Danno da "superlavoro": fattori di rischio, violazioni del dovere datoriale di sicurezza e onere della prova

19 Aprile 2023

Se viene chiesto al dipendente un lavoro eccedente la tollerabilità, spetta a questi allegare rigorosamente il mancato rispetto del dovere datoriale di sicurezza, avente come conseguenza il danno alla salute da c.d. superlavoro. Spetta invece al datore dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l'accaduto a sé non imputabile.
Massima

Il lavoratore a cui sia stato richiesto un lavoro eccedente la tollerabilità, per eccessiva durata o per eccessiva onerosità dei ritmi, lamenta un inesatto adempimento altrui rispetto a tale obbligo di sicurezza, sicché egli è tenuto ad allegare rigorosamente tale inadempimento, evidenziando i relativi fattori di rischio, spettando invece al datore dimostrare che i carichi di lavoro erano normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l'accaduto a sé non imputabile.

Oltre a non potersi imporre al lavoratore di individuare la violazione di una specifica norma prevenzionistica, ancor meno ciò può essere richiesto quando, adducendo la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, è in sé dedotto un inesatto adempimento all'obbligo di sicurezza, indubbiamente onnicomprensivo e che non necessita di altre specificazioni, pur traducendosi poi esso anche in violazione di disposizioni antinfortunistiche.

Il caso

Il dott. P., dirigente medico della ASL Lanciano Vasto-Chieti, conveniva avanti il tribunale del lavoro l'azienda datrice per chiederne la condanna al risarcimento del danno conseguente ad infarto da stress subito per il sottodimensionamento dell'organico che l'aveva costretto per molti anni a soggiacere a intollerabili ritmi e turni di lavoro.

Il giudice di prime cure respingeva la domanda, escludendo la responsabilità dell'ASL convenuta ai sensi dell'art. 2087 c.c. e ciò sulla principale considerazione che la stessa non avrebbe avuto il potere di aumentare l'organico, né di rifiutare prestazioni ai pazienti. Il dirigente interponeva appello, rimanendo anche in questo caso soccombente. Secondo la Corte aquilana, che pure aveva ritenuto pacifica la circostanza del superlavoro regolarmente allegata dal ricorrente, la connessa domanda risarcitoria non sarebbe stata tuttavia accoglibile, avendo soprattutto il dott. P. omesso di prospettare - anche - una «specifica violazione di ben determinate norme di sicurezza» da parte della ASL abruzzese. I giudici del gravame convalidavano poi l'assunto del tribunale secondo il quale l'ente dovesse andare - in ogni caso - esente da ogni rimprovero essendo privo dell'autonomia decisionale necessaria per assumere ulteriore personale. La corte d'appello escludeva, infine, la stessa riconducibilità materiale dell'evento acuto all'attività lavorativa, non potendosi a tale scopo ritenere rilevante l'esito, positivo, della procedura amministrativa di riconoscimento dell'indennità per causa di servizio.

Avverso la pronuncia d'appello il dirigente proponeva ricorso di legittimità affidandolo a cinque motivi. L'ASL si difendeva a propria volta con controricorso. Con le prime tre censure, tra di loro intimamente connesse, il ricorrente metteva in questione i principali snodi motivazionali della sentenza, soffermandosi in particolare sul tema del presunto onere dell'attore di indicare (e provare) le specifiche violazioni della normativa prevenzionistica nelle quali sarebbe incorsa la datrice. Un'ulteriore e non meno rilevante censura si appuntava invece sul governo della questione della riferibilità causale dell'evento di danno ai fattori di rischio dedotti, questione in riferimento alla quale -pure - la corte aveva ritenuto tout court carente la prova offerta dall'esito tecnico dell'iter amministrativo che aveva invece portato al riconoscimento dell'indennizzo in favore del dirigente. Un'ultima critica veniva indirizzata al capo della pronuncia gravata con il quale si assegnava una valenza comunque scriminante all'assenza di potere decisionale della ASL, la quale ultima - appunto - non avrebbe potuto in ogni caso autonomamente colmare i persistenti vuoti di personale alla base della vicenda.

La questione

Uno dei più rilevanti spunti problematici e di censura sottoposti allo scrutinio dei Supremi giudici si incentra principalmente sui criteri di distribuzione dell'onere della prova e, ancor prima, di individuazione del relativo thema probandum allorché venga dedotto quel peculiare sottotipo di inadempimento dell'obbligo di sicurezza datoriale realizzato dal fenomeno disfunzionale del c.d. superlavoro.

Quali sono dunque gli oneri di allegazione e prova gravanti sul lavoratore? Sussiste, in particolare, l'onere di allegare e provare “la specifica violazione di ben determinate norme di sicurezza”?

Qualora il dirigente non contesti la ricorrenza di prestazioni oltre la tollerabilità, risulterebbe già integrata la prova di un inesatto adempimento all'obbligo di sicurezza, senza la necessità di alcuna ulteriore specificazione o prova?

Quale valenza probatoria assume l'accertamento tecnico reso in sede indennitaria?

Le soluzioni giuridiche

Nell'esame delle molteplici questioni prospettate dai contendenti, i giudici di piazza Cavour si soffermano in particolare sulla tematica dell'individuazione e ripartizione dell'onere probatorio rispettivamente a carico del lavoratore infortunato e della parte datoriale, smentendo l'impianto principale degli argomenti sviluppati dai giudici della decisione gravata. I principi predicati dal Supremo Collegio si pongono peraltro in piena continuità con i consolidati approdi da tempo raggiunti in materia dalla giurisprudenza nomofilattica, e sempre più spesso replicati anche in tempi recenti a fronte di una casistica in continua crescita (cfr., in questo senso, ex plurimis, Corte di Cassazione civ. Sezione Lavoro – ordinanza 25 luglio 2022, n. 23187 e Corte di Cassazione civ. Sezione Lavoro – ordinanza 28 novembre 2022, n. 34968).

Alla stregua di tale indirizzo interpretativo, oltre a non potersi, più in generale, imporre al lavoratore l'onere di individuare la violazione di una specifica norma prevenzionistica, ciò varrebbe a maggior ragione proprio allorché - come nel caso di specie - venga addotta (e provata) la ricorrenza di condizioni di superlavoro.

Quest'ultimo rappresenta infatti un fattore di rischio pregnante, integrante ex se un inadempimento dell'obbligo datoriale di sicurezza. Un inadempimento, dunque, onnicomprensivo e qualificabile di per sé come una intrinseca violazione di norme prevenzionistiche, e tale da rendere del tutto ultronea l'allegazione e la prova di altre specificazioni. Secondo la ricostruzione dei Supremi giudici, spetterebbe invece al datore, onde liberarsi da responsabilità, dimostrare che i carichi di lavoro erano invece normali, congrui e tollerabili o che ricorreva una diversa causa che rendeva l'accaduto a sé non imputabile. Di particolare interesse anche la soluzione offerta dagli ermellini in riferimento alla valenza da attribuirsi all'accertamento tecnico reso in ambito amministrativo. Confutando anche per tale profilo la posizione della corte territoriale che, prescindendo da qualsivoglia notazione critica, ne aveva negato la rilevanza, la Cassazione, pur attestando l'autonomia delle due procedure - indennitaria e risarcitoria – non esclude che tra gli esiti delle stesse possa configurarsi una “vasta area di coincidenza”. Ciò che, in concreto, avrebbe imposto ai giudici del merito di valutarne criticamente la rilevanza secondo criteri di prudente apprezzamento, a norma dell'art. 116 c.p.c.

Osservazioni

Affrontato fin dal lontano 1997, il fenomeno del c.d. “superlavoro” approda sempre più spesso all'attenzione delle nostre corti, disvelando verosimilmente un'epidemiologia in continua crescita non solo nel nostro paese (si pensi alla piaga sociale del c.d. Karoshi giapponese).

La peculiarità della figura risiede nel fatto che la nocività di questo fattore disfunzionale è insita nello svolgimento stesso della prestazione, ovvero in un'attività di per sé lecita. Soccorre in questo caso, dimostrando la sua straordinaria duttilità, la disposizione di chiusura di cui all'art. 2087 c.c., individuando un onnicomprensivo dovere di salvaguardia datoriale, compendiato in questo caso dall'obbligo di non deviare da quelle soglie di usura del lavoro assunte come fisiologiche. Chiude il sistema lo schema probatorio contrattuale che, come ribadito dalla Cassazione, impone al lavoratore la sola dimostrazione, oltre che del danno, della nocività dell'ambiente lavorativo, circostanza questa assunta però come in re ipsa ove il lavoro trasmodi in “superlavoro”.

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