Clausola di riparazione come eccezione alla tutela del diritto dei design registrati

16 Ottobre 2023

Il tema affrontato riguarda la clausola di riparazione (art. 241 D.Lgs. 30/2005), frequentemente utilizzata nel mercato della ricambistica delle automobili. La Suprema Corte chiarisce i confini di applicabilità di tale clausola.

Massima

La ratio alla tutela dei diritti di design prevista dall’art. 110, par. 1, Reg. UE 6/2002 risiede nell'esigenza di evitare effetti indesiderabili derivanti dalla tutela dei disegni e dei modelli comunitari in relazione a possibili limitazioni della concorrenza sul mercato, in particolare per quanto riguarda certi prodotti complessi, costosi e aventi una lunga durata di vita come gli autoveicoli, per i quali la tutela del disegno o del modello dei singoli componenti che vanno a costituire il prodotto complesso rischia di creare un vero e proprio mercato delle parti di ricambio vincolato ("captive market"), vincolando indefinitamente il consumatore al fabbricante del prodotto complesso per l'acquisto di tali parti”.

Il caso

La Audi AG – celebre società di produzione e commercializzazione di auto – conveniva avanti al Tribunale di Milano il Fallimento della Pneusguarda S.r.l. e la società Acacia S.r.l. per far accertare l'avvenuta contraffazione di diversi modelli comunitari aventi ad oggetto cerchioni in lega per automobili. L'attrice domandava l'inibitoria alla prosecuzione delle condotte contraffattive, la condanna al ritiro dal commercio e alla distruzione dei prodotti in violazione delle suddette privative, l'esibizione delle scritture contabili e di ogni elemento necessario per l'identificazione dei soggetti implicati nell'importazione, il risarcimento danni e la pubblicazione dell'emananda sentenza.

All'esito del procedimento il Tribunale accertava, in via definitiva nei confronti di Fallimento di Pneusguarda S.r.l. e in via non definitiva nei confronti di Acacia S.r.l., l'avvenuta contraffazione dei diversi modelli di titolarità dell'attrice, concedendo le misure di inibitoria, fissazione della penale per l'eventuale ritardo o violazione della sentenza, ordine di ritiro dal commercio e distruzione dei prodotti in violazione dei diritti dell'attrice e pubblicazione della sentenza. Inoltre, solo nei confronti di Acacia S.r.l., il Tribunale disponeva la prosecuzione del giudizio per la liquidazione del danno risarcibile in conseguenza delle illecite condotte accertate.

Il giudice di prime cure accertava la violazione dei modelli dell'attrice in considerazione della ritenuta inapplicabilità, nel caso in esame, della clausola di riparazione prevista dall'art. 241 D.Lgs. 30/2005 (c.d. Codice della Proprietà Industriale), invocata dalla convenuta Acacia S.r.l. nel corso del giudizio. Secondo il Tribunale tale disposizione si riferiva soltanto ai pezzi necessari per ripristinare l'aspetto originario del prodotto complesso, non potendosi applicare a tutte quelle parti o componenti idonei a modificare l'aspetto originario del prodotto con un autonomo apporto estetico. Dato che non sussisteva alcun vincolo di complementarietà estetica tra il cerchione venduto dalla convenuta e l'autovettura, tali pezzi venivano considerati accessori idonei a modificare l'aspetto originario del prodotto per migliorarne l'aspetto estetico, non rientranti nelle disposizioni di cui all'art. 241 D.Lgs. 30/2005.

La sentenza veniva impugnata dalla Acacia S.r.l. avanti la Corte d'Appello la quale, a sua volta, disponeva il rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia, con richiesta di chiarire se, sulla base dell'interpretazione dell'art. 110 Reg. CE 6/2002 (cioè Regolamento sui disegni e modelli comunitari), potessero ritenersi esclusi dal disposto di tale articolo anche il cerchione replica, esteticamente identico al cerchione originale – opportunamente omologato – dalla nozione di componente di un prodotto complesso utilizzato per la riparazione e il ripristino dell'aspetto originario del prodotto. In aggiunta, la Corte milanese domandava se, in caso di risposta negativa, la clausola di riparazione di cui all'art. 110 Reg. CE 6/2002 si riferisse anche ai prodotti complementari all'originale che potevano essere scelti dal consumatore oppure se i prodotti ricompresi in tale disposizione consistessero soltanto in parti di ricambio a forma vincolata, ossia componenti la cui forma e aspetto era stabilita in modo immutabile rispetto all'aspetto esteriore del prodotto complesso. In caso di risposta positiva a tale ultimo quesito, la Corte di Appello di Milano domandava quali misure dovesse adottare il produttore di tale pezzo di riparazione per essere considerato tale.

Dopo aver recepito le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia (C.Giust. UE 20 dicembre 2017, causa C-397/16) la Corte d'Appello accoglieva il gravame proposto dall'appellante, in riforma della pronuncia del giudice di prime cure. La Corte d'Appello evidenziava che la clausola di riparazione doveva applicarsi anche ai pezzi di ricambio la cui forma non era determinata dall'aspetto del prodotto complesso e che, nel caso di specie, i cerchi replica dovevano considerarsi identici a quelli originali, inidonei a cambiare l'aspetto dell'autovettura rispetto a quella commercializzata originariamente. La Corte continuava poi precisando che i cerchi venduti dall'appellante non potessero essere scambiati per quelli originali dall'utente medio, considerata la presenza dell'indicazione – sulle confezioni di vendita dei prodotti nonché sulla documentazione commerciale – che tali prodotti non erano originali e avevano mera finalità di riparazione, dato che non potevano essere installati su vetture diverse da quelle per le quali erano omologati.

Audi AG ricorreva contro tale decisione avanti alla Corte di Cassazione. Acacia S.r.l., pur intimata, non depositava alcuna memoria difensiva.

Le questioni

La questione giuridica affrontata dalla Corte verte essenzialmente su un solo argomento: il perimetro di applicazione della clausola di riparazione di cui all'art. 241 D.Lgs. 30/2005.

Tale norma stabilisce, in linea generale, che i diritti esclusivi vantati sui componenti di un prodotto complesso – nel caso di specie, dei disegni comunitari registrati – non possono essere fatti valere per impedire la fabbricazione e la vendita di prodotti di ricambio utilizzanti solo per ripristinare lo stato e l'aspetto originario del prodotto. Con la pronuncia in questione la Cassazione delinea chiaramente i limiti di applicazione di tale disposizione.

Le soluzioni giuridiche

Con il proprio ricorso AUDI AG lamentava l'omesso esame di fatti decisivi e controversi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 267 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea), art. 110 Reg. UE 6/2002, artt. 32 e 241 D.Lgs. 30/2005, nonché la carenza di motivazione del provvedimento impugnato.

La Cassazione decide di accogliere il ricorso per una pluralità di ragioni. In primo luogo, la Suprema Corte chiarisce la ratio della disposizione di cui all'art. 110 Reg. UE n. 6/2002 (confluito, successivamente nell'art. 241 D.Lgs. 30/2005) come chiarita dalla Corte di giustizia: l'eccezione prevista si basa nella necessità di evitare i cosiddetti “captive market”, specie per quanto riguarda parti di alcuni prodotti complessi come le automobili, che si traducono in mercati delle parti di ricambio vincolati al fabbricante del prodotto complesso. In altre parole, la norma vuole evitare che il consumatore che voglia acquistare delle parti di ricambio dell'automobile sia costretto a rivolgersi al fabbricante della medesima, dato che ciò costituirebbe una eccessiva limitazione del gioco della concorrenza sul mercato, creando un monopolio non solo sul prodotto originale ma anche su ogni eventuale ricambio necessario.

La Corte di Giustizia, richiamata dalla pronuncia qui in commento, ha affermato che tale disposizione debba applicarsi alle componenti di un prodotto complesso utilizzate allo scopo di consentire la riparazione del prodotto complesso e di ripristinarne l'aspetto originario, senza necessità che il disegno o modello dipenda dall'aspetto del prodotto complesso. Quale conseguenza di tale assunto, nei casi di cerchioni replica diviene irrilevante il fatto che il costruttore preveda la possibilità di scelta tra diversi modelli di cerchione, dato che può essere applicata la clausola di riparazione a ogni prodotto replica che sia identico all'originale e abbia lo scopo di ripristinare la funzionalità del prodotto complesso.

La decisione della Corte di Giustizia, richiamata dalla Cassazione, ha chiarito che è possibile invocare la clausola di riparazione nel caso in cui sussistano tutte le seguenti condizioni:

  1. esista un disegno o modello comunitario;
  2. che il disegno o modello comunitario abbia ad oggetto un componente di un prodotto complesso;
  3. sia necessaria l'utilizzazione del disegno o modello – nella produzione e commercializzazione del prodotto replica – allo scopo di permettere la riparazione del prodotto complesso e di ripristinarne l'aspetto originario. In particolare, per “utilizzazione del modello” deve intendersi, sempre secondo la Corte di Giustizia, la fabbricazione, l'offerta, la commercializzazione, l'importazione, l'esportazione o l'impiego di un prodotto a cui è applicato tale disegno registrato a scopo di riparazione;
  4. l'aspetto del prodotto sia identico a quello originale, dovendosi intendere che la componente utilizzata come ricambio deve essere identica, sia dal punto di vista del suo colore che delle sue dimensioni, a quello installato originariamente nel prodotto complesso alla sua prima immissione in commercio;
  5. il prodotto sia utilizzato a scopo di riparazione, dovendosi intendere per “riparazione” l'innesto di una parte necessaria alla normale utilizzazione del prodotto complesso, non essendo dunque possibile invocare la clausola di riparazione per quelle componenti installate per motivi estetici o di personalizzazione del prodotto complesso;
  6. la riparazione deve essere effettuata allo scopo di ripristinare l'aspetto originario del prodotto complesso, dovendosi intendere lo stato e l'aspetto del prodotto complesso al momento della sua immissione sul mercato.

Considerati tali requisiti la Corte di Cassazione decide per l'accoglimento del ricorso per una serie di ragioni.

Innanzitutto la Cassazione precisa che, all'esito della consulenza tecnica svolta nel corso del procedimento di appello, la Corte di Appello non aveva preso in considerazione gran parte dei pezzi esaminati – motivando la propria decisione basandosi sull'analisi di 15 esemplari, tralasciando gli altri 87 analizzati –: ciò significa che la Corte ha omesso l'esame di un fatto decisivo ai fini della decisione della controversia.

Oltre a ciò, la Cassazione sottolinea che la Corte di Appello, nella propria decisione, ha mancato di valutare correttamente se i cerchi replica fossero del tutto identici a quelli originali installati sull'autovettura. Sottolinea, a tal proposito, che i cerchi replica analizzati nel provvedimento erano stati considerati identici utilizzando il parametro dell'”utente medio”: tuttavia il ricorso a tale parametro di valutazione viene criticato poiché non giustificato alcun dato normativo né dalla giurisprudenza comunitaria. Sulla base di ciò, deve considerarsi non pertinente la valutazione svolta dalla Corte d'Appello, secondo la quale le differenze minime riscontrate tra i cerchi replica e quelli originali dovessero ritenersi irrilevanti in quanto l'utente medio non avrebbe potuto notarle.

Infine la Cassazione ritiene infondato l'ultimo (cioè il terzo) motivo di ricorso presentato, con il quale la ricorrente lamentava il mancato rispetto, da parte di Acacia S.r.l., degli obblighi di diligenza e cautela richiesti: quest'ultima, infatti, secondo la ricorrente non aveva adeguatamente segnalato al consumatore che il prodotto non fosse originale e omologato. Sul punto la Cassazione ricorda, citando la decisione della Corte di Giustizia sopra richiamata, che i fabbricanti del pezzo replica di ricambio non possono garantire l'utilizzazione conforme alle norme di legge da parte di un soggetto terzo – ossia il consumatore che acquista il pezzo – ma che l'obbligo di diligenza del fabbricante si sostanzia, da un lato, nell'informare l'utilizzatore mediante un'indicazione chiara e visibile (apposta su prodotto, imballaggio, cataloghi e documenti di vendita) che il pezzo di ricambio incorpora un disegno o modello di cui esso non è titolare e, dall'altro lato, che tale componente è destinata esclusivamente ad essere utilizzata allo scopo di consentire la riparazione del prodotto complesso al fine di ripristinarne l'aspetto e la funzionalità originarie. Per quanto riguarda il possibile uso illecito del pezzo di ricambio, l'obbligo di diligenza del fabbricante si deve intendere assolto nel caso in cui quest'ultimo:

- provveda, tramite mezzi contrattuali, affinché il compratore non ne faccia un uso non compatibile con le condizioni imposte dall'art. 110 par. 1 Reg. UE 6/2002.;

- si astenga dal vendere la componente qualora sappia o abbia ragionevoli motivi per ritenere, alla luce delle circostanze del caso, che il pezzo di ricambio non verrà utilizzato nel rispetto di quanto previsto all'art. 110 par. 1 Reg. UE 6/2002.

Nel caso di specie la Cassazione chiariva come tali obblighi fossero stati rispettati dall'intimata, dato che la dicitura “NOT O.E.M.” (che significa “NOT Original Equipment Manufactoring”) presente sulla scatola del prodotto, considerata idonea a informare l'utilizzatore dell'origine del prodotto, nonché in considerazione del fatto che l'installazione del pezzo di ricambio su un veicolo differenti dall'originale non era consentita in base alle prescrizioni del certificato di omologazione ed altresì era prevista la decadenza dalla garanzia fornita da Acacia S.r.l. nei confronti dell'acquirente nel caso in cui il pezzo fosse stato installato su un veicolo diverso da quello consentito.

Alla luce di tali ragioni la Corte di Cassazione, accoglimento parziale del ricorso, cassava il provvedimento impugnato e rinviava alla Corte di Appello di Milano anche per la determinazione delle spese.

Osservazioni

Dalla pronuncia in commento, che si pone in continuità ai principi dettati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale in argomento, si traggono diversi spunti di riflessione.

In primo luogo la Cassazione rimarca, descrivendoli nel particolare, le condizioni per l'applicazione della clausola di riparazione prevista dall'art. 110 Reg. UE 6/2002 e trasposta nell'art. 241 D.Lgs. 30/2005. Senza ripetere quanto già descritto dettagliatamente dalla Suprema Corte, è d'interesse sottolineare come la Corte ritenga che la clausola di riparazione debba intendersi inapplicabile alle parti di prodotto complesso che non sono tipicamente vendute al fine di riparazione. La dottrina ha fatto notare che, sulla base di tale principio, non potrà applicarsi l'eccezione per quei pezzi di ricambio dotati di un autonomo mercato in quanto accessori idonei a modificare l'aspetto originario del prodotto complesso, migliorandone ad esempio l'aspetto estetico.

Altro passaggio da notare riguarda il parametro di valutazione che deve essere applicato per giudicare l'identità tra prodotto originale e pezzi di ricambio, i quali, secondo l'art. 241 C.P.I. devono essere identici. La norma, tuttavia, non stabilisce quale tipologia di utente deve giudicare la necessaria identità tra i due prodotti. Nel caso di specie la Corte di Appello nella propria decisione giudicava le differenze tra il cerchio replica e l'originale come irrilevanti all'occhio di un ”utente medio”: tale valutazione veniva invece criticata dalla Cassazione. Considerato che si tratta di confrontare un prodotto tutelato da disegno o modello registrato (prodotto originale) e un componente potenzialmente in violazione di tale diritto, appare ragionevole valutare le differenze intercorrenti applicando il giudizio dell'utilizzatore informato, criterio che viene già utilizzato per valutare sia la novità di un disegno rispetto all'arte nota al momento della registrazione, sia la possibile contraffazione del disegno o modello registrato da parte di un prodotto commercializzato successivamente alla sua registrazione.

Ultimo spunto di interesse riguarda gli obblighi di diligenza che il fabbricante deve rispettare (e dimostrare di aver seguito nel corso del giudizio) per poter usufruire della dell'eccezione prevista dalla clausola di riparazione. La Cassazione chiarisce che tale obbligo di diligenza si considera rispettato, essenzialmente, nel momento in cui il fabbricante ha adottato, nei limiti delle sue possibilità, tutte le misure necessarie affinché il pezzo di ricambio venga utilizzato solo allo scopo di riparare un pezzo difettoso o guasto, senza che esso venga installato su prodotti complessi diversi dagli originali – il che costituirebbe una lesione dei diritti di privativa del titolare del disegno o modello registrato, dato che i fornitori potrebbero essere indotti ad acquistare pezzi di ricambio a un prezzo più basso di quelli originali e “spacciarli” per originali – nonché nel caso in cui tale componente non modifichi l'aspetto originale del prodotto complesso – anche in questo caso in danno alle ragioni del titolare del disegno o modello.

Naturalmente, come correttamente sottolineato dalla Cassazione, non è possibile chiedere al fabbricante di farsi da garante contro ogni possibile uso improprio del pezzo di ricambio (dato che si tratterebbe di un obbligo eccessivamente oneroso). Alla luce di ciò, per il fabbricante sarà dunque sufficiente (oltre all'omologazione del pezzo, già prevista dalla legge) apporre, sia sul prodotto che su tutto il materiale commerciale, una dicitura sufficientemente chiara e visibile che riporti il fatto che il pezzo venduto non è originale e che non può essere utilizzato per scopi diversi dalla riparazione del prodotto complesso. In aggiunta a ciò, il fabbricante dovrà prevedere un onere contrattuale in capo all'acquirente che violi tale obbligo (come ad esempio la decadenza dalla garanzia per vizi), che funga da deterrente alla violazione degli stabiliti dal fabbricante. Laddove il produttore del pezzo di ricambio rispetti tali obblighi, potrà commercializzare, ai sensi e per gli effetti dell'art. 241 D.Lgs. 30/2005, i propri prodotti senza timore che il titolare di un disegno o modello insistente su tale pezzo (che viene in pratica interamente riprodotto senza formale autorizzazione) possa validamente contestare la violazione dei propri diritti di privativa.

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