Approvazione di una delibera all'unanimità dei voti anziché a semplice maggioranza: è illecita influenza sull'assemblea
03 Gennaio 2023
Massima
Il reato di illecita influenza sull'assemblea è un reato di evento, costituito dalla determinazione della maggioranza a mezzo di una illecita condotta simulatoria o fraudolenta, la quale deve avere provocato il raggiungimento del quorum, necessario per la valida adozione di una determinata delibera, che, in assenza della stessa condotta illecita, non sarebbe stato raggiunto. Il caso
All'amministratore e socio di maggioranza di una S.r.l. era contestato il reato di illecita influenza sull'assemblea. La condotta accertata era assai complessa: l'imputato, infatti, aveva prodotto una falsa procura di un socio in favore di un terzo e redatto un falso verbale assembleare attestante la presenza in assemblea del soggetto delegato in luogo del socio di cui era stata falsificata la procura; in questo modo si determinava la approvazione all'unanimità della delibera di riduzione della quota del socio di cui di cui era stata falsificata la procura, contro la sua volontà. Tali attività fraudolente erano tenute dall'imputato allo scopo di procurarsi un vantaggio consistente nell'ampliamento gratuito della propria partecipazione societaria percentuale e allo scopo di procurare alla sua società un incremento patrimoniale pari al profitto rappresentato dall'appropriazione della somma che avrebbe dovuto liquidare il socio estromesso in ragione della riduzione della quota sociale prodotta all'esito del reato di illecita influenza sull'assemblea. In sede di appello veniva dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, ma la difesa dell'imputato ricorreva per cassazione lamentando, per quanto di interesse in questa sede, l'erronea applicazione dell'art. 2636 cod. civ. Dopo avere premesso che, in base alla lettera di tale disposizione, è necessario che gli atti simulati o fraudolenti siano funzionali a «determina[re] la maggioranza in assemblea» e che, nel caso in esame, l'imputato, al fine di approvare la delibera di riduzione della quota dell'altro socio, non aveva alcuna necessità di falsificare la menzionata delega in quanto, in base allo statuto della società, disponeva già della maggioranza delle quote necessaria per l'approvazione della delibera di riduzione dell'altrui quote, il ricorrente lamentava che il giudice d'appello avesse ritenuto, ciò nonostante, l'integrazione del delitto de quo sulla base del fatto che, mediante la falsificazione della delega, si era riusciti a determinare l'unanimità nell'assemblea societaria. La questione
Il reato di illecita influenza di assemblea, previsto dall'art. 2636 cod. civ., è posto a tutela dell'interesse al corretto funzionamento dell'organo assembleare ed infatti per l'integrazione del delitto occorre che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza assembleare (SANTORIELLO, Il nuovo diritto penale delle società, Torino, 2003, 223; SCIUMBATA, I reati societari, 2a ed., Milano, 2008, 146; ZANNOTTI, Il nuovo diritto penale dell'economia. Reati societari e reati in materia di mercato finanziario, 2a ed., Milano, 2008, 135). A tale fine rileva qualsiasi operazione che artificiosamente consenta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo così di fatto possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (Cass., sez. II, 4 febbraio 2020, n. 20451; Cass., sez. V, 21 maggio 2013, n. 17939). La condotta tipizzata dalla norma incriminatrice richiede – a differenza del previgente art. 2630, comma primo, n. 3, cod. civ. - un elemento di frode integrato da comportamenti artificiosi aventi carattere simulatorio idoneo a realizzare un inganno, sicché il precetto sanzionato si configura come reato a forma vincolata; inoltre, per la sua consumazione è necessario che la condotta abbia effettivamente inciso sulla formazione della maggioranza, trattandosi di fattispecie criminosa costruita come reato di evento. La verifica circa la sussistenza del reato passa per la cd. “prova di resistenza”, dovendosi procedere all'accertamento che gli atti simulati o fraudolenti abbiano effettivamente indirizzato in senso specifico l'orientamento della maggioranza assembleare (MUSCO, I nuovi reati societari, 3a ed., Milano, 2007, 125), verificando che se con la sottrazione o aggiunta ai voti che hanno determinato l'esito della votazione di quelli illecitamente influenzati permanga o no il quorum indispensabile per la sua validità (MARTIELLO, Sub art. 2636, Illecita influenza sull'assemblea, in GIUNTA (a cura di), I nuovi illeciti penali ed amministrativi riguardanti le società commerciali. Commentario del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, Torino, 2002, 187; ROSSI, Illeciti relativi al corretto andamento della società, in Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, I, I reati societari, bancari, di lavoro e previdenza, 13a ed. a cura di GROSSO, Milano, 2007, 401). Non rileva dunque l'ipotesi in cui la condotta vietata ha portato al semplice rafforzamento di una maggioranza comunque raggiunta (nel qual caso, si dovrebbe parlare non già di tentativo, bensì di delitto impossibile per inesistenza dell'oggetto). In merito alle verifiche ora riferite, parte della dottrina ritiene che non possano essere conteggiati tra i voti illegittimamente ottenuti quelli espressi non già in forza di un vero e proprio condizionamento eziologico dell'attività illecita del reo, ma solo ed unicamente perché frutto di sentimenti di rassegnazione e impotenza maturati in capo ai soci a fronte della crescente maggioranza di consensi catturati via via dalla messa ai voti (in questo senso, rispetto alla previgente normativa, CONTI, Diritto penale commerciale, I, Reati ed illeciti depenalizzati in materia di società, Torino, 1980). Rispetto a tale situazione, infatti, tutt'ora si osserva che «o il voto è determinato con atti simulati o fraudolenti, ed in tal caso integra il reato ove sia sfociato nella produzione dell'evento-maggioranza; ovvero, il voto è espresso da un socio che, pur consapevole degli illeciti maneggi, preferisce tacere e si adegua all'opinione dei più. In tal caso però difetta già sul piano materiale la configurabilità del fatto tipico, posto che manca il nesso causale fra la condotta e i voti marginali in questione» (MANGIONE, L'illecita influenza sull'assemblea (art. 2636), in GIARDA, SEMINARA (a cura di), I nuovi reati societari: diritto e processo, Padova, 2002, 524). In merito all'individuazione dell'evento penalmente sanzionato, si segnala l'affermazione giurisprudenziale secondo cui «la locuzione "determina la maggioranza" sta a significare che la condotta vietata deve aver provocato il conseguimento di un quorum che, in assenza della stessa, non si sarebbe ottenuto, portando, comunque, ad una risoluzione anomala» (Cass., Sez. V, 19 gennaio 2004, n. 7317). Tale soluzione è stata criticata dalla dottrina, che ne ha messo in risalto la possibile ambiguità ravvisabile nell'aver ritenuto sufficiente il mero conseguimento di un quorum che abbia condotto ad una votazione assembleare con esito anomalo nonostante la contemporanea affermazione che l'evento consumativo del delitto consiste nella determinazione della maggioranza (MARTIELLO, Una prima applicazione giurisprudenziale in materia di "illecita influenza sull'assemblea", in Dir. Pen. Proc., 2004, 1539). In ogni caso, «deve ritenersi che il reato non si configuri qualora la maggioranza si sia espressa in una direzione diversa da quella voluta dall'agente, ovvero l'assemblea non sia giunta a deliberare, o, ancora, nell'eventualità in cui sia proclamata una votazione che non ha invero avuto luogo o non ha raggiunto la maggioranza richiesta» (ROSSI, Illeciti, cit., 402). Quanto alla nozione di "atti simulati" contenuta nell'art. 2636 cod. civ., l'espressione linguistica non va intesa in senso civilistico, con esclusivo riferimento all'istituto della simulazione regolato dagli artt. 1414 e segg. cod. civ., ma deve essere inquadrata in una tipologia di comportamenti più ampia, che include qualsiasi operazione che artificiosamente permetta di alterare la formazione delle maggioranze assembleari, rendendo possibile il conseguimento di risultati vietati dalla legge o non consentiti dallo statuto della società (Cass., sez. I, 3 marzo 2009, n. 17854). Integrano tale fattispecie a) il comportamento del socio, che si avvalga di azioni o quote non collocate, intendendo per tali quelle non vendute, ovvero quelle per le quali il socio non abbia effettuato, nei termini prescritti, il versamento di quanto dovuto; b) il comportamento del socio che, occultando la mora nei versamenti, che gli precluderebbe il diritto di voto, tragga in inganno l'assemblea, facendosi apparire come portatore di un diritto di voto, del quale in realtà non è titolare; c) le dichiarazioni mendaci o reticenti, provenienti dagli amministratori o dai terzi, con le quali l'assemblea od i singoli soci vengano tratti in inganno sulla portata o convenienza di una delibera; d) l'incetta di deleghe fraudolentemente realizzata in violazione dei limiti posti dall'art. 2372 cod. civ; d) la maliziosa convocazione di un'assemblea in tempi o luoghi tali da precludere un'effettiva partecipazione dei soci; e) i possibili abusi funzionali della presidenza dell'assemblea, a qualsiasi soggetto affidata ex art. 2371 cod. civ., quali l'artificiosa o fraudolenta esclusione dal voto di soggetti aventi diritto o, all'inverso, l'ammissione al voto di soggetti non legittimati; f) la falsificazione della documentazione relativa all'assemblea dei soci. Osservazioni
Il ricorso è stato rigettato per manifesta infondatezza. Secondo la cassazione il reato di illecita influenza sull'assemblea è strutturato come un reato di evento, il quale è costituito dalla determinazione della maggioranza («determina la maggioranza»). Esso è pertanto chiaramente diretto a tutelare l'interesse alla corretta formazione delle maggioranze assembleari - che costituisce un momento fondamentale della vita della società, essendo quello in cui si si elabora e si crea la volontà sociale - col garantire che detta formazione avvenga nel rispetto della legge e dello statuto societario. Quanto evidenziato sta a significare che l'illecita condotta simulatoria o fraudolenta deve avere provocato il raggiungimento del quorum, necessario per la valida adozione di una determinata delibera, che, in assenza della stessa condotta illecita, non sarebbe stato raggiunto (Cass., sez. V, 19 gennaio 2004, n. 7317; Cass., sez. V, 21 maggio 2013, n. 17939) o, comunque, l'adozione di una delibera che, in assenza della condotta illecita, non avrebbe potuto essere validamente adottata. Per accertare la rilevanza della condotta assunta dall'imputato sulla formazione della maggioranza assembleare occorre far ricorso alla cosiddetta prova di resistenza, al fine di verificare se, sottraendo o aggiungendo, a seconda dei casi, i voti illecitamente influenzati, permanga o no il quorum necessario o, comunque, le condizioni per la valida adozione della delibera e, quindi, se detti voti siano stati o no determinanti per tale adozione. Queste considerazioni evidenziano l'infondatezza delle obiezioni della difesa posto che, nel caso di specie, ai fini della valida adozione della contestata delibera assembleare di riduzione del capitale sociale, era stata determinante l'unanimità dei voti dell'assemblea dei soci (che era stata ottenuta solo grazie alle fraudolente produzione della falsa procura e redazione del verbale assembleare che attestava la presenza del socio di cui era stata falsificata la procura). A fronte di tale accertamento svolto in sede di merito della verificazione dell'evento "determinazione della maggioranza" - e, quindi, dell'assolvimento del relativo onere probatorio della pubblica accusa - reputa il Collegio che fosse onere del ricorrente fornire la cosiddetta prova di resistenza, indicando la specifica previsione dello statuto della società che avrebbe consentito di adottare validamente la delibera di riduzione del capitale sociale anche senza l'unanimità dei voti dell'assemblea, quale fosse la maggioranza prevista da detta previsione statutaria per l'adozione della stessa delibera, di quale percentuale del capitale sociale egli disponesse e, comunque, elementi in base ai quali poteva ritenersi che egli avrebbe potuto validamente adottare la delibera con la percentuale del capitale sociale di cui disponeva. Conclusioni
La sentenza della Cassazione in commento non presenta profili di novità rispetto alla giurisprudenza dominante – pienamente condivisa, come si è visto, anche dalla dottrina. D'altronde, alla luce delle condotte contestate all'imputato, pare evidente come nella vicenda in esame si fosse in presenza di «un comportamento obiettivamente idoneo ad ingannare e soggettivamente orientato dall'agente al conseguimento di tale obiettivo, oltre che ulteriormente caratterizzato dal dolo specifico di ingiusto profitto, che ugualmente contribuisce ad arricchire la tipicità del fatto» (FOFFANI, Società, in Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova 2007, 2542). Tuttavia, in un'ottica processualistica, va sottolineato l'atteggiamento di particolare rigore adottato dalla Cassazione con riferimento agli oneri probatori gravanti sulla difesa con riferimento alla cd. prova di resistenza. Infatti, la Cassazione nella pronuncia in commento ritiene sufficiente dimostrare che la condotta illecita tenuta dall'imputato abbia determinato la formazione di una maggioranza assembleare diversa da quella che si sarebbe riscontrata in caso di assenza di tali comportamenti (la delibera assembleare, infatti, risulta assunta all'unanimità anziché a maggioranza semplice). Di regola, una tale circostanza non dovrebbe essere bastevole per l'integrazione del delitto in parola, posto che per l'adozione di nessuna determinazione della persona giuridica è necessaria l'unanimità dei consensi, salvo specifiche previsioni statutarie, sicché la circostanza che le condotte fraudolente abbiano modificato non l'an della formazione della maggioranza ma il quantum della stessa non dovrebbe rendere tali comportamenti sussumibili nella fattispecie di all'art. 2626 cod. civ.. Di contro, nella pronuncia in epigrafe, la Cassazione sostiene che è compito della difesa dimostrare l'irrilevanza del fatto che la deliberazione assembleare sia stata approvata all'unanimità anziché a maggioranza, senza riconoscere che un tale dato è ricavabile dalla disciplina normativa in tema di funzionamento delle società commerciali. |