Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 94 - Cause di esclusione automatica.Codice legge fallimentare Art. 80 Cause di esclusione automatica. 1. È causa di esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto la condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per uno dei seguenti reati: a) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, 416-bis del codice penale oppure delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis oppure al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 e dall'articolo 452-quaterdieces del codice penale, in quanto riconducibili alla partecipazione a un'organizzazione criminale, quale definita all'articolo 2 della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio dell'Unione europea, del 24 ottobre 2008; b) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 317,318,319,319-ter, 319-quater, 320,321,322,322-bis, 346-bis, 353,353-bis, 354,355 e 356 del codice penale nonché all'articolo 2635 del codice civile; c) false comunicazioni sociali di cui agli articoli 2621 e 2622 del codice civile; d) frode ai sensi dell'articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, del 26 luglio 1995; e) delitti, consumati o tentati, commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, e di eversione dell'ordine costituzionale reati terroristici o reati connessi alle attività terroristiche; f) delitti di cui agli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale, riciclaggio di proventi di attività criminose o finanziamento del terrorismo, quali definiti all'articolo 1 del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109; g) sfruttamento del lavoro minorile e altre forme di tratta di esseri umani definite con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24; h) ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione. 2. È altresì causa di esclusione la sussistenza, con riferimento ai soggetti indicati al comma 3, di ragioni di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall'articolo 67 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, del medesimo codice. Resta fermo quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-bis, e 92, commi 2 e 3, del codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011, con riferimento rispettivamente alle comunicazioni antimafia e alle informazioni antimafia. La causa di esclusione di cui all'articolo 84, comma 4, del codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011 non opera se, entro la data dell'aggiudicazione, l'impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ai sensi dell'articolo 34-bis del medesimo codice. In nessun caso l'aggiudicazione può subire dilazioni in ragione della pendenza del procedimento suindicato. 3. L'esclusione di cui ai commi 1 e 2 è disposta se la sentenza o il decreto oppure la misura interdittiva ivi indicati sono stati emessi nei confronti: a) dell'operatore economico ai sensi e nei termini di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231; b) del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; c) di un socio amministratore o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; d) dei soci accomandatari o del direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; e) dei membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi gli institori e i procuratori generali; f) dei componenti degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo; g) del direttore tecnico o del socio unico; h) dell'amministratore di fatto nelle ipotesi di cui alle lettere precedenti. 4. Nel caso in cui il socio sia una persona giuridica l'esclusione va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti degli amministratori di quest'ultima. 5. Sono altresì esclusi: a) l'operatore economico destinatario della sanzione interdittiva di cui all'articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, o di altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, compresi i provvedimenti interdittivi di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81; b) l'operatore economico che non abbia presentato la certificazione di cui all'articolo 17 della legge 12 marzo 1999, n. 68, ovvero non abbia presentato dichiarazione sostitutiva della sussistenza del medesimo requisito; c) in relazione alle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal regolamento (UE) n. 240/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 febbraio 2021 e dal regolamento (UE) n. 241/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, gli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale, ai sensi dell'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, che non abbiano prodotto, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell'offerta, copia dell'ultimo rapporto redatto, con attestazione della sua conformità a quello trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità ai sensi del comma 2 del citato articolo 46, oppure, in caso di inosservanza dei termini previsti dal comma 1 del medesimo articolo 46, con attestazione della sua contestuale trasmissione alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità; d) l'operatore economico che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l'accesso a una di tali procedure, fermo restando quanto previsto dall'articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dall'articolo 186-bis, comma 5, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e dall'articolo 124 del presente codice. L'esclusione non opera se, entro la data dell'aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all'articolo 186-bis, comma 4, del regio decreto n. 267 del 1942 e all'articolo 95, commi 3 e 4, del codice di cui al decreto legislativo n. 14 del 2019, a meno che non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali; e) l'operatore economico iscritto nel casellario informatico tenuto dall'ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti; la causa di esclusione perdura fino a quando opera l'iscrizione nel casellario informatico; f) l'operatore economico iscritto nel casellario informatico tenuto dall'ANAC per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione ai fini del rilascio dell'attestazione di qualificazione, per il periodo durante il quale perdura l'iscrizione. 6. È inoltre escluso l'operatore economico che ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni definitivamente accertate quelle indicate nell'allegato II.10. Il presente comma non si applica quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o sanzioni, oppure quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine di presentazione dell'offerta. 7. L'esclusione non è disposta e il divieto di aggiudicare non si applica quando il reato è stato depenalizzato oppure quando è intervenuta la riabilitazione oppure, nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, quando questa è stata dichiarata estinta ai sensi dell'articolo 179, settimo comma, del codice penale, oppure quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna oppure in caso di revoca della condanna medesima. InquadramentoL'art. 94 del d.lgs. n. 36/2023 è la disposizione di apertura del Capo II (Titolo IV – Parte V – Libro II del nuovo Codice) che disciplina i requisiti di ordine generale (di cui all'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016) in cinque distinti articoli, dall'art. 94 all'art. 98. La disciplina relativa ai requisiti di ordine generale (artt. 94-98 del d.lgs. n. 36/2023) attua l'art. 57 della Direttiva 2014/24/UE (sugli appalti pubblici), l'art. 80 della Direttiva 2014/25/UE (sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali) e l'art. 38 della Direttiva 2014/23/UE (sulle concessioni), sostituendo quella contenuta nell'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016. Come evidenziato dal Consiglio di Stato (nella relazione illustrativa allo schema di Codice), sotto il profilo sistematico, la scelta di suddividere la disciplina dei motivi di esclusione (contenuta nell'art. 57 della Direttiva 2014/24/UE) in cinque disposizioni è finalizzata a soddisfare esigenze di semplificazione e riordino di una tematica complessa, che ha generato la maggior parte del contenzioso in materia di contratti pubblici. Le novità apportate dal legislatore rispetto alla normativa previgente sono molteplici, sia sotto il profilo formale e sistematico sia sotto il profilo sostanziale e contenutistico. Rinviando all'analisi delle successive disposizioni per l'analisi delle novità apportate alle singole cause di esclusione, sotto il profilo sistematico, va evidenziato che la prima significativa innovazione riguarda la distinzione tra “cause di esclusione automatica”, che trovano applicazione in via diretta, senza alcun margine di apprezzamento da parte della stazione appaltante (disciplinate nell'art. 94), e “cause di esclusione non automatica”, che, invece, richiedono l'esercizio di un potere discrezionale da parte della stazione appaltante (disciplinate dall'art. 95, nonché dall'art. 98, per quanto riguarda la fattispecie del grave illecito professionale, al quale è stata dedicata una trattazione autonoma in attuazione dell'art. 1, comma 1, lett. n) della legge delega n. 78/2022). Alle richiamate disposizioni vanno aggiunte l'art. 96 (che contiene la disciplina procedimentale comune agli “eventi” che conducono all'esclusione degli operatori economici, gli oneri di comunicazione, la disciplina del self cleaning e la rilevanza temporale delle cause di esclusione) e l'art. 97 (dedicato alle cause di esclusione all'interno dei raggruppamenti temporanei di imprese). Sotto il profilo sostanziale, le principali novità riguardano: in tema di condanne penali (art. 94), l'eliminazione dell'equiparazione tra sentenza definitiva di condanna e sentenza di patteggiamento, in attuazione della Riforma Cartabia; la previsione secondo cui l'esclusione non opera se l'impresa è stata ammessa al controllo giudiziario ex art. 34-bis del d.lgs. n. 159/2011 entro la data di aggiudicazione; in tema di ambito di applicazione soggettivo dei controlli, l'eliminazione dei soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando e del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, con la innovativa introduzione della figura dell'amministratore di fatto; in tema di cause di esclusione non automatica (art. 95), la disciplina autonoma delle irregolarità fiscali e contributive non definitivamente accertate e la tipizzazione delle fattispecie integranti il grave illecito professionale (art. 98); l'ampliamento della disciplina del self-cleaning e la disciplina di precisi oneri di comunicazione alla stazione appaltante o all'ente concedente, da parte dell'operatore economico, di fatti e provvedimenti che possono costituire causa di esclusione, la cui omissione può rilevare nell'ambito della valutazione di affidabilità sottesa all'illecito professionale (art. 96). Anche con la nuova disciplina, sono validi i principi sanciti dalla giurisprudenza in relazione alla natura dei motivi di esclusione, definiti di ordine generale, di moralità o anche di ordine pubblico, necessari per partecipare a una procedura di appalto o di concessione nonché per eseguire il contratto. Si tratta di requisiti di natura strettamente soggettiva, richiesti per ogni tipologia ed importo di prestazione, in quanto posti a garanzia dell'affidabilità morale e professionale dei concorrenti. Essi sono ritenuti dalla giurisprudenza espressione di «un fondamentale principio di ordine pubblico economico che soddisfa l'esigenza che il soggetto che contrae con l'amministrazione sia affidabile» (Cons. St. VI, n. 2725/2003). Pertanto, essi devono essere posseduti dai concorrenti in qualsiasi tipologia di affidamento, compresi i contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, nonché i contratti relativi ai settori esclusi dall'applicazione integrale del Codice e i contratti di concessione. Essi, inoltre, devono essere soddisfatti da tutti i soggetti che, a qualunque titolo, concorrono all'affidamento, quindi dall'operatore economico che partecipa in forma monosoggettiva, dagli operatori che partecipano in forma associata (ad es. R.T.I., contratto di rete), dalle imprese consorziate, dall'impresa ausiliaria e dai subappaltatori. Rientrando tra i requisiti di partecipazione, essi devono essere posseduti senza soluzione di continuità dalla data di presentazione della domanda di partecipazione alla gara, ma anche successivamente, fino all'aggiudicazione e alla data di stipulazione del contratto, nonché per tutto il periodo di esecuzione dello stesso (Cons. St., Ad. Plen., n. 5/2021; Cons. St. III, n. 3614/2017; Cons. St. V, n. 852/2017; Cons. St., Ad. plen.,n. 8/2015). In applicazione del suddetto principio, l'art. 96, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023 prevede che le stazioni appaltanti escludono un operatore economico in qualunque momento della procedura, qualora risulti che si trovi in uno dei motivi di esclusione di cui agli artt. 94 e 95, a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura. Proprio perché si risolvono in una drastica limitazione della capacità contrattuale degli operatori economici, quindi in una contrazione della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost., le cause di esclusione di ordine generale sono ritenute tassative, escludendosi la possibilità per la singola stazione appaltante di stabilirne di ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge (Cons. St. n. 4750/2003). Dal principio di tassatività la giurisprudenza ha fatto discendere il divieto di applicazione estensiva o analogica delle cause di esclusione (cfr. ex multis Cons. St. V, n. 3595/2015; Cons. St. IV, n. 6296/2014; Cons. St. V, n. 4629/2011; Cons. St. Ad. plen.n. 10/2012). Le condanne penali per reati graviL'art. 94, comma 1, del d.lgs. n. 36/2023, corrispondente all'art. 80, comma 1, del precedente Codice, disciplina le condanne penali per reati gravi, tra le cause di esclusione di tipo automatico, la cui sussistenza comporta l'esclusione obbligatoria dalla gara, con lo scopo di impedire la partecipazione ai soggetti le cui condotte siano state riconosciute e accertate incompatibili con la posizione di un contraente pubblico. Come evidenziato nella relazione illustrativa del Consiglio di Stato allo schema di Codice, la nuova disposizione mantiene, sul piano sistematico, la stessa struttura del precedente art. 80, disciplinando al primo comma, l'elenco dei reati che comportano l'obbligo di esclusione, al secondo comma, l'esclusione discendente da misure antimafia e, al terzo comma, le figure soggettive a cui si applica l'esclusione. È stata, infatti, accantonata la collocazione in un allegato del Codice dell'elenco dei reati comportanti l'esclusione obbligatoria, per consentire una lettura più agevole della norma. La principale novità apportata dalla nuova disposizione riguarda l'eliminazione dell'equiparazione tra la sentenza di patteggiamento e la sentenza definitiva di condanna, ai fini dell'esclusione da una procedura di gara. Con l'art. 25, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 150/2022 (“Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”, c.d. Riforma Cartabia) è stato modificato il comma 1-bis dell'art. 445 c.p.p. (Effetti dell'applicazione della pena su richiesta), prevedendo che “La sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile. Se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'art. 444, comma 2, alla sentenza di condanna. Salvo quanto previsto dal primo e dal secondo periodo o da diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna”. Tale norma – la cui ratio va individuata nella volontà del legislatore di non pregiudicare le prospettive di lavoro e di carriera dell'imputato che scelga di rinunciare a difendersi in dibattimento, con effetti “premianti” – stabilisce che – salvo il caso in cui sia il giudice penale, con la sentenza di patteggiamento, a disporre una “pena accessoria” (ad es. l'interdizione dai pubblici uffici) – la sentenza di patteggiamento non può essere equiparata ad una sentenza di condanna. La disposizione aggiunge che tale sentenza di patteggiamento “non ha efficacia e non può essere utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l'accertamento della responsabilità contabile”. Di conseguenza, nella versione definitiva del Codice (tale coordinamento non era, infatti, stato effettuato nello schema di Codice approvato dalla Commissione speciale presso il Consiglio di Stato), è stata limitata l'esclusione obbligatoria dalle gare per i reati di cui al primo comma dell'art. 94 solo in caso di “condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile”, per cui una stazione appaltante non può più escludere un'impresa sulla base della sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti dei legali rappresentanti dell'impresa stessa, con la sola eccezione dei casi in cui il giudice penale abbia espressamente applicato anche una pena accessoria. Dunque, con il nuovo Codice, non è più attuale il principio secondo cui «la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., seppure non comporti alcuna ammissione di responsabilità, costituisce un accordo sulla misura della sanzione applicabile, grazie al quale l'imputato può beneficiare di uno sconto fino ad un terzo, evitando così l'alea del dibattimento e tuttavia, l'art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. pone una equiparazione della sentenza di patteggiamento ad una ordinaria di condanna, rilevante agli effetti penali (Cons. St. III, n. 6787/2018). Può, invece, tutt'ora affermarsi che, anche ai fini della causa di esclusione automatica di cui all'art. 94, comma 1, non è sufficiente la mera pendenza di un procedimento penale (Cons. St. V, n. 3063/2012), come pure l'esistenza di sentenze non ancora passate in giudicato (Cons. St. IV, n. 1320/2015). A parte tale novità, il contenuto dell'art. 94, comma 1, del nuovo Codice corrisponde all'art. 80, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016. È stata mantenuta la tipizzazione dei reati che comportano l'esclusione obbligatoria dalla procedura, optando per un sistema di numerus clausus delle condanne (novità inserita nell'art. 80 rispetto all'art. 38 del d.lgs. n. 163/2006). L'art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/2006, invece, era più ampio, in quanto prevedeva l'esclusione in caso di condanna definitiva (a cui erano espressamente equiparati la c.d. sentenza di patteggiamento e il decreto penale di condanna irrevocabile) per: i) uno o più reati di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all'art. 45, par. 1, della Direttiva 2004/18/CE, determinanti l'esclusione automatica dalla procedura, senza alcun margine di valutazione della stazione appaltante; ii) reati gravi in danno dello Stato o della Comunità incidenti sulla moralità professionale, la cui rilevanza ai fini dell'esclusione era rimessa al giudizio discrezionale dell'amministrazione aggiudicatrice. A tale misura è stata attribuita natura cautelare (in aggiunta a quanto già disposto dall'art. 32-ter c.p., che prevede, per alcuni reati di particolare gravità, la pena accessoria dell'incapacità a contrarre con la pubblica amministrazione) avente lo scopo di evitare la stipulazione di contratti con soggetti inaffidabili poiché responsabili di condotte illecite, reputate incompatibili con la realizzazione di progetti d'interesse collettivo e con l'esborso di denaro pubblico (cfr. A.V.C.P., Determinazione n. 1/2010). Il nuovo art. 94 (come il precedente art. 80) non prevede la facoltà di esclusione in caso di condanne per reati gravi incidenti sulla moralità professionale, ma contempla, al primo comma, lett. h), quale norma “di chiusura”, l'esclusione in caso di condanna definitiva o decreto penale di condanna irrevocabile per “ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione” (rimandando alle fattispecie per cui opera il cit. art. 32-ter c.p.). In dottrina, la scelta legislativa di ridurre il novero delle cause di esclusione era stata critica, evidenziando «il grave rischio di un abbassamento delle esigenze di tutela della legalità e di garanzia di una corretta scelta degli interlocutori contrattuali della P.A.», osservando che «non è del tutto condivisibile la scelta di «cristallizzare» una volta per tutte (...) il quadro delle fattispecie penali ostative, vista l'imprevedibilità dell'evoluzione sociale e la possibile affermazione e diffusione di nuovi e inediti fenomeni criminali» (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 773). È pacifica la natura obbligatoria ed automatica di tale causa di esclusione. Infatti, «è diverso l'obbligo di dichiarare sentenze penali di condanna rientranti tra quelle previste dall'art. 80, comma 1, ovvero rilevanti ai sensi del successivo comma 5, lett. c); nel primo caso l'esclusione è atto vincolato in quanto discendente direttamente dalla legge, mentre nell'ipotesi di cui all'art. 80, comma 5, lett. c), la valutazione è rimessa alla stazione appaltante» (Cons. St. V, n. 6529/2018). Tale differenza è ancora più netta con il nuovo Codice, a fronte della diversa disciplina tra cause di esclusione automatica e non automatica. I motivi di esclusione connessi alla disciplina antimafiaIl comma 2 dell'art. 94 prevede i motivi di esclusione relativi alla normativa antimafia – precedentemente contenuti nell'art. 80, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 e, prima ancora, nell'art. 38, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 163/2006 – richiamando gli strumenti di controllo antimafia disciplinati nel d.lgs. n. 159/2011 (Codice antimafia). Ai sensi del Codice antimafia, la documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall'informazione antimafia: la prima consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di contrarre con la P.A. di cui all'art. 67 del medesimo decreto (art. 84, comma 2) ed ha validità di sei mesi dalla data di acquisizione (art. 86, comma 2); la seconda contiene anche l'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese ‘raggiunte' (art. 86, comma 3) ed ha validità di dodici mesi dalla data di acquisizione (art. 86, comma 2). La documentazione antimafia può essere liberatoria, se favorevole all'interessato, o interdittiva, se a lui sfavorevole e si sostanzia in un provvedimento amministrativo avente natura cautelare e preventiva, finalizzato a salvaguardare l'ordine pubblico economico e il corretto confronto concorrenziale, impedendo che imprese interdette possano contrarre con la P.A. Parallelamente al sistema di misure preventive, il legislatore ha sviluppato anche un insieme di misure finalizzate a restituire l'impresa alla legalità, salvaguardandone l'attività produttiva e i livelli occupazionali, nei casi in cui l'infiltrazione mafiosa si sia espressa in forme meno pervasive. Sono misure terapeutiche di tipo giurisdizionale l'amministrazione e il controllo giudiziario, rispettivamente disciplinate dagli artt. 34 e 34‐bis del Codice Antimafia. Quando concesse, comportano la sospensione degli effetti interdittivi dell'informativa (art. 34-bis, comma 7). Rispetto al Codice previgente, l'art. 94, comma 2, contiene elementi di continuità e di novità. Sotto il primo profilo, la nuova disposizione conferma la natura dell'attestazione di assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa come requisito di partecipazione alla gara e non solo come condizione necessaria ai fini della stipulazione del contratto (ai sensi dell'art. 91, comma 3, del d.lgs. n. 159/2011), mentre sotto la vigenza del d.lgs. n. 163/2006, si discuteva se tale documentazione fosse necessaria solo ai fini della stipulazione del contratto o anche ai fini della partecipazione alla gara (si veda ANAC, Rassegna ragionata degli atti dell'Autorità in tema di riflessi dell'interdittiva antimafia sulla partecipazione alle gare e sull'esecuzione dei contratti pubblici, anni 2015-2019, gennaio 2020). Con riferimento all'informativa interdittiva, anche prima dell'adozione del nuovo Codice, era pacifica la natura vincolata del provvedimento di esclusione da una gara (ovvero di risoluzione del contratto in fase di esecuzione) a fronte della sua sopravvenienza (Cons. St. III, n. 319/2017; sull'obbligo di dichiarare l'informativa antimafia cfr. Cons. St. III, n. 2896/2019). L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha affermato che il provvedimento di c.d. interdittiva antimafia “costituisce “una misura volta, ad un tempo, alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione” (Cons. St. III, n. 1743/2016). Tale provvedimento, infatti, mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione e si pone in funzione di tutela sia dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento, riconosciuti dall'art. 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche (Cons. St. III, n. 6465/2014)”. (Cons. St., Ad. Plen., n. 3/2018). Quanto agli effetti dell'interdittiva, la giurisprudenza ritiene che essa “determina una particolare forma di incapacità giuridica... (Cons. St. IV, n. 3247/2016)... Si tratta di una incapacità giuridica prevista dalla legge a garanzia di valori costituzionalmente garantiti e conseguente all'adozione di un provvedimento adottato all'esito di un procedimento normativamente tipizzato e nei confronti del quale vi è previsione delle indispensabili garanzie di tutela giurisdizionale del soggetto di esso destinatario” (Cons. St., Ad. Plen., n. 3/2018). Sui rapporti tra interdittiva e i contratti pubblici cfr. ex multis C.G.R.S., ord. n. 48/2021; Cons. St.,Ad. plen., n. 23/2020. Sulla legittimazione attiva all'impugnazione dell'interdittiva antimafia, cfr. Cons. St., Ad. Plen.n. 3/2022, che esclude tale legittimazione da parte degli amministratori e dei soci di una persona giuridica destinataria di interdittiva. Per quanto concerne le novità, una prima innovazione riguarda l'ambito di applicazione soggettivo. La nuova disposizione non fa più riferimento al “socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro” (di cui all'art. 85, comma 2, lett. c) del Codice antimafia), ma richiama solo “i soggetti indicati al comma 3” dello stesso art. 94 (su cui si rinvia al par. successivo, evidenziando da subito che non vi è più un riferimento ai soci di maggioranza, ma alla figura dell'amministratore di fatto). Tale modifica, nella relazione illustrativa del Consiglio di Stato, è stata motivata sulla base dell'esigenza di non allargare il perimetro soggettivo delle verifiche antimafia rispetto alle figure contemplate nell'art. 94, comma 3, ritenendo che lo spettro soggettivo di cui all'art. 85, comma 5, lett. c) del Codice antimafia sia piuttosto amplio. A tale riguardo, va rammentato che nell'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016, il riferimento al “socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro” era stato aggiunto con l'art. 1, comma 20, lett. o) della l. n. 55/2019 (di conversione del d.l. n. 32/2019, c.d. Decreto Sblocca cantieri), effettuando l'allineamento – più volte richiesto dall'ANAC – tra l'ambito soggettivo di applicazione dei motivi di esclusione di cui all'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016 e quello dei soggetti sottoposti alle verifiche antimafia, di cui all'art. 85 del d.lgs. n. 159/2011. L'ANAC (con Comunicato del Presidente del 26 ottobre 2016) aveva evidenziato che, in assenza di specifiche indicazioni normative, il motivo di esclusione andava riferito ai soggetti sottoposti alla verifica antimafia, ai sensi dell'art. 85 del Codice antimafia. Con l'art. 49 del d.lgs. n. 56/2017 (Decreto correttivo) il legislatore ha, poi, specificato che esso opera «con riferimento ai soggetti indicati al comma 3» (cfr. Comunicato del Presidente dell'ANAC dell'8 novembre 2017). Rimaneva, tuttavia, aperto il problema del disallineamento con il Codice antimafia, con riferimento ai controlli nelle società di capitali (considerando che, mentre l'art. 80, comma 3, del Codice dei contratti pubblici si riferiva al «socio di maggioranza in caso di società con meno di quattro soci, se si tratta di altro tipo di società o consorzio», l'art. 85, comma 2, lett. c) del Codice antimafia fa riferimento al «socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico»; cfr. Atto di segnalazione n. 5 del 12 dicembre 2018, con cui l'ANAC aveva sottolineato l'opportunità di valutare un allineamento tra le due disposizioni «considerato che la ratio non può che essere la medesima, ovvero estendere i controlli ai soggetti che nell'ambito delle società a capitale sociale ristretto, hanno un presumibile e altamente probabile potere di controllo all'interno della società»). Tale disallineamento, risolto con il Decreto Sblocca cantieri, è stato nuovamente riportato dal legislatore, a fronte della esplicita decisione di restringere il perimetro soggettivo dei controlli. La seconda innovazione apportata dall'art. 94, comma 2, è relativa alla non operatività della causa di esclusione discendente dall'emissione di una misura interdittiva antimafia, nel caso in cui l'impresa è stata ammessa al controllo giudiziarioex art. 34-bis del Codice antimafia entro la data di aggiudicazione, al fine di ampliare la partecipazione alla gara. In questo caso, può sostenersi che vi è una deroga legislativa espressa al principio di continuità del possesso dei requisiti, in quanto (a differenza di quanto accadeva secondo il Codice previgente) il requisito dell'assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa può considerarsi “sanato” dall'adozione del provvedimento del giudice di ammissione al controllo giudiziario, che interviene entro la data dell'aggiudicazione. Il legislatore ha, tuttavia, precisato che la pendenza di tale procedimento non può comportare dilazioni dell'aggiudicazione (cfr. art. 17, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023, in combinato disposto all'Allegato I.3 in relazione ai “Termini delle procedure di appalto e di concessione”). L'Adunanza Plenaria si è pronunciata sulla possibilità di sospendere il giudizio in cui si contesta la legittimità dell'interdittiva antimafia in pendenza del procedimento per l'ammissione al controllo giudiziario di una impresa, fornendo una risposta negativa. È stato osservato che, secondo l'art. 34-bis, comma 6, del Codice antimafia, l'attivazione del procedimento di controllo giudiziario ha come antecedente l'impugnazione dell'interdittiva disposta dal Prefetto e non prevede che il giudizio di impugnazione debba perdurare per l'intera durata del procedimento di controllo giudiziario; inoltre, a differenza dell'interdittiva, il controllo giudiziario ha natura dinamica, in quanto è finalizzato a risanare l'impresa interessata dal fenomeno mafioso. In altre parole, la finalità del controllo giudiziario è quella di evitare che l'impresa – soggetta a condizionamenti di natura mafiosa accertati – non sia autorizzata a prender parte a procedure di gara (proprio a causa delle accertate infiltrazioni di gruppi criminali). Prevedere la sospensione necessaria del giudizio avverso l'impugnazione in pendenza del procedimento per l'ammissione al controllo giudiziario significherebbe alterare la funzione dell'istituto della sospensione del processo (ammetterla, infatti, “porrebbe impropriamente a carico del processo (...) la realizzazione di obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice”). (Cons. St., Ad. Plen., n. 7/2023; lo stesso principio è stato ribadito da Cons. St. n. 8/2023, la quale, nel confermare l'autonomia dei procedimenti, ha statuito che “la pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. n. 159/2011, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l'informazione antimafia interdittiva”). L'ANAC ha di recente sottolineato che il “nuovo Codice dei contratti che annovera questa causa di esclusione tra quelle automatiche (art. 94), ovvero che prescindono dall'esercizio di attività discrezionale della stazione appaltante, conferma (...) che la stazione appaltante si deve conformare alle risultanze degli accertamenti eseguiti dal Prefetto, e dunque procede all'esclusione solo in presenza di una informativa interdittiva”. Inoltre “la valutazione della sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della stazione appaltante anche in assenza di una interdittiva prefettizia infatti si sovrapporrebbe, contrastando potenzialmente con essa, alla competenza riconosciuta al prefetto in materia e rischierebbe di privare di qualsiasi significato l'iscrizione nella white list, l'elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'art. 1, comma 52, l. n. 190/2012, che invece, ex lege, «tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali essa è stata disposta» (art. 1, comma 52-bis, l. n. 190/2012)” (ANAC, Delibera n. 87/2023). L'iscrizione alla white list è un requisito obbligatorio per la partecipazione alle gare e l'affidamento di appalti pubblici nei settori individuati come a maggior rischio di infiltrazione mafiosa. La mancata iscrizione alla white list per le attività oggetto di appalto, anche solo parzialmente riconducibili a quelle indicate dall'articolo 1, comma 53 della legge n.190/2012 determina “a monte” l'inammissibilità dell'impresa a partecipare alla gara e, quindi, la sua necessaria esclusione. Tale mancato possesso non è sanabile mediante soccorso istruttorio (ANAC, Delibera n. 25/2023; cfr. Delibere n. 127/2022 e Delibere n. 43/2022). L'ambito soggettivo di applicazioneL'art. 94, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023 definisce il perimetro di applicazione soggettivo delle fattispecie escludenti di cui ai commi 1 e 3 della stessa disposizione, modificando in modo significativo il novero delle persone (fisiche e giuridiche) nei confronti delle quali operano le cause di esclusione. La nuova disposizione fa riferimento: a) all'operatore economico ai sensi del d.lgs. n. 231/2011 (disciplinante la responsabilità delle società e degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato; b) al titolare e al direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; c) al socio amministratore e al direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; d) ai soci accomandatari e al direttore tecnico, se si tratta di società in accomandita semplice; e) ai membri del consiglio di amministrazione cui sia stata conferita la legale rappresentanza, ivi compresi gli institori e i procuratori generali; f) ai componenti degli organi con poteri di direzione o di vigilanza o dei soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo; g) al direttore tecnico e al socio unico; h) all'amministratore di fatto nelle ipotesi di cui alle lettere precedenti. Rispetto alla formulazione dell'art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016, il legislatore ha eliminato i riferimenti ai soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando/lettera di invito, così come ha espunto il riferimento al socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, superato – alla lettera h) – da un riferimento all'amministratore di fatto. Pertanto, a normativa vigente, non sono più applicabili i principi statuiti dalla giurisprudenza sia con riferimento all'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163/2006 (che contemplava la nozione di “soggetti cessati dalla carica”) sia con riferimento all'art. 80, comma 3, del d.lgs. n. 50/2016 in ordine alla necessità di verificare l'assenza di condanne penali e di misure relative alla normativa antimafia anche a carico dei soggetti cessati dalle cariche amministrative nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara (verifiche la cui finalità era quella di evitare che, allo scopo di partecipazione alla gara, la società poteva procedere alla sostituzione di figure apicali che avevano però già “inquinato” l'organizzazione societaria). L'eliminazione del riferimento ai “soggetti cessati dalla carica” fa venire meno anche la base normativa individuata dalla giurisprudenza per gli obblighi dichiarativi e le verifiche nell'ipotesi di successione tra enti (cessione di azienda o di un suo ramo, fusione o incorporazione) avvenuti nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara. Nel contesto del d.lgs. n. 163/2006 e del successivo d.lgs. n. 50/2016, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2012; Cons. St., Ad. plen., n. 21/2012) aveva equiparato gli amministratori e i direttori tecnici della cedente ai “soggetti cessati dalla carica nell'anno antecedente alla pubblicazione del bando”. Ciò in ragione di una presunzione di continuità tra la vecchia e nuova gestione imprenditoriale che, pure, può essere superata dando la prova della cesura tra l'una e l'altra (Cons. St. IV, n. 3481/2021). Lo stesso principio era applicabile alle ipotesi di incorporazione e fusione tra società, nonché al contratto di affitto di azienda o di un suo ramo (in questo caso opera pur sempre la presunzione di continuità, ed anzi è più solida, perché nel periodo di affitto, sia pure mediante la percezione del canone, il locatore si giova dei risultati economici dell'azienda conseguiti dalla successiva gestione e l'affittuario delle referenze del complesso aziendale acquisito; cfr. Cons. St. V, n. 3607/2018; Cons. St. V, n. 4045/2017). Nella relazione illustrativa del Consiglio di Stato, viene evidenziato che la figura dei “soggetti cessati” è stata espunta perché non presente nelle direttive europee, nonché per evitare il perdurare del meccanismo di c.d. “caccia all'errore” (anche sotto il profilo dell'omessa dichiarazione) da cui era scaturito un rilevante contenzioso. Viene sottolineato che “il riferimento ai soggetti cessati, per un verso comportasse un inutile appesantimento dei possibili oneri in capo agli offerenti, e, per altro verso, fosse privo di giustificazione, in quanto riferibile a soggetti non facenti (più) parte della compagine societaria e suscettibile di trovare “copertura”, nella ipotesi di strumentale cessazione dalla carica e continuazione dell'attività gestoria, nel riferimento alla figura dell'amministratore di fatto”. Per le stesse ragioni è stato eliminato il riferimento (contenuto nell'art. 80, comma 3, del precedente Codice) al “socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro”. Il nuovo Codice adotta un approccio di tipo sostanzialista, recependo alcuni approdi della giurisprudenza. Gli obblighi dichiarativi e le connesse verifiche sono stati circoscritti ai soli amministratori muniti di poteri di rappresentanza legale nonché ai componenti degli organi di direzione, vigilanza o controllo muniti di poteri di rappresentanza. Sono tutt'ora valide le indicazioni fornite dall'ANAC in relazione alla identificazione di tali soggetti a seconda del sistema societario: i) nel caso di sistema tradizionale o monistico, occorre fare riferimento, quanto agli organi di direzione e amministrazione, ai membri del consiglio di amministrazione ai quali sia stata conferita la legale rappresentanza (presidente, amministratore unico o delegato), quanto agli organi di vigilanza, al collegio sindacale (nel modello tradizionale) e al comitato per il controllo sulla gestione (con riguardo al sistema monistico); ii) nell'ipotesi di adozione del sistema dualistico, occorre fare riferimento ai membri del consiglio di gestione e del consiglio di sorveglianza (Comunicato del Presidente dell'8 novembre 2017). L'art. 94, comma 3, lett. e) del nuovo Codice recepisce l'indirizzo giurisprudenziale relativo alla equiparazione agli amministratori con rappresentanza dei procuratori generali (cfr. T.A.R. Lazio (Roma) I-bis, n. 1725/2021) e degli institori. La previsione innovativa della figura dell'amministratore di fatto consente, invece, di estendere le verifiche a tutti i soggetti che, a prescindere dal ruolo formale rivestito all'interno della società, svolgono poteri gestori e sono in grado di influire sulle scelte gestionali, pur non essendo rappresentanti legali della società. Con tale locuzione si fa, ad esempio riferimento al c.d. “gestore di fatto” (Cons. St. IV, n. 768/2022, relativa all'ex responsabile tecnico della società aggiudicataria che svolge il ruolo di amministratore di fatto) o al c.d. socio sovrano (Cons. St. V, n. 7471/2020 secondo cui “è ritenuto “socio sovrano” il socio persona fisica o società che detiene la larga maggioranza del capitale di una società; dunque il socio che in una società in cui vige il principio maggioritario, avendo il dominio dell'assemblea ordinaria e straordinaria, ha il potere di nomina esclusiva degli amministratori e dei sindaci e può decidere le modifiche dell'atto costitutivo e determinare le decisioni più rilevanti. Svolge, quindi, per effetto della propria partecipazione di maggioranza, un ruolo dominante all'interno della compagine societaria, determinando e condizionando, con scelte personali, l'attività della società”). Ulteriore novità introdotta dal nuovo Codice, con riferimento al perimetro soggettivo delle cause di esclusione, riguarda l'ipotesi del socio-persona giuridica. Il comma 4 dell'art. 94 – ponendo fine ad un contrasto giurisprudenziale – stabilisce che nel caso in cui il socio sia una persona giuridica, l'esclusione va disposta se la sentenza o il decreto ovvero la misura interdittiva sono stati emessi nei confronti degli amministratori di quest'ultima. È chiara, in tal senso, la relazione illustrativa del Consiglio di Stato, laddove specifica che “il riferimento agli amministratori sembra corretto in quanto la gestione delle partecipazioni nelle società altrui non rientra nel potere dell'assemblea ai sensi dell'art. 2364 e ss. c.c. mentre rientra nel potere di gestione degli amministratori ai sensi dell'art. 2380-bis, a meno che non sia attribuito dallo statuto ad altro organo”. Sotto la vigenza del precedente Codice, invece, la locuzione “socio di maggioranza” aveva dato adito a contrasti interpretati: un indirizzo giurisprudenziale riteneva che i controlli andavano estesi anche nei confronti del socio « persona giuridica», risalendo ai soggetti investiti di poteri gestori, decisionali e rappresentativi (cfr. ex multis Cons. St. n. 3178/2017; Cons. St. n. 2813/2016; Cons. St. n. 4442/2015; T.A.R. Lazio (Roma) I-quater, n. 3677/2017; T.A.R. Campania (Napoli), III, n. 3566/2016); altro indirizzo, invece, limitava i controlli al socio unico persona fisica (cfr. ex multis Cons. St. V, n. 5782/2020; Cons. St. V, n. 7922/2019; Cons. St. VI, n. 1292/2016; C.G.A.R.S., n. 179/2016). Inoltre, la disposizione si applicava anche in caso di due soci, titolari ciascuno del 50% del capitale sociale, ovvero (in caso di società con tre soci) al socio titolare del 50% (Cons. St., Ad. plen ., n. 24/2013). Non era, invece, configurabile un obbligo dichiarativo in capo al socio titolare della sola maggioranza relativa (Cons. St. V, n. 3621/2015; T.A.R. Campania (Napoli), n. 3942/2015). Le sanzioni interdittive che comportano il divieto di contrarre con la P.A.L'art. 94 comma 5, lett. a), del nuovo Codice – con una formulazione identica a quella dell'art. 80, comma 5, lett. f) del d.lgs. n. 50/2016 e dell'art. 38, comma 1, lett. m) del d.lgs. n. 163/2006 – prevede l'esclusione per l'operatore che sia stato soggetto a sanzioni interdittive che comportano il divieto di contrattare con la P.A. Si tratta di una norma di chiusura del sistema delle cause di esclusione, essendo volta a ricomprendere sia le inibizioni ivi espressamente richiamate, sia altre forme di interdizione previste dalla normativa vigente (Napoli, 528). Le ipotesi contemplate dalla disposizione sono suddivisibili in tre categorie. La prima è relativa alle sanzioni interdittive previste dall'art. 9, comma 2, lett.c) del d.lgs. n. 231/2001 (recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società). Essa consiste nel divieto di contrattare con la P.A., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio e ha una durata non inferiore a tre mesi e non superiore a tre anni. La sua irrogazione è prevista per i reati commessi nell'interesse o a vantaggio dell'ente (c.d. reati presupposto) da soggetti posti in posizione apicale nell'ambito della struttura organizzativa dell'ente (cioè da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione ovvero di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria o funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo della società, ovvero ancora da persone sottoposte alla direzione di uno di tali soggetti). Tra i c.d. ‘reati presupposto' della responsabilità amministrativa degli enti rientrano alcune fattispecie contemplate nell'art. 94, comma 1, del Codice (truffa ai danni dello Stato, riciclaggio, delitti di criminalità organizzata o con finalità di terrorismo o di eversione), nonché ulteriori fattispecie di reato sintomatiche dell'inaffidabilità del concorrente (ad esempio, omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, reati ambientali). La seconda categoria di sanzioni interdittive espressamente menzionata nella lettera in esame è quella contemplata dall'art. 14 del d.lgs. n. 81/2008 (Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro). Si tratta di provvedimenti inibitori la cui irrogazione prevede un procedimento estremamente articolato nell'ambito del quale gli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro, in base alle rispettive competenze, possono adottare provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale di un'impresa quando i) riscontrano l'impiego di personale che, dalla documentazione obbligatoria, non risulti in forza all'impresa in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, nonché ii) in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro (elencate nell'All. I al d.lgs. n. 81/2008). Il provvedimento di sospensione deve essere comunicato anche all'ANAC, oltre che al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, e la durata dell'interdizione è modulata in ragione della percentuale di lavoratori irregolari presenti sul luogo di lavoro e del tipo di condotta posta in essere o della reiterazione dell'illecito. Infine, il legislatore, come norma di chiusura, ha previsto un rinvio generico ad “altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione”. In questa categoria aperta vi rientrano i reati per cui l'art. 32-quaterc.p. prevede, come pena accessoria, il divieto di contrattare con la P.A., tra cui quelli previsti dall'art. 44 del d.lgs. n. 286/1998 (Testo unico in materia di immigrazione), dall'art. 41 del d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) e dall'art. 36 della l. n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori). Tale causa di esclusione ha natura automatica e comporta che, in presenza di una sanzione interdittiva, la stazione appaltante sia vincolata ad escludere l'operatore dalla procedura, per il periodo di efficacia della sanzione senza compiere una autonoma valutazione (Cons. St. V, n. 386/2021; Cons. St. IV, n. 143/2016). Sull'interpretazione di tale causa di esclusione si veda T.A.R. Sicilia (Palermo), III, n. 3399/2021 , laddove si sottolinea che tali sanzioni si riferiscono a quelle applicate all'ente ammesso alla procedura. Il rispetto della normativa sul diritto al lavoro dei disabiliL'art. 94, comma 5, lett. b) del nuovo Codice – riproducendo l'art. 80, comma 5, lett. i) del d.lgs. n. 50/2016 e l'art. 38, comma 1, lett. l) del d.lgs. n. 163/2006 – prevede l'esclusione dalle gare per gli operatori che non abbiano presentato la certificazione di cui all'art. 17 della l. n. 68/1999 (secondo cui “Le imprese, sia pubbliche sia private, qualora partecipino a bandi per appalti pubblici o intrattengano rapporti convenzionali o di concessione con pubbliche amministrazioni, sono tenute a presentare preventivamente alle stesse la dichiarazione del legale rappresentante che attesti di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili, pena l'esclusione”) ovvero che non abbiano autocertificato la sussistenza del medesimo requisito. Si tratta di una causa di esclusione non imposta dal legislatore euro-unitario, ma propria del nostro ordinamento, rispondente ad una finalità di ordine sociale, cioè quella di tutelare il diritto al lavoro dei disabili nelle imprese di maggiori dimensioni. G L'obiettivo della piena socializzazione dei disabili – perseguito dalla l. n. 68/1999 sul versante dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa – viene in rilievo come un valore in sé, direttamente riconducibile a più di un parametro costituzionale (segnatamente, agli artt. 2,3,4,32,35 e 38 Cost.) ed assume, pertanto, una pregnanza normativa, che travalica i più ristretti confini dell'interesse alla regolarità ed alla convenienza economica delle contrattazioni della pubblica amministrazione, sicché la sua inosservanza non può ritenersi sanabile alla stregua di una mera irregolarità formale (Cons. St. V, n. 7555/2004). La legge, al fine di tutelare il diritto al lavoro dei disabili, impone alle imprese con almeno 15 dipendenti di assumere una determinata percentuale di lavoratori disabili (il 7% dei lavoratori, se l'impresa occupa più di 50 dipendenti; 2 lavoratori, se i dipendenti sono compresi tra 36 e 50; 1 lavoratore se l'impresa occupa da 15 a 35 dipendenti). Peraltro, anche gli operatori economici di minori dimensioni, benché esonerati dal rispetto della l. n. 68/1999, sono comunque tenuti a presentare in sede di gara una dichiarazione espressa di non applicabilità della disposizione. Trattandosi di un requisito di partecipazione, deve essere posseduto dai concorrenti senza soluzione di continuità, non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all'aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell'esecuzione dello stesso; di conseguenza, è onere del concorrente dimostrare di essere in regola con gli obblighi di assunzione dei disabili, anche nel caso di fruizione della sospensione ex art. 3, comma 5, l. n. 68/1999 dell'obbligo di assunzione delle persone disabili (Cons. St. V, n. 7471/2020). Quanto al contenuto dell'onere dichiarativo, si ritiene sufficiente la presentazione di una dichiarazione attestante di essere in regola con la normativa sui disabili, anche se è omesso un espresso richiamo alla l. n. 68/1999. Con riguardo, invece, ai soggetti onerati di tale dichiarazione, la giurisprudenza ha chiarito che anche le imprese con un numero di dipendenti inferiore a 15 (esonerate dall'obbligo di assunzione) sono comunque tenute a rendere una dichiarazione ad hoc con la quale attestano di non essere soggetti alla normativa in questione (T.A.R. Liguria II, n. 1124/2012; Cons. St. V, n. 6240/2011; T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 790/2011; T.A.R. Sicilia (Catania) IV, n. 1013/2011; Cons. St., Sez. V, 28 gennaio 2021, n. 860). Circa l'applicabilità alla fattispecie dell'istituto del soccorso istruttorio, la giurisprudenza ha fornito una risposta positiva, ritenendo che non si tratti di un elemento essenziale dell'offerta (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 2054/2018; T.A.R. Lazio (Roma) I-bis, n. 8449/2017; Cons. St. III, n. 2376/2014). Nello stesso senso si è espressa l'ANAC (Delibera n. 441/2018). Appalti finanziati con i fondi del PNRRLa lett. c) del comma 5 dell'art. 94 prevede l'esclusione “in relazione alle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal regolamento (UE) n. 240/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 febbraio 2021 e dal regolamento (UE) n. 241/2021 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, gli operatori economici tenuti alla redazione del rapporto sulla situazione del personale, ai sensi dell'articolo 46 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al d.lgs. n. 198/2006, che non abbiano prodotto, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell'offerta, copia dell'ultimo rapporto redatto, con attestazione della sua conformità a quello trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità ai sensi del comma 2 del citato articolo 46, oppure, in caso di inosservanza dei termini previsti dal comma 1 del medesimo art. 46, con attestazione della sua contestuale trasmissione alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità”. Si tratta di una specifica causa di esclusione obbligatoria riguardante la categoria degli appalti PNRR, che (come sottolineato nella relazione illustrativa del Consiglio di Stato) sebbene non riguardi tutte le procedure di affidamento, è stata inserita per ragioni di opportunità legate alla sua centralità per la realizzazione del PNRR. L'ANAC (anche se anteriormente all'adozione del nuovo Codice) ha affermato che vanno esclusi dalle procedure di gara per la realizzazione delle opere del PNRR le ditte che non si impegnano ad assicurare le quote di occupazione femminile e giovanile stabilite dal d.l. n. 77/2021 (convertito in l. n. 108/2021). Infatti, non è sanabile, mediante il soccorso istruttorio, l'obbligo, previsto per investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR o del PNC “di salvaguardare, in caso di aggiudicazione del contratto e con riferimento alle assunzioni necessarie per l'esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, una quota pari al 30 per cento di occupazione giovanile e una quota pari al 15 per cento di occupazione femminile” (Delibera n. 451/2011). Lo stato di liquidazione giudiziale e le altre procedure concorsualiL'art. 94, comma 5, lett. d), prevede l'esclusione dalle procedure di gara dell'operatore economico «che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l'accesso a una di tali procedure, fermo restando quanto previsto dall'art. 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14/2019, dall'art. 186-bis, comma 5, del r.d. n. 267/1942 e dall'articolo 124 del presente codice. L'esclusione non opera se, entro la data dell'aggiudicazione, sono stati adottati i provvedimenti di cui all'art. 186-bis, comma 4, del r.d. n. 267/1942 e all'art. 95, commi 3 e 4, del codice di cui al d.lgs. n. 14/2019, a meno che non intervengano ulteriori circostanze escludenti relative alle procedure concorsuali». La disciplina relativa a tale causa di esclusione intende conciliare la tutela dell'interesse dell'impresa autorizzata alla prosecuzione dell'attività e al superamento della crisi con la tutela dei creditori, che può essere maggiormente garantita dalla stessa esecuzione dei contratti in essere, con l'interesse della stazione appaltante a stipulare contratti con soggetti affidabili e capaci di portare a termine gli impegni negoziali. La nuova formulazione delle norme ha recepito la giurisprudenza amministrativa formatasi sul tema così come talune indicazioni interpretative dell'Autorità Nazionale Anticorruzione. Ai sensi dell'art. 124, d.lgs. n. 36/2023, fatto salvo quanto previsto ai commi 4 e 5, in caso di liquidazione giudiziale, di liquidazione coatta e concordato preventivo, le stazioni appaltanti devono escludere l'operatore economico e procedere all'interpello degli altri operatori economici secondo l'ordine della graduatoria e stipulando un nuovo contratto avente ad oggetto l'affidamento dell'esecuzione o del completamento dei lavori, servizi o forniture, se tecnicamente ed economicamente possibile. Il nuovo contratto deve contenere le stesse condizioni proposte nell'offerta dell'aggiudicatario escluso, ma le stazioni appaltanti possono derogare alla norma. In deroga ai commi 1 e 2, per gli appalti di lavori di importo pari o superiore alle soglie di cui all'articolo 14 e di servizi e forniture di importo pari o superiore a 1 milione di euro, si applica l'art. 216, commi 2 e 3. La causa di esclusione non opera in determinate fattispecie. In particolare, il comma 4 dell'art. 124, d.lgs. n. 36/2023 disciplina l'ipotesi in cui il curatore della procedura di liquidazione giudiziale sia stato autorizzato all'esercizio provvisorio dell'impresa: in tale caso, previa autorizzazione del giudice delegato, il curatore può stipulare il contratto ove l'aggiudicazione sia intervenuta prima della dichiarazione di liquidazione giudiziale; inoltre, il curatore può eseguire i contratti e gli accordi quadro già stipulati dall'impresa assoggettata alla liquidazione giudiziale. L'autorizzazione alla stipulazione del contratto deve intervenire entro il termine di cui all'articolo 18, comma 2 (dovrebbe corrispondere con il momento in cui l'aggiudicazione diviene efficace); in mancanza il curatore è da intendersi sciolto da ogni vincolo e la stazione appaltante procede con l'esclusione dalla procedura e l'interpello dell'impresa che segue in graduatoria. Un'altra fattispecie in cui la causa di esclusione non opera è disciplinata dal comma 5 dell'art. 124 e riguarda, per i contratti in corso di esecuzione, le imprese che hanno depositato la domanda di accesso al concordato preventivo, anche ai sensi dell'art. 44, comma 1, del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui al d.lgs. n. 14/2019: in tal caso si applicano i commi 1 e 2 dell'art. 95, d.lgs. n. 14/2019. Nel caso in cui la domanda sia stata depositata dopo l'adozione del provvedimento di aggiudicazione, la stipulazione del contratto deve essere autorizzata nel termine previsto dal comma 4, ai sensi dell'art. 95, commi 3 e 4, del codice di cui al d.lgs. n. 14/2019. L'art. 95 del Codice della crisi di impresa (d.lgs. n. 14/2019) detta disposizioni speciali per i contratti con le pubbliche amministrazioni laddove sia stata depositata la domanda di concordato, disponendo al comma 1 che tale circostanza non determina la risoluzione dei contratti in corso di esecuzione che siano stati stipulati con pubbliche amministrazioni; inoltre, sono inefficaci eventuali patti contrari. In particolare, dispone il comma 2: «Il deposito della domanda di accesso al concordato preventivo non impedisce la continuazione di contratti con le pubbliche amministrazioni, se il professionista indipendente ha attestato la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento. Di tale continuazione può beneficiare, in presenza dei requisiti di legge, anche la società cessionaria o conferitaria d'azienda o di rami d'azienda cui i contratti siano trasferiti, purché in possesso dei requisiti per la partecipazione alla gara e per l'esecuzione del contratto. Il giudice delegato, all'atto della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni. Le disposizioni del presente comma si applicano anche nell'ipotesi in cui l'impresa sia stata ammessa al concordato liquidatorio quando il professionista indipendente attesta che la continuazione è necessaria per la migliore liquidazione dell'azienda in esercizio». Depositata la domanda, è consentita la partecipazione alle procedure di gara se autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato (comma 3) e previo deposito di una relazione del professionista indipendente che attesta la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento del contratto (comma 4). Il comma 5 dell'art. 95, d.lgs. n. 14/2019, modificato dall'art. 224, comma 6, d.lgs. n. 36/2023, efficace a decorrere dal 1° luglio 2023 ai sensi di quanto disposto dall'art. 229, comma 2, d.lgs. n. 36/2023, dispone che l'impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, sempre che nessuna delle altre imprese aderenti al raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale. Nella precedente formulazione, sulla falsariga delle previsioni contenute all'art. 186-bis, r.d. n. 267/1942, era espressamente previsto che tale facoltà fosse riconosciuta all'impresa in raggruppamento purché non rivestisse la qualità di mandataria (tale formulazione è rimasta nel testo dell'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, transitoriamente vigente). Sulla legittimità della previsione normativa che esclude la figura della mandataria in concordato preventivo dal regime di deroga di cui all'art. 186-bis del r.d. n. 267/1942, si è espressa la Corte cost. sent. 22 aprile 2020, n. 85, dichiarando in parte inammissibili e in parte non fondate, in riferimento agli artt. 3,41,97 Cost., le questioni di legittimità sollevate. La Corte ha considerato che «il differente trattamento riservato all'impresa mandataria di un RTI in concordato di continuità, rispetto alle varie ipotesi poste a raffronto con essa dai giudici a quibus, trova giustificazione, nella prospettiva del legislatore, nella diversa modalità della sua partecipazione alla gara e, in caso di aggiudicazione, al rapporto contrattuale, rispetto alla partecipazione dell'impresa che concorra rispettivamente in forma singola, o in qualità di mandante di un RTI, o anche come mandataria di imprese che si costituiranno in consorzio». Con riferimento alla possibilità per l'impresa di partecipare alle gare ed eseguire contratti pubblici in caso di domanda di concordato in bianco, la Corte di giustizia UE, sent. 28 marzo 2019 (causa C-101/18) statuiva che: «L'art. 45, par. 2, comma 1, lett. b), della Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di appalto pubblico un operatore economico che, alla data della decisione di esclusione, ha presentato un ricorso al fine di essere ammesso al concordato preventivo, riservandosi di presentare un piano che prevede la prosecuzione dell'attività». In relazione al quadro legislativo antecedente le intervenute modifiche introdotte con il d.l. n. 32/2019, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sent.n. 9 del 27 maggio 2021, affermava che la presentazione di una domanda di concordato c.d. in bianco non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche per perdita dei requisiti generali, ma onera l'operatore di richiedere tempestivamente al giudice l'autorizzazione alla partecipazione alla procedura di affidamento (ex art. 186-bis della l. fall.), comunicandolo prontamente anche alla stazione appaltante affinché tale autorizzazione pervenga entro l'aggiudicazione della gara. L'Adunanza Plenaria ha osservato che «la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva non possa considerarsi causa di automatica esclusione né inibisca la partecipazione alle procedure per l'affidamento di contratti pubblici. In particolare non si può ritenere che la presentazione di una tale domanda comporti per ciò solo la perdita dei requisiti generali di partecipazione – il cui eventuale successivo recupero in caso di buon esito della procedura non varrebbe neppure ad elidere una simile cesura, in ragione del noto principio di continuità sempre ribadito da questo Consiglio (Cons. St., Ad. Plen., n. 8/2012 e Cons. St.,Ad. Plen., n. 8/2015) – ostando a tale ricostruzione, oltre che la lettera dell'art. 186-bis, la veduta e ribadita funzione prenotativa e protettiva dell'istituto del concordato con riserva che, come spiegato nella relazione ministeriale all'art. 372 del codice della crisi d'impresa, da strumento di tutela non può tradursi nel suo contrario, ossia in un ostacolo alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale in quanto proprio tale prospettiva postula che resti consentito, per quanto “vigilato”, l'accesso al mercato dei contratti pubblici (non pertinente è il richiamo a Cons. St ., Ad. Plen., n. 2155/2010, perché precedente le novità sul concordato introdotte a partire dal 2012)». Sugli stessi temi si vedano anche:Cons. St., Ad. plen., 27 maggio 2021, n. 10 e Cons. St., Ad. plen.,n. 11/2021. La partecipazione delle imprese in amministrazione straordinaria Come la previgente disciplina (l'art. 80, comma 5, lett. b), del d.lgs. n. 50/2016), anche l'art. 94, comma 5, lett. d), d.lgs. n. 36/2023 non menziona la procedura concorsuale dell'amministrazione straordinaria disciplinata dal d.lgs. n. 270/1999. La mancata menzione della procedura concorsuale relativa all'amministrazione straordinaria tra quelle determinanti l'esclusione automatica dalla procedura di gara appare in linea con la ratio della normativa disciplinante tale procedura concorsuale avente «finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali» (art. 1 del d.lgs. n. 270/1999). L'amministrazione straordinaria è procedura intesa a contemperare la tutela dell'interesse al recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali con la tutela dell'interesse dei lavoratori e con la tutela dell'interesse dei creditori. Rispetto all'operatore economico in amministrazione straordinaria si pongono nella prassi questioni in ordine all'applicazione allo stesso delle cause di esclusione concernenti la titolarità di pendenze rilevanti ai sensi dell'art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50/2016, tenuto conto che lo stato di insolvenza di tale imprenditore molto probabilmente includerà anche gravi violazioni tributarie e/o in materia contributiva e previdenziale. La questione concernente la partecipazione in gara di un operatore economico ammesso a procedura concorsuale di amministrazione straordinaria con pregresse pendenze contributive o fiscali ammesse a passivo, ma non ancora liquidate, è stata affrontata dal Consiglio di Stato, secondo cui, per tali imprese, «si rende necessario il coordinamento delle disposizioni concernenti, in via generale, la partecipazione alle gare predette con quelle relative allo status delle imprese in a.s.». Il Consiglio di Stato, pur pronunciandosi rispetto a un quadro normativo non più vigente, ma attuale nelle previsioni di principio confermate nella disciplina del Codice dei contratti pubblici, ha indicato come possibile la partecipazione alla gara con pendenze contributive o fiscale ove sia stata «osservata la procedura prescritta per le imprese in amministrazione straordinaria ai fini della rilevazione dei debiti in questione, del loro inserimento nello stato passivo e del relativo pagamento, non appena possibile, in prededuzione» (Cons. St. n. 4241/2001). L'iscrizione nel Casellario informatico ANACLe lett. e) ed f) del comma 5 dell'art. 94 riproducono le cause di esclusione “obbligatoria” derivanti dall'avvenuta iscrizione dell'operatore economico nel casellario informatico ANAC per avere presentato false dichiarazioni o falsa documentazione, in precedenza disciplinate nell'art. 80, comma 5, lett. f-ter) e g) del d.lgs. n. 50/2016. Tali previsioni vanno lette in correlazione all'art. 96, comma 15, e all'art. 222, comma 10, del nuovo Codice (corrispondenti, rispettivamente, all'art. 80, comma 12, e all'art. 213, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016). Infatti, l'art. 96, comma 15, si riferisce alla eventualità – operante pro futuro ed in relazione a procedure diverse e successive a quelle in cui sia maturato l'illecito – che l'ANAC, su segnalazione delle stazioni appaltanti, abbia accertato l'imputabilità soggettiva (in termini di “dolo o colpa grave”) e la concorrente gravità obiettiva dei fatti oggetto “di falsa dichiarazione o falsa documentazione”, procedendo alla “iscrizione nel casellario informatico”, di per sé obiettivamente ed automaticamente preclusiva, sia pure ad tempus e cioè “fino a due anni”, di ulteriori partecipazioni. L'art. 222, comma 10, invece, conferma l'istituzione del casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture presso l'Autorità, nel quale sono annotate “le notizie, le informazioni e i dati relativi agli operatori economici con riferimento alle iscrizioni previste dall'articolo 94”, nonché “le ulteriori informazioni” che saranno individuate dall'ANAC con proprio provvedimento “ivi comprese quelle rilevanti per l'attribuzione della reputazione dell'impresa di cui all'articolo 109, o per il conseguimento dell'attestazione di qualificazione di cui all'articolo 103, nonché la durata delle iscrizioni e la modalità di archiviazione delle stesse”. Rispetto alle fattispecie escludenti di cui all'art. 80, comma 5, lettere f-ter) e g), le cause di esclusione in esame sono rimaste immutate, salvo l'eliminazione del riferimento all'Osservatorio ANAC (rimane, però, l'istituzione del casellario informatico presso l'ANAC ai sensi del richiamato art. 222, comma 10). Pertanto, sono tutt'ora validi i principi sanciti sinora dalla giurisprudenza. Per quanto riguarda l'ambito oggettivo della segnalazione all'Autorità, si è ritenuto, con riferimento alle omissioni, che l'espressione “presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione” ricomprenda non solo il “falso commissivo”, ma anche il falso omissivo, nel caso in cui la mancata dichiarazione, in virtù della consapevolezza dell'omissione da parte del soggetto tenuto a renderla, sia idonea ad indurre in errore la stazione appaltante circa il possesso, da parte del dichiarante, dei requisiti di ordine generale (Cons. St. VI, n. 7271/2018). Si è tuttavia sostenuto (con riferimento all'art. 80, comma 12, del Codice) che, laddove la disposizione prevede la segnalazione all'ANAC in caso di presentazione di falsa dichiarazione o falsa documentazione, è “norma di stretta interpretazione” (cfr. Cons. St. V, n. 4427/2018) e quindi non si applicherebbe “al di fuori dei casi espressamente considerati che presuppongono il mendacio” (Cons. St. V, n. 630/2021). Venendo all'ipotesi di cui alla lett. e ), la norma prevede l'esclusione dell'operatore economico iscritto nel casellario informatico ANAC, per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione nelle procedure di gara e negli affidamenti di subappalti. Per quanto concerne il regime temporale, va detto che in questo caso l'esclusione opera fino a quando perdura l'iscrizione nel casellario. Adottando un'interpretazione strettamente ancorata al dato letterale della norma, con riferimento al precedente Codice, il Consiglio di Stato ha ritenuto che “nessun obbligo dichiarativo rispetto a sanzioni interdittive ANAC la cui efficacia è cessata al momento della partecipazione alla gara è previsto: innanzitutto dalla legge, che anzi circoscrive la sua portata escludente fino a quando opera l'iscrizione nel casellario informatico, e dalle linee-guida ANAC in materia” (Cons. St. V, n. 4314/2020). Si è altresì chiarito che la misura interdittiva costituisce, in sé, causa di esclusione: pertanto la sua sopravvenienza, in qualsiasi momento della procedura, comporta l'esclusione dell'operatore economico ai sensi del comma 6 dello stesso art. 80, dal momento che questi si viene a trovare “a causa di atti compiuti o omessi prima o nel corso della procedura, in una delle situazioni di cui ai commi 1, 2, 4 e 5” (tra le quali, appunto, quella dell'art. 80, comma 5, lett. f-ter) – cfr. Cons. St. V, n. 386/2021. L'ipotesi di cui alla lett. f ) del comma 5, invece, prevede una autonoma causa di esclusione nell'ipotesi in cui l'operatore economico risulti iscritto nel casellario informatico per aver presentato false dichiarazioni o falsa documentazione ai fini del rilascio dell'attestazione di qualificazione per il periodo durante il quale perdura l'iscrizione. Si è rilevato che tale causa di esclusione è correlata all'obbligo degli organismi di qualificazione di segnalare “immediatamente all'ANAC i casi in cui gli operatori economici, ai fini della qualificazione, rendono dichiarazioni false o producono documenti non veritieri. L'ANAC, se accerta la colpa grave o il dolo dell'operatore economico, tenendo conto della gravità del fatto e della sua rilevanza nel procedimento di qualificazione, ne dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalto, ai sensi dell'art. 80, comma 5, lett. g), per un periodo massimo di due anni. Alla scadenza stabilita dall'ANAC, l'iscrizione perde efficacia ed è immediatamente cancellata” (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 885). Deve rammentarsi che le annotazioni disposte ai sensi della disposizione in commento (in correlazione all'art. 96, comma 15, del nuovo Codice) differiscono da quelle che l'Autorità dispone ai sensi del nuovo art. 222, comma 10 (annotazione di “notizie utili”), in quanto tali ultime annotazioni, a differenza delle prime, non hanno natura sanzionatoria, costituendo solo uno strumento di pubblicità che viene messo a disposizione delle stazioni appaltanti. G Il Consiglio di Stato ha sottolineato che “risulta ormai acclarata la differenza giuridica tra omessa dichiarazione e falsa dichiarazione. Solo quest'ultima (unitamente alla falsa documentazione) assume valore, a termini dell'art. 38, comma 1-ter, del d.lgs. n. 163/2006, ma anche dell'analogo art. 80, comma 12, del d.lgs. n. 50/2016, nella prospettiva della segnalazione all'ANAC, la quale, ove la ritenga resa con dolo o colpa grave, dispone l'iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalla gara e dagli affidamenti di subappalti. [...] Seppure l'annotazione sia generalmente ricondotta nell'ambito della funzione di vigilanza e controllo dell'Anac (argomentando anche dall'art. 213, comma 10, d.lgs. n. 50/2016), con riguardo alla falsa dichiarazione o falsa documentazione non costituisce un mero atto dovuto da parte dell'Anac a seguito della segnalazione, imponendo altresì un giudizio di imputabilità della falsa dichiarazione (in termini di dolo o colpa grave), e producendo delle conseguenze inequivocabilmente afflittive, in particolare l'esclusione dalle procedure di gara e dagli affidamenti di subappalti per un dato arco temporale, così da assumere – lo si ripete – natura sanzionatoria (in termini Cons. St. V, n. 8480/2019)” (Cons. St. V, n. 491/2022). In ordine all'esercizio del potere di annotazione, la giurisprudenza amministrativa ha specificato che “l'Autorità ha il dovere di valutare sia la conferenza della notizia rispetto alle finalità di tenuta del Casellario, sia l'utilità della stessa quale indice rivelatore di inaffidabilità dell'operatore economico attinto dalla annotazione. In particolare, è stato precisato che «in tutti in casi in cui le annotazioni non rientrino tra quelle tipizzate dal legislatore come “atto dovuto”, le stesse devono essere adeguatamente motivate in ordine alle ragioni della ritenuta utilità (T.A.R. Lazio I, 8 marzo 2019, n. 3098)» e che «la mera valenza di “pubblicità notizia” delle circostanze annotate come “utili” e il fatto che le stesse non impediscano, in via automatica, la partecipazione alle gare, non esonera l'Autorità da una valutazione in ordine all'interesse alla conoscenza di dette vicende, la cui emersione deve avvenire in forza di un processo motivazionale che, per quanto sintetico, non può ridursi ad una assertiva affermazione di conferenza della notizia (T.A.R. Lazio I, 11 giugno 2019 n. 7595)» (T.A.R. Lazio I, 7 aprile 2021, n. 4107) (T.A.R. Lazio (Roma), I-quater, n. 9451/2022). Il procedimento di iscrizione nel casellario informatico ANAC L'iscrizione nel casellario informatico non può mai essere automatica, ma deve giungere all'esito di un'indagine sulla sussistenza, nel caso specifico, dell'elemento soggettivo del “dolo o della colpa grave” del dichiarante e del profilo oggettivo inerente la “rilevanza e la gravità dei fatti” oggetto della falsa dichiarazione o della presentazione di falsa documentazione (Pignatiello, 7). Il procedimento, ispirato al rispetto dei principi del contraddittorio, di tempestiva comunicazione dell'apertura dell'istruttoria e di contestazione degli addebiti, è disciplinato dal Regolamento sull'esercizio del potere sanzionatorio dell'Autorità di cui al d.lgs. n. 50/2016, approvato dal Consiglio dell'Autorità con delibera n. 920, nell'adunanza del 16 ottobre 2019, e dovrà essere aggiornato dall'Autorità alla luce del d.lgs. n. 36/2023. Di seguito, si riportano le linee essenziali del Regolamento di cui al d.lgs. n. 50/2016, che disciplina anche i procedimenti sanzionatori in materia di qualificazione delle imprese nelle more della ultrattività delle previsioni del d.P.R. n. 207/2010 (news dal sito istituzionale dell'Autorità del 14 novembre 2019). In base a quanto previsto dall'art. 10 del citato Regolamento, il procedimento sanzionatorio è avviato a seguito di segnalazione di parte; in particolare, le segnalazioni sono formulate compilando in tutte le loro parti gli appositi moduli pubblicati sul sito istituzionale dell'Autorità, entro 30 giorni dal verificarsi dell'evento o dalla conoscenza del fatto oggetto di segnalazione. La giurisprudenza ha chiarito che la segnalazione della stazione appaltante si configura come mero atto prodromico ed endoprocedimentale, non dotato di autonoma lesività, e, come tale, non immediatamente impugnabile (cfr. Cons. St. VI, n. 3428/2012; T.A.R. Toscana, n. 62/2021). La successiva iscrizione nel casellario è subordinata all'accertamento, nel caso specifico, della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave del dichiarante e del profilo oggettivo inerente la rilevanza e la gravità dei fatti oggetto di segnalazione e di falsa attestazione. Il dirigente dell'Ufficio competente dell'ANAC, entro il termine di 90 giorni dalla ricezione della segnalazione può decidere di archiviarla o di procedere alla contestazione dell'addebito, dandone comunicazione all'impresa e alla stazione appaltante (art. 11 del Regolamento, relativo alla “Fase presistruttoria”). La stazione appaltante e le imprese interessate possono partecipare al procedimento inviando le proprie memorie e richiedendo di essere auditi innanzi all'Ufficio istruttore (art. 13 del Regolamento relativo alla “Contestazione dell'addebito”). Con riferimento al termine per la conclusione del procedimento, la giurisprudenza ha chiarito che il termine di 180 giorni fissato dal Regolamento (art. 13), entro il quale il provvedimento deve essere comunicato all'interessato, riveste natura perentoria (Cons. St. V, n. 2874/2019; v. anche Cons. St. VI, n. 2289/2019). La ratio della fissazione di termini perentori non va rinvenuta (soltanto) nell'esigenza di garanzia dell'efficienza dell'azione amministrativa, bensì in quella di evitare che i tempi dilatati del procedimento sanzionatorio siano penalizzanti per gli interessi degli operatori economici coinvolti. L'irregolarità fiscale e contributiva definitivamente accertataL'art. 94, comma 6, del nuovo Codice (corrispondente alla prima parte del comma 4 dell'art. 80 del d.lgs. n. 50/2016) disciplina l'esclusione “obbligatoria” da omesso pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali. Rispetto all'art. 80, comma 4, del precedente Codice, sono state introdotte due novità. La prima novità riguarda la diversa collocazione della causa di esclusione “obbligatoria” relativa alle violazioni definitivamente accertate (inserita nell'art. 94, tra le cause di esclusione “automatiche”) e quella “facoltativa” relativa alle violazioni non definitive (aggiunta nell'art. 80, comma 4, del precedente Codice, dal d.l. n. 76/2020 ed ora inserita nell'art. 95 tra le cause di esclusione “non automatiche”). In ossequio alle esigenze di chiarezza e semplificazione che hanno indotto il riordino dei motivi di esclusione, le due fattispecie escludenti sono state disciplinate separatamente. La seconda novità è relativa alla decisione di disciplinare in un apposito allegato al Codice (Allegato II.10) le modalità di individuazione, da parte della stazione appaltante, delle violazioni gravi degli obblighi relativi al pagamento delle imposte, delle tasse e dei contributi previdenziali, sia definitive che non definitive. Per quanto concerne le violazioni gravi e definitivamente accertate rispetto agli obblighi de quibus, sono validi i principi sanciti finora dalla giurisprudenza sulla necessità dell'esistenza di entrambi i presupposti: gravità della violazione e definitività dell'accertamento, la cui portata oggi è individuata dal citato allegato II.10. Quanto alla nozione di “violazione grave”, con riferimento alla c.d. regolarità fiscale, l'art. 1 dell'allegato II.10 stabilisce che “ai sensi e per gli effetti dell'art. 94, comma 6, del codice costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”. La causa ostativa data dalla situazione di irregolarità tributaria rileva in sé, sul piano oggettivo. Più precisamente, affinché possano ritenersi integrati i presupposti della gravità, occorre che l'operatore economico partecipante alla gara sia incorso in un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'art. 48-bis, commi 1 e 2-bis, del d.P.R. n. 602/2017 (Cons. St. V, n. 1415/2019). Quanto al presupposto della definitività, il secondo periodo del primo comma dell'art. 1 dell'allegato II.10 ribadisce quanto già espresso dall'art. 80, comma 4, del precedente Codice, che “costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione”. Con riferimento al precedente Codice, è stato chiarito che il requisito della definitività non ricorre quando la definizione concreta del rapporto tributario sia ancora esposta all'oppugnabilità o alla negazione giudiziale e, dunque, non abbia raggiunto un livello di sicurezza tale per cui l'aspirante concorrente sia da presumere senz'altro inaffidabile o da estromettere: vale a dire, o quando siano ancora pendenti i termini per la presentazione di una contestazione giurisdizionale o, in caso di avvenuta impugnazione, laddove la pronuncia giurisdizionale non sia ancora passata in giudicato (Cons. St. V, n. 2279/2019). Le violazioni degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse si considerano “definitivamente accertate” non solo quando rinvengono da sentenze passate in giudicato, ma anche da atti amministrativi inoppugnabili (perché non tempestivamente gravati). È questo il caso: – della cartella di pagamento emessa a seguito di avviso di accertamento non impugnato ovvero confermato ad esito del giudizio; – ovvero della cartella di pagamento che, pur costituendo il primo atto con il quale si manifesta la pretesa impositiva, non sia stata tempestivamente impugnata (T.A.R. Lombardia (Milano) I, n. 448/2019). Con precipuo riferimento al tema della inoppugnabilità degli atti amministrativi, la giurisprudenza ha chiarito che nessuna rilevanza può assumere la mera pendenza dei termini per l'impugnazione di cartelle esattoriali alla data prevista per la presentazione della domanda di partecipazione. Ciò in quanto la cartella di pagamento può essere impugnata soltanto per vizi formali attinenti alla stessa cartella, non potendo invece più essere rimessa in discussione la definitività dell'accertamento della sottostante pretesa tributaria (Cons St. V, n. 2397/2020; Cons St. V, n. 3985/2017). Difatti la cartella di pagamento (che non è atto del titolare della pretesa tributaria, ma del soggetto incaricato della riscossione) costituisce solo uno strumento con cui viene enunciata una pregressa richiesta di natura sostanziale, non possiede cioè alcuna autonomia che consenta di impugnarla prescindendo dagli atti in cui l'obbligazione è stata enunciata, laddove è l'avviso di accertamento l'atto mediante il quale l'ente impositore notifica formalmente la pretesa tributaria al contribuente, a seguito di un'attività di controllo sostanziale (Cons. St. V, n. 856/2018). Parimenti a quanto già visto per le violazioni contributive e previdenziali, l'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 80 esplicita che l'esclusione non si applica quando “l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l'estinzione, il pagamento o l'impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande”. La mera presentazione dell'istanza di rateizzazione non comporta l'automatico recupero della posizione di regolarità fiscale, restando inderogabile la prescrizione di formalizzazione dell'impegno al pagamento prima della scadenza del termine per la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura (cfr. ex multis Cons. St. V, n. 15/2019; T.A.R. Lazio (Roma) n. 3664/2019; Cons. St.,Ad. plen.,n. 20/2013). Sotto il profilo oggettivo, va sottolineato che il concetto di regolarità fiscale va inteso in senso ampio. L'espressione “imposte o tasse” di cui all'art. 94, comma 6, è usata in senso generico, evocando qualsiasi prestazione di natura tributaria, comunque denominata dal legislatore, per la quale si sia registrata una violazione dell'obbligo di pagamento. Vi rientrano, quindi, anche canoni, diritti, tariffe ed altre prestazioni patrimoniali annoverabili nella categoria del tributo, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza costituzionale, e cioè laddove vi sia la coattività del prelievo e la finalizzazione degli introiti al sostenimento della spesa pubblica. La violazione dell'obbligo di pagamento può, peraltro, riguardare non solo il tributo in sé, ma anche le sanzioni amministrative e gli interessi moratori richiesti dal Fisco in relazione a qualsiasi tipologia di irregolarità tributaria. Sia la giurisprudenza che l'ANAC hanno precisato che la grave violazione in materia tributaria può derivare anche dall'omesso pagamento di tributi locali (Cons. St. IV, n. 7789/2020, che ha confermato T.A.R. Puglia (Lecce) II, n. 731/2020; ANAC, Delibera n. 295/2020). In relazione alla regolarità contributiva, il terzo periodo dell'art. 1 dell'allegato II.10 stabilisce che “costituiscono gravi violazioni quelle ostative al rilascio del documento unico di regolarità contributiva (DURC), di cui al decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali 30 gennaio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 125 del 1° giugno 2015, ovvero delle certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale”. Con particolare riferimento alla previsione che reca menzione delle “certificazioni rilasciate dagli enti previdenziali di riferimento non aderenti al sistema dello sportello unico previdenziale”, introdotta con il decreto correttivo del 2017, merita sottolineare che lo Sportello Unico Previdenziale era la piattaforma utilizzata fino al 31 dicembre 2016 per le richieste di rilascio del DURC. Per richiedere il DURC a partire dal 31 dicembre 2016 è invece necessario utilizzare la piattaforma messa a disposizione da I.N.P.S., I.N.A.I.L. e CASSA EDILE. Particolare rilievo assume poi l'art. 3, comma 3, del d.m. 30 gennaio 2015, secondo cui “la regolarità sussiste, inoltre, in presenza di uno scostamento non grave tra le somme dovute e quelle versate, con riferimento a ciascun Istituto previdenziale ed a ciascuna Cassa edile. Non si considera grave lo scostamento tra le somme dovute e quelle versate con riferimento a ciascuna Gestione nella quale l'omissione si è determinata che risulti pari o inferiore ad Euro 150,00 comprensivi di eventuali accessori di legge”. Ai fini del presupposto della gravità, riferimento determinante è la valutazione operata in sede regolamentare ove si introduce una franchigia di tolleranza pari ad Euro 150,00, con la conseguenza che tutte le pendenze di importo maggiore comporteranno il superamento della soglia di rilievo (Greco, Pignatiello, Pietrosanti, Nunziata, Di Iorio, Giuffrè, 799). Le stazioni appaltanti non hanno né la competenza né il potere di valutare caso per caso la gravità della violazione previdenziale, ma devono attenersi alle valutazioni dei competenti enti previdenziali (Cons. St., Ad. plen., n. 8/2012). In merito alla nozione di “violazione definitivamente accertata” il Consiglio di Stato ha precisato che il concetto di definitività nell'ambito delle gare pubbliche va fotografato al momento della scadenza del termine di presentazione dell'offerta, nel senso che – affinché possa ritenersi sussistente la definitività dell'accertamento della violazione – è in quel momento che non devono sussistere dubbi sulla debenza della somma, o che deve risultare accolta l'istanza di rateizzazione, ovvero che deve essere risultare ancora pendente un ricorso amministrativo (se previsto) e/o giurisdizionale (Cons. St. V, n. 5802/2015; Cons. St. V, n. 2397/2020). Quanto alla natura vincolata del meccanismo escludente in parola, la giurisprudenza ha precisato che non è consentita alcuna valutazione in ordine alle irregolarità fiscali riscontrate e all'incidenza sulla affidabilità dell'operatore economico; il legislatore, infatti, fissando precisi parametri normativi, ha pre-valutato le condizioni di regolarità e predeterminato le conseguenze dell'eventuale irregolarità sulla partecipazione (da ultimo T.A.R. Campania (Salerno) I, n. 441/2021). Il Documento unico di regolarità contributiva (DURC) Nell'ambito della regolarità contributiva assume fondamentale rilievo il DURC (documento unico di regolarità contributiva), disciplinato con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 30 gennaio 2015, che rappresenta – allo stato – l'unico strumento di controllo della posizione contributiva utilizzabile dalle stazioni appaltanti nelle gare. Il secondo comma dell'art. 1 dell'allegato II.10 stabilisce, infatti, che “in relazione agli articoli 94, comma 6 e 95, comma 2, si considera mezzo di prova, con riferimento ai contributi previdenziali e assistenziali, il documento unico di regolarità contributiva acquisito d'ufficio dalle stazioni appaltanti presso gli istituti previdenziali ai sensi della normativa vigente”. Il principio sopra enunciato è espressione di consolidata giurisprudenza, secondo la quale il DURC costituisce l'unico documento attestante il rispetto degli oneri previdenziali e assistenziali da parte dell'operatore economico partecipante alla procedura di gara. La stazione appaltante, difatti, non è tenuta ad alcun'altra verifica, sebbene segnalazioni in senso contrario a quanto ivi certificato siano pervenute da terzi interessati all'esclusione dell'operatore dalla procedura di gara (Cons. St. V, n. 4023/2019) Più precisamente, il Consiglio di Stato ha chiarito che la nozione di “violazione grave” non è rimessa alla valutazione caso per caso della stazione appaltante, ma si desume dalla disciplina previdenziale, e in particolare dalla disciplina del documento unico di regolarità contributiva; ne consegue che la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti con la P.A. è demandata agli istituti di previdenza, le cui certificazioni (DURC) si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto (Cons. St. V, n. 1141/2019; Cons. St. n. 1557/2016; Cons. St. Ad. plen., n. 8/2012). E ciò in considerazione della natura giuridica di tali certificazioni che sono dichiarazioni di scienza assistite dalla pubblica fede, facenti prova fino a querela di falso (Cons. St., Ad. Plen., n. 10/2016). La regolarità contributiva viene autocertificata dal concorrente nella domanda di partecipazione, dopodiché, ai sensi del d.l. n. 43/2014, la stazione appaltante procede alla verifica acquisendo d'ufficio il DURC, attraverso le banche dati di I.N.P.S. e I.N.A.I.L. Tra le norme oggi disciplinanti il DURC, particolare importanza riveste l'art 31 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. n. 98/2013. L'art. 31, comma 8, di tale Decreto (in combinato disposto con l'art. 4 del d.m. 30 gennaio 2015) prevede che quando l'I.N.P.S. o l'I.N.A.I.L., in sede di rilascio del DURC, riscontrino la sussistenza di una situazione di irregolarità contributiva, invitino l'interessato tramite P.E.C. alla regolarizzazione entro il termine di 15 gg (c.d. “preavviso di DURC negativo”). Ci si è chiesti se la regolarizzazione prevista dal sopra citato art. 31, comma 8, data la sua formulazione in termini generali, possa applicarsi anche in relazione al requisito della regolarità contributiva dichiarato ai fini della partecipazione a una gara d'appalto. Sulla questione si è pronunciato il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria (Cons. St ., Ad. plen., n. 5/2016), escludendo che la regolarizzazione prevista dall'art. 31, comma 8, del d.l. n. 69/2013 possa applicarsi anche al requisito della regolarità contributiva dichiarato ai fini della partecipazione alla gara proprio in virtù del principio della necessaria permanenza e continuità nel possesso dei requisiti dichiarati ai fini della partecipazione alla gara. Il Consiglio di Stato ha affermato, in sostanza, che qualora si ammettesse una regolarizzazione postuma, successivamente alla scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione, si derogherebbe al principio di necessaria permanenza dei requisiti, nonché allo stesso principio di par condicio tra i concorrenti che del primo costituisce il fondamento. Ne consegue che l'istituto dell'invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo) può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall'impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell'autodichiarazione (Cons. St. Ad. plen., n. 5/2016; più di recente Cons. St. n. 1006/2017; Cons. St. V, n. 4100/2020). Agli operatori economici è concesso dimostrare la propria situazione di regolarità contributiva attraverso il cosiddetto ‘DURC in compensazione'. La norma di riferimento è l'art. 13-bis, comma 5, del d.l. n. 52/2012, conv., con modif. nella l. n. 94/2012. Il meccanismo di compensazione non opera automaticamente ed ipso iure, ma richiede una specifica istanza dell'operatore economico. Più precisamente e dal punto di vista operativo: a) al concorrente che si voglia giovare di questo istituto è richiesto di attivarsi per ottenere la certificazione dell'esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile nei confronti di un soggetto pubblico (tra quelli elencati nell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001); b) tale certificazione deve essere rilasciata nel termine di trenta giorni dalla ricezione dell'istanza; c) una volta ottenuta la certificazione, può essere richiesto il rilascio del DURC c.d. “in compensazione”; d) il DURC deve attestare la regolarità contributiva dell'imprenditore. La giurisprudenza ha precisato che il concorrente deve formulare l'istanza per la certificazione dei crediti, presso l'amministrazione debitrice, prima della presentazione dell'offerta in sede di gara. Ad esito dell'istanza così presentata, il rilascio di DURC c.d. “in compensazione” dovrebbe conseguire all'attività delle amministrazioni coinvolte, dapprima l'amministrazione pubblica che certifica il credito e, successivamente, l'ente previdenziale; se ciò non avviene ed è adottato un DURC irregolare, l'operatore economico potrà in giudizio dimostrare la sua reale situazione contributiva (Cons. St. V, n. 4188/2019). Infine, una questione controversa e ‘attenzionata' dalla giurisprudenza attiene alla possibilità, per il giudice amministrativo, di estendere il proprio sindacato alle risultanze del DURC posto a fondamento delle determinazioni delle stazioni appaltanti. L'orientamento prevalente, autorevolmente sostenuto dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 10/2016), riconosce la sindacabilità del DURC da parte del giudice amministrativo. Un opposto e minoritario orientamento giunge, invece, a dichiarare l'assenza di giurisdizione amministrativa sulle risultanze contenute nel DURC, sostenendo che gli eventuali errori contenuti in detto documento, involgendo situazioni di diritto soggettivo afferenti al sottostante rapporto contributivo, debbano essere corretti dal giudice ordinario, o all'esito della proposizione di querela di falso, o a seguito di ordinaria controversia in materia di previdenza e di assistenza obbligatoria. In sostanza, il rapporto sostanziale di cui il DURC è mera attestazione si consumerebbe meramente in ambito privatistico, senza che su di esso vengano ad incidere, direttamente o indirettamente poteri pubblicistici, di talché il sindacato sullo stesso esulerebbe dall'ambito della giurisdizione – ancorché esclusiva – di cui è titolare il giudice amministrativo in materia di appalti pubblici (Cons. St. IV, n. 1321/2015, Cons. St. V, n. 2682/2013). Le esenzioniIl comma 7 dell'art. 94 è dedicato alle c.d. cause di esenzione, in precedenza disciplinate nell'ultimo periodo del comma 3 dell'art. 80 del precedente Codice. L'esclusione non va disposta in cinque diverse ipotesi: i) quando il reato sia stato depenalizzato; ii) quando sia intervenuta la riabilitazione; iii) nei casi di condanna ad una pena accessoria perpetua, quando questa sia stata dichiarata estinta ai sensi dell'art. 179, comma 7, c.p.; iv) quando il reato è stato dichiarato estinto dopo la condanna; v) in caso di revoca della condanna. L'esclusione dell'obbligo di dichiarare una condanna per reato depenalizzato discende dalla definitiva irrilevanza penale sancita dal legislatore al reato depenalizzato; anche in tal caso, la possibilità di apprezzarne la gravità e quindi la rilevanza ai fini della partecipazione ad una gara pubblica risulta esclusa ex ante dal provvedimento legislativo a contenuto abrogativo (Cons. St. VI, n. 4392/2013; T.A.R. Lazio (Roma) I-bis, n. 372/2019). Con riferimento all'estinzione del reato, si registrano due orientamenti, relativamente alla necessità o meno del provvedimento del giudice dell'esecuzione: un primo indirizzo, reputa sufficiente la constatazione della circostanza del mero decorso del tempo successiva alla sentenza di condanna a pena sospesa o patteggiata (Cons. St. VI, n. 2704/2018); un secondo indirizzo (prevalente) ritiene, al contrario, necessaria una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria (Cons. St. V, n. 7025/2018; Cons. St. III, n. 2548/2017; Cons. St. III, n. 4118/2016). Allo stesso modo si ritiene che l'avvenuta abrogazione del reato, con conseguente estinzione della pena, necessiti di un provvedimento giurisdizionale avente efficacia costitutiva nei confronti dei terzi (Cons St. V, n. 7025/2018). Questioni applicative1) L'articolo 94, coma 4, ha valore interpretativo anche per le gare regolate dal codice precedente? Affermativa la risposa del Tar Piemonte 832/2023: con efficacia in retrospettiva, l'art. 94 comma 4 D.Lgs. 36/2023 che oggi espressamente valorizza, a fini di esclusione automatica, le condanne degli amministratori del socio unico persona giuridica; con ciò si conferma, giocoforza, la rilevanza delle vicende coinvolgenti il medesimo soggetto e i titolari di incarichi apicali (in tal caso, non più circoscritti ai soli amministratori) pure nel quadro degli apprezzamenti discrezionali preordinati all'esclusione non automatica. 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