Occupazione abusiva di immobile: le Sezioni Unite dettano i criteri per liquidare danno emergente e lucro cessante

Giuseppe Sileci
16 Gennaio 2023

Le Sezioni Unite intervengono sull'annosa questione della quantificazione del danno derivante da occupazione sine titulo, determinando se tale danno sia in re ipsa, derivando dalla stessa perdita della possibilità di un concreto utilizzo del bene o se debba essere provato quale danno conseguenza, a sé stante rispetto al fatto lesivo.
Massima

Nella occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta; tale pregiudizio, se non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato.

Invece, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell'occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.

Il caso

La società X aveva evocato in giudizio il condominio Y per sentire affermare il di lei diritto di proprietà su alcune aree illegittimamente occupate dal condominio e per sentire condannare quest'ultimo sia al rilascio delle dette aree sia al risarcimento del danno consistente nel non avere potuto vendere a terzi le superfici occupate senza titolo. Il Tribunale rigettava la domanda e la sentenza era riformata in appello limitatamente all'azione di rivendica ma confermata per il resto.

Su ricorso proposto sia dal condominio sia dalla società, la Cassazione accoglieva quello incidentale della società ma il giudice del rinvio rigettava l'appello osservando che – sebbene il danno da occupazione illegittima di immobile sia in re ipsa – alcunché poteva riconoscersi alla società X perché questa, per poter ottenere il danno figurativo sulla base del valore locativo, avrebbe dovuto allegare un pregiudizio derivante dall'impossibilità di utilizzarlo: pregiudizio non prospettato. Ha quindi impugnato questa sentenza la società X e la Sezione Seconda della Suprema Corte, con la ordinanza interlocutoria dell'8 febbraio 2022 n. 3946, ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite.

La questione

Nella occupazione senza titolo di un immobile il danno è “in re ipsa” ovvero è un “danno normale” che si intende provato se non è contestato specificamente dal convenuto?

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite sono state chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi sulla natura del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile. Infatti, secondo l'orientamento della Seconda Sezione – ampiamente illustrato nella ordinanza di rimessione dell'8 febbraio 2022 – “l'impedimento a ricavare dal bene abusivamente occupato l'utilità diretta che esso offre non dovrebbe richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno, potendo il godimento diretto esaurirsi anche in una fruizione meramente saltuaria o occasionale o anche nella utilitas derivante dalla mera potenzialità di una fruizione”. La perdita della disponibilità temporanea del bene, e dunque del suo valore d'uso ovvero di scambio, è risarcibile anche nei casi in cui non sia provato in qual modo il proprietario avrebbe usato di tale disponibilità e “la prova del danno conseguenza (l'impedimento al godimento del fondo) si esaurisce in quella del fatto generatore del danno (l'occupazione del fondo), per cui nel caso della perdita del godimento del bene la prova del danno emergente è in re ipsa” mentre è richiesto al proprietario un maggiore sforzo probatorio quando alleghi il danno da mancato guadagno, dovendo offrire la prova specifica delle occasioni di guadagno perdute.

A questo indirizzo si contrappone l'orientamento della Terza Sezione – ben compendiato nella ordinanza interlocutoria del 17 gennaio 2022 n. 1162 – secondo il quale, definendo come danno in re ipsa quello subito dal proprietario il cui immobile sia stato occupato senza valido titolo da terzi, si “configura un danno punitivo senza alcun riconoscimento legislativo, perché il soggetto leso potrebbe ottenere un risarcimento anche quando in concreto non abbia subito alcun pregiudizio, laddove invece ciò che rileva ai fini risarcitori è il danno conseguenza, per cui il danno da occupazione sine titulo può essere dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma tale alleggerimento dell'onere probatorio non può includere anche l'esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto”.

Ritengono le Sezioni Unite che, in realtà, il punto di divergenza tra i due orientamenti non stia nella prova del danno da mancato guadagno, dal momento che è pacifico – anche per la tesi del danno in re ipsa – che mai sarà tale il lucro cessante, incombendo sul danneggiato l'onere di allegarlo e di dimostrarlo anche facendo ricorso a presunzioni semplici. Vi è invece insanabile contrasto “in relazione alla facoltà di godere del proprietario quale individuazione dell'esistenza di un danno risarcibile per il sol fatto che di tale facoltà il proprietario sia stato privato a causa dell'occupazione abusiva dell'oggetto del suo diritto”.

Quindi le Sezioni Unite delimitano il perimetro, escludendo dalla problematica del danno in re ipsa sia il pregiudizio lamentato dal proprietario che – a causa della illegittima occupazione – non abbia potuto vendere l'immobile (graverà su costui l'onere di dimostrare il mancato guadagno allegando e provando di non avere potuto alienare) sia il pregiudizio consistente nel non avere potuto lucrare un canone di locazione superiore a quello di mercato (anche in questo caso chi lamenta il danno dovrà dare prova di avere perduto questa occasione di guadagno non bastando la mera allegazione).

Esula dall'ambito di indagine anche occupazione che sia divenuta illegittima per sopravvenuto venire meno del titolo, che troverà adeguata tutela nell'art. 1591 c.c. e, più in generale, nel regime della responsabilità contrattuale delineato dall'art. 1218 c.c.

Così circoscritto il campo, le Sezioni Unite chiariscono immediatamente che “le due ordinanze interlocutorie esprimono una divergenza che non può essere ricomposta con l'artificio secondo cui il danno in re ipsa significherebbe in realtà prova in re ipsa, per cui non si tratterebbe altro che di una forma di presunzione ricavata dai fatti noti della condotta non iure dell'occupante e della tipologia del bene destinato ad impiego fruttifero”.

Quindi le Sezioni Unite passano ad esaminare le due tesi contrapposte.

Secondo la teoria del danno in re ipsa – cui aderisce la Seconda Sezione Civile – “l'oggetto del danno coincide con il contenuto del diritto violato, da cui l'esistenza del pregiudizio per il solo fatto della violazione del diritto medesimo”.

Più esattamente, poiché “i diritti reali, in quanto diritti su cose, hanno la caratteristica della dissociazione fra contenuto del diritto ed oggetto del diritto”, si ha una situazione di antigiuridicità non solo quando è arrecato un danno alla cosa (che sarebbe un danno conseguenza) ma anche quando è leso il contenuto del diritto: in questo caso, essendo impedita la natura fruttifera del bene, il danno è in re ipsa ovvero, secondo una più recente definizione, è un “danno normale” o “danno presunto” che ammette tuttavia la prova contraria, nel senso che il convenuto può dimostrare che nessun pregiudizio ha sofferto il proprietario che si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile.

Secondo la teoria causale del danno – cui invece aderisce la Terza Sezione Civile - l' applicazione dell'art. 1223 c.c. (cui rinvia espressamente l'art. 2056 c.c.) implica (affinché sia dato un danno risarcibile) l' indispensabile sussistenza del nesso di causalità giuridica fra l'evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli meritevoli di ristoro: siffatta regola non soffre eccezioni neppure quando il fatto illecito è costituito dalla occupazione senza titolo di un immobile, dovendosi tenere ben distinto il “danno conseguente all'impossessamento sine titulo, in quanto danno conseguenza”, che deve essere allegato e provato anche a mezzo di presunzioni, dall'evento “di danno rappresentato dalla mancata disponibilità dell'immobile a causa dell'abusiva occupazione”.

Ebbene, alla questione posta dal contrasto, e cioè “se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria”, ritengono le Sezioni Unite di rispondere affermativamente “nei termini emersi nella richiamata linea evolutiva della giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, secondo cui la locuzione danno in re ipsa va sostituita con quella di danno presunto o danno normale, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato”.

Evidenziano preliminarmente le Sezioni Unite che alla violazione del contenuto del diritto di proprietà l'ordinamento appronta due distinte forme di tutela, una – di natura reale – orientata al futuro e diretta a rispristinare l'ordine “formale violato mediante l'accertamento dello stato di diritto e la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo”; l'altra – avente natura risarcitoria – orientata al passato, costituendo la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita.

Proseguono le Sezioni Unite affermando che “mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l'alterazione dell'ordinamento formale, la tutela risarcitoria è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata”.

Ne discende che il fatto costitutivo dell'azione risarcitoria giammai può “coincidere senza residui con quello dell'azione di rivendicazione” ma deve “contenere l'ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile”.

Tanto significa “tenere ferma la distinzione, espressione della teoria causale del danno, tra causalità materiale e causalità giuridica”.

Fatte queste premesse, le Sezioni Unite entrano nel merito della questione facendosi innanzitutto carico di definire “il danno risarcibile in presenza di violazione del contenuto del diritto di proprietà”

A tale fine deve essere operata una “distinzione fra la lesione del bene costituente l'oggetto del diritto di proprietà e la lesione del contenuto stesso del diritto”.

Se l'azione dannosa attinge il bene, “l'evento di danno è rappresentato dalla lesione del diritto per il pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà” e dunque è indispensabile, per potersi parlare di danno risarcibile, che al profilo dell'ingiustizia (in cui si estrinseca la violazione del diritto) si associ quello del danno conseguenza, gravando sulla parte danneggiata l'onere di dimostrare la perdita subita e/o il mancato guadagno nonché che questi pregiudizi, alla luce del nesso di causalità giuridica, siano una conseguenza immediata e diretta dell'evento dannoso.

E per chiarire il concetto le Sezioni Unite ricorrono all'esempio del danno da c.d. fermo tecnico, per il quale è necessaria la prova della spesa sostenuta per procacciarsi un mezzo sostitutivo.

Se l'azione lesiva invece attinge il contenuto del diritto di proprietà, “l'ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell'ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso”, la quale può eventualmente concorrere con la misura restitutoria del bene: la Corte intende qui fare riferimento agli effetti previsti dall'azione ex art. 1148 c.c., ed in particolare all'obbligo del possessore di restituire i frutti percepiti dopo la domanda giudiziale di rivendica, precisando che “sia la cosa che i frutti appartengono alla disciplina dei beni e perciò restano nell'alveo dell'azione di rivendicazione sotto il profilo degli effetti restitutori”.

Altro è invece il presupposto della eventuale domanda risarcitoria, la quale – affinché possa configurarsi un danno risarcibile – richiede che la lesione “del contenuto del diritto di proprietà sia valutabile non solo come violazione dell'ordine formale, ma anche come evento di danno”.

In questo secondo caso l'evento di danno non riguarda la cosa, bensì il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa.

Quindi l'evento di danno si identifica nella violazione del diritto di godere della cosa mentre il danno conseguenza (e dunque risarcibile) si identifica con la concreta possibilità di godimento che è andata perduta.

Se si salda il danno suscettibile di risarcimento alla concreta possibilità di godimento persa, ovvero – e detto altrimenti – se il danno conseguenza, in nome della regola della causalità giuridica, consiste nella concreta possibilità di godimento persa, “per un verso si rende risarcibile il contenuto del diritto violato, in ossequio alla teoria normativa del danno, per l'altro si riconduce la violazione giuridica a una specifica perdita subita, in ossequio alla teoria causale”.

Concreta possibilità di godimento la cui perdita l'attore dovrà allegare sempre, con la sola eccezione del caso in cui il bene immobile sia stato occupato sine titulo dalla pubblica amministrazione.

Qui l'art. 42-bis D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, e cioè “la determinazione legislativa in via forfettatia dell'indennizzo, senza esigere dal proprietario l'allegazione della mancata possibilità di godimento nel periodo di occupazione senza titolo, salva la possibilità per entrambe le parti del giudizio di dimostrare la diversa entità del danno in concreto (in melius o in pejus rispetto a quel limite – per il proprietario ad esempio la perdita di occasioni particolari di profitto), costituisce una valutazione legale tipica di pregiudizio e di relativa compensazione” che troverebbe la sua giustificazione nel rapporto istituzionalmente asimmetrico esistente tra il privato e la pubblica amministrazione.

Nella comune fattispecie di occupazione abusiva di immobile, quindi, la parte sarà gravata dall'onere di allegare la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento (diretto o indiretto mediante il corrispettivo del godimento concesso ad altri) che è andata persa, con una serie di conseguenze sul piano probatorio che le Sezioni Unite si fanno carico di esplicitare.

Invero, la suddetta allegazione potrà essere contestata dal convenuto che si sia ritualmente costituito, il quale dovrà eccepire in maniera specifica “che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento”; in tal caso, sorgerà “per l'attore l'onere della prova dello specifico godimento perso”, che potrà essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o mediante presunzioni semplici.

Sicché, “nel caso della presunzione l'attore ha l'onere di allegare, e provare se specificamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa”, fermo restando che – ai fini della sua liquidazione – il danno potrà essere valutato equitativamente attingendo al parametro del canone locativo di mercato.

Viceversa, “se la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall'occupazione abusiva, l'onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi”, e dunque non sarà sufficiente allegare di avere perduto in concreto il godimento, benché l'onus probandi possa essere ugualmente assolto facendo ricorso al notorio o alle presunzioni semplici e comunque alla consolidata giurisprudenza in materia di maggior danno ai sensi dell'art. 1591 c.c.

Diventa decisivo, pertanto, l'onere di contestazione tanto nel caso in cui la parte che si assume danneggiata dalla altrui occupazione senza titolo lamenti un danno emergente quanto nel caso in cui lamenti il lucro cessante: se il convenuto omette di contestare in maniera specifica quanto lamentato dall'attore, il fatto si intenderà pacifico e non bisognoso di prova, dovendosi però tenere a mente che l'onere di contestazione (la cui inosservanza libera l'attore dall'onere probatorio) sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta.

Tuttavia, ed alla luce del “criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento”, l'esistenza di eventuali fatti ignoti alla parte convenuta (rispetto ai quali l'onere probatorio a carico dell'attore rimane integro) sarà più ricorrente nelle ipotesi in cui sia allegato il mancato guadagno e non la mera perdita.

Ciò vuol dire, sul piano pratico, “la maggiore ricorrenza per il convenuto dell'onere di contestazione […] nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l'attore dell'onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno”.

Si chiariscono, così, le nozioni di “danno normale” e “danno presunto” di cui le Sezioni Unite hanno dato atto richiamando la più recente giurisprudenza della Seconda Sezione Civile: queste, quando oggetto della domanda risarcitoria è la perdita subita, rinviano “a una maggiore frequenza dell'onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l'attore dell'onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell'occupazione abusiva”.

Osservazioni

Le Sezioni Unite, dovendo comporre il conflitto creatosi in materia di danno da occupazione illegittima di bene immobile, apparentemente – a me pare – preferiscono dare seguito all'orientamento formatosi all'interno della Seconda Sezione Civile, ma in effetti elaborano una tesi che si sforza di fare convivere la teoria c.d. normativa del danno, alla quale ha aderito la Seconda Sezione, con quella della causalità che ha trovato maggiore seguito all'interno della Terza Sezione e che di fatto richiede la prova non solo del mero evento di danno (nesso di causalità materiale) bensì anche delle conseguenze pregiudizievoli (nesso di causalità giuridica).

Occorre, prima di entrare nel merito della questione, una indispensabile precisazione: per le Sezioni Unite può sussistere incertezza sulla natura del danno in questione solo se il proprietario che agisca in rivendica chiede anche il risarcimento del danno per non avere potuto godere del bene, ovvero – e detto altrimenti – per la perdita del godimento diretto o indiretto.

In tutte le altre ipotesi di danno che si possono immaginare e che possono derivare dalla altrui illegittima occupazione di un bene immobile, poiché il pregiudizio non si concretizza in una perdita (e dunque non è un danno emergente) bensì nel mancato guadagno, queste conseguenze dovranno essere puntualmente allegate e dimostrate.

Tanto vuol dire che il proprietario, se allega che a causa della illegittima occupazione dell'immobile non lo ha potuto vendere o non lo ha potuto concedere in locazione ad un canone maggiore, dovrà dare la prova del fatto costitutivo del danno sofferto, che non potrà risolversi nella dimostrazione della mera indisponibilità del bene.

Dunque, è problematica la natura del danno solo quando il proprietario si limita ad allegare la violazione del contenuto del diritto di proprietà, ossia il diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, giacché fuori da questa ipotesi non vi è alcun contrasto giurisprudenziale.

Ebbene, come sopra appena evidenziato, le Sezioni Unite elaborano una tesi intermedia.

Tanto sembra trovare conferma laddove la Suprema Corte afferma che “saldando il danno suscettibile di risarcimento alla concreta possibilità di godimento persa, per un verso si rende risarcibile il contenuto del diritto violato, in ossequio alla teoria normativa del danno, per l'altro si riconduce la violazione giuridica a una specifica perdita subita, in ossequio alla teoria causale”.

In tale ottica, il problema si sposta dal piano teorico a quello concreto e specificamente processuale perché – chiariscono sempre le Sezioni Unite – l'onere a carico dell'attore muterà di intensità a seconda che il convenuto non contesti l'allegata perdita del godimento ovvero eccepisca – in maniera puntuale e circostanziata – che “giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento”: in questo secondo caso “sorge per l'attore l'onere della prova dello specifico godimento perso”.

Il ragionamento della Suprema Corte sembra fare perno sostanzialmente sul contegno processuale del convenuto e sulla valorizzazione della regola processuale della non contestazione del fatto costitutivo: sembra voler dire la Cassazione che, se il fatto non è specificamente contestato dal convenuto, deve intendersi pacifico e dunque deve ritenersi provato il “danno normale”, consistente nella perdita del godimento e liquidabile anche in via equitativa attingendo al parametro del canone locativo di mercato.

In definitiva, il danno da illegittima occupazione di immobile è e rimane risarcibile solo se è provato che dalla violazione del contenuto del diritto di proprietà – che si estrinseca nel potere di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa – ne sia derivata una conseguenza pregiudizievole, che le Sezioni Unite individuano nella concreta perdita del detto godimento.

Sarà sufficiente la allegazione della perdita – sembra di capire – se il convenuto non contesterà in maniera specifica questa circostanza, potendosi in tal caso dare per pacifico il danno in quanto “normale” conseguenza della altrui illecita condotta ovvero, per usare le stesse parole della Corte, “data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell'occupazione abusiva”; sarà necessaria la prova dello specifico godimento perduto se il convenuto eccepisce – purché in maniera specifica – che il proprietario non ha esercitato il diritto, disinteressandosi del godimento del bene.

Se l'onere dell'attore “risente” del contegno processuale del convenuto, nel senso che graverà sul primo la prova delle concreta perdita del godimento (non potendo più bastare la mera allegazione) se il secondo contesterà in maniera specifica il lamentato danno opponendo “che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento”, c'è allora da chiedersi se la contumacia potrà assimilarsi – quanto agli effetti – alla generica (e quindi ininfluente) contestazione del convenuto che si sia costituito in giudizio ovvero se la scelta processuale del convenuto di non partecipare al giudizio appesantirà la posizione dell'attore.

La eventualità non è presa neppure in considerazione dalle Sezioni Unite.

Alla prima opzione però potrebbe ostare la “neutralità” della contumacia, alla quale – secondo il consolidato orientamento della Cassazione seguito in maniera pressoché unanime dalla giurisprudenza di merito – non può attribuirsi valenza confessoria e/o non contestativa dei fatti allegati dalla controparte (Cass. civ., Sez. Lav., 21 novembre 2014 n. 24885).

A meno che non si ritenga che sia sufficiente allegare la perdita del godimento perché essa è la conseguenza normale della occupazione senza titolo di un immobile e che la scelta del convenuto di non costituirsi nel relativo giudizio di risarcimento del danno è assimilabile ad una contestazione generica e pertanto del tutto ininfluente, non può escludersi del tutto che la contumacia possa avere riflessi sull'onere di allegazione e prova nei termini definiti dalla sentenza delle Sezioni Unite, la cui lettura offre comunque lo spunto per qualche altra considerazione.

La Cassazione dà conto della normativa speciale in materia di occupazione senza titolo da parte della Pubblica Amministrazione unicamente per sottolineare la differenza di tutela riservata al medesimo diritto per espressa volontà del legislatore - che ha determinato in via forfettaria l'indennizzo spettante al proprietario senza che questi debba allegare (e provare) il godimento perduto – e per spiegare che questa “disparità di trattamento” ha il suo presupposto nella natura del rapporto tra privato e pubblica amministrazione, istituzionalmente asimmetrico dal punto di vista del potere.

Eppure, il contenuto del diritto di proprietà, assolutamente identico sia quando a violarlo è la pubblica amministrazione ovvero il privato, avrebbe potuto costituire l'occasione per affermare che la peculiarità di determinati diritti ammette la loro risarcibilità per il fatto stesso della loro lesione ed indipendentemente dalla prova delle conseguenze pregiudizievoli.

Si fatica anche a comprendere perché al proprietario debba spettare senz'altro il risarcimento del danno quando il diritto di proprietà patisce una parziale compressione, è il caso della violazione delle norme in materia di distanze legali tra costruzioni che, attesa la natura del bene giuridico leso, determina un danno in re ipsa (Cass. civ., Sez. II, 17 agosto 2022 n. 24840), e così non debba essere quando la compressione è massima e consiste nell'integrale – e sia pure temporanea – privazione del godimento del bene.

Infine, le Sezioni Unite escludono la possibilità di rinvenire una più adeguata tutela del perduto godimento nelle norme che proteggono la proprietà e che prevedono espressamente il diritto del proprietario di chiedere al possessore la fruttificazione: si tratta di una questione, quella affrontata dalla sentenza in commento, che probabilmente meriterebbe un approfondimento per il quale si rinvia a Sileci G., L'occupazione illegittima di immobile nell'alternativa tra il diritto del proprietario ai frutti civili e l'obbligo del possessore senza titolo al risarcimento del danno, in IUS Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it) 4 ottobre 2016.

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