Il rapporto di strumentalità tra diritto di informazione, principi di chiarezza, verità e precisione e adeguatezza degli assetti

18 Luglio 2023

La Cassazione affronta un'ipotesi di impugnazione della delibera di approvazione del bilancio per vizi riguardanti il diritto di informazione dei soci di cui all'art. 2423 c.c., concentrandosi anche sui principi di continuità dei bilanci.
Massima

Gli amministratori devono soddisfare l'interesse ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio al fine di realizzare il diritto di informazione previsto dall'art. 2423 c.c. che è in rapporto di strumentalità con il principio di chiarezza.

Il principio di continuità dei bilanci opera sul piano contabile, sicché la sua inosservanza pregiudica la validità del bilancio solo quando la rappresentazione della situazione patrimoniale non sia chiara e veritiera, che può anche riflettersi sul diritto di informazione del socio.

Il caso

Era richiesta da parte soccombente la riforma della Sentenza resa dalla Corte d'Appello di Brescia che dichiarava la nullità della deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio in ragione della ritenuta violazione del diritto di informazione dei soci.

Lamentavano i ricorrenti, tra l'altro, la violazione del principio secondo il quale solo i vizi rilevanti possono determinarne la nullità, oltre alla violazione del principio di continuità dei bilanci sia per l'avvenuta approvazione del bilancio dell'esercizio successivo, sia perché nessuna voce postata in bilancio era stata oggetto di nullità.

La questione

La Suprema Corte ha affrontato il tema del diritto di informazione previsto dall'art. 2423 c.c. – e del correlativo obbligo posto a carico degli amministratori – ai fini della declaratoria di invalidità della delibera di approvazione del bilancio analizzando, la correlazione tra principio di continuità dei bilanci, principio di chiarezza e rappresentazione veritiera e il diritto di informazione del socio.

Le soluzioni giuridiche

Sottolinea la Suprema Corte il rapporto di strumentalità che lega il diritto di informazione al principio di chiarezza di cui all'art. 2423, comma 2, c.c., così che lo stesso si realizza allorquando il socio ha una conoscenza concreta dei reali elementi contabili rappresentati dal bilancio. Ciò implica che gli amministratori debbano rispondere alle domande di informazione formulate dal socio in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati di bilancio e alla relativa relazione, con il limite individuato sia nel requisito della “pertinenza” della domanda formulata dal socio, sia nell'assenza di oggettive esigenze di riservatezza (Cass. 02 marzo 2016, n. 4120).

Nelle società di capitali la funzione del bilancio di esercizio non si limita alla misurazione degli utili e delle perdite dell'impresa ma risponde anche all'esigenza di fornire ai soci e al mercato tutte le informazioni richieste dall'art. 2423 c.c. (Cass.,SU., 21 febbraio 2000 n. 27, Cass. 15 marzo 2023, n. 7443 e Trib. Roma 14 aprile 2014, in giurisprudenzadelleimprese.it): va quindi individuato – con criteri certi e prudenziali a favore dei soci e dei terzi – il risultato economico conseguito, la composizione e consistenza del patrimonio, nonché la sua situazione finanziaria al termine d'esercizio.

In detta prospettiva, il principio di chiarezza “trova naturale corollario proprio nelle regole dell'informazione”(Cass., S.U., 21 febbraio 2000 cit.) e, in particolare, nel correlativo diritto di informazione del socio, a propria volta funzionale all'esercizio del diritto di voto (Trib. Catania 21 settembre 2019).

Risponde quindi certamente al diritto di informazione del socio la necessità di depositare la bozza di bilancio ed i relativi documenti integrativi obbligatori per legge presso la sede sociale nei quindici giorni precedenti l'assemblea (Trib. Roma 05 febbraio 2018): lo scopo informativo, cui la previsione tende, risulta comunque soddisfatto laddove il socio sia venuto a conoscenza già prima dell'assemblea del contenuto del bilancio così che la mancata contestazione in sede assembleare dell'osservanza del termine integra un comportamento concludete del socio (Trib. Milano 08 febbraio 2022, n. 40).

Il succitato obbligo di deposito non esaurisce, tuttavia, il dovere in capo agli amministratori ai fini della deliberazione relativa al bilancio: avvalendosi del diritto di informazione, il socio rimane libero di chiedere in assemblea chiarimenti sulle poste di bilancio, senza essere tenuto ad illustrare agli organi sociali i dubbi che egli possa o meno nutrire in proposito, rispettando tuttavia la regola della pertinenza. Tali informazioni non attengono solo ai dati conclusivi ma anche alle singole poste e al modo della loro formazione, così che il lettore del bilancio sia messo in grado di ripercorrere l'iter logico che ha guidato i redattori del documento nelle scelte e nelle valutazioni che ogni bilancio implica e sia messo in condizione di conoscere in materia sufficientemente dettagliata la composizione del patrimonio della società ed i singoli elementi che hanno determinato un certo risultato economico di periodo (Cass., S.U., 21 febbraio 2000, n. 27 cit. e Cass. 8048/1996 ivi richiamata). Ne deriva il già ricordato obbligo degli amministratori di riscontrare dette richieste in modo adeguato e concreto al fine di eliminare le incertezze, ovvero eventuali insufficienze (Trib. Roma 22 dicembre 2022, n. 18913), implica che gli amministratori debbano illustrare – sia pure in forma sintetica – i criteri utilizzati e gli elementi che hanno concorso a determinare la formazione di quella posta, nel cui novero rientrano i lavori compiuti, i costi sostenuti e le relative causali (Cass., S.U., 21 febbraio 2000, n. 27 cit.).

Nella prospettiva della soddisfazione del diritto di informazione, anche tali dichiarazioni, che non sono parte dei documenti di bilancio, possono risultare determinanti al fine della verifica giudiziale dell'ottemperanza al canone legale di chiarezza: pur non essendo oggetto della delibera di approvazione, dette dichiarazione risultano dal verbale assembleare, che in quanto depositato nel registro imprese ex art. 2435, comma 1, c.c. (Trib. Milano 23 ottobre 2017) consente la fruibilità dei chiarimenti anche ai terzi.

Questione delicata è da individuarsi nel grado di chiarezza da soddisfare, potendo compromettere la mancanza di chiarezza quella funzione informativa che costituisce uno degli scopi principali perseguiti dal legislatore nel disciplinare il profilo contabile del diritto societario.

Sul punto la giurisprudenza ha indicato alcuni criteri volti definire il grado di chiarezza esigibile, rinvenendoli a) nell'importanza dell'appostazione contestata ai fini del risultato dell'esercizio ed in comparazione con le altre voci; b) della tipologia dell'operazione contabilizzata; c) nel fatto che l'informazione è rivolta ai soci e alla generalità dei terzi interessati a relazionarsi con le società di capitali; nonché, infine, d) dal principio dettato dall'art. 2423, comma 3, c.c. in forza del quale gli amministratori devono fornire informazioni complementari laddove quelle specificamente richieste da disposizioni di legge risultino insufficienti a dare una rappresentazione vera e corretta (Trib. Milano 23 ottobre 2017 cit.).

Si è ad esempio ritenuto sussistere l'esigenza di fornire informazioni in merito alle operazioni con le parti correlate anche in caso di redazione del bilancio in forma abbreviata in quanto il legislatore non esonera la società dal rispetto dei principi generali espressi dall'art. 2423, comma 2, c.c. (Trib. Torino 22 dicembre 2021, in giurisprudenzadelleimprese.it).

In tema poi di illiceità della delibera di approvazione di un bilancio per violazione dei principi di chiarezza e precisione dettati dall'art. 2423, comma 2, c.c., nel caso in commento, la Corte sottolinea come la nullità si abbia non solo se la violazionedetermina una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio, o la rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società e quello del quale il bilancio dà contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati (e in ciò ricomprendendovi espressamente la relazione sulla gestione) non sia possibile dedurre l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle poste iscritte.

Il bilancio di esercizio deve essere redatto nel rispetto dei principi di verità, correttezza e chiarezza e delle regole di redazione poste dal legislatore, che, pur essendo tratte dai principi contabili ed avendo un contenuto di discrezionalità tecnica, sono norme giuridiche cogenti (Cass. 15 marzo 2023 n.7433)

La chiarezza del bilancio indica la sua comprensibilità al fine di assolvere la funzione informativa nei confronti dei soci e dei terzi, anche al di là della mera osservanza formale delle specifiche norme dettate per la minuta disciplina delle singole poste contabili. L'applicazione del principio della rappresentazione veritiera e corretta implica la redazione del documento contabile conformemente alla struttura ed ai criteri di valutazione dettati dalla normativa civilistica.

I principi enunciati sono dotati di propria autonoma valenza senza gerarchia alcuna tra loro, ma sono sovraordinati rispetto alle altre regole che sovraintendono alla redazione del bilancio poste dall'art. 2423-bis c.c., cioè i criteri di prudenza, competenza, funzione economica dell'elemento dell'attivo e del passivo considerato, continuità di gestione e non modificabilità dei criteri di valutazione (Trib. Napoli 04 novembre 2021, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Le scelte operate dai redattori, nel fornire la rappresentazione contabile dell'elemento considerato, sono sempre sindacabili, salvo che non siano riconducibili all'ambito proprio delle scelte insindacabili di gestione: tuttavia ogni scelta di redazione di bilancio, anche laddove essa abbia un più intenso contenuto di discrezionalità, deve comunque rispondere al limite dato dal rispetto della clausola generale della chiarezza dell'informazione contabile, ed esige di individuare il modo più aderente ai principi di correttezza, verità e chiarezza (Cass. 15 marzo 2023, n. 7433 cit.)

Nel provvedimento in commento, la Corte approfondisce il tema del principio di continuità dei bilanci in relazione anzitutto al limite temporale superato il quale può configurarsi la violazione del principio di continuità dei bilanci prevista dall'art. 2434-bis c.c.

La Corte rileva che il momento preclusivo è dato dall'approvazione del bilancio successivo, rispetto al quale andrà verificata la già intervenuta l'impugnazione del bilancio precedente: una volta approvato il bilancio successivo, la rappresentazione della situazione economico patrimoniale della società data con il bilancio precedente ai soci ed ai terzi infatti ha esaurito le sue potenzialità informative ed organizzative, e dunque anche le sue potenzialità decettive, dovendo invece i destinatari dell'informazione, per ogni valutazione e decisione organizzativa conseguente, far riferimento all'ultimo bilancio approvato (Trib. Milano 12 settembre 2019, in giurisprudenzadelleimprese.it).

Successivamente, in relazione alla violazione del principio di chiarezza, la Corte precisa che il principio di continuità dei bilanci opera sul piano contabile e comporta solo che non si adottino metodi di rilevazione del bilancio diversi da quelli adottati in passato, senza darne adeguato conto nella relazione degli amministratori: l'invalidità del bilancio consegue infatti all'inosservanza del principio di continuità solo quando la rappresentazione della situazione patrimoniale della società non sia chiara e veritiera, con possibile riflesso sul diritto di informazione del socio (Trib. Torino 22 dicembre 2021 cit.).

Ne discende che in principio di continuità non può legittimare una deroga ai principi di chiarezza e trasparenza: non quindi può ammettersi il protrarsi nel tempo dell'adozione di metodi di redazione poco chiari e precisi in ragione del principio di continuità di bilancio (Trib. Torino 22 dicembre 2021 cit.).

Osservazioni

Il provvedimento in commento impone una seppur sintetica riflessione in relazione al principio degli assetti adeguati di cui all'art. 2086, comma 2, c.c. anche in ragione della formulazione finale dell'art. 3 CCI.

Com'è stato rilevato efficacemente in dottrina (G. Racugno, La funzione predittiva del bilancio d'esercizio, in Giur. comm., 2021, fasc. II, 319), la nuova formulazione dell'art. 2086, comma 2, c.c. sottolinea la funzione predittiva del bilancio di esercizio già presente in quanto evincibile anche dall'art. 2425-ter c.c. in materia di rendiconto finanziario.

La valutazione della sussistenza della continuità aziendale comporta l'espressione di un giudizio prospettico nel quale il principio di continuazione dell'attività costituisce l'asse portante di tutti i criteri di valutazione.

A parere dell'autore, i profili di rischio di continuità aziendale trovano la propria espressione logico-concettuale e di illustrazione sia nella sezione della relazione degli amministratori dedicata alla prevedibile evoluzione della gestione (art. 2428, comma 3, n. 6, c.c.) sia nella nota integrativa laddove prevista l'indicazione della natura e l'effetto patrimoniale, finanziario ed economico dei fatti di rilievo intervenuti dopo la chiusura di esercizio (art. 2427, comma 1, c.c.).

Quanto affermato dall'autore risulta trovare conferma in alcuni provvedimenti resi su ricorso ex art. 2409 c.c. in materia di assetti adeguati dai quali emerge il chiaro richiamo tra il principio degli assetti adeguati, il principio di chiarezza, verità e precisione, ed infine il principio di continuità.

Si è infatti affermato che la non obbligatorietà delle scritture contabili non giustifica né legittima il fatto che esse siano state tenute con modalità sistematicamente e reiteratamente irregolari, trovando applicazione anche alle c.d. scritture facoltative la previsione di cui all'art. 2119 c.c., secondo cui “tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità”: dovendo, quindi, consentire una rappresentazione chiara, completa e veritiera, (in specie, della consistenza del magazzino), disallineamenti sia di magazzino che di fatturazione fanno sussistere il fondato sospetto di irregolarità della gestione e negli assetti contabili dell'impresa. La persistenza di tale condotta in presenza di un assetto gestorio inadeguato o irregolare comporta una non veritiera rappresentazione delle rimanenze di magazzino in bilancio, inattendibilità che inevitabilmente ricade anche sui progetti di bilancio successivi (App. Venezia 29 novembre 2022 n. 3287 (Decreto) in dirittodellacrisi.it e Trib. Venezia 22 novembre 2022 (Decreto), inedita).

Si è altresì affermato che gli adeguati assetti sono funzionali proprio ad evitare che l'impresa scivoli inconsapevolmente verso una situazione di crisi o di perdita della continuità consentendo all'organo amministrativo di percepire tempestivamente i segnali che preannunciano la crisi in modo tale da assumere tempestivamente le iniziative efficaci ed opportune. Pertanto, una volta manifestatasi la crisi, sfuma la gravità della adozione di adeguati assetti e viene in massimo rilievo invece la mancata adozione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per fronteggiarla.

In altri termini, la violazione dell'obbligazione di predisporre adeguati assetti è più grave quando la società non si trova in crisi anche perché, del resto, proprio in tale fase essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia le misure organizzative contabili amministrative (Trib. Cagliari 19 gennaio 2022).

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