Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 13 - Ambito di applicazione.

Marco Giustiniani
Codice legge fallimentare

Artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 30


Ambito di applicazione.

1. Le disposizioni del codice si applicano ai contratti di appalto e di concessione.

2. Le disposizioni del codice non si applicano ai contratti esclusi, ai contratti attivi e ai contratti a titolo gratuito, anche qualora essi offrano opportunità di guadagno economico, anche indiretto.

3. Le disposizioni del codice non si applicano ai contratti di società e alle operazioni straordinarie che non comportino nuovi affidamenti di lavori, servizi e forniture. Restano ferme le disposizioni del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, in materia di scelta del socio privato e di cessione di quote o di azioni.

4. Con regolamento del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), sono disciplinate, le procedure di scelta del contraente e l'esecuzione del contratto da svolgersi all'estero, tenuto conto dei principi fondamentali del presente codice e delle procedure applicate dall'Unione europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte. Resta ferma l'applicazione del presente codice alle procedure di affidamento svolte in Italia.

5. L'affidamento dei contratti di cui al comma 2 che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto, avviene tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3.

6. Le definizioni del codice sono contenute nell'allegato I.1.

7. Le disposizioni del codice si applicano, altresì, all'aggiudicazione dei lavori pubblici da realizzarsi da parte di soggetti privati, titolari di permesso di costruire o di un altro titolo abilitativo, che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo previsto per il rilascio del permesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e dell'articolo 28, comma 5, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero eseguono le relative opere in regime di convenzione. L'allegato I.12 individua le modalità di affidamento delle opere di urbanizzazione a scomputo del contributo di costruzione.

Inquadramento

L'articolo in commento, votato alla definizione dell'ambito oggettivo di applicazione del Codice, è forse l'emblema dell'intento semplificatorio perseguito dal legislatore in sede di riforma della contrattualistica pubblica.

Esso rappresenta una sintesi laconica e icastica di una serie di disposizioni in precedenza sparpagliate in un lungo elenco di articoli ed oggi i) in parte ricondotte proprio nell'art. 13, ii) in parte non riproposte tout court ed iii) in parte desumibili dal contenuto di norme diverse ed ulteriori.

Occorre sin d'ora precisare che, se dal punto di vista dell'esposizione formale e dell'organizzazione sistematica la nuova disciplina dell'ambito di applicazione del Codice appare fortemente innovata, sul piano sostanziale devono registrarsi diversi cambiamenti, ma non tali da potersi parlare di rivoluzione.

Per comprendere meglio: scorrendo il testo dell'art. 13, appare subito evidente come l'unico ambito di applicazione del Codice delineato (peraltro concisamente) dal legislatore sia quello oggettivo. Infatti, vi si legge che le disposizioni codicistiche si applicano ai contratti di appalto e di concessione, senza sia chiarito da chi debbano essere stipulati siffatti contratti per poter essere sussunti nella nuova disciplina.

Tuttavia, trattandosi comunque di un Codice dei contratti pubblici, è evidente che andrà a regolamentare le procedure di affidamento effettuate dai soggetti pubblici e dai soggetti a questi assimilati, ed infatti lo stesso Codice parla di “stazioni appaltanti” ed “enti concedenti” (la nozione di “amministrazione aggiudicatrice” è invece ‘scomparsa'), rinviando per le relative definizioni all'Allegato I.1. (che sostituisce integralmente l'art. 3 del previgente d.lgs. n. 50/2016).

Ebbene, sol che si verifichi effettivamente cosa intende il citato Allegato per “stazioni appaltanti” ed “enti concedenti”, si può notare come le relative definizioni siano improntate a un approccio tautologico: sono “ stazioni appaltanti ” ed “ enti concedenti ” quei soggetti, pubblici o privati, che i ) affidano rispettivamente appalti di servizi, lavori e forniture e concessioni di lavori o servizi e che ii ) sono comunque tenuti, nella scelta del contraente, al rispetto del Codice.

Ve ne sarebbe abbastanza per allarmarsi, considerando l'importanza cruciale di un ambito di applicazione soggettivo del Codice che sia ben dettagliato e che non lasci spazio a equivoci; sennonché, a ben vedere, le figure soggettive storicamente più controverse (come ad esempio l'organismo di diritto pubblico) sono state definite in continuità con la disciplina previgente e del resto – anche in vigenza del precedente Codice – non si può certo dire che mancassero i contenziosi legati all'ambito soggettivo di applicazione della disciplina pubblicistica degli affidamenti.

Nemmeno deve costituire motivo di preoccupazione l'eliminazione di tutto quell'elenco di articoli che disciplinavano separatamente una lunga serie di esclusioni specifiche dall'ambito di applicazione codicistico: un osservatore attento noterà che tali esclusioni non sono state espunte, ma semplicemente ricollocate i) in maniera ordinata nell'art. 56 per quanto concerne gli appalti nei settori ordinari e ii) nelle sedi di rispettiva competenza per quanto concerne gli appalti nei settori speciali e le concessioni.

Volendo riassumere, per chiudere questo inquadramento generale dell'art. 13, possiamo serenamente affermare – al netto di una parziale rivisitazione della tassonomia definitoria e della diffusa riorganizzazione sistematica dell'articolato codicistico – che l'ambito di applicazione (non solo oggettivo, ma anche soggettivo) del nuovo Codice si pone in un rapporto di continuità rispetto all'ambito applicativo delle previgenti codificazioni della materia.

L'ambito oggettivo di applicazione del Codice

Abbiamo anticipato come l'art. 13, comma 1, preveda in via generale l'applicazione della disciplina codicistica ai “contratti di appalto e di concessione” (stipulati da soggetti pubblici).

In realtà, il Codice non si applica all'intero genus di rapporti negoziali dei soggetti pubblici riconducibili alle categorie della concessione e dell'appalto.

Il legislatore infatti opera tre livelli concentrici di scrematura dell'ambito oggettivo di applicazione della normativa pubblicistica degli affidamenti (vi sarebbe, invero, un quarto livello di scrematura ‘parziale' riferito alle c.d. procedure sottosoglia, non soggette alle direttive eurounitarie, per le quali il Codice prevede una disciplina derogatoria e meno stringente; si rinvia, sul punto, alle considerazioni espresse in sede di commento agli artt. 48-55).

La ratio sottesa a tali esclusioni è rintracciabile nella volontà del legislatore di garantire una tutela rafforzata a determinati interessi – legati ad alcune peculiari categorie contrattuali – ritenuti prevalenti rispetto ai principali princìpi ispiratori della disciplina generale in materia di affidamento di contratti pubblici (Viola).

In altre parole, si è ritenuto di operare per alcune tipologie contrattuali specificamente individuate una sorta di ‘codificazione dedicata', non sempre costituente il portato di principi comunitari, ravvisando in talune fattispecie i presupposti per giustificare un'attenuazione dell'acquis communautaire in materia di evidenza pubblica (D'ottavi).

Primo livello di scrematura: esclusione dei contratti pubblici attivi

La prima delimitazione dell'ambito applicativo della disciplina dell'evidenza pubblica è operata sulla base del ruolo – attivo o passivo – assunto dalla pubblica amministrazione nello schema negoziale posto in essere.

Nell'ambito dei contratti della P.A. si è soliti operare una distinzione tra i c.d. contratti attivi (ossia quelli che sono produttivi di un'entrata per il soggetto pubblico contraente) e i c.d. contratti passivi, che comportano invece una spesa per le casse dell'erario.

Ebbene, il Codice dei contratti pubblici non si applica a tutti i contratti di cui sia parte una pubblica amministrazione (o soggetti ad essa equiparati), bensì soltanto ai contratti passivi della P.A., ossia ai contratti che comportano una spesa (e non già un'entrata) per il contraente pubblico.

È evidente, infatti, che la ratio di una rigida procedimentalizzazione della fase di selezione del contraente privato non ha alcuna ragion d'essere nei contratti pubblici attivi, che non comportano alcuna spesa a carico della pubblica amministrazione.

Sennonché, a ben vedere, anche la stipula di un contratto attivo potrebbe richiedere la necessità di qualche (pur rudimentale) forma di evidenza pubblica. Si consideri ad esempio la fattispecie di un soggetto privato che proponga ad una P.A. l'acquisto di un bene da quest'ultima detenuto offrendo come corrispettivo una determinata cifra; in linea di massima, non si potrebbe escludere che vi sia un altro soggetto disposto ad acquistare il medesimo bene ad una cifra superiore.

Proprio per questa ragione il r.d. n. 2440/1923 – che insieme ai relativi atti attuativi contiene tuttora la disciplina dei contratti pubblici attivi – prevede all'art. 3 che “i contratti dai quali derivi un'entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto (...)”.

In altre parole, con riferimento ai contratti attivi della P.A., sebbene non sia possibile fare applicazione del Codice dei contratti pubblici (che è norma speciale e in quanto tale non suscettibile di estensioni del relativo perimetro applicativo per via analogica), il rispetto della normativa in tema di contabilità pubblica impone comunque il ricorso a qualche forma di pubblicità da individuare caso per caso sulla base delle specificità del caso concreto, in maniera tale da salvaguardare l'interesse dell'amministrazione a massimizzare le proprie entrate, oltre all'interesse (tipicamente comunitario) alla tutela della libera concorrenza.

Secondo livello di scrematura: esclusione di una serie di figure contrattuali

Occorre poi procedere ad un ulteriore stadio di delimitazione, stavolta non sulla base della posizione negoziale (attiva o passiva) della P.A., bensì in base alla tipologia dell'affidando contratto.

Vi sono infatti contratti pubblici passivi che sono esclusi dall'ambito di applicazione della normativa pubblicistica, in ragione dell'esigenza di curare determinati interessi – diversi da settore in settore – la cui soddisfazione è ritenuta prevalente rispetto alle esigenze assolte dalla normativa sull'evidenza pubblica, nonché della peculiarità di talune categorie contrattuali.

L'individuazione delle tipologie negoziali per le quali non trova applicazione la disciplina dettata dal Codice dei contratti pubblici – in precedenza operata dal d.lgs. n. 50/2016 con il metodo della elencazione ‘separata e diffusa' in una pluralità di articoli, che certamente non contribuiva a rendere la disciplina più organica e di più facile comprensione – è oggi per la maggior parte contenuta i) in maniera ordinata nell'art. 56 per quanto concerne alcune tipologie di appalti nei settori ordinari, con particolare riferimento alle esclusioni precedentemente disciplinate dagli artt. 9,14 e 17 del d.lgs. n. 50/2016, e ii) nelle sedi di rispettiva competenza per quanto concerne le concessioni ed altre tipologie di appalti nei settori speciali (per le quali si rinvia alle considerazioni espresse in sede di commento agli articoli di competenza.

Ciò posto, sorge spontaneo chiedersi se gli affidamenti dei contratti ‘esclusi' dall'ambito di applicazione del Codice debbano ritenersi completamente ‘liberi', ossia non soggetti ad alcun vincolo di natura pubblicistica, ovvero se anche tali affidamenti debbano comunque osservare un nucleo minimo di princìpi generali della materia.

Sul punto, come vedremo in seguito, a seconda dell'interpretazione che si ritenga di accreditare con riferimento al comma 5 dell'articolo in commento, si potrebbe o meno ritenere che i contratti esclusi siano comunque assoggettati – a norma del predetto art. 13, comma 5 – quantomeno ai princìpi della fiducia, del risultato e dell'accesso al mercato, elevati dagli artt. 1, 2 e 3 al rango di princìpi fondamentali della materia, gerarchicamente sovraordinati rispetto a tutti gli altri.

Terzo livello di scrematura: esclusione dei contratti a titolo gratuito

Il terzo (e ultimo) livello di scrematura riguarda i contratti a titolo gratuito e si inserisce nel solco del tradizionale dibattito circa la c.d. necessaria onerosità dei contratti pubblici passivi.

Segue. Il dibattito sulla necessaria onerosità dei contratti pubblici passivi ex d.lgs. n. 50/2016

In vigenza del precedente Codice, ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. ii), d.lgs. n. 50/2016, i contratti pubblici dovevano necessariamente essere stipulati “a titolo oneroso”.

Sotto il profilo del diritto vivente, così come interpretato dalla giurisprudenza, la necessaria onerosità non comportava l'indefettibilità della previsione di un esborso finanziario da parte della pubblica amministrazione.

In altre parole, l'utile finanziario non veniva considerato dal diritto vivente dei contratti pubblici quale elemento indispensabile; si preferiva cioè “un'accezione ampia e particolare (rispetto al diritto comune) dell'espressione ‘contratti a titolo oneroso', tale da dare spazio all'ammissibilità di un bando che preveda le offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall'effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa figurare di trarre un'utilità economica lecita e autonoma, quand'anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall'Amministrazione appaltante” (Cons. St. V, n. 4614/2017).

Si tratta della c.d. concezione debole di “ contratto a titolo oneroso”, secondo la quale il requisito di onerosità può essere integrato anche da contratti che prevedano – anziché un utile prettamente finanziario – un altro genere di utilità, anche immateriale e anche soltanto potenziale, come ad esempio il mero ritorno di immagine che può astrattamente garantire l'aver prestato i propri servizi in favore di una pubblica amministrazione.

Tale impianto argomentativo era stato contestato da parte della dottrina, secondo cui gli “altri vantaggi, economicamente apprezzabili anche se non direttamente finanziari” – che secondo il Consiglio di Stato avrebbero consentito di integrare (rectius: aggirare) il requisito di onerosità dei contratti pubblici – “non solo non hanno alcuna ricaduta finanziaria tangibile su chi presta la propria attività e spende la propria professionalità per la pubblica amministrazione, ma neppure sono certi perché, come affermato dalla sentenza n. 4614/2017, sono soltanto ‘potenzialmente' derivanti dal contratto”.

Ogni prestazione d'opera professionale, del resto, trova la propria causa nello scambio tra una prestazione lavorativa (da una parte) e un compenso (dall'altra parte); in tale prospettiva, la valorizzazione della “utilità costituita dal (peraltro solo) potenziale ritorno di immagine per il professionista che può essere insita anche nell'appalto di servizi” confonderebbe impropriamente la causa con i motivi dell'accordo negoziale, costituendo infatti “un singolare tentativo di valorizzare piuttosto i motivi della sottoscrizione di un contratto. Elemento che – è pacifico – può essere determinante per la decisione di contrarre per la parte, ma rimane nella sua sfera intima ed è giuridicamente irrilevante. Tanto più quando si appalesa come elemento del tutto accidentale, nello specifico peraltro fortemente aleatorio e perciò suscettibile di incorrere nella nullità per indeterminatezza” (Staropoli).

Ancora, la tesi contraria alla legittimità di contratti pubblici accompagnati da un compenso meramente simbolico (teoria della c.d. onerosità in senso forte) faceva leva:

i) sul c.d. principio lavorista e sulla nozione costituzionale di lavoro, che non consentirebbe di escludere i lavoratori impiegati nell'esecuzione di contratti pubblici dal diritto ad un compenso proporzionato alla quantità e qualità delle prestazioni svolte;

ii) sul dovere della Repubblica di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni;

iii) sul principio civilistico del decoro professionale, che postulerebbe necessariamente il diritto ad un equo compenso.

Sull'altro versante, i sostenitori dell'onerosità in senso debole rivendicavano la sponda offerta loro dalla giurisprudenza comunitaria, propensa a considerare che l'elemento decisivo, ai fini dell'inquadramento delle fattispecie nella disciplina degli appalti pubblici, più che nella necessaria presenza di un corrispettivo, si rinvenga nella indicazione di criteri di scelta che comportano la necessaria comparazione degli operatori economici ai fini dell'attribuzione di una prestazione” (Corte di Giustizia UE, causa C-9/17; Corte di Giustizia UE Corte di Giustizia UE causa C-410/14; Corte di Giustizia UE causa C-601/13)” (Costa).

Ciò al precipuo fine di ribadire l'assoggettabilità di tali formule negoziali alle norme sull'evidenza pubblica, volendosi (condivisibilmente) evitare che la P.A. si veda concessa la possibilità non solo di stipulare contratti che non prevedano un corrispettivo finanziario in favore del contraente privato (pratica comunque ritenuta ammissibile) ma soprattutto la possibilità di farlo senza nemmeno applicare la normativa del Codice dei contratti pubblici.

Del resto, anche per l'affidamento di un contratto che preveda a beneficio del contraente privato un mero rimborso delle spese sostenute “resta comunque l'esigenza della garanzia della par condicio dei potenziali contraenti, che va assicurata dalla metodologia di scelta tra le offerte. È infatti il caso di rilevare che è per questa essenziale ragione che un tale contratto pubblico, per quanto ‘gratuito' in senso finanziario (ma non economico), non può che rimanere nel sistema selettivo del d.lgs. n. 50/2016: altrimenti, se ne fosse fuori, portando alle conseguenze un diverso ragionamento, l'Amministrazione appaltante potrebbe scegliere il contraente a piacimento, con ciò ingenerando un'evidente lesione della par condicio dei potenziali interessati al contratto proprio per quell'utile immateriale e ledendo gli stessi principi di derivazione eurounitaria del mercato concorrenziale che sono alla base delle commesse pubbliche” (Costa).

Segue. L'esclusione dall'ambito applicativo del Codice di tutti i contratti a titolo gratuito

In tale contesto si è inserito l'art. 8 del nuovo Codice, il quale, fugando ogni dubbio sul fatto che il concertto di onerosità del contratto pubblico passivo rileva solo ai fini della perimetrazione dell'ambito applicativo della disciplina codicistica, ha chiarito che le pubbliche amministrazioni “sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge”, occupandosi subito dopo di specificare che un tale divieto deve ritenersi operativo per le prestazioni d'opera intellettuale, che “non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione”.

I primissimi commentatori del nuovo articolato codicistico non hanno mancato di muovere un elogio alla Commissione speciale del Consiglio di Stato che ha redatto lo Schema di codice in quanto, affermando così nettamente il principio di autonomia contrattuale della P.A. avrebbe dimostrato “di non peccare di autoreferenzialità”, posto che tale principio supera proprio “un antico (e autorevole) orientamento del Consiglio di Stato (...) che aveva ritenuto esistente una regola implicita secondo la quale le P.A. sarebbero state titolate a stipulare solo quei contratti per cui fossero state autorizzate espressamente da una norma ad hoc” (Valaguzza).

Con il nuovo Codice la regola è stata invertita, peraltro coerentemente con l'art. 11 del codice civile: le amministrazioni pubbliche, in quanto dotate di autonomia contrattuale, nell'ambito del perseguimento delle proprie finalità istituzionali hanno la facoltà di stipulare qualsiasi contratto – ancorché a titolo gratuito – fatti salvi ovviamente gli espressi divieti di legge e gli effetti dell'eventuale onerosità del contratto in termini di disciplina applicabile.

In altre parole, oggi non è più dubitabile che una P.A. sia legittimata a stipulare contratti a titolo gratuito, fatti salvi ovviamente i divieti espressamente previsti, come quello relativo alle prestazioni d'opera intellettuale.

La circostanza per cui tali contratti prevedano o meno un compenso, tuttavia, continua a rilevare per determinare la disciplina applicabile al relativo affidamento.

Il comma 2 dell'articolo in commento stabilisce infatti che le disposizioni codicistiche non si applichino ai contratti a titolo gratuito, “anche qualora essi offrano opportunità di guadagno economico, anche indiretto”.

Volendo leggere tale previsione attraverso il prisma delle categorie concettuali sviluppate dalla dottrina, non si può che scorgervi la realizzazione dei timori manifestati dai sostenitori della teoria della c.d. onerosità in senso debole: per effetto della novella, infatti, una stazione appaltante non solo i ) potrebbe affidare ad un operatore economico un contratto che anziché un esborso finanziario a proprio carico preveda solamente un ritorno d'immagine per l'impresa e quindi un'opportunità di guadagno economico di tipo meramente eventuale ed indiretto, ma ii ) potrebbe anche farlo senza applicare le disposizioni codicistiche sulle procedure ad evidenza pubblica.

Se dalla Relazione tecnica della Commissione speciale del Consiglio di Stato emerge come la novella in parola avrebbe inteso rimarcare “la corrispettività delle prestazioni quale connotato essenziale dei contratti pubblici”, sembra più propriamente che ad essere stata rimarcata sia la corrispettività delle prestazioni quale connotato essenziale dei contratti pubblici soggetti all'applicazione del Codice.

Ulteriori esclusioni specifiche disposte dall'art. 13

Per chiudere il cerchio relativo all'ambito oggettivo di applicazione del Codice, è necessario evidenziare le due ulteriori esclusioni specifiche disposte dall'articolo in commento.

In primo luogo, l'art. 13, comma 3, esclude dall'ambito di applicazione codicistico i contratti di società e le operazioni straordinarie che non comportino nuovi affidamenti di lavori, servizi e forniture, chiarendo però che tale disposizione non ha effetto abrogante sulle norme del d.lgs. n. 175/2016, che disciplinano la scelta del socio privato prevedendo l'utilizzo di procedure ad evidenza pubblica (art. 17, comma 1, d.lgs. n. 175/2016) e di cessione di quote o di azioni per le quali è previsto il rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione e solo in casi eccezionali, ove l'offerta sia particolarmente conveniente, la negoziazione diretta con un singolo acquirente (art. 10, comma 2, d.lgs. n. 175/2016).

In secondo luogo – riproponendo pedissequamente la disposizione di cui al previgente art. 1, comma 7, d.lgs. n. 50/2016 – l'art. 13, comma 4, del nuovo Codice, rinvia ad un Regolamento del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (da adottare, sentita l'ANAC, ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988) “la disciplina delle procedure di scelta del contraente e l'esecuzione del contratto da svolgersi all'estero, tenuto conto dei princìpi fondamentali del presente Codice e delle procedure applicate dall'Unione europea e dalle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte”, facendo ovviamente salva l'applicazione del Codice alle procedure di affidamento svolte in Italia.

In buona sostanza, la disposizione in parola sottrae all'ambito di applicazione codicistico (rinviando la relativa disciplina ad una fonte regolamentare) le procedure da svolgersi all'estero, al contempo assoggettandole ai (soli) princìpi fondamentali del Codice e alle norme procedurali applicate dall'UE e dalle organizzazioni internazionali di cui è parte l'Italia.

Questioni applicative

1) L'esatta portata del rinvio ai princìpi fondamentali mosso dall'art. 13, comma 5.

Il previgente Codice, pur prevedendo una nutrita serie di esclusioni dal suo ambito di applicazione, non rinunciava ad individuare un nucleo di princìpi comuni da applicare a tutti gli affidamenti dei contratti a vario titolo ‘esclusi' dal relativo ambito applicativo, la cui osservanza veniva evidentemente ritenuta irrinunciabile.

Tale funzione veniva assolta dall'art. 4 del d.lgs. n. 50/2016, ai sensi del quale “l'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva” del Codice doveva avvenire “nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica”.

Il legislatore della riforma, sul punto, è stato maggiormente sibillino, prestando il fianco a critiche e lasciando aperti importanti dubbi interpretativi.

Più precisamente, dopo aver stabilito all'art. 13, comma 2, che le disposizioni del Codice non si applicano “ai contratti esclusi, ai contratti attivi e ai contratti a titolo gratuito, anche qualora essi offrano opportunità di guadagno economico, anche indiretto”, l'art. 13, comma 5, prevede che “l'affidamento dei contratti di cui al comma 2 che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto” avvenga “tenendo conto dei princìpi di cui agli articoli 1, 2 e 3”.

In buona sostanza, il comma 5 dell'articolo in commento prevede che l'affidamento dei “contratti di cui al comma 2” – pur esclusi dall'ambito di applicazione della generalità delle disposizioni del Codice – avvenga “tenendo conto dei” (e non già “applicando i”) princìpi del risultato, della fiducia e dell'accesso al mercato.

Ora, posto che il riferimento è ai “contratti di cui al comma 2” e che il comma 2 riguarda i ‘contratti esclusi', i ‘contratti attivi' e i ‘contratti gratuiti che offrano comunque un'opportunità di guadagno economico, anche indiretto', sulla base del tenore letterale della commentata disposizione sembrerebbe doversi ritenere che per l'affidamento di tutte e 3 queste tipologie di contratti si debba ‘tenere conto' dei princìpi di cui ai primi tre articoli del Codice.

Del resto, tale opzione si porrebbe in continuità con la normativa previgente, nella misura in cui il legislatore del d.lgs. n. 50/2016 si preoccupava di offrire una pur minima disciplina in termini di princìpi a tutti i contratti esclusi dall'ambito applicativo della generalità delle norme del Codice.

Sennonché, la Relazione tecnica della Commissione speciale del Consiglio di Stato (le cui parole costituiscono tecnicamente quella che deve essere considerata una interpretazione autentica delle norme del Codice) sembra riferire la disposizione non già a tutte e 3 le categorie di contratti citate nel comma 2, ma solo alla terza, ossia ai contratti gratuiti che offrono comunque un'opportunità di guadagno economico, anche indiretto.

Più precisamente, nella citata Relazione tecnica si legge che il comma 5 “prevede una disciplina di specie per quei contratti a titolo gratuito che offrono opportunità di guadagno anche indiretto, il cui affidamento deve avvenire tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1 (principio del risultato), 2 (principio della fiducia) e 3 (principio dell'accesso al mercato declinato nei principi di concorrenza, di imparzialità e non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità)”.

Ora, in disparte ogni altra considerazione sulla categoria ibrida dei ‘contratti a titolo gratuito che offrono tuttavia un'opportunità di guadagno indiretto' (che sembra riecheggiare la risalente teoria della c.d. onerosità in senso debole, la quale pertanto continua a rilevare ai fini della perimetrazione dell'ambito applicativo quantomeno dei princìpi fondamentali della materia), una tale opzione ermeneutica – che sottrae i c.d. ‘contratti esclusi' non solo dall'ambito applicativo della generalità delle disposizioni codicistiche, ma finanche dall'applicazione dei princìpi fondamentali – finirebbe, ove accreditata, per scolorare la risalente distinzione tra contratti ‘esclusi' e contratti ‘estranei'.

Tale distinzione non avrebbe infatti più alcuna ragion d'essere se l'affidamento dei contratti esclusi fosse esentato persino dall'applicazione dei princìpi generali della contrattualistica pubblica e finanche dall'applicazione di quei 3 princìpi di rango sovraordinato disciplinati dai primi 3 articoli del Codice.

Le definizioni del Codice

Se il previgente Codice dedicava alle definizioni un articolo ad hoc (i.e. l'art. 3 del d.lgs. n. 50/2016), il legislatore della riforma – allo scopo di snellire l'articolato codicistico – ha dirottato le definizioni medesime in un Allegato e segnatamente nell'Allegato I.1.

In particolare, gli artt. 1, 2 e 3 dell'Allegato (che per la loro stretta connessione vengono illustrati congiuntamente) recano le definizioni cui si fonda tutto l'impianto del nuovo codice.

Le norme proposte introducono una significativa semplificazione dei contenuti definitori rispetto all'art. 3 del d.lgs. n. 50/2016 e, in un quadro di classificazione sistematica, suddividono le definizioni (prima racchiuse in un'unica disposizione) in tre macro-categorie:

a) i soggetti cui il Codice si applica (art. 1);

b) i contratti che il Codice disciplina (art. 2);

c) le procedure e gli strumenti di cui possono avvalersi le stazioni appaltanti e gli enti concedenti (art. 3).

In buona sostanza, i contenuti testé richiamati dell'Allegato I.1. vanno a completare il dettato dell'articolato per una più compiuta e puntuale definizione dell'ambito di applicazione soggettivo e oggettivo del Codice nonché delle tipologie di procedure e strumenti da questo disciplinati.

Nell'ottica della semplificazione dei contenuti, si è, in particolare, scelto di espungere dal testo normativo:

i) la pedissequa riproduzione di nozioni e istituti che trovano una compiuta definizione nelle Direttive UE23, 24 e 25 del 2014 e rispetto ai quali non sussistevano esigenze di chiarimento o specificazione (come ad esempio accade per “lavori”, “servizi”, “forniture”, “diritto esclusivo”, “diritto speciale”);

ii) le definizioni facenti riferimento a istituti oggetto di una disciplina specifica (e autosufficiente) in altre parti del Codice;

iii) le nozioni che sono entrate oramai nell'uso corrente e che pertanto non richiedono ulteriori specificazioni.

Con specifico riferimento ai soggetti e di conseguenza all'ambito soggettivo di applicazione del Codice, l'attenzione del legislatore si è concentrata su alcune macro-nozioni, “il cui utilizzo ha consentito di aggregare nell'ambito di una categoria unitaria e univoca una serie di espressioni prima utilizzate in maniera, a volte, ridondante e ripetitiva” (Cons. St., Schema di codice dei contratti pubblici, Relazione agli articoli e agli allegati).

Nel nuovo art. 1 dell'Allegato, l'attribuzione di un significato onnicomprensivo alle nozioni di “stazione appaltante” ed “ente concedente” (con riferimento rispettivamente agli appalti e alle concessioni), con la contestuale soppressione ad esempio della nozione di “amministrazione aggiudicatrice”, ha consentito “da un lato, di evitare la moltiplicazione e la frammentazione delle definizioni soggettive e, dall'altro, di introdurre un riferimento nominalistico unitario che (...) valorizza l'obbligo di seguire la procedura di evidenza pubblica per l'affidamento del contratto, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura dell'ente che di volta in volta viene in considerazione” (Cons. St., Schema di codice dei contratti pubblici, Relazione agli articoli e agli allegati).

Ancora sotto il profilo dei soggetti, si segnala l'adattamento di alcune nozioni di derivazione eurounitaria all'elaborazione giurisprudenziale nel frattempo divenuta diritto vivente: in quest'ottica si spiega, ad esempio, nella definizione del requisito teleologico dell'organismo di diritto pubblico, la scelta di riferire il carattere non commerciale o industriale all'attività svolta e non più al bisogno soddisfatto o il riferimento nella definizione di “operatore economico” all'irrilevanza della forma rivestita o della natura giuridica pubblica o privata.

Sotto il diverso profilo dell'ambito oggettivo di applicazione del Codice (già sufficientemente sviscerato) l'art. 2 dell'Allegato in commento chiarisce anzitutto che i “contratti pubblici” sono “contratti” a tutti gli effetti e quindi, come tali, espressione dell'autonomia negoziale della pubblica amministrazione e sottoposti nella fase esecutiva al diritto privato, salvo le deroghe espressamente previste dal Codice. Il medesimo art. 2 “ribadisce inoltre la distinzione (ben nota alla letteratura civilistica) tra onerosità, gratuità economicamente interessata e liberalità, rilevante ai fini delle diverse conseguenze che ne derivano in punto di applicazione della procedura di gara, sia sul piano nell'an (non si applica alle donazioni: cfr. art. 3, comma 3, del progetto di codice), sia sul piano del livello di dettaglio della disciplina che regola la procedura applicabile (i contratti gratuiti economicamente interessati soggiacciono ai c.d. principi generali e non all'intera disciplina del codice: cfr. art. 16)” (Cons. St., Schema di codice dei contratti pubblici, Relazione agli articoli e agli allegati).

In merito ai profili di discontinuità rispetto alla disciplina di cui al d.lgs. n. 50/2016, si segnala ad esempio la modifica, rispetto a quella precedentemente vigente, della nozione di “lavori complessi”: la nuova definizione non pone limiti di importo e si riferisce unicamente alle caratteristiche intrinseche dei lavori, con l'aggiunta delle ulteriori esigenze di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, che il nuovo testo mira a tutelare.

Sotto il diverso e ultimo profilo della definizione delle procedure e degli strumenti, l'art. 3 dell'Allegato in esame chiarisce come l'affidamento diretto non costituisca una procedura di gara, neanche nel caso di previo interpello di più operatori economici; ciò nella dichiarata ottica di «scongiurare il rischio della “burocrazia difensiva”, segna anche il definitivo superamento dell'indirizzo giurisprudenziale che, in caso di affidamento diretto ‘comparativo', ha ritenuto applicabile l'art. 353-bis c.p.» (Cons. St., Schema di codice dei contratti pubblici, Relazione agli articoli e agli allegati).

L'affidamento delle opere di urbanizzazione a scomputo

L'ultimo comma dell'art. 13 chiarisce infine l'applicabilità del Codice alle procedure di aggiudicazione delle c.d. opere di urbanizzazione a scomputo, ossia a quei “lavori pubblici da realizzarsi da parte di soggetti privati, titolari di permesso di costruire o di un altro titolo abilitativo, che assumono in via diretta l'esecuzione delle opere di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo unificato previsto per il rilascio di permesso, ai sensi dell'art. 16, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, e dall'art. 28, comma 5, della l. n. 1150/1942, ovvero eseguono le relative opere in regime di convenzione”.

Tale disposizione, che riprende i contenuti del previgente art. 1, comma 2, lett. e) del d.lgs. n. 50/2016, rinvia poi ad un Allegato codicistico – e segnatamente all'Allegato I.12. – l'individuazione delle specifiche modalità di affidamento di tali opere.

Segnatamente, nel citato Allegato si prevede che agli affidamenti in oggetto non trovino applicazione gli artt. 37, 45 e 81 del Codice, rispettivamente relativi alla programmazione dei lavori, agli incentivi per funzioni tecniche e alla pre-informazione.

Per quanto concerne la fase esecutiva è prevista unicamente l'applicazione delle norme che disciplinano il collaudo di cui all'art. 116 del Codice.

In merito alla progettazione, si dispone che l'amministrazione che rilascia il permesso di costruire o altro titolo abilitativo possa prevedere che, “in relazione alla realizzazione delle opere di urbanizzazione, l'avente diritto a richiedere il titolo presenti all'amministrazione stessa, in sede di richiesta del suddetto titolo, un progetto di fattibilità tecnica ed economica delle opere da eseguire, con l'indicazione del tempo massimo in cui devono essere completate, allegando lo schema del relativo contratto di appalto”.

Con specifico riferimento all'affidamento delle opere di cui all'art. 2, l'amministrazione, sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica, indice una gara con le modalità previste dagli articoli 71 e 72 del Codice, prevedendo che il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l'esecuzione di lavori.

L'offerta economica deve indicare distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione esecutiva, per l'esecuzione dei lavori e per i costi della sicurezza.

Nel caso di urbanizzazione a scomputo per importi inferiori alle soglie europee, è prevista l'applicazione dell'art. 50 del Codice in tema di procedure sottosoglia.

Bibliografia

Caringella, Protto, Commento all'art. 1, in Caringella (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Milano, 2021; Costa, Appalto pubblico di servizio a titolo gratuito, in italiappalti.it, 18 ottobre 2017; D'ottavi, Princìpi relativi all'affidamento dei contratti esclusi, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Follieri, Contratti esclusi, in Clarich (a cura di), Commentario al Codice dei Contratti Pubblici, Torino, 2019; Giustiniani, Commento all'art. 4, in Caringella (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Milano, 2021; Giustiniani, Fontana, Le fasi di formazione del contratto pubblico, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Protto, Commento all'art. 3, in Caringella (a cura di), Codice dei contratti pubblici, Milano, 2021; Staropoli, Il lavoro gratifica, quindi è gratuito. Non convince la recente sentenza con cui il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il compenso di un euro per la prestazione professionale resa nell'interesse della pubblica amministrazione (nota a Consiglio di Stato, Sez. V, 3 ottobre 2017, n. 4614), in amministrazioneincammino.luiss.it, 16 febbraio 2018; Valaguzza, Tutto sul nuovo Codice Appalti: commento agli artt. 1-55, in ingenio-web.it, 28 dicembre 2022; Viola, Forme contrattuali non regolate in tutto o in parte dal Codice, in Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021.

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