Perdita del rapporto parentale: l'assenza di convivenza esclude il danno?

Giovanni Gea
29 Maggio 2023

La Cassazione ha chiarito che l'assenza di convivenza non esclude tout court la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale nella duplice dimensione del danno “morale” e “dinamico-relazionale” né ne giustifica la liquidazione al di sotto dei valori minimi della Tabella milanese.
Massima

In caso di perdita definitiva del rapporto parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subìto comprensivo sia del “danno morale” (consistente nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell'immediatezza dell'illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana) e senza che la condizione di convivenza possa in alcun modo assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell'esistenza del diritto in parola costituendo questa, tutt'al più, un elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur.

Il caso

I genitori ed i fratelli della vittima di un sinistro stradale, nell'occasione trasportata su un motociclo che aveva investito un pedone, convenivano in giudizio, avanti il Tribunale di Reggio Calabria, la proprietaria e la compagnia di assicurazione del motociclo per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del loro congiunto.

Il Tribunale rigettava la domanda sull'assunto che gli eredi avessero agito in giudizio solo iure hereditatis e che il de cuius non avesse maturato alcun danno trasmissibile per successione essendo deceduto a distanza di un'ora dall'incidente, dopo essere stato trasportato in stato di coma in ospedale.

La Corte d'Appello di Reggio Calabria, adita dagli eredi del trasportato, accertava, al contrario, che gli stessi avessero agito in giudizio anche iure proprio ma, muovendo dall'assunto della mancata prova della convivenza del de cuius, al momento della morte, con alcuno dei parenti, liquidava la componente “morale” (sofferenza soggettiva) del danno da perdita del rapporto parentale ben al di sotto dei valori minimi della Tabella milanese e dichiarava, invece, insussistente quella “dinamico-relazionale” (stravolgimento delle abitudini di vita).

Gli eredi del trasportato ricorrevano in Cassazione avverso detta sentenza.

La questione

L'assenza di convivenza del congiunto deceduto a causa di un sinistro stradale addebitabile a terzi può, da sola, riverberare in termini di i) esclusione del risarcimento della componente “dinamico-relazionale” e di ii) irrisorio risarcimento della componente “morale” del danno iure proprio da perdita del rapporto parentale?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, per quanto qui di interesse, accoglie il ricorso e cassa con rinvio la decisione della Corte d'Appello per aver, erroneamente, ritenuto che la mancata prova della convivenza del de cuius, al momento del decesso, con i prossimi congiunti, potesse:

i) escludere la sussistenza del danno da perdita del rapporto parentale, nella sua componente di diminuzione o modificazione in peius delle abitudini di vita (attività dinamico-relazionali);

ii) giustificare la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, nella sua componente morale (sofferenza soggettiva), ben al di sotto (nella misura di un terzo) dei valori minimi della Tabella milanese.

Quanto alla prima questione, osserva la Suprema Corte come, in tema di illecito plurioffensivo, ciascun danneggiato - in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dell'art. 1 della c.d. "Carta di Nizza" - è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento del pregiudizio subìto, comprensivo, pertanto, sia del “danno morale” (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell'immediatezza dell'illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana).

Ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subìto, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all'età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l'unità, la continuità e l'intensità del rapporto familiare (Cass. Civ., sez. III, 17 aprile 2013, n. 9231).

Inoltre, precisa sempre la Suprema Corte, la convivenza non assurge a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell'esistenza del diritto in parola costituendo, tutt'al più, un elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur non essendo condivisibile limitare la "società naturale", cui fa riferimento l'art. 29 Cost., all'ambito ristretto della sola c.d. "famiglia nucleare" (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21230).

Pertanto, ai congiunti compete solo fornire la prova della effettività e consistenza della relazione parentale rispetto alla quale il rapporto di convivenza può costituire solo elemento probatorio utile a dimostrarne l'ampiezza e la profondità e non anche il presupposto della sua esistenza.

Quanto, poi, alla seconda questione, osserva, anzitutto, la Suprema Corte come, in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del "danno biologico", quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un'ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. “danno morale”, sub specie di dolore dell'animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione).

Ne consegue che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione, trattandosi di voci di danno tra loro diverse e derivanti dalla lesione di beni logicamente ed ontologicamente distinti che trovano riferimento, rispettivamente, nell'art. 29 e nell'art. 32 Cost. (Cass. Civ., Sez. III, 28 marzo 2022, n. 9857; Cass. Civ., Sez. VI-3, ordinanza 19 dicembre 2019, n. 4878; Cass. Civ., Sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513).

Nondimeno, in tema di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, se la liquidazione avviene in base ad un criterio che prevede un importo variabile tra un minimo ed un massimo, è consentito al giudice di merito liquidare un risarcimento inferiore al minimo solo in presenza di circostanze eccezionali e peculiari al caso di specie, tra le quali non si annoverano né l'età della vittima, né quella del superstite, né l'assenza di convivenza tra l'una e l'altro, trattandosi di circostanze che possono solo giustificare la quantificazione del risarcimento entro la fascia di oscillazione della tabella (Cass. Civ., Sez. VI, 8 settembre 2022, n. 26440).

Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale, con l'irrisoria liquidazione del danno morale (sofferenza soggettiva), in contrasto non soltanto con la documentazione versata in atti ma anche con le stesse Tabelle milanesi, ha violato i principi ripetutamente affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

In ogni caso, in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre all'adozione del criterio a punto, l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.

La Corte di rinvio dovrà, dunque, applicare i predetti principi sia per la valutazione del danno parentale (“dinamico-relazionale”) sia per la liquidazione del danno morale (“sofferenza soggettiva”) con riferimento ai nuovi valori tabellari previsti dalla Tabella milanese del 29 giugno 2022, quale parametro risarcitorio già applicato nei precedenti gradi di giudizio.

Osservazioni

Per costante orientamento della Suprema Corte, il danno da perdita del rapporto parentale subito iure proprio dai prossimi congiunti di persona deceduta è risarcibile ove venga provata l'effettività e la consistenza di tale relazione e, in particolare, l'esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto, non essendo al riguardo richiesto che essa risulti caratterizzata, altresì, dalla convivenza la quale non assurge a connotato minimo di esistenza, ma può costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l'”ampiezza” e la “profondità”.

Infatti, ciò che rileva è la relazione parentale, ossia quel sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla quotidianità dei rapporti tra congiunti, anche estranei al ristretto ambito della famiglia c.d. “nucleare”, che, laddove “spezzata” dall'evento morte, può determinare nei superstiti sia una sofferenza interiore (danno morale) che uno sconvolgimento delle abitudini di vita (danno dinamico-relazionale) con conseguente violazione di interessi essenziali della persona quali il diritto all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà ed alla libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, di diritto o di fatto, che trovano rispettivo riconoscimento nelle norme di cui agli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., negli artt. 8 e 12 della CEDU e nell'art. 1 della "Carta di Nizza".

Del resto, il danno da perdita del rapporto parentale va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell'alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti(Cass. Civ., sez III, 13 aprile 2018, n. 9196; Cass. Civ., sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107).

Ne consegue che la perdita della persona cara, in conseguenza di un fatto illecito addebitabile a terzi, ben può determinare, oltre alla sofferenza interiore derivante dal fatto in sé (danno morale), anche lo stravolgimento di un sistema di vita (danno dinamico-relazionale) che trovava le sue fondamenta nell'affetto e nella quotidianità di tale rapporto (Cass. Civ., sez. III, 28 settembre 2018 n. 23469; Cass. Civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. Civ., sez. III, 27 marzo 2018, n. 7513).

Si tratta, in effetti, di aspetti o voci di danno non patrimoniale differenti attenendo, il primo, alla sfera emotiva ed, il secondo, alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangono più allo stato intimo ma evolvono, seppure non in "degenerazioni patologiche" integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti gli aspetti relazionali, ovvero in radicali cambiamenti di vita, in alterazioni della personalità, in sconvolgimenti dell'esistenza provocati dalla perdita del congiunto conseguente alla lesione dei diritti inviolabili della famiglia (Cass. Civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901; Cass. Civ., sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21059).

Ne consegue che, pur in assenza di una lesione della salute (danno biologico), ogni vulnus arrecato ad un altro valore e/o interesse costituzionalmente tutelato va valutato e accertato, all'esito di compiuta istruttoria, e in assenza di qualsiasi automatismo, nel duplice aspetto tanto della sofferenza interiore (danno morale), quanto della privazione, diminuzione, modificazione in pejus delle attività precedentemente esplicate dal soggetto danneggiato (danno dinamico-relazionale) (Cass. sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572).

Pertanto, nel procedere all'accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito, deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la reale fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l'aspetto interiore del danno sofferto (danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sè, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazione (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

Al giudice spetta, dunque, il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, dell'eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale in precedenza descritti (ossia, della sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella, viceversa, che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana attiva del soggetto che l'ha subita).

Il risarcimento di tale danno, diversamente dal danno patrimoniale, il cui ristoro deve normalmente corrispondere alla sua esatta commisurazione, non può che avvenire che con valutazione equitativa di tutte le ripercussioni negative dell'evento luttuoso sul valore persona mediante il ricorso a criteri di liquidazione che consentano, in relazione all'effettiva natura ed entità del danno, un congruo risarcimento.

Tale criterio di liquidazione, di cui il giudice deve dare adeguatamente conto in motivazione, indicando il parametro tabellare di base, il percorso logico-giuridico seguito nella propria determinazione e le ragioni dell'operato apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto, onde consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell'integralità del risarcimento, pena la nullità della sentenza per difetto di motivazione, deve essere idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad “equità e congruità” ed evitare che sia meramente fittizia, irrisoria o simbolica.

In assenza di tabelle normativamente determinate per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, il giudice di merito deve prendere a riferimento i parametri delle Tabelle di Milano, anche solo quale criterio di riscontro e verifica della “equità” e “congruità” della somma riconosciuta a ristoro di tale danno, essendo erronea la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una quantificazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui l'adozione dei parametri indicati dalle dette Tabelle di Milano consente di pervenire (Cass. Civ., Sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402; Cass. Civ., Sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992; Cass. Civ., sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21059).

Infatti, una liquidazione del danno, oltre i valori massimi o minimi della Tabella milanese, priva di specifica motivazione, è in violazione non solo della legge processuale, ma anche dell'art. 1226 c.c., perché ciò che difetta è non solo la motivazione, ma anche la valutazione.

Ne consegue che laddove la liquidazione del danno parentale venga effettuata non seguendo una tabella basata sul “sistema a punti”, l'onere di motivazione del giudice di merito, che non abbia fatto applicazione di detta tabella, sorge nel caso in cui si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe pervenuti utilizzando la Tabella milanese, o comunque risulti sproporzionata rispetto alla quantificazione cui l'adozione dei parametri tratti da tale tabella avrebbe consentito di pervenire.

Nel caso di specie, la Tabella milanese, pur non seguendo la tecnica del “sistema a punti”, limitandosi ad individuare solo un tetto minimo ed uno massimo, fra i quali ricorreva peraltro una significativa differenza, costituiva, in ogni caso, una perimetrazione della clausola generale di valutazione equitativa del danno anche se non una forma di concretizzazione tipizzata quale è la tabella basata sul “sistema a punti” la quale solo garantisce invece uniformità e prevedibilità della liquidazione del danno parentale.

In particolare, i requisiti che una tabella con “sistema a punti” dovrebbe contenere sono stati individuati dalla Suprema Corte i) nell'adozione del criterio "a punto variabile", ii) nell'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, iii) nella modularità, iv) nell'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e v) nei relativi punteggi (Cass. Civ., Sez. III, 21 aprile 2021 n. 10579; Cass. Civ.,Sez. III, 29 settembre 2021, n. 26300).

Ebbene, le nuove Tabelle milanesi consentono una liquidazione rispettosa dei criteri indicati dalla Suprema Corte, onde la loro applicazione in sede di giudizio di rinvio dovrà ritenersi del tutto conforme a diritto nel caso di specie, poiché l'individuazione dei criteri poc'anzi ricordati consente l'applicazione della legge, ordinaria e costituzionale (artt. 1226 c.c. ed art. 3 Cost.), in modo sostanzialmente - sia pur se solo tendenzialmente, in assenza di una tabella unica nazionale di matrice legislativa - uniforme sul territorio nazionale (Cass. Civ., sez. III, 16 dicembre 2022 n. 37009).

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