Sinistro stradale e onere probatorio in tema di risarcimento del danno emergente per il costo di noleggio del veicolo sostitutivo

Michele Liguori
13 Ottobre 2022

La Cassazione ha chiarito che il costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo è un danno conseguenza che può essere provato anche presuntivamente e non un danno in re ipsa.
Massima

Il danno emergente relativo al costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo - al pari degli altri danni conseguenti al fermo del veicolo danneggiato come il suo deprezzamento, il bollo da pagare e il premio assicurativo il cui costo è sopportato pur senza godimento del bene - è un danno conseguenza che può essere provato anche presuntivamente e non un danno in re ipsa.

La prova che le spese sostenute per il noleggio del veicolo sostitutivo sono dovute al fermo tecnico del veicolo danneggiato non consiste nella dimostrazione che il proprietario “avesse davvero necessità di servirsene” e, cioè, nella dimostrazione dell'uso del veicolo sostitutivo, ma nella dimostrazione che quelle spese sono state rese necessarie dal danneggiamento del proprio veicolo.

Il caso

Il danneggiato da un sinistro stradale subisce oltre al danno al veicolo anche il fermo tecnico dello stesso necessario per la sua riparazione a causa del quale noleggia un veicolo sostitutivo.

Il danneggiato cede il credito risarcitorio relativo alla spesa erogata per il noleggio di tale veicolo sostitutivo.

La società cessionaria del credito, richiesto invano il relativo risarcimento all'impresa di assicurazione del veicolo danneggiato ai sensi dell'art. 149 d.lgs. n. 209/2005, la cita in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Milano.

Radicatasi così la lite si costituisce l'impresa di assicurazioni che resiste, eccepisce l'incedibilità del credito da indennizzo diretto e, nel merito, chiede il rigetto della domanda.

Il Giudice di Pace di Milano con sentenza 7 luglio 2017 n. 6053:

  • rileva che il credito risarcitorio ex art. 149 d.lgs. n. 209/2005 non è cedibile;
  • rileva, con motivazione ad abundantiam, che il fermo tecnico del veicolo danneggiato non è sufficiente ad integrare la prova del così detto danno da nolo per il quale occorre una prova specifica e rigorosa in ordine alla necessità per il cedente di munirsi di un veicolo sostitutivo;
  • rigetta la domanda;
  • condanna la società cessionaria al pagamento delle spese di lite.

La società cessionaria propone appello innanzi al Tribunale di Milano affidato a due motivi.

Con il primo motivo lamenta la violazione dei princìpi regolatori della materia, relativamente alla circolazione dei crediti (art. 1260 c.c.), alla restitutio in integrum (art. 2043 c.c.) e alla sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.).

Con tale motivo lamenta, sostanzialmente, l'erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto il primo giudice che il credito risarcitorio vantato dal danneggiato nei confronti della propria impresa di assicurazione a norma dell'art. 149 d.lgs. n. 209/2005 non fosse cedibile.

Con il secondo motivo lamenta la violazione dei princìpi costituzionali e della materia in riferimento al diritto di difesa (art. 24 Cost.) e alla ripartizione dell'onere probatorio.

Con tale motivo lamenta, sostanzialmente, l'erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto il primo giudice la carenza di prova in ordine alla necessità dell'auto sostitutiva.

Radicatasi così la lite in sede di appello si costituisce nuovamente l'impresa di assicurazioni che resiste, eccepisce l'inammissibilità dell'appello ex art. 339, comma 3, c.p.c. e, nel merito, chiede il rigetto dell'appello.

Il Tribunale di Milano con sentenza 25 luglio 2019, n. 7492:

  • rileva che il primo giudice ha emesso sentenza secondo equità - nonostante non ne abbia dato atto nel dispositivo secondo quanto previsto dall'art. 119, comma 4, disp. att. c.p.c. - e che la stessa è impugnabile esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia, ex art. 339, comma 3, c.p.c.;
  • procede all'esame dei motivi di appello tenendo conto della detta limitazione al potere di censura nel giudizio di appello;
  • rileva che l'appellante, in ogni caso, ha fatto riferimento ai principi regolatori della materia nella formulazione dei motivi di appello e, nel secondo motivo, anche alle norme costituzionali;
  • accoglie il primo motivo in quanto ritiene il credito risarcitorio cedibile;
  • rigetta il secondo motivo e la domanda in quanto ritiene che il danno richiesto:
    • non può considerarsi in re ipsa quale conseguenza automatica del sinistro;
    • può essere risarcito soltanto al cospetto di esplicita prova non solo del fatto che il mezzo non potesse essere utilizzato, ma anche del fatto che il proprietario aveva davvero necessità di servirsene e sia perciò dovuto ricorrere a mezzi sostitutivi, ovvero abbia perso l'utilità economica che ritraeva dall'uso del mezzo;
  • condanna la società cessionaria al pagamento delle spese di lite del giudizio di appello.

La società cessionaria propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo con il quale lamenta la violazione dell'art. 2043 c.c. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Con tale motivo lamenta, sostanzialmente, che il danneggiato, al fine dell'accoglimento della domanda risarcitoria relativa al costo sostenuto per il noleggio del veicolo sostitutivo, ha l'onere di provare di averlo noleggiato e di aver sostenuto la relativa spesa e non anche che aveva effettivamente necessità di servirsene.

Radicatasi così la lite in sede di legittimità l'impresa di assicurazioni resiste con controricorso, eccepisce l'inammissibilità del ricorso per violazione dei limiti fissati dall'art. 339 c.p.c. - che, in caso di controversie di scarso valore decise dal Giudice di Pace, consente l'appello per motivi limitati - e, nel merito, chiede il rigetto del ricorso

La Suprema Corte con ordinanza 19 settembre 2022 n. 27389:

  • rigetta l'eccezione preliminare sollevata dall'impresa di assicurazione;
  • accoglie il motivo di ricorso;
  • cassa la sentenza impugnata;
  • rinvia la causa al Tribunale di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
La questione

Le questioni giuridiche affrontate sono due.

La prima è relativa alla questione preliminare esaminata relativa all'appellabilità delle sentenze del Giudice di Pace emesse secondo equità.

La seconda è relativa a quale sia l'onere probatorio in capo al danneggiato al fine di ottenere il risarcimento del danno emergente relativo al costo sostenuto per il noleggio di veicolo sostitutivo per il tempo necessario per la riparazione del veicolo danneggiato nell'evento dannoso.

Il danneggiato, a tal fine, ha l'onere di provare soltanto che:

  • il veicolo danneggiato non può essere utilizzato per il tempo necessario per la sua riparazione;
  • ha noleggiato per lo stesso periodo di tempo un veicolo sostitutivo erogando il relativo costo?

Ovvero ha l'onere di provare anche la necessità di servirsi di tale veicolo sostitutivo?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte rigetta l'eccezione preliminare dell'impresa di assicurazione e rileva, a tal fine, che:

  • si tratta di ricorso per cassazione avverso decisione non del Giudice di Pace bensì di quello di appello, sicché il giudizio ha avuto l'ambito del giudizio di legittimità;
  • la questione concernente l'individuazione del danno risarcibile - e anche quella di quali siano le regole per provarlo - attiene, in ogni caso, ai principi informatori della materia, con quel che ne consegue in fatto di appellabilità.

La Suprema Corte, in relazione al motivo di ricorso, rileva che:

  • il danno emergente relativo al costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo - al pari degli altri danni conseguenti al fermo del veicolo danneggiato come il suo deprezzamento, il bollo da pagare e il premio assicurativo il cui costo è sopportato pur senza godimento del bene - è un danno presunto e non in re ipsa;
  • il danneggiato, pertanto, non può limitarsi a dimostrare di aver subito il fermo del veicolo e, cioè, la mera indisponibilità del mezzo dì trasporto ma ha l'onere di provare di aver sostenuto la spesa per il noleggio del veicolo sostitutivo quale conseguenza del danneggiamento del proprio veicolo;
  • tale dimostrazione è sufficiente a provare presuntivamente il danno;
  • la relazione causale tra il fermo del veicolo danneggiato e il noleggio del veicolo sostitutivo, infatti, è presumibile secondo le normali regole del ragionamento presuntivo e di comune esperienza.

La Suprema Corte rileva, ancora, che:

  • la prova che le spese sostenute per il noleggio del veicolo sostitutivo sono dovute al fermo tecnico del veicolo danneggiato non consiste nella dimostrazione che il proprietario “avesse davvero necessità di servirsene” e, cioè, nella dimostrazione dell'uso del veicolo sostitutivo, ma nella dimostrazione che quelle spese sono state rese necessarie dal danneggiamento del proprio veicolo;
  • questa dimostrazione può essere offerta per presunzioni e non necessariamente per “esplicita prova”.
Osservazioni

La decisione in commento da un punto di vista processuale non è condivisibile per una questione preliminare che andava esaminata d'ufficio: l'integrità del contraddittorio.

L'art. 144, comma 3, d.lgs. n. 209/2005, infatti, dispone che: “Nel giudizio promosso contro l'impresa di assicurazione è chiamato anche il responsabile del danno”.

Tale norma, pertanto, prevede, in caso di azione diretta nei confronti dell'impresa di assicurazione per danni derivanti dalla circolazione stradale, il litisconsorzio necessario con il responsabile del danno al fine di rendere opponibile all'assicurato l'accertamento della sua condotta colposa, in vista dell'eventuale azione di regresso dell'impresa di assicurazione nel caso in cui eventuali clausole contrattuali limitative del rischio, inopponibili al terzo danneggiato, gli avessero consentito di rifiutare l'indennizzo.

Tale responsabile del danno da circa quarant'anni è stato identificato nel solo proprietario del veicolo danneggiante che, tra l'altro, è anche l'unico che può essere agevolmente individuato in base ai pubblici registri (Sez. Un. 5 maggio 2006 n. 2006 n. 10311; conf., per quanto concerne le sezioni semplici, Cass. 3 agosto 2021 n. 22159; Cass. 7 gennaio 2021 n. 53; Cass. 8 aprile 2020 n. 7755; Cass. 12 settembre 2019 n. 22726; Cass. 22 novembre 2016 n. 23706).

Tale previsione del litisconsorzio necessario ha portata generale e si applica, pertanto, a tutte le ipotesi di azioni dirette previste dal Codice delle assicurazioni privatee, quindi, non solo alla tradizionale azione diretta prevista dall'art. 144 d.lgs. n. 209/2005 (ove è inserita) e, cioè, quella proposta dal danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo danneggiante, ma anche:

  • all'azione diretta prevista dall'art. 149 d.lgs. n. 209/2005 nel caso di risarcimento diretto e, cioè, quella proposta dal danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione del proprio veicolo;
  • all'azione diretta prevista dall'art. 141 d.lgs. n. 209/2005 nel caso di danni al trasportato e, cioè, quella proposta dal danneggiato-trasportato nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo ospitante (Cass. 14 settembre 2022 n. 27078; Cass. 31 dicembre 2021 n. 42112; Cass. 3 agosto 2021 n. 22159; Cass. 23 giugno 2021 n. 17963; Cass. 8 aprile 2020 n. 7755; Cass. 24 aprile 2019 n. 11215; Cass. 29 marzo 2019 n. 8790; Cass. 20 settembre 2017 n. 21896; Cass. 22 novembre 2016 n. 23706; Cass. 2 dicembre 2014 n. 25421, che dovrebbe essere il leading case).

Tale previsione del litisconsorzio necessario si applica non solo nel caso in cui una delle predette azioni dirette sia promossa dal danneggiato, ma anche quando sia promossa dal cessionario del credito atteso che tale soggetto fa valere lo stesso credito spettante al danneggiato-cedente (Cass. 5 luglio 2019 n. 18203; Cass. 31 maggio 2019 n. 14887; Cass. 20 settembre 2017 n. 21896).

Il difetto di integrità del contraddittorio per omessa vocatio in ius del litisconsorte necessario è rilevabile d'ufficio, per la prima volta, anche nel giudizio di legittimità, alla duplice condizione, che:

- gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito;

- sulla questione non si sia formato il giudicato (Cass. 27 ottobre 2021 n. 30205; Cass. 31 agosto 2021 n. 23667; Cass. 3 agosto 2021 n. 22159; Cass. 6 maggio 2021 n. 11842; Cass. 7 gennaio 2021 n. 53; Cass. 18 luglio 2019 n. 19400; Cass. 28 febbraio 2012 n. 3024; Cass. 3 novembre 2008 n. 26388).

Nel caso in commento:

- la società cessionaria del credito non ha citato in giudizio il responsabile del danno e, cioè, il proprietario del veicolo danneggiante;

- i giudici di merito non hanno rilevato la violazione del litisconsorzio necessario e non hanno preso i relativi provvedimenti al riguardo; in particolare:

(-) il giudice di primo grado non ha disposto l'integrazione del contraddittorio;

(-) il giudice di appello non ha rimesso la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354, comma 1, c.p.c. affinché provvedesse ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 102 c.p.c. e 144, comma 3, D.lgs. 7 settembre 2005 n. 209;

- il vizio era rilevabile dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito;

- sulla questione non si era formato il giudicato.

La Suprema Corte, pertanto, in questo contesto, avrebbe dovuto:

- rilevare d'ufficio la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario;

- rilevare la nullità del processo;

- rimettere la causa al primo giudice, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 383, comma 3 e 354, comma 1, c.p.c., per l'integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte necessario pretermesso (Sez. Un. 16 febbraio 2009 n. 3678; conf. Cass. 14 settembre 2022 n. 27078, in tema di azione diretta ex art. 141 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 proposta dal danneggiato-trasportato nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo ospitante; Cass. 30 novembre 2021 n. 37566, in tema di azione diretta ex art. 149 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 proposta dal danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione del proprio veicolo; Cass. 3 agosto 2021 n. 22159, in tema di azione diretta ex art. 144 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 proposta dal danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo danneggiante; Cass. 7 gennaio 2021 n. 53, in tema di azione diretta ex art. 144 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 proposta dal danneggiato nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo danneggiante; Cass. 5 luglio 2019 n. 18203, in tema di azione diretta ex art. 149 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 proposta dal cessionario del credito nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo del danneggiato-cedente; è singolare rilevare che quest'ultimo processo si è svolto tra le stesse parti difese dagli stessi difensori della decisione in commento; Cass. 31 maggio 2019 n. 14887, proposta dal cessionario del credito nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo del danneggiato-cedente; conf., per quanto riguarda la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario in sede di appello, Cass. 28 settembre 2021 n. 26232, in tema di azione diretta ex art. 149 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 proposta dal cessionario del credito nei confronti dell'impresa di assicurazione del veicolo del danneggiato-cedente).

La decisione in commento, invece,per il resto è senz'altro condivisibile per le soluzioni prospettate in relazione alle questioni affrontate anche se apre un duplice inconsapevole contrasto all'interno della terza sezione civile della Suprema Corte.

La decisione è condivisibile per il rigetto dell'eccezione preliminare sollevata dall'impresa di assicurazione di inammissibilità del ricorso per violazione dei limiti fissati dall'articolo 339 c.p.c. che, in caso di controversie di scarso valore decise dal Giudice di Pace, consente l'appello per motivi limitati, anche se, sullo specifico punto, può integrarsi la motivazione della Suprema Corte.

Deve ritenersi, infatti, che:

- il limite introdotto dall'art. 339 c.p.c. vale in primo luogo per lo stesso giudizio di appello e in secondo luogo per il ricorso in cassazione avverso la sentenza di appello;

- il giudice di appello ha rilevato l'ammissibilità dell'appello in quanto l'appellante ha fatto riferimento ai principi regolatori della materia nella formulazione dei motivi di appello e, nel secondo motivo, anche alle norme costituzionali;

- l'impresa di assicurazione - se riteneva che il giudice di appello avesse esorbitato dai limiti dell'art. 339 c.p.c. - aveva l'onere di lamentare il vizio mediante rituale e tempestivo ricorso incidentale, non proposto nel caso esaminato, con conseguente giudicato interno sull'ammissibilità dell'appello;

- la questione concernente l'individuazione del danno risarcibile - e anche quella di quali siano le regole per provarlo - attiene, in ogni caso, ai principi informatori della materia, con quel che ne consegue in fatto di appellabilità.

La decisione è, altresì, condivisibile per la qualificazione del danno emergente relativo al costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo come danno conseguenza presunto e non in re ipsa.

Il dibattito tra danno in re ipsa e danno conseguenza è acceso da moltissimi anni.

Già all'inizio del secolo scorso si è assistiti alla vivace polemica tra Francesco Carnelutti, che - fornendo forse una delle prime definizioni del danno in re ipsa - identificava il danno nella semplice lesione di interesse (F. Carnelutti, Il danno e il reato, Padova, 1926, 14) e Francesco Antolisei, che, invece - fornendo una definizione ancora attualissima del danno conseguenza - distingueva tra “quel nocumento che è insito […] nel fatto illecito (nocumento al quale crediamo si addica la denominazione di “offesa”) e quel particolare pregiudizio che forma oggetto del risarcimento (le conseguenze nocive del fatto illecito) e che per noi costituisce il danno vero e proprio, il danno in senso tecnico” e concludeva che “Il danno, sia esso patrimoniale, sia esso morale, implica sempre un pregiudizio effettivo” (F. Antolisei, L'offesa e il danno nel reato, Bergamo, 1930, 16 e 56).

A distanza di sì tanti anni sempre più convincente appare la lezione che il grande penalista ha dato ai civilisti (F.D. Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Europa e dir. priv., fasc. 4, 2009, 909).

Il principio del danno conseguenza, infatti, è ancorato al dettato dell'art. 1223 c.c., applicabile anche in tema di responsabilità extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all'art. 2056 c.c., secondo cui il danno è una conseguenza dell'illecito (ovvero dell'inadempimento), ossia della lesione dell'interesse protetto, conseguenza riguardata dall'ordinamento sotto specie di “perdita” ovvero di “mancato guadagno”, collegati alla lesione dell'interesse protetto per il tramite del nesso di causalità (Cass. 25 gennaio 2017 n. 1931).

Il sistema fornisce una struttura dell'illecito “articolata negli elementi costituiti dalla condotta, dal nesso causale tra questa e l'evento dannoso, e dal danno che da quello consegue (danno-conseguenza)”, essendo l'evento dannoso rappresentato dalla “lesione dell'interesse protetto”.

Pertanto, quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza “che deve essere allegato e provato”; non è accettabile la tesi che identifica il danno con l'evento dannoso, ovvero come danno-evento, e parimenti da disattendere è la tesi che colloca il danno appunto in re ipsa, perché così “snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo” (Sez. Un. 11 novembre 2008 n. 26972 e succ. conformi).

Anche il danno presunto è concetto autonomo e distinto rispetto al danno in re ipsa.

Il danno presunto, infatti, richiede da parte del danneggiato una specifica allegazione e una prova anche solo presuntiva che è sempre suscettibile di essere superata da un'eventuale prova contraria.

Il danno in re ipsa, invece, non richiede alcuna allegazione da parte del danneggiato in quanto il diritto al risarcimento del danno sorge per il sol fatto del ricorrere di una determinata condizione (Cass. 30 agosto 2022 n. 25541, in tema di danno non patrimoniale per la morte di un congiunto).

Nel nostro ordinamento non esistono in linea generale danni in re ipsa (salvo quanto subito si dirà), risarcibili sol perché si dimostri l'avvenuta lesione d'un diritto.

La lesione del diritto, retta dalla causalità materiale, è il presupposto necessario, ma non sufficiente per pretendere il risarcimento del danno: ad esso dovrà necessariamente conseguire una perdita, patrimoniale o di altro tipo, retta dalla causalità giuridica.

I danni risarcibili, pertanto, sono solo quelli che consistono nelle perdite che sono conseguenza della lesione della situazione giuridica soggettiva e non quelli consistenti nell'evento lesivo in sé considerato (Sez. Un. 22 luglio 2015 n. 15350; Sez. Un. 11 gennaio 2008 n. 576).

L'insussistenza di un danno in re ipsa sussiste sia che esso derivi da reato, sia che sia contemplato come ristoro tipizzato dal legislatore (come in tema di equa riparazione per la durata irragionevole del processo e in tema di tutela della privacy), sia, infine, che derivi dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti (Cass. 13 novembre 2015 n. 23206; Cass. 18 novembre 2014 n. 24474; Cass. 15 luglio 2014 n. 16133).

La giurisprudenza di legittimità, però, talvolta, pare aver riconosciuto espressamente il danno in re ipsa, come (senza alcuna presunzione di esaustività o completezza) in tema di:

- violazione delle distanze legali tra costruzioni (Cass. 22 aprile 2022 n. 12865; Cass. 14 luglio 2022 n. 22277; Cass. 31 agosto 2018 n. 21501; Cass. 9 novembre 2020 n. 25082; Cass. 12 febbraio 2016, n. 2848);

- violazione di un diritto di esclusiva che spetta all'autore, ai sensi dell'art. 12 L. 22 aprile 1941 n. 633, analogamente a quella di un diritto assoluto o di un diritto personale (Cass. 22 giugno 2016 n. 12954);

- occupazione abusiva senza titolo di un immobile altrui (la questione è stata di recente rimessa alle Sezioni Unite da Cass. 17 gennaio 2022 n. 1162).

Più di un vero e proprio danno in re ipsa deve ritenersi che il nostro ordinamento ammette, semmai, che non già il danno, ma la sua prova sia per così dire in re ipsa e, cioè, goda di facilitazioni agganciate alla prova presuntiva e alle presunzioni semplici (artt. 2727 e 2729 c.c.), distinguendo tra conseguenze generalmente determinate, secondo l'id quod plerumque accidit, da una particolare lesione e conseguenze specificamente legate alla situazione del danneggiato (Cass. 25 gennaio 2017 n. 1931).

La decisione è, altresì, condivisibile per i principi affermati in tema di onere probatorio.

Il risarcimento del danno patrimoniale deve essere integrale e, cioè, deve comprendere tanto la perdita subita, quanto il mancato guadagno (art. 1223 c.c.).

Il danneggiante, pertanto, deve reintegrare il patrimonio del danneggiato ponendolo nello stesso stato in cui si sarebbe trovato senza l'evento dannoso nel rispetto (e in applicazione) del c.d. principio di indifferenza (Sez. Un. 29 gennaio 2021 n. 2143; Sez. Un. 29 gennaio 2021 n. 2142; Sez. Un. 28 gennaio 2021 n. 2061; Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12567; Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12566; Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12565; Sez. Un. 22 maggio 2018 n. 12564; Cass. 16 marzo 2018 n. 6619; Sez. Un. 29 gennaio 2001 n. 38).

Il veicolo, notoriamente, viene utilizzato per lavoro e/o per esigenze personali.

Le esigenze personali possono essere le più svariate e spaziano dal tempo libero alla necessità di spostamento per acquisto di beni di prima necessità, acquisto di medicinali, cure mediche, ecc.

Il proprietario, in caso di danneggiamento del proprio veicolo e per il tempo necessario per la sua riparazione (c.d. sosta tecnica), ha senz'altro diritto ad avere a disposizione altro veicolo sostitutivo similare per soddisfare le stesse esigenze (lavorative e/o personali) che la disponibilità del proprio veicolo gli garantivano.

Questo comporta che il danneggiato, nel caso di danneggiamento del proprio veicolo ad opera di terzi, ha diritto a noleggiare un veicolo sostitutivo e ottenere dal danneggiante e dalla sua impresa di assicurazione il risarcimento del relativo costo erogato.

A nulla rileva, sul punto, che l'art. 1227, comma 2, c.c. esclude la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

Ciò per vari ordini di motivi.

In primis in quanto il contegno del danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione forma oggetto di un'eccezione in senso stretto in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico posto a suo carico dalla legge quale espressione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede (Cass. 22 giugno 2022 n. 20142; Cass. 6 dicembre 2021 n. 38711; Cass. 23 settembre 2021 n. 25825; Cass. 10 febbraio 2021 n. 3310; Cass. 3 dicembre 2019 n. 31512; Cass. 17 settembre 2019 n. 23114; Cass. 19 luglio 2018 n. 19218; Cass. 27 luglio 2015 n. 15750; Cass. 2 marzo 2012 n. 3240; Cass. 25 maggio 2010 n. 12714; Cass. 10 novembre 2009 n. 23734).

Nel caso in esame, pertanto, è il debitore che ha il duplice onere di:

- formulare la relativa eccezione ritualmente e tempestivamente nel processo;

- provare i fatti su cui l'eccezione si fonda, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c. e, cioè, che il creditore non aveva alcuna necessità di servirsi del veicolo sostitutivo.

In secundis in quanto il limite all'esigibilità del comportamento, attivo o passivo, del creditore volto a limitare o ad evitare le conseguenze dannose, è costituito dalla “ordinaria” e non “straordinaria” diligenza, con la conseguenza che il creditore ha l'onere di salvaguardare l'utilità dell'altra parte esclusivamente nei limiti in cui ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a suo carico (Cass. 14 giugno 2021 n. 16743; Cass. 15 novembre 2017 n. 26973; Cass. 31 maggio 2016 n. 11230; Cass. 28 ottobre 2013 n. 24265; Cass. 11 ottobre 2012 n. 17329; Cass. 21 settembre 2012 n. 16076; Cass. 11 marzo 2010 n. 5862; Cass. 11 maggio 2005 n. 9898; Cass. 14 gennaio 1992 n. 320; Cass. 7 aprile 1983 n. 2468).

Nel caso in esame, pertanto, il creditore avrebbe potuto evitare il danno costituito dal costo, tra l'altro modesto, del noleggio del veicolo sostitutivo solo dietro perdita dell'utilità e/o disponibilità della res.

Pretendere, quindi, che il creditore faccia a meno dell'utilità del veicolo sostitutivo nel periodo di sosta tecnica del proprio veicolo danneggiato significa pretendere un sacrificio a suo carico che può ritenersi senz'altro apprezzabile.

In tertiis in quanto il concorso del danneggiato nella causazione o nell'aggravamento del danno esige comunque che la sua condotta sia stata colposa e, cioè, violativa di precetti legali, patti contrattuali o di regole di comune prudenza (Cass. 3 settembre 2019 n. 22015; Cass. 27 marzo 2018 n. 7515).

Nel caso in esame, pertanto, il comportamento del creditore, che nel periodo di sosta tecnica del proprio veicolo danneggiato noleggi un veicolo sostitutivo per trarne le stesse utilità che traeva dal proprio veicolo, non può ritenersi colpevole.

La Suprema Corte, pertanto, del tutto correttamente ha ritenuto che:

- il danno emergente relativo al costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo è un danno conseguenza che va allegato e provato;

- il danneggiato, a tal fine, deve “dimostrare di aver sostenuto la spesa per il noleggio quale conseguenza del danneggiamento del suo veicolo”;

- “Questa dimostrazione è sufficiente a provare il danno, poiché la relazione

causale tra il fermo ed il noleggio è presumibile, ossia è inducibile secondo le

normali regole del ragionamento presuntivo”;

- sostenere “che la spesa sostenuta per il noleggio è, presuntivamente, danno conseguente al fermo tecnico, non significa ammettere un danno in re ipsa, ma ammettere un danno presunto, che è altra cosa: dal fermo tecnico della vettura si induce, secondo regole di comune esperienza, che il danneggiato ha noleggiato altra vettura per rimediare al fermo tecnico della propria”;

- “la prova che le spese per il noleggio […] sono dovute al fermo tecnico, non consiste nella dimostrazione che il proprietario “avesse davvero necessità di servirsene”, ossia nella dimostrazione dell'uso della vettura sostitutiva, ma nella dimostrazione che quelle spese sono state rese necessarie dal danneggiamento del proprio veicolo, e questa dimostrazione può essere offerta per presunzioni, non necessariamente per esplicita prova”.

La decisione apre un duplice inconsapevole contrasto all'interno della terza sezione civile della Suprema Corte.

Il primo in relazione alla ritenuta inammissibilità del motivo di ricorso relativo alla prova del credito risarcitorio per il costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo, in un giudizio deciso secondo equità.

La Suprema Corte, infatti, in altro caso simile ove:

  • da un lato, il giudice di appello aveva ritenuto che il credito relativo al costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo non fosse stato adeguatamente provato come inerente a una conseguenza del sinistro, avendo ritenuto che la cessionaria del credito avrebbe dovuto dimostrare la necessità concreta del danneggiato-cedente di utilizzare un veicolo sostitutivo, non essendo sufficiente la dimostrazione dell'importo rappresentato nella fattura emessa;
  • dall'altro lato, il ricorrente aveva ritenuto “che tale onere probatorio non sia elemento costitutivo del danno patrimoniale e, in ogni caso, di averne fornito prova”;

ha deciso in maniera difforme rispetto alla decisione in commento in quanto ha rilevato che “Sotto tale ultimo aspetto, le critiche mosse dalla ricorrente sono volte a sollecitare una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità” e che “Oltretutto la questione non involge l'applicazione di principi regolatori della materia che potrebbero dar luogo a un intervento da parte del giudice di legittimità, rientrando nel giudizio di equità non sottoposto al sindacato di questa Corte” (Cass. 30 ottobre 2020 n. 24173).

Il secondo in relazione alla fondatezza del motivo di ricorso relativo alla prova del credito risarcitorio per il costo sostenuto per noleggiare un veicolo sostitutivo.

La Suprema Corte, infatti, in linea generale ha più volte affermato che:

  • “l'indisponibilità di un autoveicolo durante il tempo necessario per le riparazioni sia un danno che deve essere allegato e dimostrato; che la prova del danno non possa consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma che occorra fornire la prova della spesa sostenuta per procurarsi un mezzo sostitutivo ovvero della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mezzo” (Cass. 4 aprile 2019 n. 9348);
  • “la prova del danno non può consistere nella dimostrazione della mera indisponibilità del veicolo, ma deve consistere nella dimostrazione della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo, ovvero nella dimostrazione della perdita subita per avere dovuto rinunciare ai proventi ricavati dall'uso del mezzo” (Cass. 14 ottobre 2015 n. 20620; conf. Cass. 8 gennaio 2016 n. 124; Cass. 17 luglio 2015 n. 15089).

Secondo tale orientamento, seguito e meglio specificato nella decisione in commento, il danneggiato ha l'onere di provare che le spese sostenute per il noleggio del veicolo sostitutivo sono dovute al fermo tecnico del veicolo danneggiato e, quindi, che le stesse sono state rese necessarie dal danneggiamento del proprio veicolo e non anche che abbia avuto davvero necessità di servirsi di veicolo sostitutivo che, pertanto, gli fosse indispensabile ad evitare un pregiudizio economico.

La Suprema Corte, però, in altro caso simile, è stata di contrario avviso e ha ritenuto che “l'art. 1227, comma 2, c.c., esclude la risarcibilità dei danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. L'”ordinaria diligenza” di cui è menzione nell'art. 1227 comma 2 c.c., è quella del bonus paterfamilias, e qualunque bonus paterfamilias deve presumersi che si astenga dal sostenere spese inutili, secondo una massima d'esperienza bimillenaria, (paterfamilias vendacem, non emacem esse oportet, ammoniva già M. Porcio Catone, De re rustica, I, 2). Sostenere una spesa inutile è quindi una condotta contraria all'ordinaria diligenza di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. Noleggiare un autoveicolo senza averne la necessità è certamente una spesa inutile, e come tale irrisarcibile ai sensi dell'art. 1227 comma 2, c.c. Resta solo da aggiungere che una spesa sostenuta per procacciarsi un bene patrimoniale non cessa di essere inutile, sol perché attraverso quella il danneggiato abbia inteso non già realizzare un lucro od evitare una maggiore perdita, ma appagare una necessità non patrimoniale. In tal caso, infatti, la spesa sarebbe stata sostenuta per evitare un pregiudizio non patrimoniale, irrisarcibile quando il fatto illecito non abbia leso interessi della persona costituzionalmente garantiti: e certamente tra questi non rientra l'interesse a disporre d'un autoveicolo.

Erra, pertanto, la società ricorrente là dove ascrive al Tribunale di Trento di avere preteso di esercitare un “inammissibile sindacato circa le ragioni che hanno indotto il soggetto leso” a voler disporre di una autovettura. Quel sindacato era infatti esattamente quanto esigeva dal giudicante il combinato disposto degli artt. 1223 e 1227 c.c.” (Cass. 27 agosto 2020 n. 17897).

Secondo tale diverso orientamento, pertanto, il danneggiato ha l'onere di provare non soltanto che le spese sostenute per il noleggio del veicolo sostitutivo sono dovute al fermo tecnico del veicolo danneggiato e, quindi, che le stesse sono state rese necessarie dal danneggiamento del proprio veicolo, ma anche che abbia avuto davvero necessità di servirsi di veicolo sostitutivo che, pertanto, gli fosse indispensabile ad evitare un pregiudizio economico.

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