Inefficacia del recesso dei soci di s.r.l. ex art. 2469, comma 2, c.c. e conseguente annullabilità della delibera assembleare
09 Maggio 2023
Massima
Il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2469, comma 2, c.c., può essere esercitato ove, in presenza di trasferimento a terzi della partecipazione, il gradimento sia stato richiesto e negato, posto che soltanto in questo caso si concretizza il fatto che il socio debba rimanere “prigioniero della società”. Il diritto di exit svincolato da tale evenienza e per il semplice fatto che sia previsto il gradimento statutario, comporterebbe ipotesi di recesso del tutto arbitrarie. Il caso
Tre soci di s.r.l. - ciascuno dei quali titolare di quote corrispondenti al 25% del capitale sociale – esercitavano il diritto di recesso dalla compagine societaria; recesso, tuttavia, privo di efficacia dal momento che espresso al di fuori delle fattispecie previste dalla legge e dai casi stabiliti dallo statuto e senza che fossero state liquidate le rispettive partecipazioni sociali. In considerazione di quanto sopra, gli anzidetti tre soci hanno citato in giudizio il (quarto) socio SA, titolare di quote per l'ulteriore 25% del capitale sociale, e la società chiedendo l'invalidità della delibera assemblare con la quale quest'ultimo socio - ritenendo valide ed efficaci le predette dichiarazioni di recesso - con il suo unico voto, ha modificato lo statuto sostituendo l'organo amministrativo pluripersonale (costituito dagli attori), con un amministratore unico, nominato nella sua stessa persona. L'impugnazione della suddetta delibera assembleare trova quindi motivazione nell'assenza di potere di convocazione dell'organo assembleare da parte del solo socio SA - spettando tale potere unicamente al presidente del c.d.a., ancora in carica all'epoca dei fatti - nonché nella violazione dei quorum costitutivi e deliberativi previsti dalla legge. In un primo momento, si è costituito in giudizio il solo socio SA sostenendo la legittimità del recesso dei tre soci, in considerazione della sua natura di atto unilaterale recettizio e la conseguente carenza di legittimazione di parte attrice ad impugnare la delibera assembleare della società di cui i medesimi non sarebbero più soci. Successivamente, si è costituita in giudizio anche la società, in persona del curatore speciale, che ha condiviso le difese degli attori evidenziando sia che il recesso non avrebbe prodotto effetti, essendo gli stessi legittimati a proporre l'impugnazione, sia l'invalidità della decisione assembleare, considerata l'irregolarità della convocazione dell'assemblea da parte del socio convenuto e la mancanza dei presupposti di cui all'art. 2479-bis c.c. ai fini della costituzione dell'assemblea in forma totalitaria. Il Tribunale di Venezia, ritenuto privo di efficacia il recesso da parte dei suddetti tre soci attori, ha annullato la delibera assembleare oggetto d'impugnazione condannando parte convenuta al pagamento delle spese di lite.
La questione giuridica e la soluzione
La sentenza in commento ha ad oggetto l'inefficacia del diritto di recesso dei soci di s.r.l. ed il conseguente annullamento di una decisione assembleare. Il Tribunale di Venezia, in primo luogo, si è soffermato sulla possibile causa di recesso legata alla durata della società, fissata statutariamente sino al 2050. Al riguardo, i giudici di prime cure veneti, richiamando la sentenza della Corte di Cassazione 22 aprile 2013, n. 9662 (in Giur. it, 2013, 11, 2271, secondo la quale la durata lontana nel tempo - nel caso di specie, s.r.l. costituita con durata sino al 2100 - equivale alla mancata determinazione del tempo di durata della società, ma anche espressione della volontà delle parti di eludere gli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato e, per tali ragioni, è da riconoscere al socio la possibilità di recedere ad nutum dalla società in virtù della indeterminatezza della sua durata) hanno osservato che la durata sino al 2050 non può ritenersi in sé eccedente la ragionevole data di compimento del progetto imprenditoriale. A supporto di tale opinione, viene altresì evocata la sentenza 23 luglio 2021 con la quale la Corte d'Appello di Venezia ha considerato “a tempo determinato” la durata della società, “non essendo il 2050 così lontano da oltrepassare qualsiasi orizzonte di sopravvivenza dei soci e della società”. In secondo luogo, sulla possibile ipotesi di recessolegata al fatto che lo statuto sociale condizionerebbe il trasferimento delle partecipazioni al gradimento dell'assemblea dei soci, senza prevedere condizioni o limiti, legittimando cosi ciascun socio all'uscita dalla società ai sensi dell'art. 2469, comma 2, c.c. Sul punto, i giudici veneziani hanno precisato che il diritto di recesso può essere esercitato qualora, in presenza di trasferimento a terzi della partecipazione, il gradimento sia stato richiesto e negato, posto che soltanto in questo caso si concretizza il fatto che il socio debba rimanere “prigioniero della società”. Il diritto di exit svincolato da tale evenienza e per il semplice fatto che sia previsto il gradimento statutario, infatti, comporterebbe ipotesi di recesso del tutto arbitrarie; lasciando al socio arbitrariamente di scegliere di uscire dalla società, ottenendo la liquidazione della propria partecipazione, anche in assenza di soggetti disponibili ad acquistare la sua quota. In conclusione, per il Tribunale di Venezia i tre soci attori con le rispettive comunicazioni non hanno esercitato efficacemente alcun diritto di recesso, essendo i medesimi rimasti parte della compagine societaria. Il recesso, in assenza di presupposti costitutivi del relativo diritto, è quindi da ritenersi ab origine inefficace e, conseguentemente, i suddetti tre soci sono legittimati all'impugnazione della delibera di cui sopra la quale, essendo stato violata la disposizione di cui all'art. 2479-bis, comma 3, c.c. (richiamata espressamente dallo statuto sociale) - che prevede un quorum costitutivo di almeno la metà del capitale sociale - è da ritenersi invalida, rectius annullabile, ai sensi dell'art. 2479-ter c.c.
Osservazioni
Come noto, per le società a responsabilità limitata tutta la disciplina del recesso è racchiusa nel solo art. 2473 c.c. che, al primo comma, dopo aver sancito la possibilità per l'atto costitutivo di determinare le fattispecie in cui il socio può uscire dalla compagine societaria (c.d. clausole convenzionali) e le relative modalità, elenca otto cause legali di recesso inderogabili. In particolare, il diritto di exit spetta al socio che non abbia concorso alla formazione della volontà sociale relativamente a decisioni che attengono il cambiamento dell'oggetto sociale; il cambiamento del tipo di società; la fusione o la scissione della società; la revoca dello stato di liquidazione; il trasferimento della sede all'estero; l'eliminazione di una o più cause di recessopreviste dall'atto costitutivo; il compimento di operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo; il compimento di operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell'art. 2468, quarto comma, c.c. Accanto alle fattispecie di recesso inderogabili disciplinate dal sopra citato art. 2473, primo comma, c.c., vi sono ulteriori ipotesi di exit tra le quali, giova menzionare - in quanto analizzate nella sentenza oggetto di commento - la causa di recesso in presenza di società costituite a tempo indeterminato ex art. 2473, secondo comma, c.c. e quella prevista dall'art. 2469 c.c. qualora nello statuto siano previste clausole di intrasferibilità assoluta delle partecipazioni, clausole che subordinano il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, senza prevederne condizioni o limiti o pongano condizioni o limiti tali da impedire il trasferimento mortis causa della partecipazione sociale. Relativamente alla prima, il diritto di exit compete a tutti i soci per il solo fatto che la società è contratta a tempo indeterminato. In tale circostanza, in pratica, il recesso non ha come presupposto alcuna altra causa specifica e, sotto tale profilo, può essere considerato ad nutum (B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella s.p.a. e nella s.r.l., Milano, 2010, 183; M. Callegari, Il recesso del socio nella s.r.l., in Le nuove s.r.l., diretto da M. Sarale, Bologna, 2008, 224 s.). Al riguardo, si è discusso in merito a se quanto previsto dal secondo comma dell'art. 2473c.c. si applichi anche qualora la durata della società sia a tempo determinato, ma con previsione di un termine molto lungo, anche oltre la vita dei soci. Secondo un orientamento dottrinale e giurisprudenziale, l'anzidetta disposizione si applicherebbe anche nell'ipotesi di società contratta a tempo determinato, con durata eccedente la vita di un socio, in virtù di un'interpretazione analogica dell'art. 2285 c.c. che, relativamente alle società di persone, consente il recesso ad nutum anche quando la durata ecceda il presumibile limite di vita anche di un solo socio (in dottrina, v. O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Padova, vol. V, 2007, 162; P. Revigliono, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 215. In giurisprudenza, Trib. Roma 22 novembre 2017, in altalex.com, secondo cui la ratio sottesa al disposto di cui al secondo comma dell'art. 2473 c.c. induce a ritenere che il recesso ad nutum del socio ivi contemplato possa essere utilmente esercitato non soltanto nelle ipotesi di società contratta “formalmente” a tempo indeterminato, ma anche nelle ipotesi di previsione di un termine di durata talmente lungo da far ritenere la società come costituita sine die. Se è vero, infatti, che la ratio legis è ravvisabile nella esigenza di salvaguardia del principio privatistico, ritenuto di ordine pubblico, della inammissibilità di vincoli perpetui, sussiste certamente l'eadem ratio allorché la società, in via di fatto, risulti “sostanzialmente” a tempo indeterminato, dacché contratta per un termine eccedente le ragionevoli aspettative di vita di uno dei soci. In senso conforme, Trib. Torino 5 maggio 2017, in ilsole24ore.it; Trib. Roma 8 febbraio 2019, in giurisprudenzadelleimprese.it. Di diverso avviso, Cass. 29 marzo 2019, n. 8962, in Le Società, 2019, 633, che - modificando l'orientamento espresso con la sopra citata sentenza 9662/2013 - ha considerato legittimo il recesso da una s.r.l. il cui termine coincida con la ragionevole durata del periodo occorrente per il compimento del progetto imprenditoriale che la società stessa si propone di svolgere; essendo del tutto irrilevanti, ai fini del recesso da una società, l'aspettativa di vita del socio o la durata media attesa della sua vita). Per altra dottrina (M. Callegari, Il recesso del socio nella s.r.l., cit., 226; B. Acquas, C. Lecis, Il recesso del socio nella s.p.a. e nella s.r.l., cit., 184; P. Piscitello, Recesso ed esclusione nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, vol. 4, Torino, 2007, 735), al contrario, sarebbe da escludere l'applicazione analogica dell'equiparazione tra tempo indeterminato e durata della società eccedente quella media della vita umana in considerazione, sia di un'interpretazione letterale del citato art. 2473, secondo comma, c.c., sia del fatto che nella società a responsabilità limitata - a differenza delle società di persone - l'elemento personale va coniugato con la necessità di garantire l'integrità del patrimonio sociale. In senso analogo si sono espressi i giudici di legittimità (Cass. 5 settembre 2022, n. 26060, in Le Società, 2022, 1191, secondo cui la possibilità per il socio di recedere ad nutum sussiste soltanto nel caso in cui la società sia contratta a tempo indeterminato e non anche a tempo determinato, sia pure lontano nel tempo”, dal momento che vi è prevalenza, sull'interesse del socio al disinvestimento, dell'interesse della società a proseguire nella gestione del progetto imprenditoriale e dei terzi nella stabilità dell'organizzazione imprenditoriale e all'integrità della garanzia patrimoniale offerta esclusivamente dal patrimonio sociale. Conforme, Cass. 21 febbraio 2020, n. 4716, in gazzettanotarile.com) ed i giudici di merito (Trib. Milano 8 settembre 2021, in giurispudenzadelleimprese.it, che non ha ritenuto legittimo il recesso nel caso in cui lo statuto preveda una durata della società particolarmente lunga). Altra dottrina ancora, infine, pur essendo del parere che la previsione legale di un recesso ad nutum, in termini generali, deve ritenersi limitata ai soli casi nei quali non sia prevista la durata della società, non essendo applicabile al caso di specie il contenuto precettivo dell'art. 2285, primo comma, c.c., riconosce che una eventuale applicazione del disposto di cui all'art. 2285 c.c. medesimo “potrebbe invocarsi soltanto per quelle società a responsabilità limitata che adottassero un regolamento statutario a connotazione decisamente personalistica”, tale da giustificare il ricorso all'analogia con la disciplina delle società di persone (V. Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. Comm., 2005, 301). Per quanto attiene all'ipotesi di recesso di cui all'art. 2469 c.c., è opportuno ricordare che tale disposizione dopo aver enunciato, al primo comma, il principio di libera trasferibilità della partecipazione in società a responsabilità limitata, sia per atto tra vivi, che per successione mortis causa; al secondo comma attribuisce al socio (o ai suoi eredi) il diritto di exit ai sensi dell'art. 2473 c.c. qualora lo statuto sociale preveda: - l'intrasferibilità assoluta delle quote; - il gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, che subordinano il trasferimento, senza prevederne condizioni o limiti; - condizioni o limiti che di fatto impediscono il trasferimento mortis causa della quota; precisando altresì che l'atto costitutivo può stabilire un termine, comunque non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale tale diritto non può essere esercitato. In presenza, pertanto, delle anzidette clausole limitative della circolazione della partecipazione, l'autonomia statutaria può impedire l'esercizio del diritto di exit, soltanto però limitatamente ad un periodo massimo di due anni, decorrenti dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione delle quote. Sul tema si è discusso, in primo luogo, in relazione a se il predetto limite massimo di due anni possa applicarsi, oltre che dal momento della sottoscrizione della partecipazione, anche da quello dell'acquisto. La dottrina favorevole all'interpretazione estensiva fonda la propria tesi sull'analogia tra “sottoscrizione” e “acquisto” (R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., in Giur. comm., 2003, I, 487; M. Maltoni, La Partecipazione sociale, in C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, in La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, 232). La dottrina contraria all'opinione estensiva, invece, fonda le proprie considerazioni sulla “presenza di una diversa e tecnicamente non equivoca formulazione di legge” e sul fatto che chi acquista una partecipazione da un socio, a differenza di colui che la sottoscrive, non negozia con la società il suo ingresso (L.A. Bianchi, A. Feller, Commento sub art. 2469. Società a responsabilità limitata, a cura di L.A. Bianchi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2008, 353). Sulla questione si è espressa anche la Commissione società del Consiglio Notarile di Milano la quale - Massima n. 119, approvata un data 5 aprile 2011 (in Le Società, 2011, 661 ss.) - ha considerato legittima una clausola statutaria che preveda la decorrenza del termine massimo di due anni di “sospensione” del diritto di recesso non soltanto dall'atto costitutivo o dalla sottoscrizione della partecipazione, come sancito dall'art. 2469, secondo comma, c.c., ma anche dall'acquisto di una partecipazione già esistente. A supporto di tale interpretazione, la predetta commissione osserva come l'intento del legislatore, nel formulare la disposizione, sia stato quello di impedire che il divieto del recesso ecceda il termine di due anni dalla acquisizione della partecipazione; a nulla rilevando, sotto questo profilo, che l'acquisizione medesima derivi da sottoscrizione di una nuova partecipazione o dall'acquisto di una partecipazione già esistente. La clausola di sospensione del diritto di recesso, a parere della citata commissione, può essere introdotta anche in sede di modificazione dell'atto costitutivo. In tale circostanza, il termine massimo di due anni decorre dalla introduzione della clausola o dalla sottoscrizione della partecipazione ovvero, infine, dall'acquisto di una partecipazione già esistente. Dalla lettura del citato secondo comma dell'art. 2469 c.c., emerge una diversa disciplina tra i trasferimenti per atto tra vivi e quelli per successione per causa di morte. Per i primi, infatti, l'intrasferibilità della partecipazione, così come l'esistenza di una clausola di gradimento mero (pare questo, infatti, il senso da attribuire all'espressione “senza prevederne limiti o condizioni”) genera il diritto di recesso in favore del socio indipendentemente dal fatto che abbia, o meno, contribuito alla introduzione del vincolo statutario. Al fine di evitare che il socio rimanga prigioniero della società, infatti, il legislatore riconosce al medesimo il diritto di uscire dalla stessa con le modalità e gli effetti previsti dall'art. 2473 c.c. Con specifico riferimento al recesso in presenza di una clausola di mero gradimento nelle s.r.l., la già citata Commissione società del Consiglio Notarile di Milano – Massima n. 151 del 17 maggio 2016 (in consiglionotarilemilano.it), ha considerato legittimo, in presenza di una clausola statutaria che subordini il trasferimento delle partecipazioni sociali al gradimento di organi sociale, di soci o di terzi, senza prevederne condizioni o limiti, prevedere espressamente che ai soci spetti il diritto di exit unicamente quando il gradimento venga richiesto e negato. Il dato letterale dell'art. 2469, comma 2, c.c., osserva tale commissione, sembra lasciare intendere che la mera previsione da parte dell'atto costitutivo della intrasferibilità delle partecipazioni o di un gradimento mero legittimi tutti i soci, in ogni momento, ad esercitare il diritto di recesso. Una simile lettura, tuttavia, relativamente alle clausole di gradimento mero, rischia di essere contraria alla ratio della norma, volta a evitare che il socio sia “prigioniero” della società. In questo caso, infatti, attribuire a tutti i soci, indiscriminatamente, la possibilità di recedere avrebbe un effetto opposto a quello tutelato dalla norma in esame: ciascun socio, maturata la decisione di uscire dalla compagine sociale, potrebbe arbitrariamente scegliere di recedere dalla società ottenendo la liquidazione della propria partecipazione, a carico degli altri soci, anche in assenza di soggetti intenzionati a comprare la sua partecipazione. In altri termini, per tutelare il diritto di un socio di non restare intrappolato nella società, si consentirebbe al medesimo socio di porre a carico della società e/o degli altri soci l'onere della sua liquidazione anche in assenza di altri soggetti disposti ad acquistare la partecipazione. Per i trasferimenti mortis causa, al contrario, i vincoli posti dall'atto costitutivo vengono in considerazione soltanto quando nel caso concreto impediscono il relativo trasferimento delle partecipazioni,, con conseguente diritto di recesso per gli eredi del socio. A ben vedere, tuttavia, il riferimento al recesso per gli eredi del socio è improprio, dal momento che il diritto in esame presuppone la qualità di socio della società e non si estende a chi è estraneo al vincolo societario, come l'erede del socio defunto. In tale circostanza, pertanto, appare più corretto parlare di diritto di credito verso la società da parte degli eredi del socio deceduto, cioè del diritto alla liquidazione della partecipazione caduta in successione calcolata in base alle regole previste dall'art. 2473 c.c. (nello stesso senso O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, cit., 147). Conclusioni
La sentenza del Tribunale di Venezia, condivisibile a parere dello scrivente, partendo dal presupposto che il recesso del socio dalla compagine societaria è ammesso soltanto nelle fattispecie tassativamente previste dalla legge o dallo statuto, non essendo consentito il libero recesso ad nutum, ha correttamente considerato priva di efficacia la comunicazione di recesso fatta dai soci attori – in quanto non rientrante nelle ipotesi contemplate dall'art. 2473 c.c. e, conseguentemente, ha considerato annullabile la decisione assembleare oggetto di impugnazione per difetto di convocazione e per violazione del terzo comma dell'art. 2473-bis c.c. in tema di quorum costitutivo. Relativamente, infine, alla ipotesi di exit in presenza di una clausola statutaria di mero gradimento ex art. 2469 c.c., i giudici di primo grado veneziani hanno correttamente ritenuto che il diritto di recesso può essere esercitato se, in presenza di trasferimento a terzi della partecipazione, il gradimento sia stato richiesto e negato, posto che soltanto in questa ipotesi si concretizza il fatto che il socio debba rimanere “prigioniero della società”. |