S.n.c.: limiti e condizioni della non espropriabilità da parte del creditore particolare del socio della quota del debitore

28 Febbraio 2023

Con il presente contributo L'Autore analizza una sentenza della Cassazione in tema di debiti personali di un socio di società in nome collettivo e condizioni per l'esercizio di azioni esecutive e cautelari da parte del creditore particolare del socio-debitore.
Massima

Il creditore, che abbia ottenuta la dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti dell'atto di cessione della quota di società in nome collettivo compiuto dal suo debitore, può promuovere nei confronti del cessionario le azioni esecutive, se munito titolo esecutivo, o conservative aventi ad oggetto il credito risultante dalla liquidazione della quota.

Il caso

Una banca soc. coop. ha citato in giudizio tre soci di una società in nome collettivo per il pagamento di un credito vantato nei confronti di uno dei tre, ed ha proposto l'azione revocatoria del patto di famiglia stipulato ai sensi dell'art. 768-bis c.c. mediante il quale un socio aveva trasferito a titolo gratuito in favore degli altri due le quote rappresentanti il 51% del capitale sociale. Il Tribunale adito ha dichiarato inammissibile la domanda per la non assoggettabilità ad azioni esecutive della quota della società in nome collettivo. Avverso detta sentenza ha proposto appello la banca soc. coop., originaria attrice. La Corte territoriale ha accolto l'appello, dichiarando l'inefficacia nei confronti dell'appellante del patto di famiglia. La motivazione addotta dai secondi giudici è fondata sulla circostanza che, benché le partecipazioni sociali non fossero suscettibili di esecuzione forzata fino alla scadenza della società o alla sua liquidazione, ove antecedente alla scadenza, si trattava soltanto della sospensione della possibilità di agire in executivis collegata alla scadenza o alla liquidazione, con la reviviscenza del diritto stesso al verificarsi delle condizioni per il suo esercizio, e che l'appellante, quale creditore del socio, poteva fare opposizione alla proroga della società ai sensi dell'art. 2307 c.c., con liquidazione della quota del socio debitore in caso di accoglimento dell'opposizione, soltanto ove accolta l'azione revocatoria. Secondo la Corte d'Appello la soddisfazione del creditore poteva trovare immediata tutela anche con riferimento agli utili del socio ed alla sua stessa quota nel caso di alienazione a terzi.

I soci della s.n.c. hanno proposto ricorso per cassazione.

La questione giuridica

La Corte di Cassazione ha subito chiarito come non sia in discussione la non espropriabilità della quota della società in nome collettivo del socio debitore da parte del creditore prima dello scioglimento della società (salvo che l'atto costitutivo preveda la libera trasferibilità con il solo consenso di cedente e cessionario - Cass. 7 novembre 2002, n. 15605). Conseguentemente la quota è espropriabile se sia stato deliberato lo scioglimento della società e compiuta la liquidazione o comunque una volta che sia stata liquidata la quota del socio debitore per lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente a costui. Secondo i giudici di legittimità l'azione revocatoria, il cui effetto è la possibilità di promuovere nei confronti del cessionario le azioni esecutive o conservative sul bene oggetto dell'atto impugnato (art. 2902, comma 2, c.c.), è funzionale al compimento degli atti esecutivi una volta che la quota sia diventata espropriabile per effetto della liquidazione. Analogamente - aggiunge la suprema Corte - al creditore particolare del socio, che può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore soltanto alla scadenza della società (cfr. art. 2305 c.c., che esclude così l'operatività nella s.n.c. dell'art. 2270, comma 2, c.c.), il creditore del socio che abbia ceduto la propria quota, una volta che abbia ottenuto la dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti dell'atto di disposizione ai sensi dell'art. 2901 c.c., ove risulti perfezionata la liquidazione della quota può compiere le azioni esecutive, se munito di titolo esecutivo, o conservative aventi ad oggetto il credito corrispondente alla somma di denaro rappresentante il valore della quota. La conservazione della garanzia patrimoniale - chiosa la Corte - si realizza qui come reintegrazione del valore del bene uscito dal patrimonio del debitore.

Le soluzioni

Fatte salve le premesse di cui sopra, secondo i supremi giudici il creditore del socio che abbia ceduto la propria quota non può però far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore finché dura la società, o compiere gli atti conservativi sulla quota spettante nella liquidazione, ai sensi dell'art. 2270, comma 1, c.c., perché trattasi di facoltà estranea agli effetti dell'azione revocatoria previsti dall'art. 2902 c.c. e che presuppone la qualità di creditore particolare di colui che è attualmente socio. Per la stessa ragione non può fare opposizione alla proroga della società ai sensi dell'art. 2307 c.c.

Per questi aspetti la Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata, per il resto conforme a diritto, dovesse essere corretta ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c.p.c., secondo il quale non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione. Conseguentemente ha rigettato il ricorso.

La Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “il creditore, che abbia ottenuta la dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti dell'atto di cessione della quota di società in nome collettivo compiuto dal suo debitore, può promuovere nei confronti del cessionario le azioni esecutive, se munito titolo esecutivo, o conservative aventi ad oggetto il credito risultante dalla liquidazione della quota”.

Osservazioni

Le società in nome collettivo appartengono alla categoria delle società di persone; di quelle società in cui, a differenza delle società di capitali, la rilevanza delle qualità personali dei soci (intuitus personae) rappresenta un requisito indefettibile. Il codice civile nel disciplinare questi tipi sociali ha adottato la tecnica normativa cosiddetta “a cascata”, dettando una normativa esaustiva per la società semplice (la quale non esercita attività commerciale) e poche e specifiche norme per gli altri due tipi sociali (che esercitano attività commerciale) - la società in nome collettivo e la società in accomandita semplice - ai quali ha aggiunto il richiamo alle norme del tipo precedente.

La nozione che il codice civile dà all'art. 2291 c.c. della società in nome collettivo (s.n.c.) pone come elemento costitutivo della stessa la circostanza che tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali e che un eventuale patto contrario non avrebbe effetto nei confronti dei terzi. Tale norma, oltre a differenziare tale tipo sociale dalla società semplice, è esplicativa dell'autonomia patrimoniale imperfetta della s.n.c., che è alla base del principio di responsabilità sussidiaria dei soci: secondo tale principio il creditore sociale può chiedere ad ogni socio quanto gli è ancora dovuto dalla società solo dopo che sia esaurito il patrimonio della società stessa. Per le società in nome collettivo il legislatore ha poi dettato una norma specifica per i creditori particolari dei soci (art. 2305 c.c.) che la discosta anche in questo caso dalla normativa di riferimento (quella cioè dettata per le società semplici) ed in particolare dall'art. 2270 c.c.: nelle s.n.c. il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore.

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, mette in risalto la norma di cui all'art. 2305 c.c. e la non applicabilità alle s.n.c. dello schema di cui all'art. 2270 c.c. dettato per le società semplici. Conseguentemente ribadisce come la quota del socio della s.n.c. sia espropriabile solo se sia stato deliberato lo scioglimento della società e compiuta la liquidazione o comunque solo dopo che sia stata liquidata la quota del socio debitore per lo scioglimento del suo rapporto sociale.

Quanto all'azione revocatoria, in base alla quale il creditore, ottenuta la dichiarazione di inefficacia può, ex art. 2902 c.c., promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell'atto impugnato, essa è funzionale - sottolinea la Corte - al compimento degli atti esecutivi una volta che la quota sia diventata espropriabile per effetto della liquidazione. Da qui il parallelismo tra l'art. 2305 e l'art. 2902 c.c.: come il creditore particolare del socio non può, ex art. 2305 c.c., chiedere la liquidazione della quota del socio debitore finché dura la società, analogamente il creditore del socio che abbia ceduto la propria quota, una volta ottenuta la dichiarazione di inefficacia nei suoi confronti degli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, solo se vi è stata la liquidazione della quota e vi ha titolo può compiere le azioni esecutive o conservative del credito; ovviamente del credito risultante dalla liquidazione di quella quota. Va anche detto che in caso di positivo esperimento della revocatoria ordinaria, la garanzia patrimoniale generica dell'attore è reintegrata per un valore equivalente al credito allegato, indipendentemente dal fatto che l'atto dispositivo dichiarato inefficace avesse un valore superiore (così, Trib. civ. Monza, sent., 11 aprile 2017). Nel caso che ci occupa la conservazione della garanzia patrimoniale si forma come reintegrazione del valore del bene uscito dal patrimonio del debitore.

Il parallelismo normativo si ferma qui. Il creditore del socio che abbia ceduto la propria quota non potrebbe infatti agire sugli utili spettanti al debitore finché dura la società, o compiere gli atti conservativi sulla quota spettante nella liquidazione nè fare opposizione alla proroga della società. Ciò in quanto il debitore non è ormai più socio e, in ogni caso, si tratta di facoltà avulse dagli effetti dell'azione revocatoria. Va infine precisato, come già acclarato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, sent., 15 febbraio 2011 n. 3676; Cass. civ., sez. VI, ord., 11 giugno 2021 n. 16614) che l'accoglimento dell'azione revocatoria, ai sensi degli artt. 2901 e 2902 c.c., non comporta l'invalidità dell'atto di disposizione sui beni e il rientro di questi nel patrimonio del debitore alienante, bensì l'inefficacia dell'atto soltanto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla.

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