La verifica degli indici sintomatici dello stato di insolvenza: il ruolo (marginale) dell'attivo immobiliare

08 Febbraio 2023

La Cassazione si è occupata della verifica della sussistenza dello stato d'insolvenza di una società, quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, concentrandosi in particolare sugli elementi sintomatici di uno stato di dissesto irreversibile, e ribadendo che tale accertamento è desumibile dalla possibilità per l'impresa di continuare ad operare sul mercato, indipendentemente dall'attivo immobiliare.
Massima

Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società non in liquidazione, l'accertamento dello stato di insolvenza è desumibile, più che dal rapporto tra attivo e passivo, dalla possibilità dell'impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato fronteggiando con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, sicché i beni e i crediti che compongono il patrimonio sociale vanno considerati non solo per il loro valore contabile e di mercato, ma anche in rapporto all'attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti, senza compromissione – di regola – dell'operatività dell'impresa.

Il caso

La decisione che ci si accinge a commentare prende le mosse dal ricorso per Cassazione promosso da una società fallita avverso alla sentenza con la quale la Corte di Appello di Firenze aveva rigettato il reclamo avente ad oggetto la pronuncia con la quale il giudice di prime cure aveva dichiarato il fallimento della società ricorrente su istanza di una banca creditrice.

Il giudice del gravame, infatti, aveva ritenuto di dover confermare il giudizio di sostanziale incapacità della società di far fronte alle obbligazioni assunte nei confronti dei propri creditori e, dunque, la valutazione di irreversibile dissesto della società appellante.

In particolare, la ricorrente, già inadempiente alle proprie obbligazioni, si era rivelata, altresì, incapace di osservare il piano di rientro concordato con l'istituto di credito di riferimento della propria operatività ordinaria, istituto che era stato ammesso al passivo fallimentare per circa 500.000,00 euro, dopo che dopo che la ricorrente, in epoca anteriore al fallimento, non aveva rispettato il piano di rientro suddetto.

In effetti, l'andamento degli affari della fallita si era rivelato insoddisfacente al punto da rendere necessario il reperimento di nuove risorse finanziarie attraverso l'iscrizione di due garanzie ipotecarie aggiuntive rispetto al progetto originario, nel quadro di altrettanti piani di risanamento risultati insufficienti, persino a sanare l'esposizione verso Banca.

Avverso alla decisione del giudice di appello la fallita ricorreva per Cassazione deducendo, con il primo motivo di ricorso, la violazione degli artt. 5 e 67 l.fall. e, con il secondo, la violazione dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.

La ricorrente sosteneva, in particolare, che la Corte di Appello avesse ricavato l'evidenza dello stato di insolvenza esclusivamente dall'inadempimento della società alle obbligazioni pecuniarie della fallenda, obbligazioni che, peraltro, non erano tutte scadute.

Al contrario, l'assenza di iscrizioni ipotecarie, di azioni giudiziali o di protesti cambiari nei confronti della società, oltre a quelle promosse dalla stessa banca ammessa al passivo, sarebbe stata sintomatica, a dire della ricorrente, dell'assenza di alcun indice sintomatico dello stato d'insolvenza.

Nondimeno, lamentava, ancora la ricorrente come, nel valutare la solvibilità della società, il giudice di secondo grado non avesse attribuito alcuna rilevanza alla consistenza del patrimonio immobiliare.

La Corte di Appello, infatti, aveva premesso l'irrilevanza relativa, ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza, del rapporto fra attivo e passivo del patrimonio della società, osservando come “un imprenditore dotato di patrimonio esuberante rispetto all'ammontare dei propri debiti, deve riuscire a servirsene per adempiere regolarmente, altrimenti è insolvente”.

Anche il ricorso per Cassazione è stato rigettato.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Da quanto esposto supra ben si evince come la principale questione sottesa alla vicenda in commento concerna la verifica della sussistenza dello stato d'insolvenza della società, che è presupposto per la relativa dichiarazione di fallimento. In particolare, la decisione involge il tema degli elementi sintomatici di uno stato di dissesto irreversibile, in presenza dei quali sia necessario e ragionevole dichiarare il fallimento della società.

Sulla questione la Cassazione prende posizione ricordando l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità a proposito degli indici rivelatori dello stato d'insolvenza.

Sul punto, è appena il caso di ricordare che l'art. 5 l.fall. – di cui il ricorrente aveva, non a caso, lamentato la violazione – si “limita” a ricollegare il fallimento allo stato di insolvenza dell'imprenditore e, con definizione alquanto tautologica, individua lo stato d'insolvenza nel manifestarsi di “inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.

La norma, quindi, non offre l'elencazione concreta degli elementi in presenza dei quali debba/possa esser dichiarato il fallimento, ma fornisce soltanto l'indicazione degli indizi che ne costituiscono elementi sintomatici e che “sono apprezzabili dal giudice al fine della dimostrazione della sua sussistenza” (Cass., 11 marzo 2019, n. 6978). Spetta, dunque, all'interprete il compito di procedere a tale operazione sulla scorta delle disposizioni che regolano la materia.

Ebbene, la giurisprudenza prevalente, confermata anche nella sentenza in commento, ritiene che il concetto di insolvenza rilevante ai fini della declaratoria di fallimento della società stia ad indicare “uno stato d'impotenza economico – patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilità di far fronte, con mezzi ‘normali', ai propri debiti”, che si presenta (in prognosi) irreversibile, e non già come “mera temporanea impossibilità di regolare adempimento delle obbligazioni assunte” (Cass., 30 settembre 2004, n. 19611; Cass., 11 febbraio 2003, n. 1997).

Più che dal rapporto tra attivo e passivo (cfr., sul punto, ex plurimis, S. Perrotta, Lo stato di insolvenza di una società in liquidazione e l'incerta applicazione del criterio patrimoniale, in Dir. fall. e soc. comm., 2021, 3-4, pt. 2, pp. 776-792), tale situazione di dissesto deve essere ricavata dalla possibilità per l'impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le proprie obbligazioni dal lato passivo (Cass., 20 novembre 2018, n. 29913; Cass.,7 febbraio 2001, n. 2830. Nel caso di specie, peraltro, la ricorrente non aveva afferma di avere dedotto nel procedimento di reclamo che gli immobili di cui è proprietaria potevano essere in tempi brevi venduti, onde onorare poi i debiti scaduti; sì che le argomentazioni spese quanto alla rilevanza di tale componente nell'attivo patrimoniale si collocavano al di fuori dell'interpretazione dell'art. 5 l.fall., come offerta la giurisprudenza unanime e come applicata dalla sentenza di appello).

Spiega, infatti, la Corte, che la verifica dello stato di insolvenza del debitore, più che dalla (presenza ovvero) assenza di indizi concreti dell'esistenza di passività in capo alla società, come potrebbe ricavarsi dalla esistenza di protesti o azioni giudiziarie in capo alla fallenda – la assenza dei quali non è di per sé sola sufficiente ad escludere lo stato di irreversibile dissesto sociale – si fonda su di un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore, oggetto di una valutazione complessiva; anche la più recente giurisprudenza conferma che lo stato di insolvenza rilevante ai sensi dell'art. 5 l.fall. “deriva da una valutazione circa le condizioni economiche necessarie (secondo un criterio di normalità) all'esercizio di attività economiche”, valutazione che “sottende un giudizio di inidoneità solutoria strutturale del debitore”. Cfr. Cass., 20 gennaio 2020, n. 1069.

In altre parole, il giudice richiesto di dichiarare il fallimento della società è tenuto ad effettuare una valutazione prognostica, non limitandosi alla verifica del rapporto tra attivo e passivo, ma prestando attenzione, in particolar modo, alla capacità dell'impresa ad estinguere tempestivamente i propri debiti, prima che ne risulti compromessa l'operatività dell'impresa (Cass., 19 maggio 2017, n. 23437; Id., 27 febbraio 2008, n. 5215 del 2008. Sull'accertamento dello stato di insolvenza dell'imprenditore in dottrina – si consideri che la dottrina è tendenzialmente tesa a valorizzare più il dato oggettivo patrimoniale, che la incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni – cfr., ex multis, G. Terranova, Lo stato di insolvenza, in Le procedure concorsuali, Il fallimento, Torino, I, 2000 p. 239 ss., il quale osserva che per il giudice è indifferente la causa del dissesto, in quanto lil giudice deve accertare la gravità e l'irreversibilità del dissesto; G. U. Tedeschi, Manuale di Diritto fallimentare, Padova, 2001, p. 38; S. Satta, Diritto fallimentare, Padova, 1996, p. 52, secondo il quale l'insolvenza “è un fenomeno generale che abbraccia tutto il patrimonio del debitore e può pertanto essere rivelata da qualunque fatto esteriore”; Cfr. altresì F. Ferrara, Il fallimento, Milano, 1995, p. 142; U. Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, I, 1961, p. 273; G. Rossi, Equivoci sul concetto di insolvenza, in Dir. Fall., 1954, I, pp. 175 ss.).

Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla sostanziale possibile irrilevanza di taluni inadempimenti, ove questi posseggano un carattere meramente irrisorio: in altre parole, così come la assenza di fatti esteriori, id est gli adempimenti alle obbligazioni che gravano sulla società, non è di per sé sufficiente ad escludere l'assenza dello stato di insolvenza della società, per converso è vero pure che la esistenza di inadempimenti non giustifica di per sé sola la declaratoria di fallimento, quando si tratti di inadempimenti di scarsa rilevanza (in altre parole, gli inadempimenti sono “equiparabili agli altri fatti esteriori idonei a manifestare quello stato, con valore, quindi, meramente indiziario, da apprezzarsi caso per caso, e con possibilità di escludersene la rilevanza ove si tratti di inadempimento irrisorio”. Cass., 15 dicembre 2017, n. 30209. Cfr., altresì, Cass., 8 agosto 2013, n. 19027, secondo la quale lo stato di insolvenza “consistendo nell'impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, non suppone necessariamente l'esistenza di inadempimenti, né è da essi direttamente deducibile, essendo gli stessi, se effettivamente riscontrati, equiparabili agli altri fatti esteriori idonei a manifestare quello stato, con valore, quindi, meramente indiziario, da apprezzarsi caso per caso, e con possibilità di escludersene la rilevanza ove si tratti di inadempimento irrisorio”).

Osservazioni

Nel caso in esame era emerso che non solo la ricorrente non pagava i debiti scaduti a coloro cui era solita rivolgersi nell'esercizio della propria attività, ma pattuiva con alcuni di essi, tra cui la banca resistente, dilazioni di pagamento, che poi, però, non osservava: in altre parole, non solo la società rimaneva inadempiente ai propri debiti, ma nemmeno rispettava i piani di risanamento stipulati ai sensi dell'art. 67, comma 3 l.fall.. Vale la pena ricordare che tale disposizione offre l'indicazione delle operazioni non soggette all'azione revocatoria dei creditori dell'imprenditore ed annovera:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso;

b) le rimesse su un c.c. bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell'art. 2645 bis c.c. i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'art. 28 lett. a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2399 c.c. e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;

e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata, nonché dell'accordo omologato ai sensi dell'art. 182-bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'art. 161; ,

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all'accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.

Ciò sta a significare che, vista, altresì, la sostanziale irrilevanza del rapporto tra componenti attive e passive del patrimonio, la Corte di Appello aveva del tutto correttamente qualificato la condotta della società appellante indice di uno stato di irreversibile dissesto della società ed aveva, dunque, confermato la sentenza di fallimento emessa dal tribunale.

Con il secondo motivo la ricorrente deduceva la violazione dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., assumendo che il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere il patrimonio immobiliare della società, in corso di costruzione, non sarebbe stato esuberante rispetto all'ammontare del passivo. In altre parole, la Corte di appello non avrebbe tenuto conto dell'attivo immobiliare in funzione dell'accertamento dello stato di insolvenza della società ed avrebbe tratto tale conclusione dal mancato adempimento, da parte dell'appellante, all'onere della prova in punto di capienza del patrimonio immobiliare rispetto ai debiti sociali.

Com'è evidente, la questione si inserisce nel contesto della verifica degli indici sintomatici dello stato di insolvenza della società, rappresentandone una particolare angolazione.

La questione richiama le considerazioni sopra svolte con riferimento alla verifica dello stato di insolvenza della società. Infatti, la sostanziale irrilevanza del rapporto tra attivo (immobiliare) e passivo, come sopra espressa, consente di attribuire a tale valutazione un ruolo puramente marginale nella verifica della esistenza di indici sintomatici dello stato d'insolvenza della società: in altre parole, come osservano gli Ermellini, la posizione assunta sull'argomento da parte dei giudici di appello ha assunto un peso soltanto secondario nella decisione che ha poi condotto al rigetto dell'appello, tale è secondaria l'importanza che la relazione tra attivo immobiliare e debiti riveste nel contesto della valutazione sullo stato di insolvenza (Nello stesso senso, Cass., 21 gennaio 2013, n. 1347, secondo la quale “la consistenza del patrimonio immobiliare e la capienza dei debiti sociali non escludono lo stato di insolvenza che deriva da illiquidità”; nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Milano, 15 marzo 2001).

L'orientamento dominante in giurisprudenza in punto di accertamento dello stato di insolvenza della società, infatti, avrebbe comunque dovuto condurre, e in effetti ha condotto, la Corte di Appello verso la conferma del fallimento dichiarato in primo grado. A tanto bastava rilevare, infatti, che “la società è caduta in dissesto, non riuscendo ad adempiere in maniera regolare a molte delle obbligazioni assunte nei confronti di importanti interlocutori contrattuali”.

Conclusioni

La decisione della Corte si mostra lineare ed equilibrata: essa è figlia dell'applicazione delle disposizioni che disciplinano la materia, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza prevalente.

Inserendosi nel solco tracciato dalla stessa giurisprudenza di legittimità in punto di accertamento dello stato di insolvenza, la sentenza offre un'ulteriore conferma, si direbbe confortante in punto di “certezza del diritto”, nondimeno avvalora, l'orientamento prevalente in materia.

Il caso di specie ha, peraltro, offerto al giudicante l'occasione per soffermarsi in modo particolare sul se e sul modo in cui l'attivo patrimoniale si inserisca nel contesto della valutazione destinata ad accertare la esistenza di indici sintomatici dello stato di insolvenza della società.

Ciò nondimeno, anche rispetto a tale “angolazione” della verifica dello stato di insolvenza della società, la Cassazione ha concluso nel senso della sostanziale irrilevanza dell'esistenza di significativi elementi patrimoniali attivi nel patrimonio del debitore, nella specie, immobiliari, quando a questa comunque non si accompagni una reale capacità dell'imprenditore in crisi di fare fronte alle obbligazioni assunte in maniera tempestiva.

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