criteri di ragionevole proporzionalità tra costi e benefici” (Corte dei Conti, sez. III, 9 luglio 2019, n. 132 e 30 luglio 2019, n. 147; sez. II, sent. 13 febbraio 2017, n. 91)”.

Nessuna condotta attendista è giustificata, dunque, se non da una specifica disamina nel merito, che conduca ad una valutazione di non convenienza per la pubblica amministrazione di un accordo transattivo.

Un principio elementare quanto invalicabile, quello espresso dalla C.d.C., che, nel caso di specie, si spinge a pretendere un comportamento proattivo da parte del legale dell'azienda, responsabile di non aver propugnato in maniera sufficientemente efficacie la sottoscrizione dell'accordo transattivo vantaggioso, limitandosi a “passare le carte” (cit.).

La strada è segnata e riteniamo sia quella giusta: l'esercizio della funzione pubblica comporta un altissimo grado di professionalità, di dedizione al pubblico interesse e delle assunzioni di responsabilità direttamente proporzionali all'importanza dell'incarico che si riveste.

Dunque, è necessario che tutti i soggetti implicati nel processo decisionale, che si pervenga o meno ad una transazione, siano dotati di specifica competenza, procedano ad analisi tempestive, esprimano pareri ben motivati, ed assumano decisioni improntate a “ragionevolezza, economia e coerenza con le finalità istituzionali”; il che, spesso, dovrebbe condurre ad una composizione della lite ante causam.

Adottare tale modus operandi garantirà un'esenzione da responsabilità per danno erariale, quale che sia la decisione assunta.

In ultimo, quale la platea dei soggetti interessati dalla decisione della Corte?

Certamente i vertici degli enti pubblici, così come i legali interni od esterni; riteniamo, tuttavia, che il principio possa e debba essere recepito anche dai tecnici direttamente coinvolti nella fase istruttoria (medici legali, specialisti di branca, periti cinematici, liquidatori), sulle indicazioni dei quali spesso si opta (o meno) per una composizione stragiudiziale favorevole alla P.A.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.