Se la Cassazione penale annulla i capi civili della sentenza, la domanda risarcitoria come va decisa?

Enrico Basso
17 Ottobre 2022

A seguito di annullamento dei capi civili in sede penale e rinvio ex art. 622 c.p.p., il processo d'appello instaurato innanzi al giudice civile è una prosecuzione stricto iure del rito penale o costituisce un giudizio civile del tutto a sè stante?
Massima

Quando la Corte di cassazione penale, annullando i capi civilistici della sentenza impugnata o accogliendo il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell'imputato, rinvia al giudice civile competente in grado di appello ai sensi dell'art. 622 c.p.p., si instaura un procedimento autonomo - benché sui generis - nel quale il giudice del rinvio deve applicare le regole processuali e probatorie proprie del giudizio civile, inclusa quella che impone la ricostruzione del nesso eziologico tra condotta ed evento di danno in termini di “più probabile che non” (cioè, con un minor grado di certezza rispetto al canone penalistico dell'aldilà di ogni ragionevole dubbio”).

Il Caso

Tizio ha un malore e viene ricoverato presso il locale Pronto Soccorso, dove il Dr. Caio, dopo averlo visitato, sbaglia diagnosi e terapia.

Purtroppo, Tizio muore, e il Dr. Caio è sottoposto a giudizio penale per omicidio colposo; gli eredi di Tizio si costituiscono parte civile, ma il Dr. Caio viene assolto sia in primo che in secondo grado, ritenendosi mancante il nesso causale tra la condotta colposa del Dr. Caio e la morte di Tizio.

Gli eredi di Tizio propongono allora ricorso per cassazione avverso i capi civili della sentenza. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, annulla la sentenza della Corte d'Appello penale per illogicità della motivazione, rinviando la causa avanti al giudice civile, ai sensi dell'art. 622 c.p.p.

Riassunta la causa innanzi alla competente Corte d'Appello civile, gli eredi di Tizio si vedono riconoscere e liquidare il danno da perdita del rapporto parentale. Il Dr. Caio ricorre allora per cassazione, dolendosi del fatto che il giudice del rinvio avesse applicato le regole di causalità tipiche del giudizio civile, anziché quelle del giudizio penale.

La questione

Il giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. innanzi al giudice d'appello civile è una prosecuzione stricto iure di quello penale o è un giudizio civile a tutti gli effetti?

Le soluzioni giuridiche

La questione relativa alla natura del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. innanzi al giudice civile competente in grado di appello è stata affrontata, fino a un passato abbastanza recente, in modo assai diverso dalle sezioni penali e dalle sezioni civili della Corte di Cassazione.

In sostanza, l'art. 622 c.p.p. disciplina le ipotesi in cui la Corte di Cassazione penale annulli, su ricorso dell'imputato, i soli capi civili della sentenza di condanna, ovvero in cui accolga il ricorso della parte civile avverso la sentenza di proscioglimento (beninteso, ai soli fini della responsabilità civile).

In queste ipotesi, la Cassazione annulla con rinvio al giudice civile competente in grado di appello; ma il giudizio di rinvio è una prosecuzione del processo penale, o è un nuovo giudizio civile per responsabilità aquiliana, con tutte le sue regole?

La posizione assunta, fino a tempi abbastanza recenti, da una certa parte della giurisprudenza penale di legittimità è ben riassunta in Cass. pen., sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 45786, ove si legge, in parte motiva: “l'impugnata sentenza va annullata con rinvio, ex art. 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado d'appello, che è tenuto a valutare la sussistenza della responsabilità dell'imputato secondo i parametri del diritto penale e non facendo applicazione di regole proprie del diritto civile” (in senso conforme, v. anche Cass. pen., sez. IV, 16 novembre 2018, n. 412).

Quest'orientamento, in pratica, rivendica il potere della Cassazione penale di (im)porre al giudice civile del rinvio vincoli relativi all'applicazione di regole probatorie penalistiche nella prosecuzione del giudizio, di fatto sostenendo una diversità dell'azione civile esercitata nel processo penale rispetto all'azione civile "ordinaria"; differenza basata – sintetizzando all'estremo – sul fatto che il buon esito della prima presuppone sempre e comunque l'accertamento della sussistenza del reato.

Per converso, le sezioni civili del Supremo Collegio non sono affatto inclini a considerare il giudizio civile di rinvio ex art. 622 c.p.p. come una prosecuzione di quello penale, ritenendolo, piuttosto, un procedimento autonomo sia sul piano morfologico che su quello funzionale; talché, potrebbe parlarsi solo formalmente di "prosecuzione" del giudizio.

E ciò in quanto, una volta formatosi il giudicato agli effetti penali, la fase penale del giudizio si esaurisce definitivamente, così venendo meno la ragione stessa di attrazione dell'illecito civile nell'ambito delle regole della responsabilità penale.

Si dissolverebbero, in altri termini, le ragioni che avevano originariamente giustificato, a seguito della libera scelta della persona offesa dal reato di costituirsi parte civile, il "sacrificio" dell'azione civile ordinaria alle ragioni dell'accertamento penale; e, venute meno tali ragioni, la domanda risarcitoria non potrebbe che essere esaminata secondo le regole proprie dell'illecito aquiliano, senza che il giudice (penale) remittente possa imporre al giudice (civile) del rinvio l'osservanza di principi di diritto non civilistici.

La sentenza oggi in commento si colloca sul solco dell'orientamento espresso dalle sezioni civili, in particolare con la fondamentale sentenza Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2019, n. 15859, che individua la ratio dell'art. 622 c.p.p. proprio nell'esigenza di far cessare la giurisdizione del giudice penale qualora l'accertamento penalistico debba ritenersi definitivamente compiuto, onde il giudizio di rinvio davanti al giudice civile possa celebrarsi secondo le regole (anche probatorie) proprie del processo civile, derogando alla regola, enunciata dall'art. 573 c.p.p., secondo cui l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale.

Orientamento che, in verità, sembra essere stato recepito in tempi recenti anche dalle Sezioni Unite penali (v. Cass. pen. sez. un., 28 gennaio 2021, n. 22065).

Logicamente, in tale prospettiva, lo “switch” da un giudizio regolato da principi sostanziali e processuali di matrice penale a un giudizio di natura prettamente civile deve consentire - fermo il divieto dei nova (che caratterizza, comunque, ogni giudizio di rinvio) - la possibilità di “ricalibrare” la domanda originariamente proposta in sede di costituzione di parte civile.

Conseguentemente, al danneggiato dovrà essere consentito di prospettare i medesimi fatti non più sotto il profilo del reato, ormai definitivamente escluso, ma sotto quello, potenzialmente diverso, dell'illecito aquiliano.

Così, ad esempio, nel caso di delitto doloso dovrà ammettersi l'emendatio libelli in ordine all'elemento soggettivo, permettendo al danneggiato di riconsiderare i fatti nell'ottica della colpa, che ben potrebbe rilevare in un contesto di responsabilità extracontrattuale.

Sempre in quest'ottica, nel giudizio di rinvio andrà applicata la disciplina probatoria tipica del processo civile.

Così, per affermare la responsabilità del convenuto, non potranno essere utilizzate prove che, seppur legittimamente acquisite nel processo penale, contrastino con i principi di quello civile: un esempio per tutti potrebbe essere quello della testimonianza della parte civile, categoricamente preclusa dall'art. 246 c.p.c.

E, poiché nel giudizio civile di risarcimento del danno extracontrattuale il danneggiato ha l'onere di provare la condotta dannosa, il verificarsi del danno e il nesso causale tra la prima e il secondo, anche quest'ultimo andrà considerato in un'ottica civilistica e, cioè, di compatibilità con il principio del “più probabile che non”, anziché “dell'alto grado di probabilità logica e di credenza razionale”: principio assai più stringente, quest'ultimo, perché posto a presidio di interessi costituzionali assai più delicati (in primis la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27 comma 2, Cost.) di quelli che entrano in gioco nel contesto dell'azione risarcitoria.

Osservazioni

L'avvallo dato dalle sezioni unite penali, nel 2021, all'orientamento espresso dalla III sezione civile in merito alla natura del giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. “taglia la testa al toro”: inizia un processo civile tout court.

Di questo dovrebbe tener conto chiunque, danneggiato dal reato, si accinga ad esercitare l'azione risarcitoria in sede penale: in realtà, non è affatto detto che, alla fine, non sia il giudice civile a decidere.

In questa prospettiva, in sede di redazione dell'atto di costituzione di parte civile, mi parrebbe opportuno curare l'esposizione della causa petendi e del petitum con una logica in qualche modo “civilistica”, che possa consentire, ove necessario, di “correggere il tiro” davanti al giudice civile in termini di semplice emendatio libelli, senza necessità di nuove allegazioni e prospettazioni in fatto e diritto che finirebbero per costituire una inammissibile mutatio libelli.

I penalisti sono avvisati…

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.