Risoluzione contrattuale e precedente riparazione del bene

08 Marzo 2023

È possibile procedere alla risoluzione contrattuale in caso di precedente riparazione del danno. La Cassazione chiarisce la questione, alla luce della scelta del legislatore di dare discrezionalità alla parte nella scelta tra i c.d. rimedi primari e i c.d. rimedi secondar.

Massima

Nella disciplina consumeristica il legislatore, nell'ottica di dare risalto al principio di conservazione del contratto, ha optato per una gerarchia dei rimedi a tutela del consumatore, distinguendo rimedi primari e rimedi secondari, e imponendo al consumatore di attenersi a tale gerarchizzazione, ma lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, una volta rispettato l'ordine dei rimedi in via progressiva; la previsione della subordinazione di una classe di rimedi ad un'altra impedisce di ritenere che essi siano alternativi, in quanto l'unico onere imposto al consumatore è che egli si avvalga prima dei rimedi primari e, solo una volta che questi si rivelino inidonei a risolvere il problema, dei cosiddetti rimedi secondari (nella specie, relativa all'acquisto di un ciclomotore non conforme al contratto, era pertanto consentito al consumatore chiedere in un primo momento la sostituzione ovvero la riparazione del bene, e solo qualora ciò non fosse possibile, ovvero fosse manifestamente oneroso, chiedere di avvalersi dei rimedi secondari).

Il caso

Il caso giunto al vaglio della Corte di Cassazione concerne un contratto di compravendita, stipulato tra Tizio e il negozio Moto Alfa S.r.l. in data 31 agosto 2021, avente ad oggetto un motociclo.

Tizio, contestualmente, aveva versato un acconto pari a euro 3.310,00; l’11 marzo 2013, l’acquirente completava il pagamento consegnando alla società di vendita ulteriori 13.674,63 euro e, solo in data 26 aprile 2013, riceveva il motociclo pronto all’uso.

Tuttavia, sin dai primi momenti di utilizzo, Tizio riscontrava molti difetti nel motociclo, che gli imponevano di recarsi sovente presso officine autorizzate al fine di ottenere la riparazione dello stesso.

Il 17 agosto 2014, mentre stava percorrendo a bordo del motociclo una strada statale a moderata velocità, il cambio del già menzionato si rompeva, cagionando una rovinosa caduta dello stesso Tizio che, pertanto, conveniva in giudizio la società venditrice, chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, la restituzione di quanto pagato come corrispettivo della vendita del motociclo e ulteriori 7.000,00 euro ai fini di risarcimento.

Il Tribunale di Pordenone, nel 2018, accoglieva le richieste di Tizio e condannava la Moto Alfa S.r.l. al pagamento, nei confronti dell’attore, di 17.764,63 euro a titolo di risarcimento complessivo; la convenuta impugnava tale decisione presso la Corte di Appello di Trieste che, accogliendone il gravame, riformava la sentenza di primo grado e condannava Tizio al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio (App. Trieste 18 dicembre 2019 n. 829), sostenendo che l’attore, procedendo alle riparazioni del motociclo e conservando il veicolo anche dopo l’incidente, avesse implicitamente accettato i vizi del bene acquistato.

Avverso la pronuncia della Corte di Appello, Tizio proponeva ricorso innanzi la Corte di Cassazione sulla base di tre differenti motivi.

La questione

Nel secondo motivo di ricorso, rilevante in questa sede, il ricorrente sottolineava l'avvenuta violazione da parte della sentenza impugnata dell'art. 130 D.Lgs. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo); in particolare, gli artt. 129 s. D.Lgs. 206/2005 riconoscono la responsabilità del venditore nei confronti del consumatore per tutti i difetti di conformità del bene, presenti al momento della consegna dello stesso, che si manifestino entro due anni dall'avvenuta cessione.

L'art. 130 D.Lgs. 206/2005 riconosce espressamente al consumatore che ha acquistato un bene difettoso la possibilità di scegliere tra diversi rimedi:

  • ripristino del bene mediante riparazione o sostituzione a spese del venditore (art. 130 c. 3, 4,5 e 6 D.Lgs. 206/2005), sempre che non comporti nei confronti della controparte un esborso irragionevole;
  • riduzione del prezzo pagato dal consumatore o risoluzione del contratto (art. 130 c. 7, 8 e 9 D.Lgs. 206/2005), da prediligersi qualora la riparazione e la sostituzione del bene risultino impossibili o eccessivamente onerose o, in secondo luogo, in caso di mancata riparazione del bene da parte del venditore entro un termine congruo o, infine, in caso di rilevanti inconvenienti sorti dalla riparazione e dalla sostituzione del bene.

Dalla disciplina consumeristica dettata dall'art. 130 D.Lgs. 206/2005 emerge una vera e propria gerarchizzazione dei rimedi posti a tutela del consumatore in caso di vizi del bene acquistato; il legislatore ha inequivocabilmente distinto tra rimedi primari, finalizzati alla sostituzione e alla riparazione del bene difettoso, e rimedi secondari, che comportano la riduzione del prezzo di acquisto e la risoluzione del contratto di compravendita.

Il consumatore, pertanto, deve esperire i rimedi elencati nell'art. 130 D.Lgs. 206/2005 in via progressiva, potendo optare per quelli di natura secondaria solo nel caso in cui risulti impossibile ottenere una riparazione del bene o, in subordine, una sua sostituzione.

Nel caso di specie, la questione verte sulla possibilità di esperire il rimedio della risoluzione del contratto di compravendita nel caso di specie, tenuto conto delle precedenti riparazioni effettuate dalla società venditrice e del fatto che, secondo i giudici d'appello, “il compratore ha accettato le riparazioni, senza mai eccepire nulla” e così “ha dato prova di preferire le riparazioni piuttosto che la sostituzione della motocicletta, che ha trattenuto anche dopo l'ultimo incidente cagionato dalla rottura del cambio”.

La decisione della Cassazione

Tizio, in primo luogo, lamentava l'omesso esame da parte della Corte d'Appello di Trieste di un documento, allegato agli atti, nel quale l'attore richiedeva alla convenuta la risoluzione del contratto di compravendita del motociclo in seguito al riscontro dei numerosi difetti del bene; la Suprema Corte giudica inammissibile tale doglianza, sottolineando che, al contrario della ricostruzione fornita dal ricorrente, la Corte d'Appello di Trieste ha considerato ai fini della decisione tali circostanze, ritenendole comunque irrilevanti.

Il secondo motivo di ricorso concerneva la falsa applicazione dell'art. 130 D.Lgs. 206/2005 da parte dei giudici di appello, nella parte in cui avevano negato la risoluzione per inadempimento del contratto di compravendita del motociclo dal momento che la società venditrice aveva eseguito le riparazioni necessarie (giudicandole, pertanto, non impossibili), a nulla rilevando i lunghi tempi di attesa per le predette riparazioni; il consumatore, infatti, a detta della Corte di Appello di Trieste non aveva formulato alcuna esplicita contestazione e non aveva provato gli inconvenienti derivanti dalle tempistiche dei lavori.

La Corte di Cassazione accoglie tale secondo motivo di ricorso e, in particolare, evidenzia l'erronea applicazione dell'art. 130 D.Lgs. 206/2005 nell'interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata; i giudici di legittimità sottolineano, infatti, che i rimedi forniti dalla normativa consumeristica non devono ritenersi in rapporto di alternatività ma, al contrario, in rapporto gerarchico non escludente.

Richiamando il contenuto di recenti pronunce della Corte di Cassazione sul tema, si evidenzia che "Nella disciplina consumeristica il legislatore, nell'ottica di dare risalto al principio di conservazione del contratto, ha optato per una gerarchia dei rimedi a tutela del consumatore, distinguendo rimedi primari e rimedi secondari, e imponendo al consumatore di attenersi a tale gerarchizzazione, ma lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, una volta rispettato l'ordine dei rimedi in via progressiva"; è pacifico che nel caso di specie la motocicletta non era conforme al contratto, pertanto, era consentito al consumatore chiedere "in un primo momento la sostituzione ovvero la riparazione del bene, e solo qualora ciò non sia possibile, ovvero sia manifestamente oneroso, è legittimato ad avvalersi dei cd. rimedi secondari, che non sono altro che la riproposizione in materia consumeristica delle tradizionali azioni edilizie" (Cass. 3 giugno 2020 n. 10453; Cass. 14 ottobre 2020 n. 22146; Cass. 7 febbraio 2022 n. 3695).

Da ciò discende che il consumatore è libero di adottare più rimedi, essendo vincolato solamente al criterio gerarchico esplicitamente enunciato dal Codice del Consumo; nel caso di specie, gli interventi di riparazione effettuati dalla società venditrice non hanno posto idoneo rimedio ai difetti del motociclo e, al contrario, hanno comportato un innegabile disagio a Tizio che, avendo acquistato il bene per recarsi sul luogo di lavoro, si è visto costretto a doverne fare a meno per rilevanti lassi di tempo.

In conclusione, in considerazione degli “intuibili disagi sopportati dall'acquirente”, ritenendo superato ogni limite di ragionevolezza, la Corte giudica legittima la volontà risolutiva manifestata da Tizio e, considerando assorbito il terzo motivo di ricorso (concernente la violazione e falsa applicazione dell'art. 11 c. 6 Cost. e art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c.) nel motivo precedente, cassa la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d'Appello di Trieste in diversa composizione.

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