L'estinzione della persona giuridica: gli effetti sul processo e sull'integrità del contraddittorio
09 Giugno 2023
Massima
Nel caso in cui la società, contro la quale sia stata proposta un'azione revocatoria, sia stata cancellata dal registro delle imprese nel corso del processo di primo grado, l'appello deve essere rivolto contro i soci, quali successori della stessa nei rapporti obbligatori pendenti al momento dell'estinzione. Il caso
La decisione in commento prende le mosse dal ricorso avverso alla sentenza con la quale la Corte di Appello di L'Aquila rigettava il gravame avente ad oggetto la pronuncia con la quale il giudice di prime cure aveva dichiarato l'inefficacia relativa, dell'atto stipulato tra i convenuti, un privato e una società, avente ad oggetto il conferimento in trust di beni immobili (è pacifico che il fine dell'azione ex art. 2901 c.c. sia ottenere la declaratoria di inefficacia relativa dell'atto revocando, al fine dell'esperimento di azioni cautelari e esecutive sul bene distratto: cfr., da ultimo, Cass., 23 settembre 2021, n. 25855). Precisamente, la domanda, introdotta nelle forme dell'azione ex art. 2901 c.c., era stata promossa dalla società mandataria della banca creditrice del privato (convenuto in giudizio) che aveva conferito i suddetti beni in trust con una società (si segnala sull'argomento l'interessante commento di Ammirabile, Azione revocatoria avverso gli atti di conferimento in trust: la posizione dei beneficiari, in CorG, 2019, 3, 329). A fondamento della domanda l'attrice deduceva che la mandante era titolare di un ingente diritto di credito nei confronti della società convenuta, derivante dal saldo negativo del conto corrente intestato al convenuto, per il cui recupero, previa revoca dell'apertura di credito, era stato promosso giudizio monitorio, in seguito al quale era stato emesso decreto ingiuntivo; un mese prima era stato stipulato l'atto con il quale tutti i beni della società debitrice erano stati conferiti in trust, regolato dalla legge del Jersey, per la liquidazione dei creditori beneficiari di tale segregazione; nei confronti della suddetta società era pendente una domanda giudiziale, trascritta, e sui suoi beni erano iscritte due ipoteche; - nel trust era stato designato quale trustee e liquidatore della società debitrice lo stesso debitore convenuto, che aveva assunto la fideiussione nei confronti della mandataria, nonché alcune cariche nei confronti della società; anche in ragione dei rapporti tra le parti e della data di stipulazione dell'atto di conferimento, sussistevano i presupposti necessari per l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c.
Il Tribunale di Sulmona accoglieva la decisione osservando, sotto il profilo oggettivo, che parte attrice aveva dimostrato l'esistenza del proprio diritto di credito e che l'atto in contestazione aveva effettivamente diminuito la garanzia patrimoniale in ragione della sua natura gratuita, della segregazione patrimoniale e della data di stipulazione (immediatamente precedente all'emissione del decreto ingiuntivo); sotto il profilo soggettivo, il giudice di primo grado deduceva la consapevolezza del citato pregiudizio dai ruoli delle persone fisiche, che erano state coinvolte nell'operazione in esame, rispetto alla società debitrice (sul punto: secondo Cass., n. 9094/2017, incombe sull'Amministrazione Finanziaria l'onere di provare che il contribuente abbia rifiutato di esibire i documenti richiesti. L'estinzione della società determina l'intrasmissibilità delle sanzioni in virtù del principio della responsabilità personale; sul tema del conferimento di beni in trust in particolare cfr. Cass., 9 novembre 2020, n. 24986). Il giudice di appello, adito dal trustee del Trust Prestige – che chiedeva, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto della domanda di revoca – confermava la sentenza del Tribunale; pertanto, contro la decisione della Corte di Appello proponeva ricorso per Cassazione la stessa appellante rimasta soccombente. In particolare, la ricorrente deduceva l'erroneità della sentenza impugnata laddove la Corte territoriale aveva ritenuto la sentenza impugnata inutiliter data, sull'erroneo presupposto che, in caso di cancellazione di società – come effettivamente era stata cancellata dal registro delle imprese la società mandataria della creditrice – l'obbligazione non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso. In particolare, osservava che, poiché nel caso di specie il soggetto debitore era una società s.r.l. (e, dunque, una società di capitale) - avrebbe dovuto trovare applicazione l'art. 2495 comma 2 (che attribuisce al socio la propria responsabilità patrimoniale per i debiti rimasti inevasi alla cancellazione della società dal registro delle imprese, ma limitatamente a quanto il socio ha riscosso e se ha riscosso, in base al bilancio finale di liquidazione). Al contrario, la ricorrente assumeva che il venir meno della società debitrice per cancellazione dal Registro delle imprese non consente la instaurazione del contraddittorio e che sarebbe stato impossibile per il creditore proseguire l'azione revocatoria, originariamente introdotta nei confronti della società, nei confronti dei soci, la cui mancata partecipazione al giudizio, comunque, avrebbe comportato la nullità della sentenza. Deduceva, inoltre, che la Corte avrebbe errato nel qualificare come gratuita e non a titolo oneroso l'operazione oggetto dell'atto, avendo ritenuto irrilevante il compenso previsto per l'esercizio delle funzioni del trustee, mentre la disposizione in trust del patrimonio societario aveva l'espressa e specifica finalità di impiegare quel patrimonio per renderlo liquido, per ottenere la provvista necessari per il pagamento dei creditori, ragion per cui le disposizioni patrimoniali non potevano che avere natura onerosa (si veda Cass. 28423/2021; Cass. 26310/2021). Assumeva, infine, che il trust liquidatorio oggetto dei fatti di causa sarebbe stato un negozio giuridico che attua la regola di diritto, posta dall'art. 2740 c.c., vincolando i beni concretamente all'impiego in favore dei creditori – e lamentava, dunque, l'errore della sentenza impugnata per aver ritenuto violata la regola sulla garanzia patrimoniale generica –, nonché che il giudice di primo e secondo grado avessero erroneamente escluso che nell'azione ex art. 2901 c.c. il beneficiario è litisconsorte necessario nel caso di atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso, in quanto lo stato soggettivo del terzo rilevante è soltanto quello del beneficiario e non anche del trustee. Ebbene, all'esito del giudizio, svoltosi nelle forme del rito ex art. 380-bis.1 c.p.c., la Corte di legittimità ha parzialmente accolto il ricorso. Le questioni giuridiche e le soluzioni
La prima questione che il ricorso di cui in premessa pone all'attenzione della Suprema Corte ha a che fare con gli effetti dell'estinzione della persona giuridica, conseguenti alla sua cancellazione dal registro delle imprese, sul processo. In dottrina, ex multis, Zagra, Effetti irreversibili della cancellazione di società di capitali dal registro delle imprese, in Soc, 2010, 356; Zanardo, Cancellazione di s.r.l. dal registro delle imprese: presupposti e ruolo del conservatore, in Soc, 2010, 91 ss.; Alleca, Iscrizione della cancellazione, estinzione e fallimento, in RS, 2010, 720 ss.; Basso, sub art. 2495, in Fauceglia, Schiano di Pepe (diretto da), Codice commentato delle S.p.a., II, Milano, 2007, 1588; Salafia, Sopravvenienza di attività dopo la cancellazione della società dal Registro imprese, in Soc, 2008, 929; Spolidoro, Seppellimento prematuro. La cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese ed il problema delle sopravvenienze attive, in RS, 2007, 823. La ricorrente lamentava, infatti, che la cancellazione della società dal registro delle imprese avrebbe reso impossibile per il creditore l'instaurazione del contraddittorio e la prosecuzione né del giudizio revocatorio e dell'eventuale giudizio di espropriazione presso terzi cui è finalizzata la domanda revocatoria anche nei confronti dei soci. Osservazioni
La tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale il creditore non avrebbe potuto proseguire l'azione nemmeno nei confronti dei soci – nei limiti in cui questi siano chiamati a rispondere – è ormai da ritenersi “anacronistica”. Sul punto, è bene prendere le mosse dalla modifica dell'art. 2495 c.c., risalente ormai ad un ventennio fa (è chiaro il riferimento all'art. 4 d.lgs. n. 6/2003), la quale ha significativamente inciso sul rapporto prima intercorrente tra l'istituto della cancellazione della società di capitali (ma tale effetto è stato esteso anche alle società di persone: Cass., n. 21000/2009) dal registro delle imprese e l'estinzione della persona giuridica, nel momento in cui ha stabilito che dalla cancellazione dal registro discenda l'estinzione della società. La soluzione dell'efficacia costitutiva della iscrizione della società nel registro delle imprese Cass., S.U., nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010) e, dunque, dell'estinzione conseguente alla cancellazione, comportava un significativo mutamento di rotta rispetto all'orientamento consolidato fino a quel tempo, ossia quello secondo il quale la cancellazione avrebbe avuto efficacia meramente dichiarativa e non avrebbe comportato anche l'estinzione della società in difetto di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa. Ciò è tanto vero che, per un certo momento, anche alla luce della nuova formulazione della disposizione, parte della giurisprudenza continuò a sostenere che l'effettiva estinzione di una società non conseguisse l'esito meramente formale e contabile del procedimento di liquidazione, ma solo la completa definizione dei rapporti giuridici che ad essa facessero capo. L'esigenza di tutela della certezza dei rapporti giuridici, specie rispetto ai creditori, portava la giurisprudenza ad affermare che il permanere di rapporti giuridici non esauriti avrebbe comportato la sopravvivenza della società anche a seguito della sua cancellazione dal registro delle imprese: ex multis, Cass., 20 ottobre 2008, n. 25472; Cass., 2 marzo 2006, n. 4652. Contra, Cass., 18 settembre 2007, n. 19347; Cass., 10 novembre 2011, n. 24039; Cass., 28 agosto 2006, n. 18618. Orbene, così stando le cose, ovverosia preso atto della modifica legislativa che dunque imponeva ora di riconoscere efficacia costitutiva e non dichiarativa alla cancellazione della società dal registro delle imprese, la questione, che suscitò l'interesse della giurisprudenza, diventava capire quali fossero le conseguenze di tale estinzione laddove la cancellazione, così come ogni altro fatto estintivo, avvenisse a lite pendente. Sul punto, devono distinguersi due diverse questioni, attinenti l'una alla eventuale interruzione del processo conseguente alla estinzione della società – che, sotto il profilo processuale, si distingue da eventi come la messa in liquidazione (cfr. Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, 416; Finocchiaro, Interruzione del processo, 434; Punzi, L'interruzione del processo, Milano, 1963, 208; Saletti, Interruzione, 5; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1981, 196), cui consegue non l'estinzione della persona giuridica, bensì la continuazione dell'ente con il suo legale rappresentante pro tempore nella persona del liquidatore, per l'adempimento delle pregresse obbligazioni – o della trasformazione (che non dà luogo alla creazione di una nuova società, ma semplicemente alla modificazione dell'atto costitutivo, rimanendo la società sempre la medesima ancorché differentemente organizzata: Cass., 4 giugno 1962, n. 1334) determina l'interruzione del processo al pari di quanto accade con la morte per le persone fisiche e l'altra al profilo successorio, vale a dire se sia possibile e nei confronti chi proseguire il processo. Quanto alla prima, ossia quella dell'eventuale interruzione del processo in conseguenza dell'estinzione della persona giuridica per cancellazione dal registro delle imprese, è attualmente consolidato quell'orientamento – inaugurato dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2013 (Cass., 12 marzo 2013, n. 6070; conforme: Cass., 10048/2019) – secondo il quale la cancellazione di una società dal registro delle imprese rappresenterebbe un caso di perdita della capacità di stare in giudizio equiparabile alla morte per le persone fisiche, ai sensi dell'art. 299 c.p.c., dunque ad esso consegue l'interruzione non automatica del processo. Quell'orientamento che, sino alla riforma del diritto societario, sosteneva il non verificarsi di alcun effetto interruttivo e l'inapplicabilità dell'art. 110 c.p.c. faceva leva sulla efficacia dichiarativa dell'iscrizione nel registro delle imprese e dunque affermava che, una volta completata la liquidazione, l'eventuale processo pendente avrebbe dovuto essere proseguito nei confronti dell'ultimo liquidatore, ormai personalmente responsabile (Cass., 6 maggio 2003, n. 6450). Ciò sta a significare che l'interruzione in tanto sussiste in quanto, giusta l'art. 300 c.p.c., ma nella misura in cui esso sia dichiarato formalmente da parte del difensore, con la conseguenza, in via esemplificativa, che la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta, che il medesimo procuratore è legittimato a proporre impugnazione ed è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui (in questo senso Cass., SS.UU., 4 luglio 2014, n. 15295). Peraltro, una soluzione sostanzialmente analoga era stata, in un primo momento, prevista anche per l'ipotesi della fusione, prima che la giurisprudenza, nel 2006, avesse a chiarire che con la fusione, a differenza di quanto accade nel caso di cancellazione della società dal registro, “non si verifica l'estinzione di un soggetto e correlativamente la creazione di un nuovo soggetto”, ma siamo in presenza di una vicenda evolutiva modificativa dello stesso soggetto, dunque il processo può essere proseguito da o nei confronti dell'ente risultante dalla fusione (per tutte, Cass., SS.UU., 8 febbraio 2006, n. 637). In senso contrario, era stato osservato da altra parte della giurisprudenza che l'estinzione della società avrebbe provocato l'interruzione, con effetto immediato, del processo ai sensi dell'art. 2495, comma 2 c.c. (coì come modificato dall'art 4 del d.lgs. n. 6/2003), con conseguente venir meno della legittimazione ad agire della società e del liquidatore dal quale era rappresentata – ciò che, di fatto, ha tentato di sostenere la ricorrente nella vicenda in commento (Cass., 24 marzo 2015, n. 5855). Sotto il profilo successorio, le critiche mosse alla teoria della estinzione liquidatoria hanno portato in larga parte la giurisprudenza a prestare il fianco alla tesi estinzione successoria, ossia della il punto sul quale gli orientamenti in tema di interruzione paiono concordi, dal momento successivo alla riforma del diritto societario, è la possibilità che questo sia proseguito da/nei confronti dei soci e amministratori in qualità di successori universali ai sensi dell'art. 110 c.p.c. Ciò prescinde dalle modalità del verificarsi dell'evento interruttivo del processo, ossia che questo operi automaticamente o che debba essere dichiarato in udienza, risultando di fatto possibile la prosecuzione del processo in capo alla società estinta solo fintanto che il difensore, stando all'orientamento consolidato, non abbia espressamente dichiarato il venire meno della società. In argomento, è appena il caso di ricordare che la disposizione di cui all'art. 2495 c.c. si limita a stabilire che dopo l'estinzione della società i creditori sociali insoddisfatti possono far valere il loro credito nei confronti degli ex soci entro i limiti di quanto riscosso all'esito della liquidazione (Cass., 6 dicembre 2019, n. 31933; in dottrina, De Campo, Estinzione della società: presupposti necessari per la tutela del creditore insoddisfatto, in Soc., 2011, 1140; Sangiovanni, Cancellazione delle società di capitali e responsabilità di soci e liquidatori, in DResp, 2011, 1133) ovvero nei confronti degli ex liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa e che la domanda può essere proposta dai creditori sociali entro un anno dalla cancellazione presso l'ultima sede della società – nulla chiarisce con riferimento al titolo della responsabilità di tali soggetti, nonché ai creditori della società estinta e nemmeno dei processi pendenti. Tale orientamento era stato espresso da Cass., SS.UU., 12 marzo 2013, n. 6070. Secondo tale orientamento, anche se il riparto dei soci al momento della liquidazione fosse pari a zero, il creditore avrebbe comunque interesse ad agire nei confronti del socio, in virtù di un eventuale riparto futuro, restando irrilevante, ai fini della legittimazione attiva o passiva, che il socio abbia percepito un attivo in sede di liquidazione, rappresentando quest'ultimo solo il limite della responsabilità del socio per i debiti della società estinta. (cfr. Cass., n. 15035/2017). Tale interpretazione supera peraltro l'orientamento secondo cui in caso di assenza di attivo di liquidazione, i soci non sono legittimati ad agire oppure ad essere convenuti in giudizio (Cass. n. 23916/2016; Cass. n. 13259/2015; Cass. n. 2444/2017). Più esattamente, tale posizione, prendendo le mosse dalla sostanziale riscrittura delle regole del diritto societario, ex d.lgs. n. 6/2003, sostiene che, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo. Ebbene, è stato proprio in applicazione dei suddetti principi, cioè proprio in considerazione del fenomeno successorio che consegue alla cancellazione dal registro delle imprese, che la Corte di Cassazione ha osservato che i giudici di merito avevano correttamente escluso, la carenza dell'interesse ad agire mandante – creditrice del debitore ceduto – ai sensi dell'art. 2901 c.c. “considerando pure che l'azione revocatoria può essere incontrovertibilmente proposta anche per un credito eventuale”, che il giudice di primo grado “aveva correttamente rilevato”.
Ciò chiarito e, dunque, preso atto del potere-dovere dei soci di proseguire il processo ai sensi dell'art. 110 c.p.c. e del diritto dei creditori insoddisfatti di chiedere loro il pagamento delle somme dovute, la seconda questione su cui si sofferma la sentenza in epigrafe concerne il rapporto tra l'estinzione della società e il rispetto del principio del contraddittorio all'interno del processo, questione che muove dal fatto che la Corte di merito abbia ritenuto la menzionata cancellazione priva di rilievo sul piano dell'integrità del contraddittorio nel giudizio di appello (sul tema sia consentito rinviare a Giorgetti, Necessaria l'integrazione del contraddittorio ai soci in caso di revocatoria verso società estinta, in questo portale). Ora, la soluzione accolta sul punto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, di cui la sentenza in commento offre ulteriore conferma, costituisce il logico sviluppo dell'orientamento patrocinato dalla stessa giurisprudenza in tema di effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese. Si è invero ricordato come l'orientamento ormai consolidato in materia ritenga, allo scopo di creare una maggiore certezza nei rapporti giuridici delle società estinte, che, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale l'obbligazione facente capo al soggetto estinto trasferisce ai soci. In altre parole, è il descritto fenomeno successorio che consente di ravvisare l'identità della causa e della natura del debito societario che si trasmette ai soci, sicché il creditore può conseguire il titolo esecutivo sul credito vantano nei confronti della società, con azione di condanna proposta nei confronti dei soci-successori. Ne discende che l'estinzione della società non possa considerarsi irrilevante sotto il profilo dell'integrità del contraddittorio, in quanto lo stesso fenomeno successorio che giustifica il trasferimento dell'obbligazione o del diritto in capo al socio determina la necessità che il processo sia integrato nei confronti di costoro (“nel caso di litisconsorzio necessario, l'integrazione del contraddittorio prevista dal secondo comma dell'art. 102 cod. proc. civ. ha effetti di ordine sia processuale che sostanziale, nel senso che sana l'atto introduttivo viziato da nullità per la mancata chiamata in giudizio di tutte le parti necessarie ma è altresì idonea ad interrompere prescrizioni e ad impedire decadenze di tipo sostanziale nei confronti anche delle parti necessarie originariamente pretermesse”. Cfr. Cass., 22 aprile 2010, n. 9523; Cass., 15 giugno 2016, n. 12295). Quanto osservato, applicato al caso specifico dell'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. (cfr. Cass., 26 luglio 2002, n. 11005), si traduce nella necessità che – posto che il creditore non perde il proprio interesse ad agire ove la società debitrice alienante si sia estinta per cancellazione dal registro delle imprese - i soci siano chiamati a partecipare al giudizio (Cass., 16 marzo 2018, n. 6531), essendo legittimati passivi dell'azione; dunque, se quella vicenda societaria non ha determinato il venir meno di ogni rapporto, attivo o passivo, facente capo all'ente estinto, i soci succedono nei medesimi rapporti dell'ente estinto, così da rispondere delle sue obbligazioni, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti nel corso della sua attività, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente (Cass. 19 ottobre 2016, n. 21105). Orbene, nella fattispecie per cui è causa il processo di appello si è svolto senza il contraddittorio dei soci della società debitrice, da considerarsi, invece, in applicazione dei principi consolidati in materia, litisconsorti necessari nell'azione ex art. 2901 c.c., stante il fenomeno successorio come sopra descritto, applicabile anche alle società di persone. In applicazione dei principi sopra richiamati, dunque, la Suprema Corte ha sottolineato come se la vicenda della cancellazione e, dunque, del fenomeno estintivo della società, non era stata resa nota nel giudizio di primo grado, tuttavia lo era stato al momento della proposizione dell'appello, dunque la ricorrente avrebbe dovuto promuovere il giudizio di appello integrando il contraddittorio nei confronti di tutti i soci oppure la Corte territoriale, rilevato il difetto di integrazione, avrebbe dovuto ordinarne l'integrazione. Sulla scorta di tali considerazioni, gli Ermellini, in parziale accoglimento dei motivi di ricorso, hanno dunque stabilito la cassazione della sentenza impugnata, stante la nullità del giudizio di appello per mancata corretta integrazione del contraddittorio, disponendone il rinvio alla Corte di merito, per la pronuncia di una nuova decisione a contraddittorio “integro”.
Conclusioni
La decisione della Corte si mostra lineare ed equilibrata. Essa è frutto dell'applicazione delle disposizioni che disciplinano la materia, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza ormai consolidata. Inserendosi nel solco tracciato dalla stessa giurisprudenza di legittimità in punto di effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, la sentenza annotata offre un'ulteriore conferma, si direbbe confortante in punto di “certezza del diritto”, nondimeno avvalora, l'orientamento prevalente in materia. Le questioni coinvolte sono di estrema rilevanza e delicatezza, ma, senza, “stravolgimenti”, la soluzione cui perviene la Corte, specie sotto il profilo del rapporto tra la cancellazione dal registro delle imprese e prosecuzione del processo il principio del contraddittorio, rappresenta lo sviluppo logico delle premesse fatte in tema di effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese lite pendente. Si tratta di un approccio evidentemente garantista, che mira, da un lato, a garantire il rispetto delle norme che regolano la materia, nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza prevalente – al netto dei revirements che vi sono stati – , specie a tutela degli interessi del ceto creditorio e dei terzi con i quali la società interagisce; dall'altro, a prestare fede alla garanzia del giusto processo nella forma del rispetto del contradittorio. |