Mancanza dei requisiti nella richiesta ex art. 148 cod. ass. e proponibilità della domanda giudiziale

Gianluca Cascella
24 Novembre 2022

Il mancato rispetto delle prescrizioni dettate dall'art. 148 cod. ass. inficia la proponibilità della domanda giudiziale e, in caso di risposta affermativa, in quale misura incide la condotta dell'impresa assicuratrice?
Massima

La richiesta risarcitoria prevista dall'art. 148 del Codice delle Assicurazioni private carente dei requisiti previsti dalla norma predetta non rende automaticamente improponibile la successiva domanda risarcitoria del danneggiato allorquando si tratti del difetto di requisiti che non impediscano alla impresa assicuratrice di stimare il danno e formulare l'offerta risarcitoria (ovvero opporre motivato diniego alla stessa); anche nel caso in cui sussista carenza di requisiti che, al contrario, non consentano all'assicuratore di stimare il danno e formulare l'offerta risarcitoria (ovvero opporre motivato diniego alla stessa) tale carenza non rende improponibile la successiva domanda risarcitoria del danneggiato nel caso in cui l'impresa assicuratrice, di fronte a tale difetto, non abbia richiesto tempestivamente, nel rispetto del termine di giorni 30 previsto dal comma 5 dell'art. 148 predetto, la integrazione degli elementi ritenuti carenti, di guisa che la mancata tempestiva richiesta sana il difetto dei requisiti mancanti e non incide sulla proponibilità della domanda.

Il caso

In primo grado Tizia agiva dinanzi al Giudice di Pace di Marano di Napoli per conseguire il risarcimento dei danni riportati in un sinistro stradale: la relativa domanda venne dichiarata improponibile ex art. 148 dal giudice onorario, sul rilievo che: I) nella fattispecie doveva trovare applicazione il testo dell'art. 148, comma 1, cod. ass. precedente le modifiche introdotte dal D.L. N. 1 del 24 gennaio 2012 (conv. in L. 24 marzo 2012 n. 27); II) il testo in questione onerava il danneggiato- a pena di improponibilità della successiva domanda risarcitoria – di allegare alla richiesta risarcitoria il modulo di denuncia di sinistro previsto dall'art. 143 cod. ass; III) in conseguenza di tale mancanza, la domanda venne ritenuta improponibile, a nulla rilevando che l'assicuratore, pur in presenza di un richiesta risarcitoria carente dell'allegazione di tale documento, avesse omesso di richiedere al danneggiato di integrare la documentazione.

A seguito dell'appello della danneggiata, il Tribunale di Napoli Nord rigettava la proposta impugnazione, condividendo le argomentazioni del Giudice di pace.

La danneggiata/ appellante impugnava in Cassazione la decisione del Tribunale di Napoli Nord con due motivi, attraverso i quali venivano sottoposte all'attenzione della Corte le seguenti censure : I) nullità della decisione perché viziata da motivazione apparente; II) l'omessa richiesta di integrazione elementi da parte dell'assicuratore rende comunque proponibile la domanda; III) irrilevanza del documento non allegato al fine della formulazione dell'offerta; IV) ove si ritenesse la norma di interpretazione incerta, la stessa non poteva che essere interpretata secundum constitutionem, e quindi in favore del danneggiato, evitando compressioni e/o limitazioni al suo diritto alla difesa.

La questione

Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, due erano le questioni che venivano all'attenzione della Corte:

I) la prima, se una richiesta non rispettosa delle prescrizioni dettate dall'art. 148 del Codice delle Assicurazioni, potesse comunque far ritenere proponibile la domanda, ed in caso di risposta affermativa, quali erano le condizioni che consentivano di superare il mancato rispetto dei requisiti richiesti dalla norma predetta;

II) la seconda, se il mancato rispetto delle prescrizioni dettate dalla norma citata, in ipotesi di loro indispensabilità, potesse venire reso ininfluente dalla condotta della impresa assicuratrice, rivelandosi pertanto privo di effetti sulla proponibilità della domanda risarcitoria proposta dal danneggiato.

Le soluzioni giuridiche

Va premesso che, nel caso di specie, la successiva modifica dell'art. 148, che aveva eliminato l'obbligo per il danneggiato di allegare alla richiesta risarcitoria la denuncia di sinistro di cui all'art. 143 del predetto Codice, risultava irrilevante dovendosi avere riguardo alla norma in vigore all'epoca dei fatti di causa al fine di stabilire se poteva dirsi sussistente o meno la condizione di procedibilità/proponibilità.

Ebbene, al primo quesito, la Corte ha risposto affermando che, anche nel caso in cui risulti preceduta da una richiesta stragiudiziale non conforme alle prescrizioni dell'articolo 148 codice delle assicurazioni, l'azione diretta proposta dalla vittima di sinistro stradale verso l'assicuratore r.c.a. deve ritenersi proponibile ove, nonostante il difetto di conformità, l'assicuratore sia stato comunque in grado di stimare il danno e formulare l'offerta.

A tale soluzione la Corte è pervenuta applicando il criterio ermeneutico c.d. <teleologico>, per il quale le norme devono essere interpretate in conformità del loro scopo, di guisa che, ove comunque nel caso concreto lo scopo avuto di mira risulti raggiunto, avendo l'Assicuratore, comunque, stimato il danno e formulato l'offerta, ovvero opponendo un motivato diniego della stessa, è evidente che la carenza di elementi non ha impedito all'Assicuratore di adempiere agli obblighi previsti a suo carico dal d.lgs. n. 209/2005.

In tal modo, la S.C. ha mostrato di condividere quelle opinioni dottrinali – formatesi nella vigenza dell'originario art. 3, d.l. n. 857/1976 e successive modifiche ed integrazioni, che poi, come è noto, è stato trasfuso con modifiche, nel d.lgs n. 209/2005 – per le quali il legislatore ha fissato un contenuto minimo e non tassativo degli elementi che il danneggiato è chiamato a mettere a disposizione dell'assicuratore con la richiesta risarcitoria, per cui solo esaminando in concreto il contenuto della richiesta risarcitoria si potrà stabilire se l'assicuratore sia stato effettivamente messo – oppure no- in condizione di stimare i danni e formulare un'offerta, ovvero un motivato diniego di essa (G. GIANNINI, L'assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti, Milano, 1988, p. 346; L. MANDO', Rilievi sulla procedura ex art. 3, l. n. 39 del 1987 in tema di assicurazione r.c.a., in Giur. it., 1988, 870).

Rispondendo al secondo quesito, la Cassazione ha affermato che, pur in presenza di difformità nella richiesta che non consentano all'assicuratore di stimare il danno e formulare l'offerta risarcitoria, la domanda è comunque proponibile di fronte all'inerzia dell'assicuratore, che non abbia tempestivamente esercitato la facoltà di chiedere l'integrazione della richiesta risarcitoria, così come previsto dal comma 5 dell'art. 148 Codice Ass.ni.

Al riguardo, infatti, i giudici di legittimità hanno affermato che sarebbe contrario ai principi di correttezza e buona fede, ai quali risulta ispirato il procedimento disciplinato dall'art. 148, d.lgs n. 209/2005, se l'Assicuratore, pur avendo omesso di richiedere al danneggiato la integrazione degli elementi, potesse poi legittimamente eccepire la improponibilità della domanda per mancanza dei requisiti medesimi.

Tale approdo risulta in linea di assoluta continuità con il consolidato orientamento della S.C., per la quale, divenendo l'Assicuratore il contraddittore primario del danneggiato nel giudizio di accertamento e liquidazione del danno (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 1984, n. 2996), deve conformare la propria condotta ai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1991, n. 2503).

Quale ulteriore sostegno alla soluzione fornita, la S.C. ha aggiunto che la mancata richiesta di integrazione elementi, non sospendendo i termini per la formulazione dell'offerta, rende la domanda proponibile in quanto il decorso dei termini esaurisce lo spatium deliberandi assegnato all'Impresa.

Condivisibile, pertanto, è il principio che da tale affermazione si ricava, ovvero che, anche nel caso di carenza di elementi effettivamente idonei ad incidere sulla proponibilità della domanda, la condotta dell'Assicuratore ben può, per facta concludentia, rendere priva di effetti tale mancanza.

Osservazioni

Sullo sfondo della vicenda (anzi, non solo sullo sfondo, quanto e soprattutto nel suo concreto dipanarsi) aleggia il richiamo che i giudici di legittimità formulano ai principi di correttezza e buona fede, ai quali – come la S.C. non ha mancato di sottolineare – il subprocedimento previsto dall'art. 148 risulta indiscutibilmente ispirato.

Infatti, l'aver pacificamente affermato la S.C. - anche nella decisione qui commentata - che, in sostanza, il procedimento previsto dall'art. 148 cod. ass. rappresenta l'applicazione, in un settore particolare, quale quello del diritto delle assicurazioni, dei principi generali dettati dagli art. 1175 e 1375 c.c., comporta che, in virtù di tale ormai consolidato approdo, indubbiamente gravino, a carico delle parti, specifici obblighi di condotta, la cui eventuale inosservanza è suscettibile di produrre determinate conseguenze, per ciascuno di essi.

Al riguardo, affermano i giudici di legittimità che, se ai sensi dell'art. 1176 c.c. grava sul debitore l'obbligo di puntuale adempimento della propria obbligazione, per converso, ai sensi dell'art. 1175 c.c. il creditore della prestazione è gravato da un obbligo ugualmente cogente, non potendosi sottrarre alla necessaria collaborazione con il debitore onde permettere a quest'ultimo di adempiere nel modo più agevole possibile, sia evitando di aggravare senza motivo e senza una concreta utilità la posizione del debitore; sia tollerando eventuali e trascurabili divergenze, rispetto a quanto previsto, nella prestazione concretamente eseguita dal debitore, ove le stesse non siano in grado di causare ad esso creditore un sacrificio non irrilevante (Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2021, n. 7409).

Ben si comprende, allora, perché in dottrina, nel sottolinearsi la sostanziale equivalenza tra correttezza e buona fede, si sia affermato che il dovere di correttezza risulta violato non solo con una condotta volontariamente indirizzata a provocare un danno a terzi, ma anche nel caso in cui la condotta di un soggetto diverga dal doveroso rispetto del senso di solidarietà sociale (P. STANZIONE, Manuale di Diritto Privato, Torino, 1° ed., 2006, p. 536); a tale affermazione, il richiamato autore perviene sul rilievo che, essendo sostanzialmente identico il contenuto delle norme degli artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 c.c., il dovere di correttezza costituisce il richiamo, nell'ambito delle obbligazioni, di una medesima regola che, in quanto espressione del principio costituzionale di solidarietà dettato dall'art. 2 della Costituzione, governa l'intero campo del diritto privato e, conseguentemente, ogni rapporto/relazione in possesso di rilevanza per il diritto (P. STANZIONE, op. loc. cit.)

Allora, il monito che la S.C. rivolge ad Assicuratore e danneggiato risulta di estrema chiarezza e pari comprensibilità, ove si tenga presente la ricostruzione sistematica che, anche con recente decisione, i giudici di legittimità hanno fornito della buona fede o correttezza oggettiva.

Per la Cassazione, infatti, essa innanzitutto costituisce regola di comportamento, quale dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost., che trova applicazione anche a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonchè volto alla salvaguardia dell'utilità altrui nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2021, n. 9200).

Inoltre, e non di meno, essa viene in rilievo anche quale criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte - altra e diversa anche quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c - di integrazione del comportamento dovuto, imponendo di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2021, n. 9200).

Danneggiato ed Assicuratore, pertanto, in ossequio ai richiamati principi di correttezza e buona fede, sono tenuti a specifici doveri di trasparenza, disclosure e comportamento, il cui rispetto va verificato nel caso concreto, dato che, come afferma la giurisprudenza di legittimità, l'impegno imposto dall'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza deve essere rapportato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2007, n. 22860).

Su tali premesse, ne consegue allora che l'assicurato non può dolersi di una contestazione in giudizio dell'improponibilità della sua domanda risarcitoria nel caso in cui la richiesta stragiudiziale manchi dei requisiti indispensabili (si pensi, ad esempio, ad una richiesta di ristoro dei danni da perdita di capacità lavorativa specifica non supportata dalla necessaria allegazione della dichiarazione dei redditi); questo, ovviamente nel caso in cui di tali elementi l'assicuratore ne abbia fatto tempestiva richiesta (con modalità idonee a documentare la ricezione) di integrazione, ex art. 148, comma 5 c.p.c., e tale richiesta sia rimasta ingiustificatamente inevasa da parte del danneggiato.

Un comportamento del genere, per la S.C., è contrario ai principi di correttezza e buona fede, e merita di essere sanzionato con la declaratoria di improponibilità della domanda risarcitoria (in tal senso, Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 2018, n. 1829), e si tratta di orientamento assolutamente condivisibile, atteso che, in un caso del genere, non può ritenersi consentito, al danneggiato, di trarre vantaggio dall'inadempimento di specifici obblighi posti a suo carico dal d.lgs n. 209/2005.

Al tempo stesso, e non di meno, anche l'assicuratore deve essere ben consapevole che non può, verosimilmente, pensare di conseguire un vantaggio processuale da una propria condotta non solo inerte, quanto e soprattutto, integrante un indiscutibile inadempimento ad uno specifico dovere posto a suo carico da quel medesimo corpus normativo la cui violazione, singolarmente, l'assicuratore contesta all'assicurato, poiché anche questa condotta è da ritenersi contraria ai doveri di correttezza e buona fede, e non solo, poiché appare verosimilmente ravvisabile anche una analogia - quantomeno in termini di ratio e sub specie analogia iuris - anche con il meccanismo previsto dal terzo comma dell'art. 157 c.p.c., norma secondo cui la nullità non può essere invocata dalla parte che vi ha dato causa, oltre che da quella che vi ha tacitamente rinunciato.

Il paragone con il meccanismo previsto dall'art. 148 Cod.Ass.ni non appare affatto inverosimile, ove si tenga presente che, se effettivamente in presenza di una richiesta risarcitoria stragiudiziale carente di requisiti da ritenersi indispensabili ai fini della stima del danno e della formulazione dell'offerta (ovvero del motivato diniego di essa) sussista un vizio della medesima, la mancata tempestiva richiesta di integrazione elementi, da parte dell'assicuratore, in sostanza, appare integrare quantomeno una tacita rinuncia a far valere detto vizio.

A tanto consegue che, in presenza di una simile inerzia dell'assicuratore, effettivamente non appare fuori luogo ritenere che, la successiva contestazione in giudizio, da parte dell'assicuratore, dell'improponibilità della domanda, risulti contraria ai doveri di correttezza e buona fede, e verosimilmente anche al principio per il quale nemo potest venire contra factum proprium.

Invero, la giurisprudenza da tempo riconosce la vigenza, nel sistema giuridico, di un principio generale di divieto di abuso del diritto, inteso come categoria diffusa nella quale rientra ogni ipotesi in cui un diritto cessa di ricevere tutela, poiché esercitato al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge (T.A.R. Roma, sez. II, 8 gennaio 2021, n. 257, in Foro Amministrativo (Il) 2021, 1, 154).

Infatti, il dovere di buona fede e correttezza, di cui agli artt. 1175, 1336, 1337 e 1375 c.c. alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall'art. 2, Cost., si pone non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell'ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.

Espressione dell'abusivo esercizio di un potere, anche processuale, quale è quello di dedurre argomenti difensivi per formulare eccezioni di merito, è proprio la sua contraddittorietà con precedenti comportamenti tenuti dal medesimo soggetto, in violazione del divieto generale di venire contra factum proprium (T.A.R. Roma, sez. II, 8 gennaio 2021, n. 257, cit.).

Noto, al riguardo, è l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “La exceptio doli generalis seu praesentis indica il dolo attuale, commesso al momento in cui viene intentata l'azione nel processo, e costituisce un rimedio di carattere generale, utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate, il quale è diretto a precludere l'esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall'ordinamento, paralizzando l'efficacia dell'atto che ne costituisce la fonte o giustificando il rigetto della domanda giudiziale fondata sul medesimo, ogni qualvolta l'attore abbia sottaciuto situazioni sopravvenute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero abbia avanzato richieste di pagamento prima facie abusive o fraudolente, o ancora abbia contravvenuto al divieto di venire contra factum proprium” (Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5273).

Orientamento, questo, pienamente condiviso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui il divieto – argomentabile e desumibile dall'art. 1175 c.c. – di venire contra factum proprium, impone ai soggetti giuridici l'obbligo di coerenza ed esclude la possibilità di invocare la tutela giuridica, quando essa si ponga in contrasto con comportamento in antecedenza tenuto da colui che la richiede (Trib. Torino, 2 febbraio 2015, in IlCaso.it.) in quanto il brocardo “nemo potest venire contra factum proprium valorizza i comportamenti coerenti e non contraddittori; è incontestabile, allora, che la parte che intende far valere un diritto non deve porsi in contraddizione con un comportamento da essa stessa assunto in precedenza (Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 2009, n. 460).

In definitiva, è il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede che, in relazione alle circostanze del caso concreto, risulta suscettibile di determinare la proponibilità ovvero la improponibilità della domanda risarcitoria in materia di danni da circolazione stradale, e tanto appare di peculiare importanza, ove si guardi ai principi che hanno ispirato il Codice delle Assicurazioni private, che succedendo alla l. 990/69 rappresenta, in sostanza, il modello ispiratore di ogni ipotesi legislativa di assicurazione obbligatoria ex lege, in grado di ispirare, con esiti non sempre felici, anche altri modelli e settori.

Anche con la pronuncia qui commentata, pertanto, trova piena conferma il riconoscimento, da parte della S.C., della importanza che possiede il meccanismo di cui agli artt. 145, 148 e 149 del d.lgs n. 209/2005 per il perseguimento delle finalità avute di mira dal legislatore, e tanto trova una indubbia conferma nelle decisioni delle Corte Costituzionale, oltre che nelle affermazioni della dottrina.

Quanto alla prima, infatti, occorre rilevare che anche la Corte Costituzionale si era espressa nei medesimi termini, con una notissima decisione, rilevando come i requisiti formali previsti dall'art. 148 del Codice mirano proprio a spingere (se non a costringere addirittura, ad avviso di chi scrive) assicuratore e danneggiato a collaborare per definire la potenziale lite prima di arrivare dinanzi ad un giudice (Corte Cost. 3 maggio 2012, n. 111, in Foro it., Rep. 2012, voce Assicurazione (contratto), n. 167).

Quanto alla seconda, va rilevato innanzitutto come si sia sottolineato che “la storia dell'assicurazione della responsabilità civile e le recenti novità normative del mercato sono lo specchio di quanto il contratto di assicurazione, nella sua funzione di strumento di copertura dei rischi, segua l'evolversi della società, della tecnologia, dei costumi, delle umane necessità”(S. LANDINI, L'assicurazione della responsabilità civile, in Le assicurazioni, Trattato di Diritto Civile e Commerciale Cicu-Messineo, già diretto da L. Mengoni e P. Schlesinger, continuato da V. Roppo e F. Anelli, Milano, 2021, p. 82); su tale premessa, si è conseguentemente affermato che il meccanismo delineato dagli artt. 145, 148 e 149 del Codice delle Assicurazioni private risulta finalizzato a “rafforzare le possibilità di difesa offerte al danneggiato, attraverso il raccordo dell'onere di diligenza, a suo carico, con l'obbligo di cooperazione imposto all'assicuratore”(S. LANDINI, op. cit., p. 94); ricostruzione, questa, condivisa da altra opinione, secondo cui la finalità perseguita dal legislatore con la introduzione del meccanismo previsto dal Codice delle Assicurazioni è indiscutibilmente quella di anticipare il momento della definizione delle controversie alla fase stragiudiziale, evitando l'aggravio del contenzioso, a maggiore ragione allorquando si tratti di liti di scarso valore economico (sostanzialmente bagatellari) che, se pervenissero sui ruoli dei giudici, finirebbero per ingolfarli inutilmente (S. ARGINE, L'auspicio di maggiore collaborazione fra danneggiato ed assicuratore in ambito r.c. auto, in Resp. Civ. e Prev., 2013, 2036); con un effetto, pertanto, ad avviso di chi scrive, totalmente inutile per i danneggiati, che da tale situazione, verosimilmente, non riceverebbero alcun particolare beneficio.

In conclusione, appare evidente che, nel risolvere la controversia, la S.C. abbia delineato principi molto chiari, ed altrettanto evidente appare, ad avviso di scrive, che i suddetti risultano meritevoli di essere tenuti nella doverosa considerazione, dai danneggiati non meno che dagli assicuratori, al peculiare scopo di rendere effettiva e fruttuosa quella collaborazione tra le parti che ispira il Codice delle Assicurazioni; collaborazione che, se concretamente realizzata, ben potrebbe portare agli auspicati vantaggi per tutti gli attori della vicenda, quali riduzione dei costi dei sinistri, dei premi assicurativi non meno che dei tempi dei processi, nonchè– last but not least – garantire il rispetto del principio dell'integrale risarcimento del danno, evitando fenomeni sia di undercompensation, sia, all'opposto, di overcompensation, entrambi deleteri per la tenuta del sistema.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.