Effetti sostanziali della domanda di merito tardiva dopo l'ATP per responsabilità medica

Fabrizio Alessioli
Alberto Lorusso
01 Febbraio 2023

Il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. proposto oltre il termine di 90 giorni dal deposito della CTU o dalla scadenza del termine semestrale ex art. 696-bis c.p.c. è procedibile?
Massima

La causa di merito ex art. 702-bis c.p.c. per responsabilità medica va introdotta entro 6 mesi dalla proposizione del ricorso per CTP ex art. 696-bis c.p.c, a prescindere dall'intervenuto deposito della CTU, onde far salvi gli effetti non solo processuali, ma anche sostanziali della domanda.

Il caso

Depositato il Ricorso per CTP ex art. 696-bis c.p.c., il CTU, dopo mesi dalla decorrenza del termine per il deposito dell'elaborato (per legge massimo 6 mesi), aveva domandato una proroga al Giudice, per di più sulla base d'un evento già vecchio di 4 mesi. Il Tribunale ha rigettato l'istanza.

La questione

Il Ricorso ex art. 702-bis c.p.c. proposto dopo lo spirare del termine di 90 giorni dal deposito della CTU o dalla scadenza del termine semestrale dalla proposizione del Ricorso ex art. 696-bis c.p.c. è procedibile? E gli effetti della domanda, sostanziali e processuali, sono salvi?

Le soluzioni giuridiche

Può far discutere un decreto recentemente reso dal Tribunale di Verona nell'ambito d'un caso di responsabilità medica.

Un passo indietro per inquadrare la questione: la legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017), all'art. 8, stabilisce che chi intenda promuovere una causa di risarcimento danni in materia medica abbia l'onere, previamente, o di radicare una Mediazione, oppure di proporre un Ricorso ex art. 696-bis c.p.c. Tale adempimento è previsto come condizione di procedibilità della domanda.

Il comma 3 della previsione in commento stabilisce che il procedimento di ATP abbia una durata massima di 6 mesi e qualifica come “perentorio” questo termine.

Sempre il comma 3, poi, aggiunge che, “ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi […], la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se entro novanta giorni dal deposito della relazione o della scadenza del termine perentorio”, sia depositato il Ricorso per cognizione sommaria.

Il provvedimento in esame, dopo aver – correttamente – rilevato che il rispetto del termine di 90 giorni non riguardi la procedibilità della domanda, chiarisce un dettaglio non da poco del testo della previsione normativa, affermando che gli effetti della domanda che l'introduzione dell'azione di merito tempestiva fa salvi sono non solo quelli processuali, ma pure quelli sostanziali: si legge nel provvedimento de quo: “il rispetto del termine di 90 giorni […] deve ritenersi funzionale a preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con il Ricorso per ATP e non già a rendere procedibile il conseguente giudizio di merito”.

A contrariis, quindi, l'azione di merito può anche essere proposta oltre il termine – essendo comunque procedibile – però, in tal caso, non vengono fatti salvi gli effetti della domanda.

Osservazioni

I termini che il Legislatore mette in campo sono due e si intersecano tra di loro: l'ATP deve durare al massimo 6 mesi. Spirato tale termine, se la CTU non è stata depositata o l'accordo non s'è raggiunto, l'ATP abortisce. A questo punto, le parti, perché siano fatti salvi “gli effetti della domanda”, hanno 90 giorni per introdurre la causa di merito.

Nel decreto del Tribunale di Verona in esame, si legge: “il Ricorso ex art. 702-bis c.p.c. depositato oltre la scadenza del termine suddetto è procedibile, ma produce ex novo i suoi effetti sostanziali e processuali”.

Ma quali sono gli effetti sostanziali che vengono travolti? Di primo acchito, la mente corre alla prescrizione. Questa, però, è fatta salva dall'art. 2943 comma 1 c.c., perché tale disposizione stabilisce che la proposizione della domanda nell'ambito d'un giudizio conservativo – quale è l'ATP (v. Cass. n. 3357/2016) – abbia effetto interruttivo della prescrizione.

Gli altri effetti sostanziali e quelli processuali, dunque, sono la decadenza, la sospensione del termine di prescrizione. Non solo: vi sono pure il radicamento della giurisdizione e della competenza (art. 5 c.p.c.), la litispendenza (art. 39 c.p.c.), la successione nel processo (art. 110 c.p.c.), la perpetuatio legitimationis (art. 111 c.p.c.) e la conservazione dell'efficacia dei provvedimenti cautelari conservativi.

In sostanza, circa gli effetti sostanziali, nel caso di ATP non conclusa in 6 mesi e domanda di merito tardiva, il termine di prescrizione non va considerato come sospeso durante il procedimento. Le ricadute pratiche di ciò possono considerarsi, però, trascurabili, in quanto il vero problema – che è l'interruzione della prescrizione – è superato dall'espressa previsione di legge.

La questione rilevante, quindi, è un altra: è palese che l'intenzione del Legislatore nella previsione di un previo procedimento per ATP fosse quella di sgravare i Tribunali di liti facilmente definibili, una volta che i fatti materiali siano accertati in modo incontrovertibile.

L'ATP con finalità conciliativa, infatti, assolve ad una funzione di istruzione preventiva, ma anche certamente conciliativa: tale strumento, a differenza dell'ATP ordinaria, disciplinato all'art. 696 c.p.c., può essere instaurato al di fuori delle condizioni di urgenza colà previste.

Stante la natura tecnica eminentemente delle questioni mediche, il giudizio di merito si pone potenzialmente come solo eventuale, dovendosi dare in esso ingresso all'ATP quale fonte oggettiva di prova.

La Costituzione, infatti, indica la ragionevole durata dei processi come un valore fondamentale, così come fanno la Convenzione Europea e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

L'impianto previsto dal Legislatore, quindi, è chiaro: partendo dall'idea che le controversie in campo medico di basano su questioni tecniche, la CTU è stata concepita come strumento che consente o di conciliare la lite oppure di avere un giudizio di merito più agile, perché agevolato dall'elaborato peritale, che alleggerisce l'istruttoria.

Il procedimento, del resto, va visto nella sua interezza: non si tratta, infatti, di ATP e, poi, di giudizio di merito, ma di un unico procedimento che consta di istruzione preventiva ed eventuale giudizio di cognizione.

Il provvedimento del Tribunale scaligero, pertanto, ha l'evidente pregio di mettere a nudo un vizio dell'impianto legislativo. Esso rivela l'esistenza d'un aspetto capace di frustrare le finalità più specifiche per cui è stato concepito il sistema dell'ATP come condizione di procedibilità in campo medico: la legge, laddove non consente di poter proseguire l'attività peritale oltre il termine perentorio semestrale, manda a monte l'obiettivo deflattivo che la stessa s'era chiaramente posta e lo fa in modo ingiustificato.

È pur vero che autorevole dottrina afferma che non possa ritenersi “sostenibile che lo spirare del termine semestrale impedisca al collegio la prosecuzione della propria attività peritale: quest'ultima dovrebbe poter proseguire almeno fino all'udienza nella quale il giudice del merito potrebbe prorogare il termine delle attività stesse” (D. Longo, La consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi in materia di responsabilità medica e sanitaria, in unirc.it).

Secondo il Consolo, infatti, quando il termine semestrale sia spirato, la parte sarà onerata di segnalare il proprio interesse alla prosecuzione, per cui il Giudice dovrà fissare l'udienza in maniera tale da consentire la chiusura del subprocedimento (C. Consolo, Il «tentativo obbligatorio di consulenza-conciliazione» e l'eventuale giudizio di merito: promesse e realtà della elisione della cognizione piena, in Il contenzioso sulla nuova responsabilità sanitaria (prima e durante il processo), coordinato da C. Consolo, Torino 2018, 36 ss e nota 2).

Rimane il fatto che il testo della legge, così come scritto, imponga di dover introdurre il giudizio di merito.

Un sistema così concepito, però, rivela un vizio di fondo di incongruenza, perché, pur muovendo dall'obiettivo di favorire la definizione non contenziosa delle liti, finisce per porsi come generatore di vertenze di merito e per di più “alla cieca”, poiché, nel momento in cui si impone la chiusura dell'ATP, si costringe la parte a introdurre il giudizio di merito senza avere certezze più consolidate sugli aspetti tecnici della controversia.

La ragione per cui il Legislatore ha stabilito il termine massimo di durata dell'ATP in un tempo così breve va ascritta alla necessità di sfuggire alla censura di incostituzionalità, in quanto la giurisdizione condizionata è assoggettata a stringenti limiti secondo la giurisprudenza della Consulta (v. C. Cost. n. 443/2014, n. 406/1993 e n. 98/2014); tuttavia, è altrettanto vero che la descritta disciplina alimenta cause che potrebbero essere evitate.

Se lo scopo dell'ATP è quello di incentivare una deflazione del contenzioso, il fatto che tale procedimento non si concluda nel termine di sei mesi non giustifica la determinazione di impedire che lo stesso possa proseguire, né rende ragione della necessità di introdurre una causa di merito, necessariamente più ampia rispetto al procedimento di istruzione.

La previsione di perentorietà del termine, quindi, pare frustrare proprio l'esplicita finalità di favorire l'accordo tra le parti e, al contrario, si pone come generatrice di ulteriore contenzioso.

Ben venga che si preveda che la parte possa adire il Giudice, una volta che siano passati sei mesi dal ricorso per ATP, però non si giustifica la previsione che impone al Giudice di far cessare il procedimento per A.T.P. laddove questo non si concluda nel termine anzidetto.

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