Codice di Procedura Civile art. 473 bis 58 - Procedimenti in materia di amministrazione di sostegno 1

Rosaria Giordano

Ambito di applicazione. Mutamento del rito12

[I]. Le disposizioni del presente titolo si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni nonche' alle domande di risarcimento del danno conseguente a violazione dei doveri familiari, salvo che la legge disponga diversamente. Sono in ogni caso esclusi i procedimenti di scioglimento della comunione legale, quelli volti alla dichiarazione di adottabilita', quelli di adozione di minori di eta' e quelli attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea3.

[II].  Per quanto non disciplinato dal presente titolo, i procedimenti di cui al primo comma sono regolati dalle norme previste dai titoli I e III del libro secondo.

[III]. Quando rileva che uno dei procedimenti previsti dal primo comma e' promosso in forme diverse da quelle previste dal presente titolo, il giudice ordina il mutamento del rito e fissa l'udienza di cui all'articolo 473-bis.21 assegnando alle parti termini perentori per l'eventuale integrazione degli atti4.

[IV]. Quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente titolo riguarda un procedimento diverso da quelli previsti dal primo comma, il giudice, se la causa stessa rientra nella sua competenza, ordina il mutamento del rito dando le disposizioni per l'ulteriore corso del processo, altrimenti dichiara la propria incompetenza e fissa un termine perentorio per la riassunzione della causa con il rito per essa previsto5.

[V]. I provvedimenti di cui al terzo e al quarto comma sono pronunciati non oltre la prima udienza. Gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le forme del rito seguito prima del mutamento e restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento6.

[1] Rubrica sostituito  dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 3) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164.  La rubrica precedente era la seguente: «Ambito di applicazione». Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. 

[2] Articolo inserito dall'art. 3, comma 33,  del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[3] Comma sostituito  dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Il testo del comma era il seguente:  «Le disposizioni del presente titolo si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, salvo che la legge disponga diversamente e con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea»: ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,  le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», con la decorrenza indicata dall'art. 49, comma 1, d.lgs. 149, cit.

[4] Comma aggiunto dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

[5]  Comma aggiunto dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

[6]  Comma aggiunto dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

La norma in commento riproduce la disposizione attualmente contenuta nell'art. 720-bis c.p.c.  e che è stato conseguentemente abrogata dalla data di entrata in vigore della stessa, ossia il 28 febbraio 2023.

Unica precisazione di rilievo appare il rinvio, quanto al regime dei provvedimenti assunti dal giudice tutelare, all'art. 739 c.p.c. ciò che implica, a seguito della stessa riforma introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022, che il controllo sugli atti meramente gestori emessi dallo stesso sarà affidato ad altro giudice monocratico e non al collegio, come per quelli decisori.

L'amministrazione di sostegno nell'ambito delle misure di protezione della persona

Il tradizionale sistema di protezione dei soggetti incapaci, permeato sugli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, è stato con il passare degli anni oggetto di numerose critiche da parte della dottrina.

A riguardo si evidenziava, in primo luogo, che troppo spesso l'interdizione costituiva una misura eccessiva e sproporzionata sia per i destinatari della misura che dovevano essere sostituiti da un tutore anche per il compimento di atti che avrebbero potuto porre in essere autonomamente sia per i soggetti terzi che si trovavano a subire la grave conseguenza dell'annullamento dell'atto per aver contratto, magari senza avere avuto sentore dell'infermità dello stesso, con l'interdetto. Considerazioni non troppo dissimili potevano essere svolte con riguardo alla misura dell'inabilitazione che in ogni caso impedisce, indiscriminatamente, al destinatario della medesima il compimento di qualsivoglia atto di straordinaria amministrazione.

Era pertanto comunemente avvertita la necessità di una misura di protezione idonea a tutelare più adeguatamente, in via esclusiva o nel concorso con quelle già disciplinate, i soggetti adulti privi di autonomia.

In astratto le soluzioni, come dimostra anche l'esperienza di altri Stati europei, potevano essere diverse. Alcuni Paesi, come ad esempio l'Austria e la Germania, hanno difatti optato per una nuova misura di protezione unica modellata sulle esigenze di protezione che si presentano nelle singole fattispecie concrete. Altri Stati, come la Francia, il Lussemburgo e l'Olanda, hanno invece mantenuto, accanto alla più moderna amministrazione di sostegno, gli istituti classici dell'interdizione e dell'inabilitazione. Proprio quest'ultima scelta è stata fatta propria anche dall'Italia con la l. 9 gennaio 2004 n. 6, il cui art. 3 ha introdotto un nuovo Capo, dedicato per l'appunto all'amministrazione di sostegno, all'inizio del Titolo XII del Libro I del codice civile, la rubrica del quale, “Dell'infermità, dell'interdizione e dell'inabilitazione”, è stata significativamente sostituita dall'intitolazione “Delle misure di protezione delle persone pive in tutto od in parte di autonomia”; infatti il Capo successivo dello stesso Titolo XII continua a disciplinare gli istituti dell'interdizione, dell'inabilitazione e dell'incapacità naturale.

La finalità precipua dell'amministrazione di sostegno è stata individuata dall'art. 1 della stessa l. n. 6/2004 in quella di “tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”. Si tratta di una finalità coerente con l'affermazione di quella parte della dottrina secondo la quale l'obiettivo della riforma si sostanzia nell'individuare un equilibrio tra le opposte esigenze di libertà e di protezione della persona, di assicurare all'infermo tutta la libertà che è possibile e indispensabile, e – quanto alla protezione – dargli in più tutta quella che è necessaria e togliergli invece quella che è superflua, dannosa o ingiusta.

Nel rispetto di tale obiettivo, l'amministrazione di sostegno si differenzia dall'interdizione e dall'inabilitazione soprattutto perché con il decreto che dispone la misura di protezione il giudice tutelare è tenuto ad indicare espressamente gli atti per il compimento dei quali il beneficiario deve essere assistito dall'amministratore di sostegno: ne consegue che la capacità d'agire del soggetto rimane intatta quanto al compimento degli atti non espressamente indicati. Di talché, senza alcuna valutazione aprioristica, sono le circostanze del caso concreto o, rectius, il modo di atteggiarsi della patologia del beneficiario, ad influenzare il novero degli atti per l'effettuazione dei quali necessità dell'assistenza dell'amministratore di sostegno. Rimane invece identica la conseguenza riconnessa al compimento

autonomo da parte dell'incapace di siffatti atti, in quanto, ai sensi dell'art. 412 c.c., gli stessi sono annullabili nel termine di cinque anni dalla cessazione di sottoposizione del soggetto alla misura di protezione.

La scelta di far coesistere la nuova misura di protezione con gli istituti classici dell'interdizione e dell'inabilitazione, ha tuttavia stimolato un ampio dibattito, con non secondarie conseguenze in sede applicativa, in ordine ai presupposti delle singole misure di protezione.

Occorre ricordare, in proposito, che l'art. 404 c.c. stabilisce che la misura dell'amministrazione di sostegno può trovare applicazione a favore dei soggetti che, per effetto di un'infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovino nell'impossibilità, anche parziale o temporanea di provvedere ai propri interessi. A sua volta l'art. 414 c.c., relativo all'interdizione, come già evidenziato, è stato modificato nel senso che i soggetti adulti che si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi sono interdetti soltanto “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”; l'art. 415 c.c. non è stato invece innovato quanto ai presupposti dell'inabilitazione.

Questi sono pertanto i dati normativi dai quali occorre prendere le mosse per determinare i “confini” tra le diverse misure a protezione degli incapaci, nella consapevolezza che la problematica riguarda soprattutto la definizione dei presupposti dell'amministrazione di sostegno, da un lato, e dell'interdizione, dall'altro.

In accordo con una prima posizione, il criterio principale per determinare la misura di protezione più idonea tra l'amministrazione di sostegno e l'interdizione dovrebbe essere quello della gravità della patologia della quale è affetto l'infermo. Sarebbe infatti necessaria la pronuncia di interdizione ogni qual volta il soggetto versi in uno stato di incapacità tale da non essere neppure in grado di compiere gli atti necessari al soddisfacimento delle esigenze proprie della sua vita quotidiana. Questa tesi troverebbe anche un riscontro normativo nell'art. 409 c.c., in virtù del quale il beneficiario conserva la capacità d'agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno. Invero, argomentando a contrario, si dovrebbe concludere che qualora al soggetto non residui alcuna marginale capacità d'agire l'unica misura applicabile è quella dell'interdizione. Tale orientamento, peraltro, è stato criticato poiché postulerebbe sempre e comunque l'insussistenza in capo all'interdetto di una residua capacità naturale. Il che sarebbe contraddetto, sul piano sistematico, da diversi argomenti: a) ai sensi dell'art. 1191 c.c. l'interdetto può validamente adempiere all'obbligazione;

b) la donna interdetta può, ex art. 13 l. n. 194/1978, domandare l'interruzione volontaria di gravidanza;

c) nella responsabilità civile l'interdetto risponde personalmente del fatto illecito se capace di intendere e di volere al momento del compimento del fatto. Inoltre l'art. 427 c.c. prevede che nella sentenza che pronuncia l'interdizione o in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento del tutore.

Secondo una distinta impostazione, a prescindere dalla gravità dell'incapacità della quale è affetto il destinatario della misura di protezione, la scelta del provvedimento da adottare dovrebbe dipendere dall'entità e complessità del

patrimonio dello stesso. La nomina del tutore, dotato di maggiori e più flessibili poteri rispetto all'amministratore di sostegno, sarebbe infatti necessaria per consentire una gestione efficiente del patrimonio dell'incapace, che potrebbe essere impedita dalla circostanza che l'amministratore di sostegno sostituisce lo stesso esclusivamente nel compimento degli atti indicati nel decreto di nomina, con il risultato che, in ipotesi, l'infermo potrebbe porre in essere altri atti a sé pregiudizievoli che sarebbero annullabili ai sensi dell'art. 428 c.c. Peraltro, anche una siffatta posizione è stata oggetto di critiche in quanto non fornisce un criterio che possa giustificare l'applicazione al soggetto di altre disposizioni come, ad es., l'art. 85 c.c., il quale annovera proprio l'interdizione tra gli impedimenti al matrimonio.

Un altro orientamento, maggiormente condiviso in giurisprudenza, afferma che il criterio principale per determinare la misura di protezione più idonea per l'incapace dovrebbe essere rinvenuto nelle caratteristiche del rapporto tra il soggetto debole ed il mondo esterno nonché nei potenziali pregiudizi cui lo stesso si troverebbe esposto nei rapporti con gli altri. Si è infatti ritenuto, a riguardo, che la nomina dell'amministratore di sostegno può essere ritenuta sufficiente per soggetti con specifiche incapacità ovvero anche per soggetti del tutto privi di capacità, quando siano nell'impossibilità materiale di relazionarsi autonomamente con l'esterno e quindi di porre in essere comportamenti idonei a produrre effetti giuridici e negoziali, mentre può rivelarsi tutela inadeguata ove sia necessario inibire al soggetto di esplicitare all'esterno capacità viziate che espongano sé od altri a possibili pregiudizi. È stata in questa direzione ritenuta necessaria una pronuncia di interdizione in relazione ad un soggetto giovane, il quale presentava capacità intellettive e volitive fortemente compromesse, che gli impedivano di rapportarsi alla realtà con consapevolezza e discernimento e di assumere le più opportune decisioni di gestione della sua persona e del suo patrimonio, ma che, sempre come effetto della patologia, si poneva in atteggiamento non collaborante, passivo od oppositivo, nei confronti dell'indicazione di vie di cura, e si relazionava all'esterno con capacità viziate che lo esponevano ad atti di circonvenzione di chi ne volesse ottenere indebiti vantaggi personali o patrimoniali.

Si è infine affermato un orientamento secondo il quale l'interdizione e l'inabilitazione dovrebbero trovare applicazione soltanto in via residuale, qualora, in virtù delle particolari circostanze del caso concreto, l'amministrazione di sostegno non sarebbe idonea ad assicurare all'incapace una protezione sufficiente. La nuova misura di protezione di configurerebbe difatti quale misura flessibile di protezione, modellabile dal giudice in un ambito parametrico nel quale la capacità d'agire della persona rappresenta la regola della nomenclatura normativa e l'incapacità l'eccezione.

Proprio le differenti interpretazioni circa i presupposti delle singole misure di protezione dei soggetti incapaci disciplinate nel nostro ordinamento, avevano indotto, alcuni anni fa, il Tribunale di Venezia a sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 404, 405 nn. 3 e 4, 409 c.c., in relazione agli artt. 2,3,4,41, comma 1, e 42 Cost., deducendo che in forza dell'art. 404 c.c. l'amministrazione di sostegno è applicabile anche nel caso di incapacità totale e permanente del beneficiario di provvedere ai propri interessi per infermità o

menomazione psichica, secondo una formulazione di fatto coincidente con quella adottata dall'art. 414 c.c. per definire i presupposti dell'interdizione, con l'ulteriore conseguenza che nei casi più gravi anche l'amministratore di sostegno, sarebbe chiamato, alla stessa stregua del tutore, a sostituire l'incapace in pressoché tutti gli atti.

La Corte Costituzionale ha tuttavia dichiarato infondata la questione proposta, fornendo indicazioni fondamentali per la ricostruzione del sistema complessivo. Secondo la Consulta dalla formulazione dell'art. 404 c.c. e da quella dell'art. 414 c.c., siccome risultante dalle modifiche apportate dalla stessa l. n. 6/2004 istitutiva dell'amministrazione di sostegno, che consente di interdire i soggetti totalmente incapaci soltanto “quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione”, si deve inferire che la misura dell'amministrazione di sostegno deve trovare applicazione in via preferenziale. Ciò significa che la stessa può essere emanata anche per tutelare soggetti totalmente incapaci di provvedere ai propri interessi qualora non risulti necessario, per le caratteristiche del caso concreto, il più radicale provvedimento di interdizione. Invero, come non ha trascurato di osservare acuta dottrina a margine dell'intervento della Corte Costituzionale, il presupposto dell'infermità talmente grave da rendere la persona completamente incapace di provvedere ai propri interessi se è necessario ai fini della sentenza di interdizione, non è anche sufficiente, poiché l'interdizione può essere pronunciata esclusivamente qualora si configuri quale strumento “necessario”, ovvero non altrimenti surrogabile, per assicurare all'infermo un'adeguata protezione. L'amministrazione di sostegno assurge, pertanto, nella ricostruzione del giudice delle leggi già precedentemente condivisa da alcuni Autori, a strumento generale di tutela degli incapaci, rispetto al quale l'interdizione e l'inabilitazione si configurano come mezzi speciali di tutela utilizzabili soltanto qualora, date le caratteristiche della fattispecie concreta, la protezione assicurata dall'amministrazione di sostegno sarebbe insufficiente.

Questa impostazione appare recepita nella giurisprudenza di legittimità in omaggio alla quale in materia di misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, la l. 9 gennaio 2004, n. 6 ha configurato l'interdizione come istituto di carattere residuale, perseguendo l'obbiettivo della minor limitazione possibile della capacità di agire, attraverso l'assunzione di provvedimenti di sostegno temporaneo o permanente, con conseguente necessità, prima di pronunziare l'interdizione, di valutare l'eventuale conformità dell'amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario, alla stregua della peculiare flessibilità del nuovo istituto, della maggiore agilità della relativa procedura applicativa, nonché della complessiva condizione psico-fisica del soggetto e di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie, mentre non costituisce condizione necessaria all'applicazione di tale misura la circostanza che il beneficiario abbia chiesto, o quantomeno accettato, il sostegno ovvero abbia indicato la persona da nominare o i bisogni concreti da soddisfare (Cass. n. 4866/2010).

Sulla delimitazione dei presupposti dell'amministrazione di sostegno rispetto all'interdizione, peraltro, talvolta la Corte di Cassazione, ha evidenziato, in senso in parte diverso, che, ferma l'impossibilità di disporre

l'interdizione per un soggetto che non sia del tutto incapace d'agire, nei casi concreti incide sulla scelta della misura di protezione più adeguata a tutelare il soggetto incapace anche la complessità del patrimonio dello stesso che rende opportuna la nomina, in luogo dell'amministratore di sostegno, di un tutore dotato di poteri generali quanto alla gestione delle situazioni giuridiche soggettive riconducibili all'infermo.

Peraltro, nella giurisprudenza di legittimità è stato ormai chiarito, in senso diverso, che nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni previste dall'art. 418 c.c. per la nomina di un amministratore di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che, rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alle residue capacità e all'esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell'attività lavorativa (nella specie, si trattava di un'impiegata in ufficio con mansioni esecutive). Ne consegue che non si può impedire all'incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell'amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all'ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore (Cass. I, n. 17962/2015).

L'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno, rispetto all'interdizione, pertanto, va individuato con riguardo non già al diverso e meno intenso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agibilità della relativa procedura applicativa (v., tra le tante,Trib. Bari I, 16 ottobre 2015, n. 4429; Trib. Vercelli 23 dicembre 2014, n. 142). In altri termini, la complessiva disciplina di cui alla l. n. 6/2004 affida al giudice il compito di individuare l'istituto che, da un lato, garantisca all'incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall'altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità: il metro quantitativo della disabilità non costituisce infatti elemento discriminante tra la misura dell'amministrazione di sostegno e gli istituti preesistenti (Trib. Roma I, 1° aprile 2015, n. 7249).

 

Norme processuali in materia di amministrazione di sostegno

Il procedimento volto alla nomina dell’amministratore di sostegno è, da un lato, direttamente disciplinato dagli artt. 404-413 c.c. e, dall’altro, attraverso il rinvio operato, salvo il limite generale della “compatibilità”, dalla disposizione in commento al modello processuale proprio dei procedimenti di interdizione e di 

inabilitazione, dovrebbe, in assenza di specifiche indicazioni normative, conformarsi allo stesso.

Tale tecnica legislativa non è stata salutata favorevolmente dalla maggior parte dei primi commentatori, i quali hanno previsto le difficoltà che si sarebbero per questo motivo manifestate nella prassi applicativa.

Competenza

Ai sensi dell'art. 405 c.c. la competenza è attribuita al giudice tutelare del Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del soggetto beneficiario della misura di protezione.

Pertanto, diversamente da quanto stabilito per i procedimenti di interdizione e di inabilitazione, la competenza appartiene ad un organo monocratico e non collegiale.

Il dato normativo è stato inteso nel senso che in tema di amministrazione di sostegno, la competenza  territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore (cfr. Cass. n. 23772/2017, la quale ha precisato che non opera, in tal caso, il principio della “perpetuatio iurisdictionis”, trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, onde rileva la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze).

Ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio, quindi, le risultanze anagrafiche non assurgono a dato preminente, se vengono superate da evenienze di fatto conclamanti un diverso effettivo domicilio della persona, nel cui interesse si chiede l'apertura del procedimento (Cass. n. 16544/2013).

Il provvedimento di trasmissione ad un altro tribunale della procedura di 

amministrazione di sostegno pendente equivale ad una dichiarazione di incompetenza, cosicché sussiste il potere del tribunale che ha ricevuto gli atti del procedimento di sollevare il regolamento di competenza d'ufficio (Cass. VI, n. 23169/2015).

La Corte di cassazione ha recentemente precisato che, nel caso in cui il beneficiario dell'amministrazione di sostegno si trovi in stato di detenzione in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, la competenza territoriale va riconosciuta al giudice del luogo in cui il detenuto aveva la sua dimora abituale prima dell'inizio dello stato detentivo, non potendo trovare applicazione il criterio legale che individua la residenza (con la quale coincide, salva prova contraria, la dimora abituale) nel luogo in cui è posta la sede principale degl'interessi e degli affari della persona, dal momento che, tale criterio, implicando il carattere volontario dello stabilimento, postula un elemento soggettivo la cui sussistenza resta esclusa per definizione nel caso in cui l'interessato, essendo sottoposto a pena detentiva, non possa fissare liberamente la propria dimora (Cass. n. 18943/2020).

I rimedi avverso le statuizioni sulla competenza sono quelli ordinari e possono ricomprendere anche la proposizione del regolamento di competenza. A quest'ultimo riguardo la S.C. ha precisato che l'istanza di regolamento di competenza può essere sottoscritta anche dalla parte personalmente, atteso che il relativo procedimento, a differenza di quelli d'interdizione o inabilitazione, non richiede il ministero di un difensore, almeno nelle ipotesi, corrispondenti al modello legale tipico, in cui l'emanando provvedimento abbia ad oggetto esclusivamente l'individuazione di singoli atti, o categorie di essi, in relazione ai quali è richiesto l'intervento dell'amministratore e non incida sui diritti fondamentali della persona attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o per l'inabilitato (Cass. n. 7241/2020).

Ricorso

 

Legittimazione  attiva

Il procedimento ha inizio con ricorso. I soggetti legittimati a proporre lo stesso sono, ai sensi dell'art. 406, comma 1, c.c. il soggetto beneficiario della misura, il coniuge, la persona stabilmente convivente, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado, il tutore o curatore ed il pubblico ministero, nonché, stante l'ultimo comma della stessa disposizione, i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura della persona ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento.

È stata ritenuta significativa la legittimazione del medesimo soggetto beneficiario del provvedimento, considerata da alcuni sintomatica della natura eminentemente volontaria del procedimento in questione. 

Si è evidenziato che l'elencazione dei soggetti attivamente legittimati alla presentazione del ricorso per nomina di amministrazione di sostegno ha natura tassativa, quindi non incrementabile con l'interpretazione (cfr. Trib. Modena II, 9 luglio 2014, che ha di conseguenza ritenuto che i “figliastri” non possono farsi ricomprendere nella categoria dei “parenti entro il quarto grado” del beneficiario, poiché la parentela è “il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”, a prescindere dal legame di coniugio).

Contenuto

Nel ricorso, che deve in ogni caso avere i contenuti di cui all'art. 125 c.c., devono essere indicati, ai sensi dell'art. 407, comma 1, c.c. i seguenti elementi: le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell'amministratore di sostegno nonché, ove noti al ricorrente, il nominativo ed il domicilio del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario.

Onere del patrocinio

Sulla questione, oggetto di ampio dibattito in dottrina e di soluzioni diversificate nella giurisprudenza di merito in sede di prima applicazione, la Corte di Cassazione ha affermato che il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore. La Corte ha al contempo evidenziato che è necessaria, per contro, detta difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio (Cass. n. 25366/2006).

Notificazione del ricorso al pubblico ministero

Le Sezioni Unite hanno statuito che, in tema di procedimento per la nomina di amministratore di sostegno, la mancata partecipazione del p.m. ad entrambi i gradi di merito comporta la cassazione del decreto della corte di appello e la remissione del giudizio dinanzi al giudice di primo grado, atteso che in tale procedimento l'intervento del P.M., il quale è titolare anche del relativo potere di azione ai sensi del combinato disposto degli artt. 406, comma 1, e 417 c.c., rientra nell'ipotesi di cui all'art. 70, comma 1, n. 1 c.p.c., che è norma attinente alla disciplina del contraddittorio e,

pertanto, dà luogo ad un litisconsorzio necessario (Cass. S.U., n. 1093/2017).

Istruttoria

L'istruttoria si svolge, come peraltro avviene di regola nei giudizi camerali, in modo sommario e secondo il principio inquisitorio. Al giudice è infatti attribuito l'ampio potere di assumere informazioni nonché di disporre, anche d'ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.

Momento fondamentale dell'istruttoria è, comunque sia, l'esame del soggetto che dovrebbe beneficiare della misura di tutela. Apprezzabile appare la necessità che in una tale sede il giudice, nel corso del colloquio che si svolge personalmente con il soggetto, tenga anche conto delle richieste dello stesso. Si discute in ordine alla necessità che all'esame del soggetto partecipi anche il p.m. che pure deve intervenire del procedimento: i dubbi sono invero suscitati dall'assenza di un richiamo espresso alla relative norme dettate in tema di interdizione e di inabilitazione.

Nelle more dell'adozione del decreto di nomina, l'art. 405, comma 4, c.c. consente in ogni caso al giudice, parallelamente a quanto previsto dall'art. 717, di emanare provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l'amministrazione del suo patrimonio. In ogni caso, è stato precisato che gli individui, affetti da patologie, pur invalidanti, che inibiscano loro di provvedere autonomamente ai propri interessi, non debbono necessariamente ed ineluttabilmente essere assistiti da un soggetto di nomina giudiziale, laddove siano concretamente in grado di esercitare con pienezza i loro diritti avvalendosi del proficuo aiuto da parte di terzi (cfr. Trib. Vercelli 16 ottobre 2015, che a tal fine ha considerato una serie di elementi concreti, ossia: la presenza di una rete familiare attenta alle esigenze della persona beneficianda e priva al suo interno di conflittualità, o tacciabile di un qualche, pur recondito, sospetto in ordine a velleità di approfittamento; l'intervento mirato dei soggetti istituzionali deputati all'ausilio delle persone variamente bisognose; la disponibilità, in termini di piena e sufficientemente informata accettazione, da parte del soggetto bisognoso, ad avvalersi dell'aiuto proveniente dai predetti soggetti; la limitata difficoltà di compimento delle “attività di protezione”, in riferimento ad una agevole sormontabilità delle problematiche di natura pratica, burocratica e giuridica che via via si vadano a presentare).

Decreto di nomina dell'amministratore di sostegno

Nel caso di accoglimento del ricorso, il giudice nomina l’amministratore di sostegno con un provvedimento che assume la forma del decreto motivato.

Il giudice ha l’onere di indicare gli atti che richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno, restando ferma per gli altri atti la capacità del beneficiario della misura.

Il provvedimento deve essere annotato nell’apposito registro ed a margine dell’atto di nascita del beneficiario.

Regime impugnatorio del decreto

Il comma 2 della norma in esame precisa che il decreto è impugnabile con ricorso dinanzi alla Corte d'appello, avverso il provvedimento emesso dalla quale sarà, poi, come specificato dal comma 3, proponibile ricorso per cassazione.

Pertanto, quanto al ricorso avverso il provvedimento del giudice tutelare, la S.C. ha chiarito che l'art. 720-bis, comma 2, nel disciplinare il procedimento per la nomina dell'amministratore di sostegno, prevede espressamente che il reclamo contro il decreto, con cui il giudice tutelare si pronuncia in ordine alla relativa istanza, sia proposto non dinnanzi al tribunale, bensì alla corte d'appello, disposizione che, pertanto, prevale, avendo carattere speciale, su quella generale risultante dagli artt. 739 e 45 disp. att. c.c. (Cass. n. 18634/2012).

In passato la Corte di legittimità aveva, tuttavia, ritenuto che, in tema di amministrazione di sostegno, i provvedimenti non aventi carattere decisorio ma meramente gestionali assunti dal giudice tutelare (nella specie, decreti con i quali vengono liquidate alcune indennità in favore dell'amministratore) non sono suscettibili di reclamo alla corte d'appello ex art. 720-bis c.p.c., bensì di reclamo al tribunale in composizione collegiale ai sensi dell'art. 739 c.p.c., trattandosi di provvedimenti che riguardano l'amministrazione, emanati in applicazione dell'art. 379 c.c. 

Questa posizione è stata ormai superata, peraltro, dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, le quali hanno sancito il differente principio secondo cui i provvedimenti resi dal giudice tutelare, siano essi di carattere decisorio o gestorio, emanati dall'amministratore di sostegno sono sempre reclamabili dinanzi alla Corte di appello (Cass., SU, n. 21985/2021)

Per altro verso, è stato precisato che il procedimento di reclamo avverso il decreto del giudice tutelare sull'apertura dell'amministrazione di sostegno è disciplinato dall'art. 739 c.p.c. e si connota per la sommarietà della cognizione e la semplicità delle forme, con conseguente esclusione della piena applicazione delle norme che regolano il processo ordinario, dovendo, in particolare, ritenersi ammissibile l'acquisizione di nuovi mezzi di prova, in specie di documenti, alla sola condizione che sia assicurato – come in tutte le procedure soggette al rito camerale - un pieno e completo contraddittorio tra le parti (Cass. n. 17931/2022).  In questa ipotesi il reclamo sarà proponibile allora dinanzia al giudice monocratico, a fronte delle modifiche operate all'art. 739 c.p.c. dal d.lgs. n. 149 del 2022.

Con riferimento alla proponibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell'ultimo comma della norma in esame la stessa, secondo la giurisprudenza tradizionale, è invece limitata ai decreti di carattere decisorio, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, assimilabili, per loro natura, alle sentenze emesse in materia di interdizione ed inabilitazione, mentre tale facoltà non si estende ai provvedimenti a carattere gestorio ( Cass. n. 13747/2011; sul piano processuale Cass. n. 7241/2020, ha chiarito che in tema di reclamo contro il provvedimento di chiusura dell'amministrazione di sostegno, ai fini dell'instaurazione del rapporto processuale deve considerarsi irrilevante la mancata notificazione del ricorso al P.M. presso il giudice “a quo”, avendo l'impugnazione ad oggetto un provvedimento emesso all'esito di un procedimento unilaterale in cui l'unica parte necessaria è il beneficiario dell'amministrazione, con la conseguenza che la mancata partecipazione del P.M. non comporta la pretermissione di un litisconsorte necessario, costituendo tale notificazione un requisito di ammissibilità dell'impugnazione esclusivamente per i giudizi contenziosi, o comunque per i procedimenti con pluralità di parti, e non è estensibile al procedimento in esame, nel quale non è individuabile un interesse diverso da quello del soggetto istante, dal momento che in tal caso non esiste una controparte cui notificare il ricorso, non potendosi 

legittimamente qualificare come parte il P.M.). Ne deriva che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto della corte di appello dichiarativo della inammissibilità del reclamo avverso il provvedimento con cui il giudice tutelare nomina un nuovo amministratore di sostegno, in sostituzione del precedente (Cass. n. 11657/2012 ).

Secondo una diversa impostazione interpretativa, affermata nella giurisprudenza più recente, invece, In materia di amministrazione di sostegno, ai fini della ricorribilità per cassazione del provvedimento emesso dalla corte d'appello, in sede di reclamo avverso il decreto adottato dal giudice tutelare, non occorre indagarne il carattere decisorio e definitivo, perché l'art. 720 bis, comma 3, ammette espressamente sempre detta impugnazione (Cass. n. 32409/2019).

Sotto altro profilo, è stato precisato, in sede di legittimità, che il provvedimento di trasmissione ad un altro tribunale della procedura di amministrazione di sostegno pendente equivale ad una dichiarazione di incompetenza, cosicché sussiste il potere del tribunale che ha ricevuto gli atti del procedimento di sollevare il regolamento di competenza d'ufficio (Cass. n. 23169/2015).

Bibliografia

Albiero, I fatti di violenza e il processo, in La riforma del giudice e del processo per le persone, i minori e le famiglie, Legge 26 novembre 2021, n. 206, a cura di C. Cecchella, Torino, 2022, 359 ss.; Caratta, Un nuovo processo di cognizione per la giustizia familiare e minorile, in Fam. e dir., 2022, 4, 349; Danovi, Il nuovo rito delle relazioni familiari, in Fam. e dir., 2022, 8-9, 837; Ficcarelli, Violenza domestica, di genere e tutela civile: i criteri direttivi della legge delega, in ilfamiliarista.it, 22 giugno 2022; Tommaseo, La riforma del processo civile a un passo dal traguardo, Fam. e dir., 2022, 10, 955.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario