Il mancato deposito del progetto di bilancio non comporta l'automatica invalidità della delibera di approvazione
07 Marzo 2023
Massima
L'obbligo di preventivo deposito del fascicolo di bilancio nei 15 giorni precedenti la data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio è funzionale ad assicurare il diritto di piena informazione dei soci, dal momento che il progetto di bilancio è predisposto esclusivamente dagli amministratori. Anche in caso di inesatto (o tardivo) adempimento di tale preventivo deposito, la delibera dell'assemblea di approvazione non presenta vizi che ne possano inficiare la validità, ove sia provato che, comunque, i soci sono stati messi nella condizione di avere piena informazione preventiva del fascicolo di bilancio, dovendo valutarsi, in concreto, il rispetto dell'interesse tutelato dalla norma. Non sussiste alcun abuso del diritto nel non ammettere un socio moroso alla partecipazione al voto in assemblea, specialmente qualora egli, prima dell'adunanza, venga messo in condizione di conoscere le conseguenze della mancata integrale liberazione della sua quota. Il caso
La sentenza del Tribunale di Milano che si commenta costituisce un caso interessante per mostrare una concreta interpretazione del principio della conservazione delle delibere assembleari, oltre che di quello della prevalenza della sostanza sulla forma nell'analisi dei vizi delle delibere assembleari. Il socio di una S.r.l., titolare del 50% del capitale sociale, ha agito per far dichiarare l'invalidità di una delibera assembleare assunta con il voto favorevole dell'altro socio, titolare dell'altro 50%, in quanto, a suo dire, da un lato era stato illegittimamente escluso dal voto e, dall'altro, la società aveva violato il disposto di cui all'art. 2429, comma 3, c.c. (applicabile in quanto richiamato dall'art. 2478-bis c.c.), depositando tardivamente il fascicolo di bilancio. In particolare, dai fatti di causa era stato dimostrato che la società non aveva rispettato il termine di 15 giorni prima dell'assemblea per depositare il fascicolo di bilancio come chiesto dal codice civile. Tuttavia - qui sta l'aspetto interessante della pronuncia - per i giudici l'interesse del socio tutelato dall'art. 2429, comma 3, c.c. alla preventiva informazione sul bilancio era stato «pienamente soddisfatto prima della assemblea nonostante l'inesatto adempimento della società che in sé non giustifica l'accoglimento del motivo di impugnazione». Ciò in quanto, come evidente dalle allegazioni processuali e, in particolare, dal comportamento assembleare dell'attore cristallizzato nel verbale, il socio aveva chiesto agli amministratori plurimi chiarimenti e delucidazioni in merito a specifiche poste del bilancio. Nemmeno l'ulteriore - e diverso - motivo di impugnazione avanzato dall'attore è stato accolto dai giudici milanesi, con riferimento all'asserito abuso del diritto nei suoi confronti, derivante dall'esclusione dal voto. Il socio attore, infatti, era pacificatamene moroso (applicandosi alla sua situazione, quindi, il disposto di cui all'art. 2466 c.c.) e, per di più, con l'avviso di convocazione dell'assemblea era stato invitato a versare il dovuto alla società, come del resto ha fatto l'altro socio, anch'egli moroso, all'apertura dei lavori, e quindi ammesso al voto. Le questioni giuridiche
La sentenza che qui si analizza rappresenta un'utile guida per fornire una chiave interpretativa a una situazione, potenzialmente litigiosa, rispetto a cui molti operatori del diritto si confrontano sovente. Si tratta - questa è la principale questione – del tema del preventivo deposito del bilancio. La ratio dell'art. 2429, comma 3, c.c. è chiara: il legislatore, di fronte a una delle competenze più significative dell'assemblea (i.e. l'approvazione del bilancio), richiede all'organo amministrativo, su cui grava la responsabilità della redazione del bilancio stesso, il preventivo deposito del documento, che deve restare presso la sede nei quindici giorni antecedenti all'assemblea fissata per la sua approvazione. La norma in questione è stata foriera di non poca giurisprudenza, per valorizzarne il tenore sostanziale rispetto a quello formale. Ad esempio, la norma si è ritenuta violata nel caso in cui il fascicolo di bilancio, seppur effettivamente depositato, fosse stato poi concretamente di difficile accesso o ne fosse stata resa onerosa la consultazione, ad esempio perché il luogo di deposito richiedeva particolari procedure di accesso o orari molto limitati (cfr. Cass. Civ. 11 maggio 1998, n. 4734). Fermo restando che si è consolidato un orientamento che ritiene adempiuto l'obbligo di deposito della società anche nel caso in cui i documenti «risultino a disposizione dei soci nei soli orari di ufficio e nei giorni non festivi» (Cass. Civ. 17 gennaio 2001, n. 560, in Società, 2001, 671). Il disposto di cui all'art. 2429, comma 3, c.c., in altri termini, ha tradizionalmente catturato l'attenzione dei giudici al fine di garantire la finalità che il legislatore voleva assicurare: il soddisfacimento del diritto dei soci di essere informati e, conseguentemente, poter esprimere il proprio voto in maniera consapevole. Proprio in scia a questa linea guida interpretativa si sono mossi anche i giudici milanesi, “contraddicendo” la lettera della norma (i.e. il formale requisito del termine di 15 giorni antecedente all'assemblea) proprio perché, nei fatti, il risultato finale era stato comunque raggiunto. Altra questione toccata, più marginalmente, dalla sentenza, riguarda l'applicazione dell'art. 2466, comma 3, c.c., che prevede l'esclusione dalla “partecipazione alle decisioni dei soci” per quei soci che non hanno versato per intero il valore del proprio conferimento. Al riguardo, i giudici milanesi effettuano un'interessante specificazione, prendendo spunto dai fatti di causa. L'attore infatti aveva allegato documentazione da cui, a suo dire, vi era stato un «tacito accordo tra i due soci di poter continuare ad esercitare il diritto di voto in assemblea sebbene non fosse stata ancora versata del tutto la quota di capitale sottoscritta». Al netto della efficacia probatoria dell'allegazione fornita, i giudici aditi propendono per l'irrilevanza di tale allegazione, dal momento che qualsiasi accordo avente tale oggetto non può essere opposto alla società, qualora il suo organo amministrativo abbia formalmente richiesto il versamento a integrale liberazione della quota. Si tratta, in altri termini, secondo il Tribunale, di una norma disposta a favore della società, della sua integrità patrimoniale e, in definitiva, di tutti gli stakeholder (a cominciare dai creditori), non rilevando alcun accordo, in deroga, pattuito tra i soci (in termini analoghi, l'ormai risalente Trib. Milano, 7 luglio 1994, in Società 1995, 537). Osservazioni
La sentenza in commento, nella sua linearità, è foriera di un interessante “approccio sostanzialista” nell'analisi dell'art. 2429, comma 3, c.c.. In particolare, secondo un corretto principio dell'onere della prova, i giudici, da un lato, hanno specificato che spetta alla «società convenuta, sollevata la contestazione di inadempimento della relativa obbligazione, dimostrare l'esatto adempimento». Allo stesso tempo, non è risultato decisivo, agli occhi del Tribunale di Milano, il fatto che la dimostrazione dell'adempimento non sia stata fornita (e, del resto, non avrebbe potuto esserlo), dal momento che era stato comunque raggiunto «lo scopo di informare il socio del contenuto del bilancio che era stato chiamato a votare alla assemblea». Quanto al tema dell'esclusione del socio dalla decisione assembleare, la sentenza in commento è chiara nel ribadire che è essenziale, perché sia assunta - e sia enforceable - tale decisione, la previa diffida al versamento, secondo le forme ritenute dalla società più idonee, come del resto richiesto dall'art. 2466, primo comma, c.c.. Rimane sullo sfondo, non trattata dal caso in esame, in quanto non rilevante per la decisione, l'esatta definizione del divieto di cui all'art. 2466, comma 3, c.c.. La sua portata, infatti, è in parte controversa, per quanto l'interpretazione maggioritaria della dizione (“non può partecipare alle decisioni dei soci”) è nel senso di includere solo il processo deliberativo dei soci, vuoi in forma assembleare, vuoi per trattazione scritta. Altri significativi diritti del socio di S.r.l., a cominciare dal diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell'art. 2476, comma 2, c.c., non devono considerarsi pregiudicati «sino a che resti parte della compagine societaria in esito al procedimento intrapreso dagli amministratori» (Cass. Civ. 21 gennaio 2020, n. 1185, in Giur. Comm. 2022, 2, II, 520). Altro, e diverso, tema rappresenta poi l'esistenza del diritto di impugnativa della delibera da parte del socio moroso e, in quanto tale, escluso dalle decisioni dei soci. La sentenza in esame, non adita dalla società convenuta sul punto, non prende una posizione. Sul punto, una (già citata) risalente sentenza del medesimo Tribunale di Milano (Trib. Milano, 7 luglio 1994, in Società 1995, 537) si era espressa per un vero e proprio difetto di legittimazione. Conclusioni
La sentenza deve essere tenuta in considerazione, soprattutto in sede di redazione del verbale assembleare, tutte le volte che la società deliberante non dovesse essere stata in grado di depositare nei termini il fascicolo di bilancio. Sovente infatti, in tali casi, qualora ci sia l'accordo tra i soci, la prassi suggerisce di inserire nel verbale esplicita unanime rinuncia ai termini di preventivo deposito. Laddove però, come nel caso in esame, il consesso assembleare non sia coeso e concorde, solo l'attenta verbalizzazione di quanto emerso in sede di discussione del progetto di bilancio, da cui si dovesse desumere la concreta conoscenza da parte dei soci dei contenuti del progetto di bilancio, può far propendere, in caso di contenzioso, per un'interpretazione sostanzialista delle previsioni di cui all'art. 2429, comma 3, c.c..
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