Regresso del fideiussore o del garante: limiti relativi alle somme rimborsabili
05 Maggio 2023
Massima L’azione di regresso è esercitabile dal garante per ottenere la restituzione dell’importo pagato al creditore ipotecario all’esito dell’escussione della garanzia e, dunque, opera nei limiti del prezzo ricavato e distribuito a seguito dalla vendita del bene ipotecato per la soddisfazione del predetto creditore garantito, mentre non dà diritto a pretendere il preteso effettivo valore di mercato dello stesso. Il caso Tizio concede ipoteca su un immobile di cui è proprietario per il 50% a garanzia di un debito di Caio, e, avendo subito l’escussione della garanzia da parte del creditore ipotecario, con la vendita coattiva dell’immobile stesso, agisce in regresso nei confronti di Caio. La domanda viene accolta dal Tribunale di Livorno, il quale condanna Caio a pagare a Tizio l’importo di € 29.000,00, pari alla metà del valore dell’immobile ipotecato stimato in sede esecutiva. La Corte di Appello di Firenze, tuttavia, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduce l’importo della condanna in favore di Tizio ad € 7.500,00, pari alla metà della somma effettivamente ricavata e distribuita in sede esecutiva in seguito alla vendita dell’immobile ipotecato. Avverso il provvedimento ricorre con ricorso principale Tizio sulla base di due motivi, mentre Caio resiste con controricorso. La questione La questione in esame è la seguente: in sede di regresso nei confronti del debitore, il terzo datore di ipoteca che abbia subito l’escussione della garanzia ha diritto ad ottenere l’effettivo valore di mercato del bene ipotecato ovvero il solo importo ricavato dalla vendita forzata dello stesso e oggetto di distribuzione all’esito dell’espropriazione promossa per la soddisfazione del credito oggetto di garanzia? Le soluzioni giuridiche L'iter logico argomentativo della Suprema Corte – in realtà assai lineare - prende avvio dalla considerazione che l'azione esercitata da Caio nei confronti di Tizio sia una azione di regresso di cui all'art. 2871 c. 1 c.c., ai sensi del quale «il terzo datore che ha pagato i creditori iscritti o ha sofferto l'espropriazione ha regresso contro il debitore». L'argomentazione della Suprema Corte procede su due considerazioni:
Partendo da queste premesse, ne consegue, secondo la Cassazione, che l'azione di regresso, anche in caso di ipoteca concessa per un debito altrui ed escussa con l'espropriazione dell'immobile ipotecato, ha ad oggetto l'importo pagato a soddisfazione del debito garantito, oltre gli accessori (cioè il capitale, gli interessi e le spese), e non il valore effettivo dell'immobile ipotecato ed espropriato o, in generale, il danno subito dal terzo datore di ipoteca, non trattandosi di un'azione risarcitoria ma sostanzialmente di un'obbligazione restitutoria. D'altra parte, conclude la Corte, ove l'importo ricavato dalla liquidazione dell'immobile ipotecato ed espropriato fosse superiore a quello del credito oggetto di garanzia, l'attribuzione del ricavato residuo della vendita, dopo la soddisfazione del creditore garantito, andrebbe al terzo datore espropriato (ovvero ai suoi creditori personali eventualmente intervenuti nell'esecuzione); ciò costituendo, conclusivamente, indiretta conferma, quasi una “controprova”, che “il regresso si possa esercitare esclusivamente per le somme di danaro erogate ai fini della soddisfazione del credito garantito e dei relativi accessori, trattandosi di azione avente ad oggetto il recupero di quanto corrisposto dal garante al creditore (spontaneamente o coattivamente), in luogo e nell'interesse del debitore, non di un'azione risarcitoria e, quindi, che ai suoi fini non rilevi il valore effettivo dell'immobile ipotecato ed eventualmente espropriato”. Il provvedimento in commento è, allo stesso tempo, sintetico e stringente. Provocatoriamente, potrebbe osservarsi che – paradossalmente – la parte che offre più spunti è la parte finale, a margine dell'enucleazione del principio di diritto:
Si tratta di considerazioni che vanno contestualizzate e rapportate a dato empirico che arriva dalla realtà che tutti noi conosciamo (e che, possiamo ben dirlo, costituisce un fatto notorio, ormai acquisito alla comune esperienza): il deprezzamento, talvolta anche brutale, che molto spesso colpisce i beni soggetti ad espropriazione. Lette attraverso il prisma della realtà, le parole della Cassazione assumono una sfumatura ben più gravosa, quasi di richiamo nei confronti del terzo garante alle responsabilità che questi ha assunto a seguito della garanzia prestata, e a uno stringente principio di autoresponsabilità e di diligenza nell'agire che dovrebbe caratterizzare il suo operato. Fate attenzione, sembra ammonire il provvedimento rivolgendosi ai terzi garanti, perché subire l'espropriazione di un immobile (peraltro volontariamente posto a garanzia di un debito di terzi) non costituisce, di per sé, un danno risarcibile, anche nel caso in cui il prezzo incassato dalla vendita sia inferiore al valore di mercato del bene stesso. Se si vuole evitare l'espropriazione dell'immobile e il danno che ne potrebbe conseguire, l'alternativa è quella di estinguere il debito ed esercitare nei confronti del debitore l'azione di regresso in relazione all'intera somma pagata. Insomma, il garante ha l'onere di farsi parte diligente e trovare il modo di estinguere il debito (o comunque di attivarsi per trovare una soluzione concordata), non potendo fare affidamento sulla possibilità di avviare (in assenza dei presupposti di cui all'art. 2043 c.c.) una azione risarcitoria. Un richiamo – neanche troppo implicito – di cui gli operatori dovranno adeguatamente tener conto nella fase di negoziazione del complessivo assetto contrattuale. |