Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 123 - Recesso.Codice legge fallimentare Art. 109 Recesso. 1. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 88, comma 4-ter e 92, comma 4, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento purché tenga indenne l'appaltatore mediante il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavori o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell'importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite, calcolato secondo quanto previsto all'articolo 11 dell'allegato II.14 1. 2. L'esercizio del diritto di recesso è manifestato dalla stazione appaltante mediante una formale comunicazione all'appaltatore da darsi per iscritto con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo o verifica la regolarità dei servizi e delle forniture. 3. L'allegato II.14 disciplina il rimborso dei materiali, la facoltà di ritenzione della stazione appaltante e gli obblighi di rimozione e sgombero dell'appaltatore. [1] Comma modificato dall'articolo 43, comma 1, del D.Lgs 31 dicembre 2024, n. 209. Note operative
InquadramentoL'art. 123 del d.lgs. n. 36/2023 disciplina l'esercizio del diritto di recesso dal contratto d'appalto ad opera della stazione appaltante quando c'è una “rinnovata valutazione di opportunità a cui il legislatore connette la facoltà di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale” (Cons. St. III, n. 2274/2022). La previsione in commento ha mantenuto l'impostazione dell'art. 109 del d.lgs. 50/2016, apportandovi alcune modifiche volte a “snellire” il dettato normativo (il che costituisce, del resto, un leitmotiv della novella del 2023). In particolare, come si legge nella relazione illustrativa al nuovo codice: a) nel primo comma del medesimo art. 123 si è sostituita la locuzione “previo il pagamento” con la formulazione “purché tenga indenne l'appaltatore mediante pagamento”. Ciò perché l'originaria formulazione – adottata sia dal comma 1 dell'art. 109 del d.lgs. n. 50/2016, sia dalle norme previgenti (art. 122 del d.P.R. n. 554/1999 e art. 134 del d.lgs. n. 163/2006) – pareva evocare la necessaria priorità temporale del pagamento rispetto al recesso. Per contro, il nuovo testo, pur mantenendo lo stesso significato sostanziale del vecchio, risulta più in linea con l'analogo istituto privatistico del recesso unilaterale del committente di cui all'art. 1671 c.c.; b) è stato soppresso il secondo comma dell'art. 109 del d.lgs. n. 50/2016 mediante l'aggiunta, sempre nel primo comma dell'art. 123 del d.lgs. n. 36/2023, dell'inciso finale riguardante il calcolo del decimo dell'importo secondo quanto previsto dall'allegato II.14; c) nel “nuovo” secondo comma dell'art. 123 (corrispondente al terzo comma dell'art. 109 del d.lgs. n. 50/2016) sono state apportate variazioni lessicali per meglio definire il significato della disposizione e il procedimento che la stazione appaltante deve seguire per recedere dal contratto. Nel dettaglio si è precisato che l'esercizio del diritto di recesso “è manifestato” (e non già “preceduto”, com'era previsto nel citato comma 3 dell'art. 109 del vecchio codice) dall'Amministrazione con una comunicazione formale “da darsi per iscritto” all'operatore economico. In altri termini, la riforma ha inteso chiarire: – per un verso, che l'atto di recesso consiste proprio nella comunicazione inviata dalla stazione appaltante all'operatore; – e, per altro verso, che tale comunicazione deve avvenire necessariamente in forma scritta. Queste modifiche lessicali si spiegano in ragione del fatto che la vecchia norma sembrava presupporre una comunicazione preliminare a cui faceva seguito l'effettivo esercizio del diritto di recesso da parte della stazione appaltante, mentre il nuovo codice ha inteso ribadire che l'atto di recesso non deve osservare le modalità procedimentali dell'atto amministrativo (come la comunicazione di avvio del procedimento e/o la motivazione: v. sul punto, recentemente, Cass. I, n. 21574/2022, resa in un caso di recesso previsto dal contratto) dal momento che si tratta di un atto negoziale non autoritativo, posto in essere iure privatorum; d) infine, sempre nell'ottica di semplificare il corpus normativo principale, il comma 3 dell'art. 123 ha rinviato all'allegato II.14 taluni aspetti operativi, come la disciplina sul rimborso dei materiali, la facoltà di ritenzione della stazione appaltante e gli obblighi di rimozione e sgombero dell'appaltatore (già contenuta nei commi da 4 a 6 dell'art. 109 del d.lgs. n. 50/2016, che sono dunque stati soppressi). Il decreto correttivo (D. Lgs. 209/2024)La disposizione in esame, al comma 1, apporta una modifica di coordinamento all’articolo 123, comma 1 del Codice, introducendo il riferimento all’articolo 11 dell’Allegato II.14, il quale disciplina le ipotesi di recesso. La natura del recessoCon le modifiche di cui si è appena dato conto il legislatore ha inteso “allineare” l'istituto del recesso previsto dal codice dei contratti pubblici a quello regolato dal codice civile (ossia ad un atto negoziale uniaterale previsto in via generale dall'art. 1373 c.c. per l'ipotesi di scioglimento del contratto derivante dalla volontà soltanto di una parte: Cosmai-Buonanno, 356). La novella recepisce il consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce natura privatistica al recesso della pubblica amministrazione dai suoi contratti (tra le tante, v. Cons. St. V, n. 6321/2020). È infatti ormai superata la tesi secondo cui l'istituto in esame costituirebbe espressione di un potere di autotutela amministrativa nell'esecuzione del contratto, simmetricamente alla revoca (o all'annullamento d'ufficio) dell'atto di aggiudicazione adottato a monte (sulle differenze tra gli istituti in questione si tornerà nel paragrafo 3). Dal punto di vista processuale, la natura iure privatorum del recesso radica la giurisdizione del giudice ordinario in merito alle relative controversie, in quanto l'operatore economico “receduto” vanta una posizione giuridica di diritto soggettivo. Invero, “In materia di appalti, l'atto che, pur autoqualificandosi come revoca e richiamando le disposizioni che tale potere disciplinano, si fonda su una serie di inadempimenti delle obbligazioni scaturenti dal rapporto contrattuale instauratosi a seguito della disposta esecuzione in via d'urgenza, è privo di contenuto provvedimentale, quando, tenuto conto del suo contenuto sostanziale, esso non può dirsi frutto della spendita di potere pubblicistico, ma dell'esercizio del diritto potestativo di risolvere il contratto, spettante alla stazione appaltante ai sensi dell'art. 108, d.lgs. 50/2016, coinvolgendo non già violazioni di regole dell'azione amministrativa, bensì diritti soggettivi inerenti a un rapporto di natura privatistica, riservato alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario” (v. T.A.R. Lazio (Roma) V, n. 15681/2022). Questa impostazione è stata recentemente confermata dalla giurisprudenza, che ha colto l'occasione per precisare come, nell'ambito dei contratti pubblici, il recesso sia necessariamente legato a valutazioni di carattere pubblicistico della stazione appaltante, ma che ciò non consente di ricostruire in termini pubblicistici l'istituto, in modo da riqualificare in interesse legittimo la situazione soggettiva riconducibile all'operatore economico “receduto”. Invero il recesso si configura come un potere privatistico della stazione appaltante e i motivi dello scioglimento unilaterale del contratto – anche se elaborati all'interno di un procedimento amministrativo – non assumono rilievo ai fini della natura giuridica dell'istituto (Cons. St. III, n. 2274/2022). Ferma la natura privatistica del potere di recesso, la dottrina ha chiarito che la disciplina dettata dal Codice dei contratti pubblici ha carattere speciale rispetto a quella privatistica che consente alle parti di sciogliere unilateralmente il vincolo contrattuale (Caringella, 611 e seguenti). Ciò in quanto nell'ambito dei rapporti tra privati l'art. 1671 c.c. riconosce al committente il diritto potestativo di recedere dal contratto di appalto in ogni tempo e per qualsiasi ragione (ad nutum), anche ad esecuzione già iniziata, a condizione però che l'appaltatore sia tenuto indenne delle spese sostenute e del mancato guadagno, nonché sia retribuito per i lavori eseguiti. Peraltro tale disciplina è contenuta in una norma derogabile (ossia potenzialmente oggetto di diversa regolamentazione tra le parti, che quindi – in virtù del principio generale dell'autonomia contrattuale – possono fissare pattiziamente gli effetti patrimoniali del recesso). Nell'ambito dei rapporti tra la P.A. e gli operatori economici, viceversa, è esclusa la possibilità di derogare il regime dettato dall'art. 123 del “nuovo” codice (già art. 109 del d.lgs. n. 50/2016). La disposizione (appunto, inderogabile) tipizza sia la procedura per la comunicazione del recesso unilaterale dal contratto da parte della stazione appaltante, sia gli effetti patrimoniali di tale decisione, e ciò per evitare che l'Amministrazione risulti pregiudicata da un atto negoziale che non richiede una particolare motivazione. Come si è accennato nel paragrafo precedente, la non necessità di espressa motivazione da parte della stazione appaltante in merito alla decisione di recedere dal contratto e l'irrilevanza dei motivi ai fini dell'individuazione della natura giuridica dell'istituto rendono il recesso previsto dal codice dei contratti pubblici un istituto sui generis: fermi gli adempimenti previsti dal comma 1 dell'art. 123 del d.lgs. n. 36/2023, l'atto di recesso non deve osservare le modalità procedimentali dell'atto amministrativo perché si tratta di un atto negoziale non autoritativo, posto in essere iure privatorum dalla stazione appaltante. Fermo ciò, occorre comunque tenere presente che la scelta della stazione appaltante di sciogliere unilateralmente il rapporto contrattuale non può discostarsi dal perseguimento di un interesse pubblico. Il recesso ha pur sempre carattere oneroso per le risorse pubbliche, dovendo riconoscersi all'operatore economico una somma pari ad un decimo dell'importo delle opere, servizi o forniture non eseguite, somma calcolata con le modalità previste dall'all. II.14 (al cui commento si rinvia). Ne consegue che la stazione appaltante dovrà sempre compiere, caso per caso, una valutazione degli interessi pubblici mediante un'analisi del rapporto costi benefici, immediati e futuri, rispetto alla scelta di sciogliere il vincolo contrattale attraverso il recesso unilaterale. Questo anche per garantire all'operatore economico “receduto” la piena e adeguata tutela dei propri diritti attraverso lo scrutinio, da parte del giudice competente, dell'iter logico giuridico seguito dalla stazione appaltante per addivenire allo scioglimento del vincolo contrattuale. La più recente giurisprudenza della Cassazione – richiamata anche dalla relazione illustrativa del nuovo codice – conforta la suddetta interpretazione e afferma che il recesso, pur comportando lo scioglimento del rapporto per volontà unilaterale dell'Amministrazione, costituisce espressione di un diritto potestativo il cui esercizio non postula la sussistenza di peculiari condizioni, ma può aver luogo in qualsiasi momento, senza che assumano rilievo i motivi che lo hanno determinato, richiedendosi soltanto, a tal fine, la corresponsione di un indennizzo in favore dell'appaltatore (Cass. I, n. 21574/2022; Cass. n. 21595/2014; Cass. n. 8565/1993 e Cass. S.U. , n. 1402/1972). Annullamento d'ufficio, revoca e recessoL'individuazione dello specifico ambito di applicazione del potere (privatistico) di recesso dal contratto (disciplinato dal codice dei contratti) rispetto ai poteri (pubblicistici) di annullamento d'ufficio/revoca dell'aggiudicazione (disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 21-nonies e 21-quinquies della l. n. 241/1990) ha suscitato un vivace dibattito tra dottrina e giurisprudenza. Alla tesi del Consiglio di Stato che riteneva sempre legittimo l'esercizio del potere di revoca degli atti amministrativi del procedimento ad evidenza pubblica anche a stipulazione contrattuale avvenuta (Cons. St. VI, 1554/2010; Cons. St. VI, 5993/2012; Cons. St. IV, 156/2013), facevano da contraltare le argomentazioni, diametralmente opposte, sostenute dalla Suprema Corte di Cassazione, per cui tutte le vicende successive alla stipulazione del contratto danno luogo a dispute relative alla validità ed efficacia del vincolo contrattuale, anche se dovute all'esercizio di poteri pubblicistici in autotutela, essendosi ormai costituito tra le parti, pubblica e privata, un rapporto giuridico paritetico intercorrente tra situazioni soggettive da qualificare in termini di diritti soggettivi e di obblighi giuridici (Cass. S.U., n. 10160/2003 e Cass.S.U., n. 29425/2008). La ricostruzione dei rapporti tra l'istituto del recesso e gli quelli pubblicistici di autotutela (ossia l'annullamento d'ufficio e la revoca, disciplinati dalla l. n. 241/1990) a disposizione della stazione appaltante (e dei rispettivi ambiti di applicazione), lungi dall'essere una questione meramente formale, ha consentito di definire: – sia il nucleo di poteri (pubblicistici o privatistici) esercitabili dalla stazione appaltante per incidere sui rapporti giuridici con l'operatore economico; – sia gli effetti e le conseguenze (anche in termini economici) dell'esercizio di questi stessi poteri da parte dell'amministrazione. A tal proposito, la dottrina ha osservato che in materia di contratti pubblici occorre distinguere tra autotutela “esterna” e “interna” al contratto, per indicare i provvedimenti di secondo grado incidenti rispettivamente sugli atti di gara o sul contratto stipulato dopo la fase pubblicistica di scelta del contraente (Immordino, Fantini, Simonetti). Segnatamente, per quanto concerne i provvedimenti di autotutela esterna (ossia l'annullamento d'ufficio e la revoca) – che incidono, come si è appena detto, sugli atti di gara – occorre verificare come si atteggia il relativo esercizio nella fase che precede la stipula del contratto e nella fase successiva a tale momento. Nella prima fase (cioè quella anteriore alla stipula del contratto) non sembrano esservi ostacoli di ordine né sistematico, né normativo all'ammissibilità dell'annullamento d'ufficio e della revoca da parte della stazione appaltante. A tutto concedere, in tal caso, potrebbero infatti residuare profili di responsabilità pre-contrattuale a carico dell'Amministrazone per lesione della libertà di autodeterminazione del privato contraente (Corrado). Risulta invece più problematica la possibilità di ricorrere all'annullamento d'ufficio e alla revoca nella fase successiva alla conclusione del contratto pubblico. Sul punto occorre ancora distinguere tra annullamento d'ufficio e revoca degli atti di gara, in quanto tali istituti si fondano su presupposti differenti. Invero: – l'annullamento d'ufficio (disciplinato dall'art. 21-nonies della l. n. 241/1990, che si riferisce testualmente anche ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici, tra cui rientra anche l'aggiudicazione di una gara d'appalto) rileva quale rimedio caducatorio avverso provvedimenti illegittimi; – mentre la revoca pubblicistica (ex art. 21-quinquies della medesima l. n. 241/1990) costituisce un rimedio avverso provvedimenti non più rispondenti al pubblico interesse. In merito al potere di annullamento d'ufficio la giurisprudenza è costante nel ritenere che l'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 consente l'intervento in autotutela dell'amministrazione anche dopo la stipula del contratto, al fine di rimuovere il provvedimento di aggiudicazione che risulti affetto da vizi. Il potere di annullamento in autotutela, nel preminente interesse pubblico al ripristino della legalità dell'azione amministrativa da parte della stessa amministrazione procedente, va quindi riconosciuto anche dopo l'aggiudicazione della gara e la stipulazione del contratto, con conseguente inefficacia di quest'ultimo, stante la stretta consequenzialità tra aggiudicazione e stipulazione del contratto (Cons. St. V, n. 590/2022; in termini, Cons. St. n. 938/2021; Cons. St. n. 2123/2019 e Cons. St. n. 2601/2018). Per contro, la dottrina ha rilevato che la revoca sembra inammissibile nella fase successiva alla conclusione del contratto, atteso che la lettera dell'art. 21-quinquies l. n. 241/1990, nell'individuare l'oggetto della revoca nel provvedimento ad efficacia durevole, sembra precludere l'operatività di tale rimedio in ordine all'aggiudicazione, che costituisce un provvedimento ad efficacia istantanea (Corrado). Allo stesso modo la giurisprudenza – a seguito della nota sentenza dell'Adunanza plenaria n. 14/2014 – appare ormai ferma nel ritenere che dopo la stipulazione del contratto per l'affidamento dell'appalto di lavori pubblici l'amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo operare con l'esercizio del diritto di recesso (Cons. St. II, n. 2274/2022). Ciò perché: – la fase dell'aggiudicazione ha carattere pubblicistico, in quanto retta da poteri amministrativi attribuiti alla stazione appaltante per la scelta del miglior contraente nella tutela della concorrenza. Pertanto è in qui che l'Amministrazione può esercitare il potere (pubblicistico) di revoca; – mentre la fase che ha inizio con la stipulazione del contratto, e che prosegue con l'attuazione del rapporto negoziale, è regolata – oltre che dalle specifiche previsioni del codice dei contratti pubblici – da quelle civilistiche e, per l'effetto, ha carattere esclusivamente privatistico. Di conseguenza, in questo momento, l'Amministrazione dovrà esercitare il potere (privatistico) di recesso. Ragionando diversamente la norma sul recesso contenuta nel codice dei contratti pubblicisarebbe sostanzialmente priva di utilità, poiché l'amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla revoca. Essa del resto costituisce un rimedio meno dispendioso in termini economici, in quanto la prevede che l'indennizzo sia pari al solo danno emergente, e dunque inferiore a quello previsto in caso di recesso (che è invece pari, come si è detto, al pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili oltre al decimo dell'importo delle opere, servizi e forniture non eseguiti ricomprendente, pertanto, anche il lucro cessante). Il che consentirebbe all'amministrazione stessa di mantenere una ingiustificabile posizione privilegiata. Limite che pe la giurisprudenza si ricollega all'identità di presupposti sussistente tra i due rimedi, che consentirebbe una surrogazione del recesso alla revoca in tale fase (v. ancora Cons. St. II, n. 2274/2022). In altri termini, il rapporto negoziale pone l'Amministrazione e il privato su piani equivalenti, in cui l'esercizio del potere amministrativo sfugge dalle regole procedurali autoritative spostandosi sulla natura del rapporto sinallagmatico. Sicché dopo la stipula del contratto è possibile per l'amministrazione sottrarsi dalle relative obbligazioni soltanto mediante le disposizioni (normative e contrattuali) che disciplinano e consentono il recesso. Cosicché, in definitiva, per lo scioglimento dal vincolo contrattuale la stessa Amministrazione dovrà ricorrere non già alla revoca ex art. 21-quinquies della l. n. 241/1990, bensì solo al recesso. L'ipotesi di recesso a seguito dell'interdittiva antimafiaL'art. 123, comma 1, del “nuovo” codice (così come il precedente art. 109 del d.lgs. n. 50/2016) richiama espressamente le previsioni dell'art. 88, comma 4-ter, e dell'art. 92, comma 4, del d.lgs. n. 159/2011 (c.d. “codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”). Esse disciplinano una fattispecie che – seppur qualificata dalla legge come “recesso” – pare riconducibile alla categoria degli atti di autotutela esterna (tra cui rientrano, come si è detto al paragrafo 3, l'annullamento in autotutela e la revoca), in quanto interviene sulla scelta del contraente effettuata dalla stazione appaltante. Perciò la particolare ipotesi di “recesso” a seguito di informativa antimafia, pur avendo ad oggetto formalmente l'esercizio del potere di scioglimento unilaterale del contratto da parte dell'Amministrazione, è più propriamente espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è sempre consentito, anche nella fase di esecuzione del contratto. In merito a questa fattispecie la giurisprudenza si è divisa sulla possibilità di sussumere la sopraggiunta interdittiva antimafia (e la conseguente impossibilità per l'operatore economico di proseguire il rapporto contrattuale) nella nozione di inadempimento contrattuale e, per l'effetto, sull'insorgenza del diritto in capo alla stazione appaltante di incamerare la cauzione definitiva (versata dagli operatori economici proprio a garanzia di eventuali inadempimenti contrattuali). In particolare: – per un primo orientamento nell'inadempimento rientra anche la (sopravvenuta) interdittiva antimafia, con conseguente diritto della stazione appaltante di trattenere la cauzione definitiva (Cons. St. III, n. 5093/2022 e T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, n. 2284/2022). – mentre per un secondo orientamento l'interdittiva antimafia non può integrare un inadempimento contrattuale. Il che impone all'Amministrazione di liberare la cauzione definitiva (T.A.R. Puglia (Bari) II, n. 291/2023, con ampie citazioni di giurisprudenza, anche del Consiglio di Stato). Per una più approfondita disamina della questione si rinvia al commento dell'art. 117 del nuovo codice (in tema di garanzie definitive che gli operatori economici devono prestare per la partecipazione e l'esecuzione dei contratti pubblici). Il calcolo dell'indennizzo e del rimborso dovuti all'operatore economicoAnche l'art. 123 del d.lgs. n. 36/2023 – come molte altre disposizioni del nuovo codice – fa ampi rimandi alla disciplina contenuta negli “allegati” per la regolamentazione degli aspetti più operativi della fase esecutiva. Ciò nell'ottica di un'ampia delegificazione con valenza “legislativ[a] in prima applicazione, regolamentar[e] a regime” (v. la premessa della relazione illustrativa). Per quanto qui interessa, come si è anticipato in sede di inquadramento preliminare all'articolo in esame (v. il paragrafo 1 del presente commento), nel caso di specie la novella rinvia all'allegato II.14 la disciplina degli aspetti “pratici” concernenti: – il calcolo dell'indennizzo, pari al decimo dell'importo dovuto dalla stazione appaltante all'appaltatore per le prestazioni non eseguite a seguito del recesso (v. il comma 1 dell'art. 123 del nuovo codice); – il rimborso dei materiali, la facoltà di ritenzione della stazione appaltante “recedente” e gli obblighi di rimozione e sgombero gravanti sull'operatore economico “receduto” (v. il comma 3 del medesimo art. 123 del d.lgs. n. 36/2023). Sul punto si rimanda al commento dello stesso all. II.14. Considerazioni conclusive sul combinato disposto degli artt. 122, 123 e 190Dal sistema esposto si ricava che, nei settori regolati dal codice, dopo la stipula del contratto non è più possibile la revoca dell'aggiudicazione. Ciò perché essa è preclusa dalle previsioni dell'art. 123 in materia di recesso e perché l'aggiudicazione esaurisce il suo effetto con la stipulazione e non può, quindi, essere soggetta allo strumento della revoca (che operando ex nunc presuppone un atto a efficacia perdurante al momento del ritiro). La revoca pubblicistica è preclusa anche per le concessioni dall'innovativa disciplina di cui all'art. 190 (che muta la prospettiva dell'art. 176 del codice del 2016). Per la risoluzione ex art. 122, comma 1, resta attuale la contrapposizione, già affiorata a proposito dell'articolo 108 pregresso tra la tesi di chi reputa che: a) si tratti di risoluzione privatistica in quanto l'annullamento pubblicistico non è compatibile con l'avvenuta stipulazione; b) le ipotesi di cui al primo comma dell'art. 123 siano casi eccezionali di annullamento pubblicistico (si tratta di una regolazione speciale e restrittiva, che preclude casi di annullamento d'ufficio diversi, e tanto a tutela dell'affidamento del contraente); c) e invece possano coesistere l'annullamento senza i limiti temporali dell'articolo 123 e quello limitatoex art. 21- noniesdella l. n. 241/1990. Si aggiunga che, secondo la tesi prevalente, nonostante il nomen attribuito all'atto sono veri annullamenti anche i recessi in materia di normativa antimafia di cui agli artt. 92 e 94 del codice antimafia richiamati oggi dall'art. 123, comma 1 (Cons. St., Ad. Plen., n. 23/2020). BibliografiaCaringella, Manuale dei contratti pubblici, Roma, 2021; Caringella, Giustiniani, Mantini (a cura di), Trattato dei contratti pubblici, Roma, 2021; Caringella, Protto, Il Codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Roma, 2017; Corrado, Sub art. 104 d.lgs. n. 50/2016, in Codice dei contratti pubblici commentato, a cura di Caringella, Milano, 2022; Cosmai-Buonanno, La riforma dei contratti pubblici, Vicenza, 2023; Esposito, Nicodemo, in Codice dei Contratti Pubblici, (a cura di Esposito) Milano, 2017; Fantini, Simonetti, Le basi del diritto dei contratti pubblici, Milano, 2019; Immordino, I contratti della pubblica amministrazione, in Diritto amministrativo, (a cura di) F.G. Scoca, Torino, 2019; Provenzano, Codice dei Contratti Pubblici (a cura di Giuffrè, Provenzano, Tranquilli), Napoli, 2019. |