La distrazione del pedone può integrare il caso fortuito che esclude la responsabilità del custode?

Giovanni Gea
19 Gennaio 2023

Per l'integrazione del caso fortuito, che va ad escludere la responsabilità del custode, occorre che la condotta del pedone, caduto in un buca, presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno.
Massima

Ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, 1° o 2° comma, c.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento di danno.

Il caso

Una donna, caduto a terra per essere inciampata in una buca posta a ridosso del cordolo del marciapiede dal quale stava scendendo, adiva il Tribunale di Milano chiedendo la condanna del Supercondominio e della Società che lo amministrava al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'incidente.

Il Tribunale, in accoglimento della domanda della danneggiata, condannava il Supercondominio, nei cui confronti il giudizio era stato riassunto dopo la sua interruzione a causa del fallimento della Società che lo amministrava, al pagamento del richiesto risarcimento.

La Corte di Appello, in totale riforma dell'impugnata sentenza, rigettava la domanda della danneggiata condannandola al pagamento delle spese di lite ed alla restituzione di quanto riscosso in esecuzione della sentenza di primo grado sull'assunto che, poiché l'evento dannoso non era l'effetto di un dinamismo interno alla cosa di per sé statica e inerte, mancava la prova del nesso causale attraverso la dimostrazione che lo stato dei luoghi presentasse un'obiettiva situazione di pericolosità tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno sicché la causa del sinistro andava unicamente ricondotta alla colpevole distrazione della danneggiata.

E ciò in considerazione, anche, del fatto che la buca non era assolutamente occulta ed anzi ben visibile data la piena luce naturale, era posta in prossimità della discesa del marciapiede e, dunque, in un punto che, proprio a causa della presenza del gradino, richiedeva una maggiore attenzione e cautela nella regolazione del passo ed in un luogo frequentato dalla danneggiata che, dunque, procedendo a limitatissima velocità, avrebbe ben potuto avvedersi delle caratteristiche della strada.

Avverso la sentenza della Corte d'Appello, la danneggiata ricorreva in Cassazione lamentando, per quanto qui di interesse, la violazione e falsa applicazione dell'art. 2051 c.c. sull'assunto che ad integrare la responsabilità presunta del custode, superabile solo mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità, era necessario (e sufficiente) il solo dato oggettivo della derivazione causale del danno dalla cosa, indipendentemente dalla sua pericolosità.

La questione

Nel caso di danno cagionato da cose in custodia, è sufficiente ad escludere la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c. la mera distrazione del pedone o l'evidente pericolosità della cosa ovvero occorre, altresì, che la condotta di questi abbia anche i caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità per interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, accoglie il ricorso della danneggiata e cassa, con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, la decisione impugnata.

Osserva, anzitutto, la Suprema Corte, richiamando la propria recente decisione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., ordinanza 30 giugno 2022, n. 20943), come la responsabilità ex art. 2051 c.c. abbia natura oggettiva e discenda dall'accertamento del rapporto causale fra la cosa in custodia e il danno, salva la possibilità per il custode di fornire la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di un elemento esterno che valga ad elidere il nesso causale e che può essere costituito da un fatto naturale, dal fatto di un terzo o dal fatto della stessa vittima.

Tale essendo la struttura della responsabilità ex art. 2051 c.c., l'onere probatorio gravante sul danneggiato si sostanzia nella sola dimostrazione dell'esistenza (ed entità) del danno e della sua derivazione causale dalla cosa, residuando, a carico del custode, l'onere di dimostrare la ricorrenza del fortuito.

Pertanto, nell'ottica della previsione dell'art. 2051 c.c., tutto ruota attorno ad un accertamento di tipo causale (della derivazione del danno dalla cosa e dell'eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito), senza che rilevino altri elementi, quali il fatto che la cosa avesse o meno natura “insidiosa” o la circostanza che l'insidia fosse o meno “percepibile ed evitabile” da parte del danneggiato (trattandosi di elementi consentanei ad una diversa costruzione della responsabilità, condotta alla luce del paradigma dell'art. 2043 c.c.).

Infatti, al cospetto dell'art. 2051 c.c., la condotta del danneggiato può rilevare unicamente nella misura in cui valga ad integrare il caso fortuito, ossia presenti caratteri tali da sovrapporsi al modo di essere della cosa e da porsi essa stessa all'origine del danno, e ciò si veridica quando è sia colposa che oggettivamente imprevedibile e imprevenibile tanto da determinare una cesura rispetto alla serie causale riconducibile alla cosa (degradandola al rango di mera occasione dell'evento di danno).

Del resto, come più volte affermato (Cass. Civ., Sez. III, sentenza 16/2/2021, n. 4035; Cass. Civ., Sez. III, sentenza 20/11/2020, n. 26524; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 31/10/2017, n. 25837) la eterogeneità tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità della sua condotta da parte del custode“ ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basti, di per sé, ad escludere la responsabilità del custode; questa è, infatti, esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che “praevideri non potest”.

L'esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c., pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento:

a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente;

b) che quella condotta non fosse prevedibile da parte del custode.

Stabilire, poi, se una certa condotta della vittima di un danno arrecato da cose affidate alla custodia altrui sia imprevedibile (in quanto eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata) è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito il quale non può astenersi dal compierlo limitandosi a prendere in esame soltanto la natura colposa della condotta della vittima.

Nel caso specifico della caduta del pedone in corrispondenza di una buca stradale, non può, evidentemente, sostenersi che la stessa sia imprevedibile (rientrando nel notorio che la sconnessione possa determinare la caduta del passante) e imprevenibile (sussistendo, di norma, la possibilità di rimuovere il dislivello o, almeno, di segnalarlo adeguatamente) sicché deve, allora, ritenersi che il mero rilievo di una condotta colposa del danneggiato non sia idoneo a interrompere il nesso causale, che è manifestamente insito nel fatto stesso che la caduta sia originata dalla (prevedibile e prevenibile) interazione fra la condizione potenzialmente pericolosa della cosa e l'agire umano.

Ciò non significa, peraltro, che tale condotta (ancorché non integrante il fortuito) non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma questo non può avvenire all'interno del paradigma dell'art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell'art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell'accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, comma 1, c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (ex art. 1227, comma 2, c.c.), fatta salva, nel secondo caso, la necessità di un'espressa eccezione della controparte.

Conseguentemente, va ribadito il principio di diritto secondo cui “ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza di una sconnessione o buca stradale, l'accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell'art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell'esclusione del risarcimento, ai sensi dell'art. 1227, 1° o 2° co. C.c.), richiedendosi, per l'integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, così da degradare la condizione della cosa al rango di mera occasione dell'evento di danno”.

Tanto premesso, nel caso di specie, la Corte territoriale è incorsa in plurimi errori di diritto che l'hanno condotta a prescindere del tutto dalla normativa applicabile (quella appunto di cui all'art. 2051 c.c.) che avrebbe comportato, una volta accertata la dinamica prospettata dalla danneggiata (in termini di caduta conseguente alla perdita di equilibrio determinata dalla buca), la necessità di verificare se il custode (il Supercondominio) avesse fornito la richiesta prova del fortuito.

Invero, la Corte d'Appello, dopo avere correttamente evidenziato l'onere del custode “di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale”, ha, tuttavia, “virato” su un tema diverso, affermando che, “per la prova del nesso causale, occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile il danno”, per giungere, poi, ad escludere che il sinistro si fosse verificato “a causa di una situazione di obiettiva pericolosità” (e ciò sull'assunto che la buca, data anche la situazione di piena luce naturale, era ben visibile da parte della danneggiata che, peraltro, conosceva i luoghi e che, scendendo dal marciapiede, era tenuta a particolare attenzione nel regolare il passo), concludendo che il sinistro si era verificato per una “colpevole distrazione” della vittima.

Da ciò emerge come la Corte territoriale “non ha compiuto alcun accertamento sulla ricorrenza del fortuito” (quale elemento estraneo alla serie causale riferibile al modo di essere della cosa, imprevedibile ed inevitabile e tale, quindi, da elidere il nesso causale con la stessa), “ma si è limitata a valutare se la cosa presentasse una situazione di obiettiva pericolosità, con ciò compiendo un accertamento (costituente una riedizione della superata teorica della “insidia o trabocchetto”) che è del tutto inconferente nella cornice dell'art. 2051 c.c.”.

Tant'è che, nella fattispecie regolata dall'art. 2051 c.c.rilevano esclusivamente il riscontro dell'incidenza causale del modo di essere della cosa” (ad esempio, l'esistenza della buca) “nel determinismo del danno” (ad esempio, le lesioni conseguite alla caduta) “e l'indagine su eventuali elementi esterni, imprevedibili e inevitabili, che abbiano sviluppato un'autonoma ed esclusiva incidenza causale“ (ad esempio, la condotta della vittima abnorme, anormale, insensata, irragionevole, mai vista prima, estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto) “tale da elidere o rendere irrilevante ogni nesso con la presenza della buca”.

Inoltre, nel caso di specie, la Corte territoriale “ha mostrato (implicitamente) di aderire ad una nozione di caso fortuito comprendente anche la condotta colposa del danneggiato, senza tuttavia tener conto della necessità di verificare se detta condotta presentasse anche i requisiti della non prevedibilità e non prevenibilità da parte del custode”.

È pacifico, infatti, che il consolidato e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità ritiene che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia possa escludere la responsabilità del custode solo “ove sia colposa ed imprevedibile” (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 31/10/2017, n. 25837), ossia “quando essa, rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo” (Cass. Civ., Sez. III, 18/9/2015, n. 18317), giacché l'idoneità ad interrompere il nesso causale può essere riconosciuta solo ad un fattore estraneo avente” carattere di imprevedibilità ed eccezionalità” (Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 5/2/2013, n. 2660).

Peraltro, in tal senso sono orientati anche i più recenti arresti di legittimità, che, pur affermando che “il comportamento del danneggiato (da valutare anche officiosamente ex art. 1227, co. 1°c.c.) può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa e il danno”, non hanno mancato di evidenziare che ciò può avvenire “quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (Cass. Civ., Sez. VI, ordinanza 03/04//2019, n. 9315; Cass. Civ., Sez. III, ordinanza 01/02/2018, n. 2480).

In conclusione, non rilevano, dunque, la pericolosità della cosa e la correlata prevedibilità del danno, quanto, piuttosto, il fatto che la cosa abbia (in concreto) avuto incidenza causale nella sua produzione, mentre i profili della non prevedibilità e non prevenibilità assumono rilevanza in relazione a un diverso elemento, ossia al fatto esterno (naturale o di un terzo o della stessa vittima) che il custode abbia individuato come caso fortuito, dovendosi, peraltro, escludere che il mero rilievo di una condotta colposa della vittima possa valere, se non connotato da imprevedibilità e inevitabilità, a integrare il fortuito (potendo, al più, rilevare ai fini dell'applicazione dell'art. 1227 c.c.).

Orbene, nella caso di specie, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi sottesi alla norma di cui all'art. 2051 c.c. avendo ritenuto assorbente, ai fini dell'integrazione del caso fortuito, il mero accertamento della condotta colposa della danneggiata senza, nel contempo, accertare se detta condotta presentasse anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno ovvero potesse ritenersi un'evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale.

Osservazioni

In via generale, si osserva che la fattispecie regolata dall'art. 2051 c.c. prevede un'ipotesi di “responsabilità oggettiva” il cui unico presupposto è l'esistenza di un effettivo potere fisico che implica il governo e l'uso della cosa che ha cagionato il danno essendo del tutto irrilevante la condotta, più o meno diligente, del custode nell'esercizio della vigilanza sulla stessa (Cass. Civ, Sez. II, 9 giugno 2010, n. 13881; Cass. Civ., Sez. II, 7 agosto 2013, n. 18855; Cass. Civ., Sez. III, 20 febbraio 2006, n. 3651).

Conseguentemente, secondo l'ordinario criterio di cui all'art. 2697 c.c., al danneggiato compete la prova delle modalità di accadimento del fatto storico e del nesso causale tra l'evento lesivo e la cosa mentre al custode residua la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del “caso fortuito”, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del terzo, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (Cass. Civ., Sez. III, 13 gennaio 2021, n. 456; Cass. Civ., Sez. III, 29 luglio 2016, n. 15761).

E, invero, l'ormai consolidato indirizzo della Suprema Corte ha ben chiarito che:

  • “l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;
  • “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso”;
  • “il caso fortuito è costituito da tutto ciò che non è prevedibile oggettivamente ovvero che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale e che ha idoneità causale assorbente”; - “l'imprevedibilità è apprezzabile in termini oggettivi, senza che possa riconoscersi alcuna rilevanza dell'assenza o meno di colpa del custode”;
  • “l'imprevedibilità è suscettibile di esaurirsi col tempo, giacché una modifica improvvisa delle condizioni della cosa fa perdere, col trascorrere del tempo dal suo accadimento, la sua natura eccezionale, finendo col fare corpo con la cosa stessa, sicché è a questa, come modificata dall'evento originariamente improvviso, che correttamente va ascritto il fatto dannoso che ne deriva”;
  • “il caso fortuito, rappresentato dal fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode”;
  • “il caso fortuito può essere integrato dalla stessa condotta del danneggiato (che abbia usato un bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) quando essa si sovrapponga alla cosa al punto da farla recedere a mera occasione o “teatro” della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente”;
  • “quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso”;
  • “chi entra in contatto con la cosa ha un dovere di cautela, derivante dal principio di solidarietà (ex art. 2 Cost.), che comporta la necessità di adottare condotte idonee a limitare entro limiti di ragionevolezza gli aggravi per i terzi, in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile” (Cass. Civ., sez. III, 23 dicembre 2020, n. 29465; Cass. Civ., Sez. III, 31 ottobre 2017, n. 25837).

Pertanto, una volta che il danneggiato ha assolto all'onere sullo stesso gravante di provare l'esistenza di un collegamento tra la cosa in custodia ed il danno subito, dimostrando che l'evento dannoso si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa che, direttamente o indirettamente, ha svolto un ruolo attivo nella produzione del danno, incomberà, poi, al custode, per liberarsi dalla sua “oggettiva” responsabilità, fornire la prova positiva del “caso fortuito” dimostrando l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, “imprevedibile ed inevitabile”, che, inserendosi nel decorso causale, abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno.

Tale fattore estraneo può essere costituito, anche, dal fatto dello stesso danneggiato con la conseguenza che, nel caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla sua condotta, poiché non solo colposa ma, anche, imprevedibile, si verifica un'ipotesi di caso fortuito tale da liberare il custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c., atteso che detta condotta interrompe il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno.

Affinché si possa ritenere provato il caso fortuito, atto ad escludere integralmente la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c., è necessaria un'accurata disamina del ruolo della condotta del danneggiato onde accertare se la stessa sia stata, in relazione al concreto contesto, tanto colposa (ossia negligente, distratta, imperita, imprudente) quanto imprevedibile da parte del custode (ossia sconsiderata, abnorme, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata, estranea al novero delle possibilità fattuali, del tutto impropria in rapporto alla struttura ed alla destinazione o funzione della cosa).

Infatti, l'imprevedibilità della condotta del danneggiato, dotata di impulso causale autonomo idoneo a cagionare da solo il danno e, dunque, ad escluderne la derivazione diretta dalla cosa in custodia, va intesa come obiettiva inverosimiglianza dal punto di vista probabilistico o della causalità adeguata (o regolarità causale) ossia come sensibile deviazione dalla frequenza statistica accettata come “normale”, “ricorrente” e “ragionevole” in relazione alle natura della cosa ed alle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione (Cass. Civ., Sez. III, 24 febbraio 2011 n. 4476).

In mancanza di tale prova a carico del custode, la condotta colposa del danneggiato, una volta accertata la sussistenza del nesso causale tra la cosa ed il danno, sarà valutabile ai sensi dell'art. 1227 c.c., applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale in virtù del richiamo di cui all'art. 2056 c.c., con possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (comma 1), ovvero con possibile negazione del risarcimento per i danni che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza (comma 2), fatta salva, in quest'ultimo caso, la necessità di un'espressa eccezione da parte del custode trattandosi di un'eccezione in senso stretto non rilevabile d'ufficio.

Infatti, se, da un lato, il custode si presume responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni riconducibili alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura ed alla conformazione stessa della cosa custodita e delle sue pertinenze, dall'altro, su tale responsabilità ben può influire la condotta della vittima, la quale, tuttavia, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove possa qualificarsi come “imprevedibile” (da intendersi da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale o della causalità adeguata), perché estranea al novero delle possibilità fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, salvo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso nella causazione dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c. essendo la disattenzione sempre prevedibile come evenienza (Cass. Civ., Sez. III, 29 luglio 2016, n. 15761).

Elide, allora, il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l'evento dannoso soltanto una condotta colposa della vittima che rivesta, anche, il carattere di una oggettiva imprevedibilità tale da poterla ritenere “eccezionale”, cioè manifestamente estranea ad una sequenza causale “ordinaria” o "normale" che corrisponde allo sviluppo potenzialmente possibile in un dato contesto secondo l'id quod plerumque accidit, ed autonomamente idonea a produrre l'evento escludendo fattori causali concorrenti (Cass. Civ., Sez. III 14 ottobre 2011, n. 21286).

Sarà, dunque, compito del giudice di merito indagare non solo se la condotta concretamente tenuta dalla vittima da cose in custodia sia stata, nel caso concreto, negligente perché difforme da quella che avrebbe tenuto una persona di normale avvedutezza secondo lo schema di cui all'art. 1176 c.c., ma, altresì, se detta condotta fosse prevedibile o meno, ossia se il custode, valutando con giudizio ex ante, potesse “ragionevolmente” attendersi una condotta negligente da parte dell'utente delle cose affidate alla sua custodia.

Ciò, in quanto, la eterogeneità tra i concetti di “negligenza della vittima” e di “imprevedibilità della sua condotta da parte del custode” ha per conseguenza che, comunque, anche laddove sia accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta, di per sé, ad escludere la responsabilità del custode essendo, altresì, necessaria la prova del “caso fortuito” (evento che “praevideri non potest”) ossia che quella condotta colposa non fosse prevedibile perché eccezionale, anormale, inverosimile, irrazionale, improbabile, inconsueta ed inattesa da una persona sensata o avveduta.

Corrisponde, del resto, anche a buon senso ritenere che il mero fatto colposo del danneggiato, benché possa concorrere nella produzione dell'evento dannoso, non essendovi ragione di escludere, con riferimento all'art. 2051 c.c., l'applicabilità dell'art. 1227, comma 1, c.c., non costituisca un'esimente per il custode sia perché un comportamento disattento dell'utente non è astrattamente ascrivibile al novero dell'imprevedibile e sia perché, diversamente, si giungerebbe al paradosso (di Epimenide) che la responsabilità del custode mai potrebbe sorgere “svuotando” di ogni significato la ratio dell'art. 2051 c.c.

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