Eccezione al principio di esaurimento del marchio: il contratto di distribuzione selettiva

20 Giugno 2023

Il fatto che un brand di lusso sia venduto al di fuori della rete selettiva di distribuzione non basta di per sé a dimostrare il pregiudizio alla reputazione del marchio.

Massima

Il principio dell'esaurimento del marchio, ai sensi dell'art. 7 Dir. 2008/95/CE, implica che, una volta immesso un bene in commercio nel territorio della UE, direttamente o attraverso un licenziatario, il titolare del marchio ne perde le relative facoltà di privativa, essendo l'esclusiva limitata al primo atto di commercializzazione, salvo che si tratti di articolo di lusso o di prestigio, che sia stato adottato un sistema di distribuzione selettiva; che la commercializzazione, al di fuori della rete distributiva autorizzata, abbia arrecato un pregiudizio alla reputazione del marchio stesso.

Il caso

Nel 2018 la società Chantecler S.p.A., proprietaria dell’omonimo marchio per prodotti di gioielleria, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Milano la società Gens Aurea S.p.A. chiedendo che quest’ultima fosse inibita dal promuovere, distribuire e commercializzare i prodotti recanti il marchio “Chantecler”.

Le domande dell’attrice, integralmente accolte in primo grado dal Tribunale, venivano successivamente rigettate dalla Corte di Appello di Milano, la quale, in riforma della sentenza di prime cure, aveva considerato non sussistente la contraffazione del marchio suddetto perché la Chantecler S.p.A. non aveva provato nel corso del giudizio di essersi dotata di un sistema di distribuzione selettiva. In conseguenza di ciò, la Corte di Appello riteneva che la commercializzazione dei prodotti aventi il marchio “Chantecler” da parte della Gens Aurea S.p.A., al di fuori della rete di distribuzione selettiva, non aveva arrecato alcun pregiudizio alla reputazione del marchio.

Avverso la decisione della Corte di Appello ricorreva la Chantecler S.p.A. per tre motivi e la Gens Aurea S.p.A. resisteva in giudizio con controricorso.

Le questioni

La questione giuridiche analizzate dalla Suprema Corte sono essenzialmente due.

La prima riguarda quali fatti e prove dedotte in giudizio sono idonee a dimostrare l’adozione, da parte del titolare di un marchio, di un sistema di distribuzione selettiva, inteso quale eccezione all’applicazione del principio di esaurimento del marchio.

La seconda ha ad oggetto il possibile pregiudizio derivante dalla vendita di un prodotto con il marchio del titolare da parte di un soggetto estraneo alla rete di distribuzione selettiva, dunque non espressamente autorizzato alla vendita di tali prodotti. Le restanti pronunce della Corte, per quanto rilevanti, non verranno analizzate nel presente commento.

Le soluzioni giuridiche 

La Corte, dopo essersi occupata in limine litis del tema relativo alla mancata astensione di uno dei giudici del collegio della Corte di Appello di Milano, che aveva conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro l'ordinanza di rigetto della richiesta di provvedimento d'urgenza ante causam, inizia l'analisi della questione di merito chiarisce il principio dell'esaurimento del marchio, introdotto nell'ordinamento dalla Dir. UE  95/2008 e recepito a livello nazionale nell'art. 5 D.Lgs. 30/2005 (c.d. Codice della proprietà industriale).

Secondo tale principio, una volta che il titolare di uno o più marchi immetta in commercio un bene collegato ad esso, anche tramite propri licenziatari o soggetti comunque autorizzati, perde le relative facoltà di privativa su tale prodotto. Sulla base di ciò la Corte chiarisce che l'esclusiva è limitata al primo atto di messa in commercio del prodotto: una volta che tale prodotto è circolato all'interno del mercato, il titolare perde il diritto di esclusiva alla commercializzazione.

La Corte poi ricorda che esiste un'eccezione a tale regola, codificata al secondo comma dello stesso art. 5 D.Lgs. 30/2005: infatti, nel caso in cui il titolare abbia dei “motivi legittimi” per opporsi all'ulteriori commercializzazione dei prodotti già immessi sul mercato, questo può validamente vietare a soggetti non autorizzati di commercializzare i prodotti recanti il diritto di proprietà intellettuale anche successivamente alla prima messa a disposizione del prodotto in commercio. Secondo la Corte, che richiama sul punto anche giurisprudenza comunitaria in argomento, l'esistenza di una rete di distribuzione selettiva (come previsto dall'art. 1 lett. e Reg. UE 330/2010) configura uno dei possibili “motivi legittimi” che impediscono l'applicazione del principio l'esaurimento. La distribuzione selettiva, in particolare, si sostanzia in un sistema attraverso il quale il fornitore si impegna a rifornire i beni o servizi oggetto del contratto solo a distributori selezionati sulla base di criteri specifici e attraverso il quale i distributori, a loro volta, si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati all'interno dello spazio che il fornitore ha designato attraverso il proprio sistema di distribuzione, a condizione che il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso o di prestigio.

Ciò premesso, la Corte, nell'esaminare i motivi di ricorso, conferma quanto già stabilito dalla Corte di Appello, chiarendo che la Chantecler S.p.A. non ha dimostrato di essersi dotata di un sistema di distribuzione selettiva. La Corte infatti sottolinea come sia essenziale, per dimostrare tale elemento, che i criteri di selezione dei soggetti autorizzati alla vendita siano indicato contenuti all'interno del contratto di distruzione selettiva e, in aggiunta, che in forza di tale obbligo negoziale i distributori debbano continuare, in forza di un obbligo contrattuale, a mantenere il possesso dei requisiti richiesti nel corso di tutto il rapporto di distribuzione. A fronte di ciò, la Corte avallava gli argomenti usati dalla Corte di Appello per negare la sussistenza di un sistema di distribuzione selettiva basato sulla dimostrazione di contratti di agenzia con i diversi partner commerciali prodotti in causa e considerando decisivo, nel senso di negare la sussistenza della distribuzione selettiva, il fatto che 25 su 99 (quindi quasi il 25% dei totali) punti vendita autorizzati non fossero ubicati né in capoluoghi di provincia né in zone di interesse turistico. Con tali valutazioni la Corte sottolinea l'importanza, anche nell'eventuale giudizio nei confronti di un soggetto non autorizzato alla distribuzione, della contrattualizzazione dei criteri con cui il fornitore sceglie i propri distributori da includere all'interno del sistema di distribuzione selettiva.

Delineati i principi e le regole probatorie relativamente al contratto di distribuzione selettiva, la Corte proseguiva prendendo in considerazione il possibile pregiudizio alla reputazione del marchio subito dalla Chantecler S.p.A. derivante dalle modalità vendita applicate da parte di un soggetto non autorizzato, presupponendo che il prodotto rivenduto fosse un prodotto di lusso. Sul punto, la Corte di Appello aveva stabilito che la vendita di un prodotto di lusso effettuata da un soggetto estraneo alla rete distributiva non determinava, di per sé, un pregiudizio alla reputazione del marchio: in particolare, i giudici del merito avevano ritenuto che non fosse sufficiente a dimostrare tale pregiudizio il solo fatto che il prodotto della Chantecler S.p.A. fosse rivenduto all'interno di un Outlet e non in un punto vendita autorizzato. La Corte di Cassazione, dal canto suo, non analizza a fondo la questione in quanto la validità e fondatezza del ragionamento seguito dai giudici di merito relativamente all'insussistenza della rete di distribuzione selettiva di Chantecler S.p.A. non può che portare alla conferma della sentenza emessa – per via della solidità di una delle rationes decidendi –, con conseguente sopravvenuto difetto di interesse in relazione alle restanti censure alla sentenza della Corte di Appello.

Osservazioni

La pronuncia in commento si colloca in un solco giurisprudenziale orientato alla valorizzazione dei sistemi di distribuzione selettiva contrattualizzati, che costituiscono un'eccezione all'applicazione del principio di esaurimento del marchio, configurando un “motivo legittimo” che si aggiunge alla tradizionale tutela offerta contro il vulnus al valore del prodotto di lusso o alla rinomanza del marchio del titolare derivante dalle modalità di vendita sul mercato da parte di soggetti non autorizzati.

In ambito europeo tale nuovo “motivo legittimo”, i cui elementi sono stati definitivamente chiariti dal Reg. UE n. 330/2010, non è mai stato analizzato specificamente dalle Corti europee, dovendosi segnalare poche decisioni sul punto. Per tale ragione, il fatto che il contratto di distribuzione selettiva costituisse un “motivo legittimo” ai sensi dell'art. 5 c. 2 D.Lgs. 30/2005 non è mai stato chiaramente riconosciuto dalla giurisprudenza europea in passato. In particolare, con la pronuncia della Corte di Giustizia nel caso Dior (CGUE 4 novembre 1997 - causa C-337/95), i giudici comunitari avevano sottolineato che il titolare di un marchio non poteva inibire a un soggetto che commercializzava merci simili abitualmente di utilizzare il marchio a meno che tale uso non danneggiasse il prestigio del marchio stesso.

Il ragionamento seguito allora dalla Corte di Giustizia si imperniava non tanto sulla nozione (oggi codificata) di “legittimo motivo” quale eccezione al principio di esaurimento del marchio, quanto con riferimento alla tutela prevista per il titolare del diritto di proprietà industriale a vedere danneggiato il valore della propria privativa. Si comprende dunque che, in tale contesto, un sistema di distribuzione selettiva che impedisse di fatto la commercializzazione dei prodotti del titolare senza esserne stati autorizzati, appariva ingiustificabile. Altra pronuncia che si è occupata generalmente del tema, senza tuttavia offrire spunti innovativi, è quella fornita dalla Corte di giustizia nel caso Copad (CGUE 23 aprile 2009 - causa C-59/08) dove si chiariva l'esistenza di un diritto del titolare a far valere i propri diritti di marchio nei confronti del licenziatario responsabile della violazione del contratto di licenza per aver venduto i prodotti del titolare a soggetti non autorizzati che, a loro volta, avevano causato una lesione della reputazione e dell'immagine dei prodotti con le loro modalità di vendita.

In tale pronuncia la Corte di Giustizia sottolineava ciò che la sentenza in commento in realtà non approfondisce (né, tuttavia, smentisce) ritenendo la questione assorbita alla doglianza principale (ossia la prova della sussistenza di una rete di distribuzione selettiva dei prodotti): il pregiudizio al prestigio dei prodotti o del marchio del titolare deve essere accertato (e quindi dimostrato) in concreto in corso di causa. Questo perché, come sottolineato dalla dottrina, il cuore del problema relativo all'individuazione dei possibili “motivi legittimi” per evitare l'applicazione dell'esaurimento del marchio risiede nell'individuazione di un compromesso tra il diritto del titolare del marchio alla protezione della propria immagine intesa come brand e l'interesse dei rivenditori a commercializzare i prodotti del titolare già immessi nel mercato. Per tali ragioni, l'ago della bilancia non può che ritrovarsi nell'entità (intesa come gravità) e nella concretezza del pregiudizio subito dal titolare del diritto, che deve essere puntualmente dimostrato in giudizio. Tale dimostrazione può essere fornita, ad esempio, tramite segnalazioni di lamentela sulla qualità dei prodotti venduto dal soggetto non autorizzato presentate della clientela oppure nel calo delle vendite dei prodotti in un determinato periodo (magari quello in cui il soggetto non autorizzato a iniziato a commercializzare i prodotti).

Altrettanto rigida e, condivisibile, appare la posizione della Cassazione relativamente ai requisiti e alla loro dimostrazione per poter ritenere sussistente una rete di distribuzione selettiva: sul punto la Corte appare ritenere indispensabile che i requisiti richiesti al venditore per poter distribuire i prodotti siano tutti specificamente previsti nel contratto di distribuzione selettiva. In particolare, devono essere elencati tutti e specificamente i requisiti richiesti e l'obbligo per i venditori di rispettare gli stessi per il tutto il corso del contratto. Inoltre emerge chiaramente dalla sentenza della Corte che i requisiti per l'accesso alla rete di distribuzione selettiva devono essere applicate a tutti i soggetti autorizzati alla vendita, senza eccezioni, così da dimostrare che i distributori autorizzati siano effettivamente selezionati dal titolare seguendo tali criteri.

Dunque la presente sentenza, letta in combinato disposto con il celebre provvedimento del Tribunale di Milano reso nei confronti di Amazon nella controversia Amazon contro Sisley, sottolinea la necessità, per tutte le imprese che si vogliano dotare di un sistema di distribuzione selettiva, di contrattualizzare i requisiti e gli obblighi previsti per i soggetti autorizzati, così da poter proteggere efficacemente il proprio brand di lusso contro campagne di vendita sfornite dei necessari standard qualitativi che i loro prodotti (e la clientela) richiedono.

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