Risarcimento del danno da fusione ex art. 2504-quater, comma 2, c.c.
05 Giugno 2023
Massima
Nell'ambito di una fusione per incorporazione infragruppo, l'obbligo di risarcire il danno derivante dall'incongruità del rapporto di cambio, in seguito all'esperimento dell'azione di cui all'art. 2504-quater, comma 2, c.c., grava in capo alla società incorporante, mira a reintegrare il patrimonio del socio nella condizione in cui si sarebbe trovato ove il rapporto di cambio fosse stato determinato congruamente e va correlato alla situazione sussistente alla data dell'atto di fusione. Il caso
Con atto di citazione, Fallimento Spoleto Credito e Servizi S.c.a.r.l. agiva per far accertare l'annullabilità ex art. 2377 c.c. della delibera assembleare di Banca Popolare di Spoleto S.p.A. (da ora “BPS”), di cui deteneva il 9%, con cui era stato approvato il progetto di fusione per incorporazione in Banco di Desio e della Brianza S.p.A. (da ora “BDB”), titolare dell'81,67% di BPS. Per l'effetto, poi, richiedeva la condanna di BPS al risarcimento del danno ex art. 2504-quater, comma 2, c.c., cagionato da incongruità del rapporto di cambio dovuta in parte all'impiego di metodi di calcolo inadeguati, nonché basati su documenti non pubblicati, e in parte all'applicazione irragionevole di uno sconto di liquidità. A sua volta, si costituiva in giudizio BDB, la quale asseriva l'infondatezza della domanda avversaria deducendo la decadenza dell'attore dal diritto di ottenere la dichiarazione di annullamento della delibera di fusione in virtù dell'art. 2504-quater, comma 1, c.c., l'assenza di qualsiasi carenza informativa o violazione di norme di legge nell'ambito del procedimento di fusione, nonché la validità dei metodi di calcolo impiegati e la correttezza delle conclusioni raggiunte. Falliti i tentativi di mediazione e rifiutata dall'attrice la proposta conciliativa formulata alle parti, la causa è stata rinviata per le conclusioni e rimessa al Collegio per la decisione.
Le questioni
Il provvedimento affronta questioni cruciali in materia di danno da fusione scaturente da determinazione incongrua del rapporto di cambio, ponendosi nel solco di precedenti pronunce che hanno già lambito il tema e giungendo alle conclusioni sintetizzate nella massima in epigrafe. Preliminarmente, il Collegio ha ragionevolmente ribadito che il rapporto di cambio è frutto di una valutazione demandata agli amministratori, dipendente dalla loro discrezionalità tecnica e incentrata sia su elementi di carattere economico sia su elementi di valutazione indiretta del patrimonio sociale (v. Cass. 2016, n. 15025). A ciò si aggiunge, peraltro, che il concambio sia anche frutto di trattative tra le parti interessate o, nelle fusioni infragruppo, di una mera scelta degli amministratori espressione del gruppo di comando (v. Cass. 2020, n. 7920). Gli unici limiti posti all'attività valutativa discrezionale affidata all'organo amministrativo sono dati dal criterio di congruità del rapporto individuato e dall'adeguatezza dei metodi a tal fine impiegati (v. SANTAGATA C. e R., Le fusioni, in Tratt. delle società per azioni, Utet, 2004, 331), a cui la giurisprudenza ha aggiunto la ragionevolezza, la non arbitrarietà, la veridicità e l'esatta applicazione dei criteri indicati nel progetto di fusione (v. Trib. Genova, 21 dicembre 2000, in Società, 2001, 448). La conseguenza di tali disquisizioni è la sindacabilità della delibera di approvazione del progetto di fusione solo in caso di determinazione del rapporto di cambio arbitraria o basata su dati incompleti o falsi (v. Cass. 2000, n. 15599). Successivamente, il Collegio si è soffermato sul merito della questione. In primo luogo, viene contraddetto il rilievo del convenuto circa la “singolarità processuale” della richiesta di accertamento dell'annullabilità della delibera di approvazione dell'assemblea di BPS: in particolare, la Corte afferma che la richiesta prescinde dalla possibilità di ottenere una declaratoria di annullamento, ormai esclusa ex art. 2504 quater, comma 1, c.c. (come ammette lo stesso attore), e mira piuttosto a ottenere un accertamento incidentale di tale circostanza, la quale si pone come presupposto per la domanda principale di risarcimento del danno da fusione ai sensi dell'art. 2504 quater, comma 2, c.c. Peraltro, è da tempo pacifico che la pretesa risarcitoria possa essere azionata da terzi o da soci che non abbiano impugnato la delibera assembleare di approvazione, anche ove abbiano votato favorevolmente alla medesima: infatti, il danno potrebbe essere in concreto accertato in un momento successivo (v. GENOVESE A., La tutela risarcitoria dell'azionista pregiudicato dalla fusione, in Riv. Soc., 2007, 95). In secondo luogo, con specifico riguardo al rapporto di cambio e alla sua determinazione, l'adito Tribunale si è rimesso integralmente alle argomentazioni esposte nella relazione del c.t.u. nominato e del suo collaboratore. In particolare, essa si sofferma sulla corretta qualificazione della fattispecie, evidenziandone la natura di fusione infragruppo per incorporazione della controllata nella controllante: pertanto, è chiara l'assenza di trattative effettive tra le due compagini sociali in merito al rapporto di cambio, essendo gli amministratori di BPS espressione di BDB (v. BELTRAMI P., La responsabilità per danni da fusione, Torino, 2009, 192). Proseguendo, i consulenti vidimano la validità sostanziale del rapporto di cambio dal punto di vista della correttezza e dell'adeguatezza del processo che ha portato alla sua determinazione, ma contestualmente sanciscono l'inesattezza dei risultati conseguiti per le seguenti cause: da un lato, il metodo di calcolo impiegato muove da postulati insanabilmente distanti dal caso concreto, basandosi su logiche di investimento a lungo termine, mentre nel caso concreto il socio leso era assoggettato a procedura fallimentare e aveva la chiara esigenza di massimizzare la monetizzazione della sua partecipazione; dall'altro, si ravvisa una carenza informativa poiché non erano stati messi a disposizione alcuni dati e documenti la cui pubblicizzazione, seppur non strettamente imposta dalla legge, era comunque utile e necessaria al fine di consentire ai soggetti coinvolti una migliore valutazione dell'operazione. Da ciò deriva che il rapporto di cambio è stato determinato in modo incongruo per l'utilizzo di un metodo idealmente valido, ma inadeguato al caso concreto. Di tale circostanza i soggetti danneggiati si sono potuti avvedere solo in un secondo momento, a causa della mancata immediata messa a disposizione di tutte le informazioni e documenti necessari. Si aggiunga, poi, che la relazione ha anche tacciato di irragionevolezza l'applicazione di uno sconto di liquidità nel calcolo del concambio, non ravvisando alcuna rilevanza empirica che giustifichi una simile scelta. I consulenti concludono, poi, con la determinazione del rapporto di cambio in base al metodo di calcolo da essi ritenuto più adeguato. Infine, il Tribunale, nel quantificare il danno risarcibile facendo riferimento alla relazione di cui sopra, detta due importanti (e parzialmente condivisibili) principi in relazione all'art. 2504 quater, comma 2, c.c.: in primis, il pregiudizio patito dal socio danneggiato da una fusione viziata da incongruità del rapporto di cambio consiste nel delta tra quanto ricevuto e quanto avrebbe dovuto ricevere; in secundis, l'interesse da ristorare è quello del socio alla reintegrazione del proprio patrimonio nella condizione in cui si sarebbe trovato se il rapporto di cambio fosse stato congruo. Peraltro, si segnala che, in linea con parte della dottrina (v. LA MARCA E., Il danno alla partecipazione azionaria, Giuffré, 2012, 350 e 379), i postulati dettati dal Collegio sembrino limitare il risarcimento al solo danno emergente. Maggiori perplessità desta, invece, il momento a cui il Tribunale ha ancorato la quantificazione del danno: infatti, i giudici hanno ritenuto di riferire il calcolo alla data dell'atto di fusione, poiché in tale momento si cristallizzano gli esiti delle valutazioni risultanti dai documenti richiesti dalla legge per il procedimento di fusione, a nulla più rilevando eventuali variazioni nei patrimoni delle società partecipanti all'operazione. La soluzione adottata stride con le proposte dottrinali in materia che, seppur indubbiamente influenzate dall'incertezza circa la qualificazione della natura della responsabilità della società in simili fattispecie, prediligono correlare la quantificazione del danno al momento della sentenza o a quello di efficacia della fusione (v. BELLINI E., Invalidità della fusione, in La fusione, a cura di S. Cacchi Pessani, Torino, 2019, 264).
Osservazioni
Il presente provvedimento contiene varie e interessanti statuizioni che hanno chiarito alcuni aspetti in materia di risarcimento del danno da fusione ex art. 2504 quater, comma 2, c.c. La pronuncia si ritiene pressoché interamente condivisibile, salvo per quanto attiene l'individuazione del momento a cui riferire il calcolo del danno risarcibile. Infatti, ancorare la valutazione del danno alla situazione sussistente al giorno dell'atto di fusione è una soluzione quantomeno dubbia, dal momento che la circostanza posta a giustificazione della medesima è ravvisabile anche in seguito alla delibera di approvazione assembleare: salva l'eventuale opposizione dei creditori, da quel momento i termini della fusione possono considerarsi definitivi e sono destinati a essere riportati immutati nell'atto di fusione per scopi ricognitivi e pubblicitari, in ossequio a quanto previsto dalla legge. Peraltro, la sentenza fa riferimento alla data dell'atto di fusione, e non alla data della sua iscrizione nel Registro delle Imprese: invero, è solo da questo secondo momento che si producono gli effetti costitutivi, salva comunque la possibilità espressamente concessa dal legislatore di posticiparli. Infine, si noti che il Collegio, con l'ausilio dei consulenti, provvede a rideterminare il rapporto di cambio sulla base delle informazioni e dei documenti utilizzati nel procedimento di fusione, indiscutibilmente preordinati a livello ontologico e teleologico ad assumere rilievo in relazione all'assemblea per l'approvazione del progetto di fusione. Alla luce di quanto appena detto, si reputa errato ancorare la quantificazione del danno alla data dell'atto di fusione poiché, come sopra dimostrato, tale momento non reca con sé né la cristallizzazione dei termini dell'operazione né la produzione dei suoi effetti.
Conclusioni
La sentenza analizzata ha una portata fortemente chiarificatrice in tema di responsabilità per danno da fusione ex art. 2504 quater, comma 2, c.c., con espresso riferimento alle ipotesi in cui l'operazione risulti viziata dalla determinazione incongrua del rapporto di cambio. Oltre a sancire una sorta di pregiudizialità (solo) logica tra l'accertamento dell'annullabilità della delibera di approvazione e l'azione risarcitoria, la pronuncia contiene stimolanti disquisizioni circa l'azione medesima e il danno risarcibile destinate a guidare le successive pronunce, ma anche ad alimentare le discussioni in materia.
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