La Corte di Cassazione esamina una fattispecie di indennizzo contrattuale relativo al rilascio di c.d. dichiarazioni e garanzie connesse alla cessione di partecipazioni sociali, confermando la validità e l’efficacia di siffatte pattuizioni ed escludendo che la modifica di talune pattuizioni contrattuali costituisca novazione del rapporto originario.
Massima
Affinché si abbia novazione oggettiva dell'obbligazione preesistente è necessario che siano espressamente previste, o comunque siano desumibili in modo inequivocabile, la volontà e l'effetto di estinzione dell'obbligazione pregressa, in ragione della sostituzione con una obbligazione nuova e incompatibile, non essendo sufficienti le indicazioni meramente esemplificative, a fronte del richiamo a tutti gli altri patti già stipulati che consentono la coesistenza di plurime obbligazioni.
Tra le parti non può ritenersi conclusa una transazione ove difetti la volontà atta a definire una res litigiosa, con reciproche concessioni (aliquid datum, aliquid retentum).
In tema di cessione di partecipazioni sociali, soddisfa il requisito della determinabilità dell'oggetto - ed è dunque valida e non viola il canone di buona fede oggettiva - la clausola del contratto che preveda l'adeguamento del corrispettivo fissato alle sopravvenienze passive successivamente accertate (ossia verificate dopo la cessione), facenti capo alla società target, per fatti accaduti prima del perfezionamento dell'accordo traslativo, in ordine a causali specificate nei confronti di soggetti individuati.
Il caso
Alfa (cessionaria dell'originario venditore) chiede ed ottiene dal Tribunale di Cagliari due decreti ingiuntivi verso Beta e Gamma a titolo di saldo prezzo in relazione alla vendita di una partecipazione in Delta. Alfa precisava anche che l'originaria obbligazione di pagamento era stata novata, a mezzo di una scrittura privata sottoscritta tra le parti, in ragione di alcune sopravvenienze passive di natura fiscale emerse dopo la cessione della partecipazione.
Il decreto ingiuntivo veniva opposto da Beta e Gamma, le quali (oltre a chiamare in giudizio l'originario venditore) chiedevano che fosse accertata l'estinzione e/o l'insussistenza dei crediti azionati con i decreti ingiuntivi opposti ovvero, in via subordinata, che fossero accertate le eventuali minori somme dovute, in ragione di quanto previsto nella scrittura che regolava la cessione di partecipazioni, avendo la società compravenduta ricevuto numerosi atti di accertamento e cartelle esattoriali riferibili al periodo antecedente alla cessione. In via riconvenzionale, Beta e Gamma chiedevano la condanna di Alfa al pagamento delle somme pari al saldo di compensazione tra il credito vantato a titolo di corrispettivo delle quote cedute e le predette sopravvenienze passive, da accertarsi in corso di causa.
Intervenuto il rigetto delle opposizioni, Beta e Gamma proponevano appello aventi la Corte d'Appello di Cagliari, anch'esso rigettato.
A sostegno della pronuncia adottata, la Corte rilevava che tra le parti era intervenuto un accordo modificativo delle originarie pattuizioni, in forza del quale era stata transattivamente pattuita una riduzione dell'originario prezzo di cessione, con una nuova regolamentazione del rapporto di vendita che aveva individuato un prezzo chiuso di cessione. Secondo la Corte, la nuova regolamentazione del rapporto di vendita richiamava le stesse ipotesi previste dall'originaria clausola di garanzia (cioè il verificarsi di sopravvenienze passive con l'amministrazione finanziaria e il rischio di penali e di contenziosi) e, difettando un'esplicita previsione di salvaguardia della precedente clausola di garanzia, ciò implicava la cristallizzazione del prezzo di compravendita con la riduzione forfettaria pattuita tra le parti e contemplava tutte le possibili ulteriori future sopravvenienze. La Corte rilevava, altresì, che - anche ove si fosse ritenuto che la successiva scrittura avesse avuto valenza non già modificativa ma esclusivamente integrativa delle originarie volontà contrattuali, sarebbe stato precluso ai cessionari di porre in detrazione sul prezzo di vendita, più volte, la medesima sopravvenienza, e che, comunque, il contenuto della clausola di garanzia era generico e indeterminato nell'individuazione delle poste da imputare alla riduzione del prezzo, così come generico era il momento della determinazione dell'ammontare delle passività da porre in detrazione, e che, pertanto, era riconosciuta ai cessionari una discrezionalità che contrastava con i principi di lealtà e buona fede, poiché rimetteva la determinazione del prezzo finale di vendita ad un vero e proprio libero arbitrio della sola parte beneficiaria della cessione.
Avverso il provvedimento ricorrono Beta e Gamma con ricorso principale sulla base di due motivi, mentre Alfa e l'originario acquirente resistono con controricorso.
La questione
La Corte prende posizione su tre diverse questioni di grande (e, in un caso, grandissima) rilevanza pratica:
anzitutto, in presenza di quali elementi si è in presenza di una novazione del rapporto originario;
in secondo luogo, la differenza tra clausole di aggiustamento del prezzo e clausole di indennizzo; l'autonomia e la durata delle clausole di indennizzo, tema – quest’ultimo – di enorme rilevanza pratica.
Le soluzioni giuridiche
La decisione della Suprema Corte interviene in una materia in cui i precedenti sono tutt'altro che numerosi, con iter logico-argomentativo assai lineare.
Queste, in sintesi, le motivazioni della decisione:
1) in tema di novazione:
la volontà delle parti di estinguere un'obbligazione di garanzia deve risultare in modo espresso e inequivoco, mentre non può essere desunta mediante l'applicazione del canone ermeneutico delle indicazioni esemplificative ai sensi dell'art. 1365 c.c. o per fatti concludenti e, per altro verso, la fattispecie novativa è preclusa allorché, in mancanza della pattuizione di obbligazioni incompatibili, la scrittura integrativa preveda una clausola di salvaguardia secondo cui restano ferme tutte le disposizioni dell'atto originario, non espressamente modificate dall'atto integrativo;
tra le parti non può ritenersi conclusa una transazione ove difetti la volontà atta a definire una res litigiosa, con reciproche concessioni (aliquid datum, aliquid retentum).
affinché si abbia novazione oggettiva è necessario, oltre al mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione (aliquid novi), l'animus e la causa novandi, consistenti, il primo, nella manifestazione inequivoca dell'intento novativo (che è escluso ove le parti, nel sostituire l'oggetto dell'obbligo precedente, richiamino tutti gli altri patti già stipulati, in tal modo consentendo la coesistenza tra la nuova e l'originaria obbligazione) e, la seconda, nell'interesse comune delle parti all'effetto novativo;
sul piano oggettivo, non si può prescindere dalla genesi di una nuova obbligazione incompatibile con il persistere dell'obbligazione originaria.
Nel caso in esame , secondo la Corte, la comune intenzione delle parti di estinguere l'originaria obbligazione di garanzia non è né espressa né inequivoca: la riduzione del prezzo di vendita e l'allungamento dei termini di scadenza delle rate non ha determinato un mutamento del titolo di cui all'originario atto di cessione, non essendovi alcuna incompatibilità prospettata tra l'originaria obbligazione di garanzia e la successiva riduzione del prezzo; né la riduzione del corrispettivo è indicativa della volontà di rinunciare all'aggiornamento del prezzo per sopravvenienze passive ulteriori, secondo quanto previsto nel contratto originario. Per le stesse ragioni, secondo la Corte, non ricorre una transazione novativa (cioè un atto di composizione dell'originario rapporto litigioso mediante la conclusione di un rapporto costitutivo di obbligazioni autonome, diverse da quelle originarie); semmai, sussiste un atto di composizione del rapporto litigioso esclusivamente mediante modifiche alle obbligazioni preesistenti (consistente in una mera riduzione di prezzo in ragione delle sopravvenienze passive), senza elisione del collegamento con l'originario rapporto.
2) in tema di compensazione tra saldo prezzo e sopravvenute passività:
la cessione di partecipazioni sociali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale (bene di secondo grado) e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta;
le pattuizioni di "garanzia" assunte dal cedente di partecipazioni sociali in ordine alla situazione patrimoniale o debitoria della società target hanno la funzione di neutralizzare l'incidenza negativa di atti o fatti di gestione compiuti prima del mutamento della compagine sociale;
lo scopo di queste previsioni consiste nel dettare una specifica disciplina pattizia a regolamentazione degli eventi che influiscono sul valore e/op sul patrimonio dell'azienda (che è indirettamente l'utilità che si prefigge di raggiungere l'acquirente attraverso l'acquisto delle quote sociali). Pertanto, a tutela dell'acquirente, il cedente "garantisce" una determinata situazione debitoria della società ovvero un determinato valore patrimoniale netto dell'azienda;
la prestazione di siffatta garanzia opera in caso di insorgenza di sopravvenienze passive, a seguito della quale il corrispettivo viene adeguato alla minore consistenza patrimoniale societaria, oppure viene riconosciuto un indennizzo;
si tratta di clausole (nel primo caso di “price adjustment”, nel secondo caso di “indemnity”) ben note alla prassi: le prime (cioè le clausole di "aggiustamento" del prezzo) attengono alla determinazione della misura del prezzo sulla base di eventuali cambiamenti del "valore" della società target tra una “data di riferimento" (che, di norma, è di qualche settimana antecedente alla data di firma del contratto preliminare) e la data del passaggio di proprietà della partecipazione (nota nella prassi come “closing”); tra le due date di solito intercorre un periodo di qualche settimana (che può arrivare anche a qualche mese), in cui i fatti gestionali della società target possono modificarne il valore, e i relativi "aggiustamenti" del prezzo provvisorio (che servono a tener conto dei risultati della gestione della società target nel citato periodo interinale) possono essere indifferentemente a favore del compratore o del venditore (salvo che non sia pattiziamente previsto un adeguamento a favore di una delle due parti); le seconde (cioè le clausole di “indennizzo”) si ricollegano alla previsione di una prestazione complementare (ed eventuale) a carico del (solo) venditore (e che si aggiunge, quindi, a quella del prezzo, anche, se del caso, "aggiustato"), da eseguire in favore del compratore solo in caso di violazione delle clausole di "garanzia " (e, quindi, nel caso in cui il "valore" garantito dal venditore sia diverso e inferiore rispetto a quello effettivo), allo scopo di ripristinare l'originario equilibrio tra le prestazioni corrispettive contrattuali principali. Tale obbligo di indennizzo, di solito, è soggetto a esclusioni, deduzioni, limitazioni, franchigie e massimali, contrattualmente pattuiti (a differenza dell'aggiustamento del prezzo, che avviene – come si dice nel gergo tecnico – euro per euro, cioè in misura esattamente corrispondente alla differenza di valore accertata);
In sostanza, gli obblighi di "aggiustamento" del prezzo – che può essere su base economica, in funzione delle variazioni del patrimonio netto, oppure su base finanziaria, sulla base delle variazioni dell'indebitamento finanziario (definito nel gergo aziendalista “posizione finanziaria netta”) – attengono a un meccanismo fisiologico di fissazione del prezzo in funzione del "valore" effettivo della società target alla data del closing, mentre l'obbligo di indennizzo a carico del venditore è un meccanismo patologico, che attiene alla reintegrazione del valore delle quote acquistate dal compratore, in conseguenza del minor "valore" effettivo delle quote rispetto a quello garantito convenzionalmente;
di solito, in caso di disaccordo tra le parti, la determinazione dell'indennizzo è devoluta al giudice, ordinario o arbitrale, trattandosi della risoluzione di una vera e propria controversia, mentre la determinazione del prezzo da "aggiustare" è, invece, normalmente demandata ad un terzo valutatore indipendente (c.d. esperto), trattandosi di determinare/modificare una delle prestazioni integranti l'oggetto del contratto (il prezzo, appunto). Nondimeno, se le parti non hanno espressamente contemplato l'espletamento, in via stragiudiziale, di una perizia contrattuale per l'adeguamento del corrispettivo della cessione, ma abbiano previamente individuato i criteri cui la fissazione definitiva del prezzo di cessione deve attenersi, tale verifica può essere rimessa all'autorità giudiziaria, che può avvalersi di un consulente tecnico d'ufficio, laddove insorga - come nella fattispecie - un contenzioso tra le parti in ordine alla finale determinazione del prezzo.
3) in tema di qualificazione giuridica delle clausole di indennizzo (questioneche, come detto, ha risvolti operativi di grandissima rilevanza pratica) :
poiché le clausole di indennizzo sono sottoposte ad autonoma tassazione (venendo parificate al rilascio di una garanzia), la pratica tende a ricondurle (depotenziandone, in realtà, l'autonomia strutturale e funzionale) nell'alveo delle clausole di aggiustamento del prezzo al fine di usufruire del regime fiscale più favorevole di tali clausole;
nondimeno, le due clausole rispondono a esigenze tra loro diverse, dal momento che le clausole di aggiustamento del prezzo in senso proprio sono poste - con funzione di riequilibrio – a presidio del sinallagma contrattuale, mentre le clausole di indennizzo costituiscono la fonte di un obbligo ulteriore di natura indennitaria-risarcitoria;
pertanto, le clausole di indennizzo non ricadono nel contesto di una garanzia "in senso tecnico" (cioè una garanzie di qualità promesse, in senso proprio e tecnico, per la quale sono applicabile i ristretti termini prescrizionali ai sensi dell'art. 1495 c.c.), bensì nell'ambito di una autonoma obbligazione, consistente nell'assunzione volontaria da parte di un soggetto del rischio di un determinato evento idoneo a cagionare un'oggettiva diminuzione economica del patrimonio di un altro soggetto; con la significativa differenza che il diritto a ottenere tale indennizzo è sottoposto al termine di prescrizione ordinaria decennale (posto che si tratta di prestazione accessoria che non rientra nella garanzia di cui all'art. 1497 c.c., la quale attiene alle qualità intrinseche della cosa).
Osservazioni
Ancorché la massima circa la validità (anche sotto il profilo del rispetto del canone di buona fede) delle clausole di aggiustamento prezzo sia di per sé preziosa, intervenendo –, con chiarezza e profondità di argomentazione – in una materia in cui i precedenti non sono numerosi, la parte più interessante per gli operatori del diritto degli affari sono, senz’altro, i principi che si ricavano nelle pieghe delle argomentazioni, sotto due diversi profili:
anzitutto, l'autonomia delle clausole di indennizzo, da cui discende l’applicabilità del termine di prescrizione decennale ai fini dell’esercizio del diritto a ottenere l’indennizzo. Va ricordato, infatti, il perdurante indirizzo giurisprudenziale – citato nella parte finale del provvedimento - che aderisce alla tesi secondo cui le clausole di indennizzo costituiscono garanzie delle qualità promesse, in senso proprio e tecnico, con l’applicazione dei ristrettissimi termini prescrizionali ex art. 1495 cc. La enorme differenza in termini di tutela a favore del soggetto acquirente è di tutta evidenza. Ebbene, la decisa (e argomentata) presa di posizione circa l’autonomia dell’obbligazione risarcitoria – da cui discende, come conseguenza, l’applicazione del termine decennale di prescrizione – costituisce precedente preziosissimo, cui gli operatori potranno fare riferimento, e affidamento, nella regolazione dei rapporti contrattuali che accedono alle operazioni di cessione di partecipazioni sociali.
in secondo luogo, un elemento di natura sistematica, di portata, se vogliamo, ancora più rilevante ai fini della regolazione dei rapporti contrattuali che accedono alle operazioni di cessione di partecipazioni sociali. Le clausole di garanzia (c.d. dichiarazioni e garanzie, traduzione italiana dell’espressione inglese “representations and warranties”, che – nell’esperienza del diritto degli affari inglese e nordamericano - indica le clausole con le quali il venditore rilascia, con riferimento al bene compravenduto, una rappresentazione di una certa realtà fattuale – ad esempio, la correttezza del bilancio – assumendo una correlata garanzie) sono, se così può dirsi, un “prodotto di importazione”, entrato nella prassi degli affari in un momento relativamente recente, ed affermatosi prescindendo da una sua effettiva corrispondenza agli istituti giuridici del nostro ordinamento. Il provvedimento rappresenta uno dei casi (per la verità piuttosto rari) in cui la Suprema Corte ha analizzato a fondo la materia, “scomponendo e ricomponendo”, per così dire, queste clausole alla luce degli istituti giuridici propri del nostro ordinamento, confermandone la legittimità e validità, e fornendo preziose indicazioni di tipo operativo.
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