Differenze tra recesso del socio da s.r.l. e trasferimento della partecipazione societaria
15 Dicembre 2022
Massima
Il recesso del socio da s.r.l. non è assimilabile alla cessione per atto tra vivi della quota di partecipazione al capitale di tale tipo di società. Nel caso di recesso del socio, il rapporto derivante dalla manifestazione di volontà del socio di esercitare il diritto di recesso a lui attribuito dallo statuto e in ogni caso dalla legge (art. 2473 c.c., comma 1, secondo periodo) è solo fra società e socio recedente anche quanto alle conseguenze patrimoniali della sua manifestazione di volontà alla società rivolta.
Nel caso di cessione a terzi per atto tra vivi della quota di partecipazione al capitale di società a responsabilità limitata (art. 2469 c.c.), il relativo contratto, cui la società è estranea, è valido e efficace fra le relative parti indipendentemente dal suo deposito presso il registro delle imprese, necessario solo per rendere il trasferimento efficace anche nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi (art. 2470 c.c.). Il caso
La questione riguarda essenzialmente le società "A S.r.l.” (socia di “B S.r.l.”, che ha ceduto la propria partecipazione in questa società); “B S.r.l.” e “C S.r.l.”; società, quest'ultima, con la quale “B S.r.l.” ha sottoscritto un atto transattivo (successivamente alla cessione della partecipazione da parte di “A S.r.l.”) in esecuzione del quale la stessa “B S.r.l.” ha incassato una ingente somma di denaro (non tenuta in considerazione nel prezzo di cessione). La società “A S.r.l.”, essendo venuta a conoscenza dell'incasso da parte di “B S.r.l.” della suddetta somma a seguito del perfezionamento della transazione, ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Milano, Sezione distaccata di Cassano d'Adda, decreto con il quale è stato ingiunto a “B S.r.l.” di pagare alla ricorrente “A S.r.l.” la propria quota della sopra indicata sopravvenienza attiva del patrimonio della medesima “B S.r.l.”, non prevista nel bilancio in base al quale era stato determinato il prezzo di cessione della partecipazione in quest'ultima società. “B S.r.l.”, a sua volta, ha proposto opposizione contro tale decreto ingiuntivo, rigettata dai giudici di primo grado con sentenza emessa il 5 maggio 2012, ma accolta dalla Corte d'Appello di Milano che, con sentenza emessa il 25 agosto 2015, ha respinto la domanda di condanna proposta in via monitoria revocando conseguentemente il decreto ingiuntivo emesso. In particolare, per i giudici di secondo grado lombardi, non è possibile individuare una ragione giuridicamente valida in base alla quale “A S.r.l.” possa vantare pretese (anche risarcitorie) nei confronti della società “B S.r.l.” inerenti alla determinazione del prezzo di vendita delle quote per la sopravvenienza attiva del patrimonio di “B S.r.l.” conseguente dalla transazione con “C S.r.l.”; ciò anche perché “B S.r.l.” era estranea al contratto di cessione delle quote. Relativamente al rapporto tra socio (“A S.r.l.”) e società (“B S.r.l.”), si è in presenza di un contratto di cessione di partecipazione sociale e non di un recesso del socio dalla società (art. 2473 c.c.) determinante il diritto del socio uscente a ottenere dalla società la liquidazione del valore della quota in proporzione del patrimonio sociale. Tale decisione è stata impugnata dinanzi ai giudici di legittimità da uno dei soci della “A S.r.l.” (nel frattempo posta in liquidazione e successivamente estinta, con conseguente cancellazione dal registro delle imprese) per vari motivi, tra cui la violazione ovvero falsa applicazione dell'art. 2041 c.c., nonché dell'art. 2473 c.c. (sia con riferimento alla previgente disposizione, che all'attuale formulazione), giacché l'operazione di cessione sarebbe qualificabile come un sostanziale recesso di “A S.r.l.”. La S.C. ha considerato infondata l'assimilabilità della cessione a terzi della partecipazione sociale al recesso del socio da società di capitali (sia sulla base della disciplina antecedente alla riforma del diritto societario del 2003, sia in considerazione del testo vigente). In presenza di recesso, osservano i giudici di legittimità, il rapporto derivante dalla manifestazione di volontà del socio di esercitare il diritto di exit a lui attribuito dallo statuto e in ogni caso dalla legge è soltanto tra società e socio recedente anche quanto alle conseguenze patrimoniali della sua manifestazione di volontà alla società rivolta. Nel caso di cessione a terzi per atto tra vivi della quota di partecipazione al capitale di società a responsabilità limitata, invece, il relativo contratto, cui la società è estranea, è valido e efficace fra le relative parti indipendentemente dalla iscrizione nel libro soci della società, necessaria solo per rendere il trasferimento efficace anche nei confronti della società stessa, degli altri soci e dei terzi.
La questione giuridica e la soluzione
Per la Corte di Cassazione per inquadrare correttamente la vicenda è necessario distinguere tra recesso e cessione di quote, partendo dalla disciplina del diritto societario antecedente alla riforma del 2003 e applicabile al caso di specie ratione temporis. Nel recesso, il socio ha diritto di ottenere dalla società il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio (art. 2437 c.c. prev., applicabile alle società a responsabilità limitata per effetto del rinvio formale recettizio a tale articolo operato dall'art. 2494 c.c. prev.). Nel caso di trasferimento per atto tra vivi della proprietà di quota di partecipazione al capitale di s.r.l. (art. 2479 c.c. prev.), per contro, il relativo contratto - cui la società è estranea - è valido ed efficace tra le parti, indipendentemente dalla sua iscrizione nel libro dei soci della società; adempimento, quest'ultimo, necessario esclusivamente per rendere il trasferimento efficace anche nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi (sul punto v., per tutte, Cass. 11 gennaio 2005, n. 339; Cass. 13 settembre 2007, n. 19161), con la conseguenza che tale iscrizione aveva la funzione di dimostrare la qualità di socio nel rapporto con la società, al fine di consentire al socio medesimo l'esercizio dei diritti sociali. Per la S.C. la non assimilabilità del recesso del socio di s.r.l. alla cessione per atto fra vivi della quota di partecipazione al capitale di tale tipo di società trova altresì conferma anche alla luce della vigente disciplina. Nel caso di recesso del socio (art. 2473 c.c.) il rapporto derivante dalla manifestazione di volontà di quest'ultimo di esercitare il diritto di recesso a lui attribuito dallo statuto e in ogni caso dalla legge (art. 2473, comma 1, secondo periodo, c.c.) è solo fra società e socio recedente anche per ciò che attiene le conseguenze patrimoniali della sua manifestazione di volontà alla società rivolta. Nell'ipotesi di cessione a terzi per atto inter vivos della quota di partecipazione al capitale di società a responsabilità limitata (art. 2469 c.c.), il relativo contratto, cui la società è estranea, è valido e efficace tra le relative parti indipendentemente dal suo deposito presso il registro delle imprese, necessario soltanto per rendere il trasferimento efficace anche nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi (art. 2470 c.c.).
Osservazioni
L'ordinanza in commento consente di analizzare ed evidenziare le indubbie differenze tra il diritto di recesso del socio da una società (nel caso di specie, s.r.l.) e la cessione di partecipazioni sociali. Il recesso è una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia che, come tale, si differenzia da altre forme di uscita del socio dalla compagine sociale - come la cessione delle quote, rectius trasferimento di partecipazioni - che, al contrario, si contraddistingue per la sua bilateralità, fondata sul necessario consenso di controparte. In particolare, attraverso l'istituto del recesso “si cerca di mediare tra l'interesse della maggioranza alla rapida assunzione di decisioni e quello del singolo socio a non dover subire gli effetti di scelte non condivise e a non rinunciare alla sua libertà di iniziativa economica (così S. Vallasciani, Il recesso del socio, Napoli, 2007, 69). In tale ottica, il recesso è stato definito come contrappeso al principio maggioritario che permette al socio, che si vede imposta la modifica delle basi essenziali dell'organizzazione, di liquidare il proprio investimento (Cass. 8 novembre 2005, n. 21641, in Riv. dir. comm., 2005, 279). In termini generali, il recesso è lo strumento predisposto dal legislatore per “consentire al socio di liberarsi dal vincolo quando le condizioni di svolgimento dell'attività prescelta sono variate rispetto a quelle sulla cui base era entrato in società” (D. Galletti, Il recesso nelle società di capitali, Milano, 2000, 62) e per risolvere eventuali dissidi endosocietari, tutelando sia l'interesse del socio di minoranza a veder riconosciuto e restituito il valore della sua partecipazione all'interno della società, sia l'interesse della società medesima all'uscita di colui che, per vari motivi, non è più intenzionato a condividere le dinamiche societarie. Il recesso, pertanto, è uno strumento di tutela del socio di minoranza – dissenziente, assente o astenuto – ad una determinata deliberazione assembleare nei cui confronti la stessa è vincolante, che gli consente di reagire ad una decisione collegiale a cui non ha concorso, ma che, comunque, non costituisce un limite al potere della maggioranza, ad eccezione del caso estremo in cui l'esercizio del diritto di exit generi la riduzione del capitale o lo scioglimento della compagine societaria. Con specifico riferimento alle società a responsabilità limitata, il diritto di recesso trova disciplina nel “solo” art. 2473 c.c., lasciando all'autonomia statutaria la regolamentazione dei vari aspetti della complessiva fattispecie. Non vi è dubbio che la riforma del diritto societario del 2003 ha introdotto molte novità in tema di recesso che, nella legislazione previgente, trovava la sua regolamentazione nella disciplina prevista per le s.p.a. dell'art. 2437 c.c. - in virtù dell'espresso richiamo contenuto nell'art. 2494 c.c. – il quale, come noto, consentiva al socio di minoranza di uscire dalla società soltanto in presenza di delibere che modificavano in maniera rilevante le regole di svolgimento dell'impresa sociale, rappresentate dalla modifica dell'oggetto sociale; dalla trasformazione della società e dal trasferimento della sede legale all'estero. Prima della citata riforma, infatti, il recesso veniva guardato dal legislatore con sfavore, in quanto considerato un possibile disincentivo all'adeguamento degli assetti organizzativi societari e, per questo motivo, confinato in un ambito di ristretta applicazione, quale posizione di compromesso tra le esigenze corporative e gli interessi individuali dei soci. La volontà del legislatore era di restringere quanto più possibile il campo di applicazione dell'istituto attraverso criteri di liquidazione della quota che - in quanto ancorati ai valori di bilancio, sovente inferiori all'effettivo valore della partecipazione sociale - risultavano penalizzanti per il socio recedente. Per tale ragione, non era considerato possibile per l'autonomia privata estendere le ipotesi di recesso al di là di quelle contenute nel predetto art. 2437 c.c. prev.: l'esercizio del diritto di exit dava origine, difatti, in caso di mancanza di risorse disponibili, alla riduzione del capitale sociale, conseguenza che denotava “una valutazione degli interessi in gioco da parte del legislatore assai netta, con sacrificio dell'interesse dell'organizzazione e dei terzi”, e che proprio per questo motivo non poteva essere lasciata alla disponibilità dei privati (D. Galletti, Il recesso nelle società di capitali, cit., 278). Con la riforma del 2003, al contrario, è stato rafforzato questo strumento di tutela del socio di minoranza attraverso la configurazione di diverse fattispecie legali di exit, la possibilità di prevedere statutariamente ulteriori ipotesi di recesso, la previsione di criteri di determinazione del valore della quota più favorevoli al socio recedente. Al riguardo, si è affermato che la disciplina del recesso dettata dal legislatore della riforma per la società a responsabilità limitata costituisce una delle innovazioni principali della riforma medesima, essendo tra quelle che maggiormente rispecchiano la duplice prospettiva della nuova s.r.l., “personalistica e capitalistica, e l'ottica dell'intera riforma, che si snoda tra l'autonomia privata e la regolamentazione con diritto imperativo a tutela dei vari interessi in gioco” (l'espressione è di D.U. Santosuosso, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 209). Il tutto in conformità al tipo società a responsabilità limitata come concepito dal legislatore della riforma, caratterizzato dalla prevalenza dell'aspetto personale del socio, rispetto a quello patrimoniale: nell'organizzazione della s.r.l., infatti, la figura del socio riveste una posizione centrale, a differenza della s.p.a. nella quale il prius è rappresentato dall'azione. Il riconoscimento dell'autonomia statutaria e del potere di autoregolamentazione è peraltro evidenziato nell'incipit del primo comma dell'art. 2473 c.c. il quale stabilendo che “l'atto costitutivo determina quando il socio può recedere dalla società e le relative modalità”, delega in pratica ai soci il compito di bilanciare, nell'ambito della compagine societaria, il rischio di impoverimento della società con le esigenze di flessibilità volte ad incentivare l'investimento (M. Callegari, Il recesso del socio nella s.r.l., in Le nuove s.r.l., diretto da M. Sarale, Bologna, 2008, 235). D'altro canto, è bene ricordare che il diritto di exit, oltre che per il socio di minoranza, rappresenta una tutela anche per la maggioranza che, per effetto dello stesso, può sganciarsi da soggetti non più graditi. Sulla base di quanto previsto dall'art. 2473, primo comma, seconda parte, c.c., il diritto di recesso compete ai soci che non hanno consentito alle deliberazioni inerenti agli argomenti che integrano le cause legali di exit. Pertanto, sono legittimatiad esercitare il diritto di recesso i soci assenti, quelli cioè che non hanno partecipato all'adunanza assembleare; i soci dissenzienti,intendendosi per tali coloro che hanno espresso voto contrario alla decisione all'ordine del giorno; i soci astenuti, quelli cioè che pur avendo presenziato all'assemblea non hanno espresso alcuna volontà in riferimento all'argomento sul quale decidere e, quindi, non hanno espresso il consenso alla decisione. Il trasferimento delle partecipazioni societarie, a sua volta, differisce dal recesso in quanto: - è un negozio bilaterale (o plurilaterale) che presuppone la presenza di un venditore e di, almeno, un compratore; - può riguardare anche una quota di maggioranza o la totalità della partecipazione al capitale sociale; - il relativo contratto ha efficacia tra le parti indipendentemente dal deposito del medesimo presso il registro delle imprese ex art. 2470, comma 1, c.c.; adempimento, quest'ultimo, a seguito del quale, come noto, il trasferimento ha effetti nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi. Il trasferimento può comunque rappresentare una modalità di rimborso della partecipazione al socio che ha esercitato il diritto di recesso. Anche per le società a responsabilità limitata, infatti, al pari delle s.p.a., il procedimento di liquidazione della partecipazione - disciplinato dall'art. 2473, quarto comma, c.c. -è strutturato su diverse modalità di rimborso graduate sulla base di priorità successive, la cui mancata attuazione comporta lo scioglimento della compagine societaria. A questo fine, è stato osservato che le soluzioni indicate dal legislatore sono alternative tra di loro, ad eccezione della riduzione del capitale sociale e dell'eventuale scioglimento anticipato, che rappresentano l'extrema ratio cui fare ricorso soltanto nell'accertata impossibilità di provvedere in maniera diversa, in virtù al principio di salvaguardia e conservazione della società (M. Callegari, Il recesso del socio nella s.r.l., cit., 256). L'ipotesi principale prevista dal legislatore è rappresentata dall'acquisto della partecipazione da parte degli altri soci. Tale modalità di rimborso della partecipazione, da un lato, non comporta la diminuzione del patrimonio sociale e, di conseguenza, consente ai creditori sociali di vedere conservata l'intera loro garanzia; dall'altra, permette agli altri soci di incrementare il loro investimento nella società impedendo, in questo modo, l'ingresso nella compagine societaria di estranei. L'acquisto delle quote da parte degli altri soci deve avvenire proporzionalmente alla loro partecipazione,al fine di impedire che il rimborso si traduca in un'alterazione della quota di partecipazione di ciascun socio. L'ipotesi alternativa a quella appena menzionata è rappresentata dall'acquisto della partecipazione da parte di un terzo estraneo alla società, concordemente individuato dagli stessi soci. “La concorde individuazione del terzo esige evidentemente il consenso di tutti gli altri soci e rappresenta un espresso riconoscimento da parte del legislatore della rilevanza della persona del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci nel nuovo modello di s.r.l.”, dal momento che “la loro volontà è assolutamente determinante nell'apertura della compagine sociale a terzi e nella stessa individuazione della persona del terzo, in tal modo impedendo che siano alterati i rapporti in forza all'interno della società, anche mediante l'ingresso di soggetti legati ad alcuni soci” (l'espressione è di A. Carestia, Commento sub art. 2473 c.c., in Società a responsabilità limitata, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 203, 150). Tale modalità di rimborso della partecipazione del socio uscente, al pari della precedente, non determina una diminuzione del patrimonio della società. Sia nell'ipotesi di acquisto di partecipazione da parte degli altri soci, sia di acquisto da parte di terzi - considerando che il recesso ha efficacia dal momento in cui la relativa dichiarazione viene a conoscenza della società, la legittimazione ad intervenire all'atto di cessione spetterà alla società medesima, in persona del legale rappresentante, stante la perdita della disponibilità della quota da parte del socio uscente. In questo modo, infatti, la società incamera nel proprio patrimonio il controvalore della partecipazione ottenuto con il trasferimento della medesima, ottenendo, conseguentemente, le risorse necessarie per procedere al rimborso della quota al socio receduto che, per effetto del recesso, perde lo status socii diventando creditore della società.
Conclusioni
Con l'ordinanza in commento, assolutamente condivisibile da parte dello scrivente, i giudici di legittimità evidenziano la non assimilabilità del recesso del socio da s.r.l. alla cessione per atto tra vivi della quota di partecipazione al capitale di questo tipo di società anche alla luce della vigente disciplina, derivata dalla riforma del diritto societario del 2003. In particolare, la S.C. ha chiarito che in presenza di recesso (art. 2473 c.c.) il rapporto derivante dalla manifestazione di volontà del socio di esercitare il diritto di exit a lui attribuito dallo statuto e in ogni caso dalla legge (art. 2473 c.c., comma 1, secondo periodo) è soltanto fra società e socio recedente, anche quanto alle conseguenze patrimoniali della sua manifestazione di volontà alla società rivolta. Nell'ipotesi di cessione a terzi per atto tra vivi della quota di partecipazione al capitale di società a responsabilità limitata (art. 2469 c.c.), il relativo contratto, cui la società è estranea, è valido e efficace fra le relative parti indipendentemente dal suo deposito presso il registro delle imprese, necessario esclusivamente a rendere il trasferimento efficace anche nei confronti della società, degli altri soci e dei terzi (art. 2470 c.c.).
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