Finanziamento del socio alla società e azzeramento della partecipazione: che succede al finanziamento?
05 Ottobre 2022
Massima
In tema di finanziamento soci nell'ambito della s.r.l., la perdita della qualità di socio prima del rimborso del finanziamento non fa venir meno la natura postergata del finanziamento, poiché il diritto al rimborso sorge già postergato e tale caratteristica permane anche ove il socio esca dalla società, non mutando con tale situazione sopravvenuta l'esigenza di tutela dei creditori. Il caso
Un socio persona fisica eroga alla s.r.l. di cui è socio un finanziamento per l'importo di € 129.993. Poi la società perde totalmente il capitale sociale e viene ricapitalizzata mediante un aumento di capitale, cui il socio finanziatore però non partecipa. Il socio si trova dunque a non essere più tale, ma ad avere un diritto di credito nei confronti della società alla restituzione del finanziamento. Quando l'ex socio chiede alla società la restituzione del finanziamento, la s.r.l. si rifiuta. L'ex socio si rivolge allora al giudice il quale emette decreto ingiuntivo a favore del socio. A fronte dell'opposizione della società, il Tribunale di Roma revoca tuttavia il decreto ingiuntivo. Successivamente la Corte di appello rigetta l'impugnazione. Il Tribunale di Roma e la Corte di appello di Roma considerano il finanziamento effettuato in un momento in cui la società si trovava in una situazione di eccessivo squilibrio finanziario ai sensi dell'art. 2467 comma 2 c.c. e – come tale – non restituibile al socio. L'ex socio non è convinto di questa soluzione e si rivolge alla Corte di cassazione, la quale dà ragione al socio ritenendo che – seppure il finanziamento fosse postergato all'origine – ora le condizioni della società (dopo l'aumento di capitale) potrebbe essere buone e dunque nulla osta, in astratto, alla restituzione del finanziamento. La sentenza della Corte di appello di Roma viene così cassata con rinvio alla medesima Corte di appello in diversa composizione per l'assunzione di una nuova decisione.
La questione
La prima questione trattata dalla Corte di cassazione è peculiare, in quanto il socio – nel momento in cui chiede la restituzione del finanziamento – non è più socio, essendo stata azzerata la sua partecipazione al capitale per perdite. Ciò non fa venir meno il finanziamento del socio. La seconda questione trattata dalla Corte di Cassazione è se il finanziamento del socio continua a rimanere non restituibile anche quando la società è stata ricapitalizzata. La risposta a questa domanda è negativa. E così la Cassazione cassa la sentenza di appello, per avere la Corte di appello di Roma troppo velocemente concluso per la non restituibilità del finanziamento. Poiché difatti la s.r.l. era stata nel frattempo ricapitalizzata, si sarebbe dovuto valutare se le condizioni della società erano divenute tali (nel senso di sufficientemente buone) da non ostare alla restituzione del finanziamento.
Osservazioni
I finanziamenti dei soci sono molto diffusi nelle piccole società italiane, e sostituiscono frequentemente gli apporti di capitale. Il vantaggio principale rispetto al capitale è la maggior facilità, almeno teorica, nella restituzione. Inoltre i soci generalmente non pretendono interessi dalla società (finanziamenti c.d. “infruttiferi”) e ciò rende il finanziamento dei soci vantaggioso per la società rispetto al ricorso al finanziamento bancario. Per tacere del fatto che la società potrebbe non avere un merito creditizio sufficiente per accedere a finanziamenti bancari, rimanendo dunque come unica possibilità di accesso al credito il ricorso ai soci della medesima. Dal punto di vista civilistico, il finanziamento dei soci altro non è che un contratto di mutuo: “il contratto col quale una parte consegna all'altra una determinata quantità di danaro […] e l'altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità” (art. 1813 c.c.). Decorso il termine previsto, il socio finanziatore può chiedere alla società la restituzione della somma mutuata. Il problema è che la restituzione del finanziamento potrebbe pregiudicare i creditori. La decisione della Corte di cassazione n. 21422 del 2022 in commento è molto particolare, in quanto tratta la posizione di una persona fisica che non è più socio. Che sorte ha il finanziamento che ha erogato alla società? La risposta che dà la Cassazione è che il finanziamento rimane sempre un finanziamento soci assoggettato all'art. 2467 c.c., anche se il finanziatore non è più socio. Ne consegue che la sua restituibilità dipende dalle condizioni della società: se c'è ancora eccessivo squilibrio finanziario, il finanziamento non può essere restituito, in quanto metterebbe a repentaglio la posizione dei creditori sociali. Il legislatore è preoccupato che la restituzione dei finanziamenti dei soci possa pregiudicare i creditori sociali e per questa ragione detta delle norme che, pur senza una perfetta equiparazione, avvicina parecchio il trattamento del finanziamento dei soci a quello del capitale vero e proprio. L'art. 2467 comma 1 c.c. prevede difatti che “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”. Il comma 2 dell'art. 2467 c.c. specifica poi che “ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” (in tema di finanziamento dei soci A. Messore, Finanziamenti postergati dei soci di s.r.l., in Banca borsa tit. cred., 2018, II, 560 ss.). Qual è la ratio di queste disposizioni? Esse servono a far sì che la società sia sempre dotata di un capitale minimo reale (la cui perdita è a rischio dei soci), che non può essere sostituito da semplici finanziamenti dei soci astrattamente restituibili dalla società ai soci (e dunque con rischio dei creditori). Ciò che teme il legislatore, ed è per questo che disciplina i finanziamenti dei soci, è che la società rimanga senza risorse per soddisfare i creditori sociali. Se i soci scelgono di non effettuare aumenti di capitale, ma solo dei finanziamenti soci, il legislatore equipara (o quasi) i finanziamenti dei soci al capitale, impedendone la restituzione. Vietando la restituzione, vi sono maggiori probabilità che la società abbia le disponibilità per pagare i creditori. Dall'analisi dell'art. 2467 c.c. emerge che non tutti i finanziamenti dei soci sono postergati. Difatti il legislatore ha nel mirino i soli finanziamenti “che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”. Se il finanziamento non rientra in questa categoria, esso può essere oggetto di libera restituzione dalla società al socio. Si tratta difatti di un mutuo, e il contratto di mutuo implica l'obbligo di restituzione della somma che è stata versata. Il socio creditore, se il finanziamento non risulta rientrare nella categoria dei finanziamenti “anomali” (ossia effettuati in una situazione di eccessivo squilibrio), può agire in giudizio nei confronti della società e pretendere il rimborso del prestito. A seconda dei casi, può essere previsto che il finanziamento sia a tempo determinato oppure a tempo indeterminato: nel primo caso il prestito dovrà essere restituito alla scadenza del termine, nel secondo caso su semplice richiesta del mutuante (potendo trovare applicazione l'art. 1817 comma 1 c.c., secondo cui “se non è fissato un termine per la restituzione, questo è stabilito dal giudice, avuto riguardo alle circostanze”). Poiché il capitale è vincolato in società, i soci potrebbero ritenere più comodo effettuare dei meri finanziamenti. In linea di principio (salvo il minimo di capitale richiesto dalla legge), i soci sono liberi di scegliere fra aumento di capitale e finanziamento. Se tuttavia i soci scelgono i finanziamenti in un momento in cui la società presenta un alto livello di indebitamento, quegli importi non sono liberamente restituibili, in quanto essi vengono sostanzialmente equiparati dall'art. 2467 c.c. al capitale sociale. In realtà, la circostanza veramente rischiosa non è la situazione della società nel momento in cui i finanziamenti vengono erogati, bensì la situazione nel successivo momento in cui i finanziamenti vengono restituiti. Si possono distinguere le seguenti fattispecie:
Nel caso numero 1, i finanziamenti non sono in alcun modo restituibili, in quanto la loro restituzione in una situazione di crisi porterebbe con ragionevole certezza all'insolvenza della società, con danno dei creditori sociali. Il caso numero 1 (duplice situazione di crisi: quando viene erogato il finanziamento e quando i soci desiderano la restituzione del finanziamento) è stato oggetto di una pronuncia della Corte di cassazione (Cass., n. 12994/2019, in Fallimento, 2020, 48 ss., con nota di G. M. D'Aiello), la quale ha stabilito che la postergazione disposta dall'art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma. Ne consegue – continua la Cassazione – che la società è tenuta a rifiutare il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione, ove esistente al momento della concessione del finanziamento e a quello della richiesta di rimborso, che è compito dell'organo gestorio riscontrare mediante la previa adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in grado di rilevare la situazione di crisi. Tuttavia, quando sia stato superato lo squilibrio patrimoniale, il credito del socio ritorna ordinariamente esigibile, sebbene non siano stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali, potendosi ritenere realizzata una situazione di soddisfazione, sia pure “astratta”, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità. Nel caso numero 2 elencato sopra (situazione di crisi nel momento dell'erogazione del credito, crisi però superata nel momento in cui si intende effettuare la restituzione), il testo dell'art. 2467 c.c. parrebbe di per sé impedire la restituzione dei finanziamenti. La disposizione - difatti - discorre di finanziamenti “concessi” in un momento di crisi, mentre non pare attribuire rilevanza a quello che succede dopo. Tuttavia questa interpretazione non ha senso, poiché – se la crisi è stata nel frattempo superata – non ci sono rischi di mancata soddisfazione dei creditori. Va dunque preferita l'interpretazione per cui, se la situazione di crisi non è più attuale, i finanziamenti possono essere restituiti. Il caso trattato dalla Corte di Cassazione nel provvedimento in commento rientra proprio in questa categoria. Quando il finanziamento venne erogato, la società si trovava in una situazione di eccessivo squilibrio finanziario. Tanto è vero che, successivamente, il capitale venne azzerato e ricostituito mediante un aumento di capitale. Il socio finanziatore non partecipò all'aumento del capitale, cosicché cessò la sua qualità di socio. Rimaneva tuttavia in piedi la posizione di finanziatore, avendo prestato alla società € 129.993. La questione che affronta la Cassazione è se questa somma sia ancora indisponibile oppure se il socio possa pretenderne la restituzione. Si ricorderà che la Corte di appello di Roma aveva negato la restituzione. La Corte di cassazione invece cassa la sentenza del giudice romano, in quanto era stato effettuato un aumento di capitale: bisogna comprendere se, a seguito dell'aumento del capitale, la società si trovi ancora in una situazione di eccessivo squilibrio finanziario: in caso affermativo, il finanziamento non può essere restituito; in caso negativo, il finanziamento può essere restituito. Nel caso numero 3 che si è elencato sopra (situazione buona quando vengono erogati i finanziamenti, ma situazione di crisi quando i soci vorrebbero la restituzione), di per sé il testo dell'art. 2467 c.c. non impedirebbe la restituzione, poiché – come si è appena visto – dà peso al momento della concessione del prestito: dal momento che il finanziamento è stato “concesso” quando la società andava bene, esso sarebbe liberamente restituibile. In realtà questa interpretazione non può essere accolta, poiché l'aggravamento delle condizioni economiche della società negli anni successivi impedisce la restituzione dei prestiti, per evitare che vengano danneggiati i creditori sociali. Nel caso numero 4 illustrato sopra (situazione sempre buona della società), invece, non ci dovrebbero essere ostacoli alla restituzione: il finanziamento “ponte” dei soci è solo una modalità di finanziamento alternativa all'aumento di capitale, ma - siccome la società andava bene quando fu erogato il finanziamento e va bene anche oggi - non ci sono ostacoli alla restituzione del finanziamento, poiché non si sono rischi per i creditori sociali. Sulla base di quanto esposto, il vero criterio per decidere della restituibilità dei finanziamenti non è quello delle condizioni della società quando il prestito venne erogato, bensì quello delle condizioni della società quando i soci ne chiedono la restituzione.
Conclusioni
La decisione in commento enuncia due principi:
La Corte di cassazione stabilisce che, in caso di perdita della qualità di socio prima del rimborso del finanziamento, poiché il diritto al rimborso sorge già postergato, esso permane con tale caratteristica pure ove il socio esca della società. La Cassazione specifica che il carattere di credito postergato permane nel caso in cui il socio fuoriesca dalla società per mancato esercizio del diritto di opzione, ma anche allorché egli abbia ceduto la partecipazione sociale comprensiva del diritto alla restituzione della somma mutuata. Ciò deriva dalla ratio della disposizione, non mutando con tale situazione sopravvenuta l'esigenza di tutela dei creditori, restando rilevante – ai fini dell'applicazione della disciplina – unicamente l'integrazione dei presupposti del comma 2 dell'art. 2467 c.c., con riguardo al finanziamento a suo tempo concesso alla società partecipata. E tuttavia quando sia stato superato lo squilibrio patrimoniale – e quindi la situazione di rischio per i creditori sociali che ne discende e che la norma pone a fondamento della regola di postergazione – il credito del socio ritorna ordinariamente esigibile, sebbene non fossero stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali: potendosi allora ritenere realizzata una situazione di soddisfazione, sia pure “astratta”, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità.
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