Whistleblowing: la denuncia dei colleghi non salva il dipendente pubblico dai propri illeciti

Ilenia Alagna
12 Giugno 2023

La normativa che tutela il lavoratore che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) opera solo nei confronti delle sanzioni che potrebbero conseguire alla sua denuncia nella forma di sanzioni disciplinari e ritorsioni dirette o indirette, ma non costituisce una scriminante per gli illeciti da questi autonomamente commessi, da solo o in concorso con altri responsabili.
Massima

La normativa di tutela del dipendente che segnala illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguarda lo stesso dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non costituisce una scriminante per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell'apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo.

Il caso

Il caso al vaglio della Suprema Corte riguarda il ricorso proposto da un'infermiera professionale (Tizia) dipendente di un complesso ospedaliero la quale era stata sanzionata con la sospensione per 4 mesi, non essendo stata autorizzata, a svolgere attività presso un ente privato per 8 anni. La lavoratrice ha impugnato la sanzione, ma sia il tribunale del lavoro in primo grado, sia la Corte d'appello, hanno rigettato le doglianze.

La ricorrente lamentava, con un unico motivo di ricorso, la violazione ed erronea applicazione dell'art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001 rimarcando l'ampia copertura della protezione assicurata dalla norma all'affidamento di chi denuncia illeciti su una protezione effettiva ed efficace che eviti conseguenze alla propria partecipazione alla tutela dell'interesse e dell'integrità della Pubblica Amministrazione, funzionale all'emersione dei fenomeni di corruzione e mala gestio.

La questione

Il dipendente che segnala illeciti commessi da altri colleghi rimane responsabile per le proprie violazioni o in base a tale circostanza può essere assolto?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9148 del 31 marzo 2023 ha respinto il ricorso presentato da Tizia stabilendo che il dipendente che segnala illeciti commessi da altri colleghi rimane sanzionabile per le proprie violazioni, poiché l'art. 54-bis del D.lgs. 165/2001 (c.d. disciplina del wistleblowing) non esime da responsabilità chi commette un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare l'opera di altri colleghi. Lo scudo accordato al denunciante contro eventuali ritorsioni da parte dei datori di lavoro, o comunque dei suoi dirigenti, non si trasforma dunque in un esimente per i comportamenti illeciti da lui autonomamente posti in essere.

La Suprema Corte ha sottolineato che le misure contro le ritorsioni a carico del whistleblower hanno l'obiettivo di impedire l'applicazione al dipendente di sanzioni disciplinari che inibiscano l'effettuazione di segnalazioni. Nella motivazione del provvedimento la Cassazione afferma che: “l'applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti suoi propri resta dunque al di fuori della copertura fornita dalla norma, che non esime da responsabilità chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendenti”.

Anche la Convenzione Onu del 31 ottobre 2003 con la risoluzione n. 58/4, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. n. 116/2009, all'art. 33 prevede che gli Stati adottino misure appropriate per proteggere chi segnali illeciti da qualsiasi trattamento ingiustificato, non potendo esservi evidentemente compresi autonomi illeciti che nulla hanno a che vedere con le segnalazioni. Conclude la Corte che nulla vieta all'ordinamento di riconoscere eventuali attenuanti oppure, quando possibile, di valorizzare il “pentimento”, sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, in un contesto comunque di ravvedimento, ma lo Stato non è tenuto a riconoscere un'esimente rispetto a tali autonomi illeciti.

La giurisprudenza di merito ha recentemente innovato il panorama giurisprudenziale nazionale in materia di tutela del lavoratore whistleblower dalle possibili sanzioni disciplinari ritorsive che il comportamento di quest'ultimo potrebbe provocare. Il whistleblowing costituisce uno strumento che consente l'esercizio di alcuni fondamentali diritti della persona in uno Stato democratico. In particolare, se si considera che, ai sensi dell'art. 21 della Costituzione italiana, vi è uno specifico diritto di espressione ed una conseguente libertà di parola, oltre che al diritto di ognuno di essere informato delle notizie di pubblico interesse, la condotta del lavoratore che denuncia irregolarità peraltro potenzialmente lesive della propria immagine, della propria reputazione lavorativa e con potenziali riflessi sul piano penale a suo carico, si pone in perfetta linea con ciò che è richiesto dall'ordinamento stesso e, in quanto tale, non può certo vedersi privata della tutela, anche giurisprudenziale che le spetta. Proprio tale ultimo profilo è stato ampiamente riconosciuto dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tanto farsi spazio all'interno della Direttiva (UE) 2019/1937 in tema di protezione delle persone che denunciano violazioni del diritto dell'Unione, nella quale ha trovato esplicito riconoscimento e tutela. Le pronunce c.d. “pilota” di tale nuovo orientamento, ovvero l'ordinanza del 3 febbraio 2022 del Tribunale di Milano, sezione Lavoro e la sentenza n. 2 del 7 gennaio 2022 del Tribunale di Bergamo, si inseriscono in un contesto nel quale la condotta del whistleblower non trovava alcun tipo di tutela specifica nella prassi giurisprudenziale. La materia è stataradicalmente innovata dalla L. n. 179 del 30 novembre 2017, che ha previsto una disciplina più articolata della tutela dei whistleblowers all'interno del settore pubblico ed estendendo la disciplina dettata per tale settore anche ai lavoratori del privato; inoltre, si è introdotta una causa di giustificazione speciale per il whistleblower che abbia rivelato notizie coperte dal segreto.

I provvedimenti citati non rinvenivano precedenti giurisprudenziali nei quali poteva evincersi una specifica e mirata tutela del lavoratore whistleblower. Proprio per tale ragione, le due pronunce si pongono come innovative e realizzano la forma di tutela pregnante che la Direttiva (UE) 2019/1937 ha desiderato realizzare. Con l'ordinanza del Tribunale di Milano del 3 febbraio 2022 è stato impugnato il licenziamento irrogato al dipendente di una azienda esercente un servizio pubblico essenziale, ai sensi del R.D. 148/1931 relativo agli autoferrotramvieri. Detto lavoratore, in particolare, dopo aver tentato invano di segnalare ai propri superiori per anni l'esistenza di una truffa di notevoli dimensioni, nell'ambito della quale molteplici dipendenti emettevano biglietti non contabilizzati, trattenendo e distraendo le relative somme, ha denunciato l'illecito attraverso i canali ufficiali.

Il provvedimento del Tribunale di Bergamo n. 2 del 7 gennaio 2022, diversamente, riguarda due licenziamenti impugnati dal lavoratore di una impresa privata operante all'interno di un aeroporto, oggetto di diversi illeciti segnalati dal dipendente. Infatti, quest'ultimo ha segnalato una violazione della privacy nella misura in cui nella conservazione delle cartelle cliniche non utilizzava il canale imposto dal D.Lgs. n. 231/2001, rendendo noto l'abbandono di documenti riservati e materiali sensibili all'interno del magazzino alla mercé di chiunque vi ottenesse accesso, nonché la comunicazione di dati falsi all'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile al fine di ampliare l'aerostazione.

Le pronunce suddette, si pongono in contrasto con la forte tutela riservata al lavoratore segnalante dalla normativa in vigore nell'ordinamento italiano.

In particolare, sebbene si riconosca la loro portata innovativa, già per il solo fatto di costituire precedenti utili per la denuncia giudiziale della ritorsività delle condotte dei datori di lavoro nei confronti dei whistleblower, esse non sono state fonte di tutela rispetto agli atteggiamenti effettivamente ritorsivi subiti dai lavorati dei casi su esposti, nella misura in cui è stato dato spazio al datore di opporre differenti ragioni ai provvedimenti inflitti.

I Giudici, infatti, sebbene abbiano accordato una tutela al lavoratore, si sono mostrati alquanto scrupolosi e fin troppo stringenti nella considerazione della sussistenza dei presupposti per l'affermazione del carattere ritorsivo / discriminatorio dei provvedimenti impugnati.

L'eccessivo scrupolo mostrato dai Giudici di merito, lascia presagire un percorso tortuoso che, coerentemente con i principi chiavi dell'ordinamento, dovrebbe essere foriero di una tutela maggiormente forte e rispettosa del dettato normativo.

Come affermato dai primi commentatori delle pronunce, l'elevata difformità tra il grande livello di tutela garantito dalla disciplina nazionale, e la mancanza di effettività delle misure di protezione dei whistleblower sul banco di prova giurisprudenziale emerge un limite dell'ordinamento che necessita di essere snaturato attraverso una adeguata opera ermeneutica ispirata al principio di effettività, senza la quale si rischia di annullare le garanzie apprestate dal legislatore a riguardo e di fungere, al contrario, da potente disincentivo alle denunce degli illeciti appresi sul proprio posto di lavoro.

Osservazioni

Il termine whistleblowing, letteralmente “vuotare il sacco” (to blow the whistle), rappresenta un concetto noto nell'ambito giuridico nazionale e internazionale. Mutuato dalla letteratura anglosassone, esso fa riferimento alla condotta del lavoratore, sia esso pubblico o privato, che riveli a terzi o pubblicamente lo svolgimento di pratiche contra legem – o quanto meno irregolari – all'interno del proprio ambiente di lavoro. Considerata la natura stessa del termine whistleblowing, è agevole comprenderne la contestuale funzione di meccanismo di contrasto ai fenomeni corruttivi e di irregolarità, dilaganti nelle imprese, giacché si pone quale strumento di emersione di illeciti che, ove ignorati dai partecipanti all'impresa, sfuggirebbero ad accertamenti, e, contemporaneamente, di strumento di prevenzione delle medesime attività, posto che l'ordinamento italiano – seppure in assenza, sino ad oggi, di prassi a tutela di tale tipologia di condotta – guarda favorevolmente alla condotta dei lavoratori che denunciano simili irregolarità, incoraggiando, dunque, la responsabilizzazione dei cittadini verso la cura della legalità nei luoghi di lavoro.

A livello europeole segnalazioni e le divulgazioni pubbliche degli informatori costituiscono uno degli elementi a monte dell'applicazione del diritto e delle politiche dell'Unione. Essi forniscono ai sistemi di contrasto nazionali e dell'Unione informazioni che portano all'indagine, all'accertamento e al perseguimento dei casi di violazione delle norme dell'Unione, rafforzando in tal modo i principi di trasparenza e responsabilità. Dovrebbero applicarsi norme minime comuni atte a garantire una protezione efficace degli informatori con riguardo agli atti e ai settori in cui occorre rafforzare l'applicazione delle norme, l'insufficiente segnalazione da parte degli informatori è un fattore chiave che incide negativamente su tale applicazione, e le violazioni del diritto dell'Unione possono arrecare grave pregiudizio al pubblico interesse. Gli Stati membri potrebbero decidere di estendere l'applicazione delle disposizioni nazionali ad altri settori al fine di garantire un quadro completo e coerente di protezione degli informatori a livello nazionale” (cfr. Direttiva (UE) 2019/1937, considerando (1), (2) e (5).

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