Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 134 - Contratti gratuiti e forme speciali di partenariato.

Germana Lo Sapio
Codice legge fallimentare

Art. 151


Contratti gratuiti e forme speciali di partenariato.

1. Per tutte le attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, l'amministrazione può stipulare contratti gratuiti, ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del codice, ferme restando le prescrizioni dell'amministrazione preposta alla loro tutela in ordine alla progettazione e all'esecuzione delle opere e delle forniture e alla direzione dei lavori e al loro collaudo.

2. Per assicurare la fruizione del patrimonio culturale della nazione e favorire altresì la ricerca scientifica applicata alla sua tutela o alla sua valorizzazione, lo Stato, le regioni e gli enti territoriali possono, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dall'articolo 8.

3. Resta fermo quanto previsto ai sensi dell'articolo 106, comma 2-bis, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

4. L'affidamento di contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture per importi superiori a 40.000 euro, mediante dazione di danaro o accollo del debito, o altre modalità di assunzione del pagamento dei corrispettivi dovuti, ivi compresi quelli relativi a beni culturali nonché ai contratti di sponsorizzazione finalizzati al sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura, di cui all'articolo 101 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, è soggetto esclusivamente alla previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunica l'avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell'avviso, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando il rispetto degli articoli 66, 94, 95, 97 e 100 in ordine alla verifica dei requisiti degli esecutori e della qualificazione degli operatori economici. Nel caso in cui lo sponsor intenda realizzare i lavori, prestare i servizi o le forniture direttamente a sua cura e spese, resta ferma la necessità di verificare il possesso dei requisiti degli esecutori, nel rispetto dei principi e dei limiti europei in materia e non trovano applicazione le disposizioni nazionali e regionali in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e degli esecutori. La stazione appaltante e l'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali impartiscono opportune prescrizioni in ordine alla progettazione, all'esecuzione delle opere o forniture e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi.

Inquadramento

Il comma 1 dispone che, per tutte le attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, l'amministrazione può stipulare contratti gratuiti, ai sensi dell'art. 8, comma 1, del codice che sancisce il principio dell'autonomia contrattuale, ferme restando le prescrizioni dell'amministrazione preposta alla loro tutela in ordine alla progettazione e all'esecuzione delle opere e delle forniture e alla direzione dei lavori e al loro collaudo.

Il comma 2 invece attribuisce allo Stato e amministrazioni indicate – quindi non solo più al Ministero competente per la tutela dei beni culturali – il potere di attivare forme speciali di partenariato, sia con soggetti privati che pubblici, al fine di assicurare la fruizione e, come sollecitato dalla dottrina, anche la valorizzazione dei beni culturali, mediante procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispetto a quelle previste dall'articolo 8.

Il comma 3 richiama l'art. 106, comma 2-bis del Codice dei Beni Culturali (d.lgs. n. 42/2004) che prevede che, in caso di concessione in uso dei beni (non in consegna al Ministero) è comunque necessaria l'autorizzazione del Ministero, la quale è rilasciata a condizione che il conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e che sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo.

Il comma 4 prevede una procedura semplificata per i contratti di sponsorizzazione con riferimento alla pubblicità, prevedendo in ogni caso il rispetto delle previsioni sui requisiti degli esecutori e della qualificazione degli operatori economici che nel settore dei beni culturali sono oggetto di disciplina specifica e vanno salvaguardati anche nell'ipotesi in cui lo sponsor realizzi i lavori, presti i servizi o le forniture direttamente a sue spese. Infine, in linea con quanto previsto anche dall'art. 120 del Codice dei Beni Culturali, in ogni caso la stazione appaltante e l'amministrazione preposta alla tutela impartiscono le opportune prescrizioni in ordine alla progettazione, all'esecuzione delle opere e/o forniture e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi.

Il principio dell'autonomia negoziale, i contratti gratuiti e la sponsorizzazione.

Il primo comma richiama, con riferimento ai contratti pubblici aventi ad oggetto prestazioni concernenti beni culturali, il principio dell'autonomia contrattuale che, come sancito dall'art. 8, comprende anche la possibilità per le amministrazioni di stipulare contratti gratuiti (salvo però il divieto di contratti gratuiti che abbiano ad oggetto prestazioni d'opera intellettuale, come previsto dal comma 2 dell'articolo 8, nonostante il diverso esito di una nota controversia giurisprudenziale, cfr. Cons. St. V, n. 4614/2017). Si rinvia pertanto al commento di tale articolo richiamato in questa sede per relationem.

Il comma 4 disciplina invece, con particolare riferimento alla fase della selezione, il contratto di sponsorizzazione, che si distingue dalle donazioni, ovvero dai contratti animati da spirito di liberalità e privi di interesse economico, anche indiretto, da parte del donante previsti dallo stesso articolo 8 comma 3. Nel caso della sponsorizzazione, si ha comunque un “corrispettivo” costituito dal diritto all'uso promozionale dell'immagine della cosa di titolarità pubblica. In tal senso secondo l'orientamento prevalente esso rientrebbe nella categoria dei contratti con causa onerosa, secondo i principi delineati anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. Corte di Giustizia UE, IV, 10 settembre 2020, C-367/19 secondo cui un contratto «a titolo oneroso» designa un contratto mediante il quale ciascuna delle parti si impegna ad effettuare una prestazione quale corrispettivo di un'altra prestazione. Il carattere sinallagmatico del contratto rappresenta quindi una caratteristica essenziale di un appalto pubblico. Il relativo corrispettivo non deve necessariamente consistere nel versamento di una somma di denaro, cosicché la prestazione può essere retribuita con altre forme di corrispettivi, come il rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio pattuito).

La dottrina ha infatti osservato che “attraverso il contratto di sponsorizzazione l'azienda fornisce un supporto finanziario e/o in natura all'evento o all'iniziativa. In cambio l'azienda ottiene il beneficio di vedere il proprio nome o quello di un proprio prodotto associato alla specifica attività promossa. Il beneficio per l'azienda e il successo della sponsorizzazione sono tanto maggiori quanto maggiore è la comunanza di valori e di immagine tra l'azienda e il soggetto sponsorizzato. Infatti, l'azienda, decidendo di interagire con la PA, desidera utilizzare la capacità di quest'ultima di essere veicolo di comunicazione qualificante, o meglio sfruttare quel sistema di valori che caratterizza l'evento al quale essa vuole associarsi perché qualitativamente ed emotivamente interessante per il proprio t arget” (De Paolis).

La partecipazione dei privati nella valorizzazione del patrimonio culturale

Il tema della interferenza tra la gestione e la valorizzazione dei beni culturali, i processi di rigenerazione territoriale e l'individuazione dei moduli di coinvolgimento dei privati in un settore di radicata tradizione e competenza statuale quale quello dei beni culturali è di particolare complessità, anche per le sue ricadute in termini di sviluppo socioculturale oltre che economico.

La più recente dottrina ha sottolineato come la cultura, “oltre che fondamentale pilastro nello sviluppo di una coscienza civile, si radica in un settore nevralgico per l'economia nazionale posta la sua genetica attitudine a generare ricchezza. Tale premessa costituisce la quintessenza del dibattito, animato dal proliferare di stridenti opzioni ideologiche, circa il ruolo che può essere svolto dalla macchina dell'imprenditoria privata nella gestione ed erogazione di servizi culturali. La dilatazione perimetrale dell'azione dei privati ha acuito la precarietà dell'equilibrio dialettico con le istituzioni pubbliche, detentrici di una posizione di monopolio storicamente consolidata e, infine, progressivamente decostruita a partire dall'avvento dell'era della cd. de-pubblicizzazione. Non è casuale la coincidenza storica di quest'ultima fase con la pianificazione dell'attività di valorizzazione in maniera diversamente strutturata: la crisi finanziaria e la drastica riduzione delle risorse pubbliche stanziate nel settore culturale hanno acuito l'impellenza di ricorrere ad investimenti privati   idonei a ricoprire un ruolo strategico non solo sotto il profilo del materiale reperimento del capitale, ma anche ai fini dell'individuazione di nuove forme di collaborazione tra enti pubblici e privati. Ciascuno di questi due poli è, infatti, portatore di propri sistemi valoriali ed esperienze da sistematizzare in progetti di conservazione e valorizzazione” (Spena).

Da ultimo, la gestione “indiretta”, che prevede il coinvolgimento dei privati, ha ricevuto nuovo impulso ampliando la possibilità di scelta da parte delle amministrazioni, mediante le modifiche agli artt. 115 e 117 del Codice dei Beni Culturali da parte dell'art. 8, comma 7-bis, lett. a), n. 1) del d.l. n. 76/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 120/2020 (cd. Decreto Semplificazioni), introducendo il contratto di appalto quale istituto idoneo ad attuare forme di gestione indiretta.

Invero, il tema della sponsorizzazione e degli altri moduli di collaborazione pubblico-privato deve collocarsi nell'ambito della più grande tematica, dai notevoli profili fiscali, del finanziamento da fonte privata volto, in particolare, a tutelare e valorizzare il patrimonio culturale. Tali sono le due direttrici cui si ispira il Codice dei Beni Culturali richiamato anche dall'articolo in commento.

In particolare, mentre la tutela ha una funzione statica, di conservazione del bene culturale in sé, la valorizzazione comporta lo svolgimento di azioni destinate a consentire la migliore fruizione del bene medesimo da parte del pubblico, funzione che a sua volta si «collega al modo di concepire il bene culturale e la sua funzione sociale ed economica. Valorizzare un bene può infatti significare collocarlo più profondamente nel contesto culturale complessivo del Paese o di una sua area, rendendolo maggiormente visibile e aumentando la percezione del medesimo come elemento di particolare pregio e valore. Ciò può comportare anche un ritorno economico, collegato ai flussi turistici o agli investimenti pubblici o privati che a tale bene si connettono in conseguenza delle attività di valorizzazione, ma si tratta pur sempre di un risultato secondario, essendo il fuoco concentrato su quello che è stato definito il welfare culturale. Per altro verso, l'azione diretta alla valorizzazione può rivolgersi prevalentemente allo sfruttamento economico del bene culturale, inserendolo – specie mediante l'approntamento di servizi accessori diretti al pubblico – in un contesto nel quale conta non tanto il giusto ritorno economico che qualsiasi attività di sfruttamento di un bene può realizzare, quanto piuttosto la massimizzazione del profitto. Si è parlato, al riguardo, del rischio di una mercificazione del bene culturale. In realtà, tale deriva – certamente non condivisibile – può essere arginata collocando saldamente, a fianco della valorizzazione, l'attività di tutela. Non a caso il Codice dei beni Culturali ha, come detto, concepito tali attività non certo come alternative, quanto piuttosto come necessariamente complementari. Dunque, la valorizzazione, in tanto potrà dirsi legittima in quanto consenta di realizzare in modo più compiuto la finalità di tutela del bene culturale, che deve essere valorizzato per l'appunto in modo coerente con la finalità di conservarlo e renderlo fruibile anche alle generazioni future (...). Al fine di tutelare e valorizzare i nostri musei, secondo le linee indicate dal Codice, si pone quindi il tema del reperimento delle risorse finanziare a ciò necessarie» (Dorigo).

Deve osservarsi che, se fino a pochi anni fa, la sponsorizzazione – nella pratica soprattutto proveniente dalle Fondazioni bancarie – costituiva lo strumento principale di finanziamento, con le recenti normative di agevolazione fiscali, essa oggi concorre con altre misure che ne condividono la funzione di reperimento di risorse private volte a valorizzare il patrimonio culturale ma che sono volte a incentivare la leva fiscale, avendo il legislatore compreso che «i privati sono più propensi a donare laddove ne possano ricavare una qualche utilità ulteriore rispetto al mero ritorno di immagine. Ne consegue, quindi, che assumono un ruolo rilevante a tal fine gli incentivi fiscali, ovvero quei regimi agevolativi (sub specie di deduzioni o detrazioni, quanto meno in prima battuta) che il legislatore può riservare a coloro che siano disposti ad investire nella tutela e conservazione dei beni culturali pubblici» (Dorigo), il più noto dei quali è il c.d. Art Bonus, introdotto dall'art. 1 della l. n. 106/2014 che consiste in un credito di imposta pari al 65% dell'ammontare delle erogazioni liberali effettuate da privati ed imprese in relazione a beni appartenenti allo Stato o enti pubblici, con il limite – per le persone fisiche – del 15% del reddito imponibile e – per le imprese – del 5 per mille dei ricavi annui; di recente esteso dall'art. 183, comma 9, d.l. n. 34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) ai complessi strumentali, alle società concertistiche e corali, ai circhi e agli spettacoli viaggianti.

Sotto il profilo fiscale, le spese di sponsorizzazione sono state oggetto di contrastanti interpretazioni, quanto alla loro qualificabilità quali spese di pubblicità e propaganda piuttosto che di rappresentanza, con evidenti differenze sul piano della deducibilità dal reddito, sia in ordine alla effettiva sussistenza dei requisiti di inerenza e congruità delle spese. Risulta oggi invece consolidato l'orientamento interpretativo del Ministero, che ha espressamente riconosciuto la natura pubblicitaria dell'attività di sponsorizzazione di beni culturali quale efficace strumento di conservazione e di valorizzazione del patrimonio culturale, con riferimento alle varie forme in cui la sponsorizzazione può configurarsi (decreto del 19 dicembre 2012).

La spinta della digitalizzazione negli strumenti di gestione e valorizzazione dei beni culturali

La giurisprudenza contabile ha rilevato come la maggior parte dei progetti di sponsorizzazione, che costituisce componente massiccia delle tecniche di intervento privato, abbiano riguardato “beni culturali di rilevanza localistica” (C. conti, Delibera n. 8/2016/G Sezione Centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, Iniziative di partenariato pubblico-privato nei processi di valorizzazione dei beni culturali).

Ed è stato anche sottolineato come il coinvolgimento delle comunità locali sia destinato a trovare nuova linfa anche mediante gli strumenti offerti dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie nel settore culturale che “consentono – oltre che una partecipazione più ampia alla cultura rispetto ai modelli tradizionali – di generare, riutilizzare e valorizzare i suoi contenuti, aumentando il valore del patrimonio culturale e favorendo il coinvolgimento dei soggetti locali. Si pensi, ad esempio, ai beni situati in zone rurali dove forme innovative di gestione con il coinvolgimento delle comunità locali potrebbero ricevere un rinnovato miglioramento del loro potenziale economico e sociale, ed il loro accesso ai servizi culturali e ricreativi, sia nei contesti urbani che rurali. La promozione della dimensione locale rileva in quanto funzionale alla realizzazione del principio sovraordinato della sussidiarietà nella sua duplice declinazione costituzionale: orizzontale e verticale. L'interconnessione di questi due livelli vede il suo anello di congiunzione nella necessaria destinazione del patrimonio culturale alla pubblica fruizione” (Spena).

Già nella Raccomandazione 2011/711/UE della Commissione del 27 ottobre 2011 sulla digitalizzazione e l'accessibilità in rete dei materiali culturali e sulla conservazione digitale si invitavano gli Stati Membri a promuovere la disponibilità di banche dati a livello europeo. Il 27 luglio del 2016 il Mibact, il Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) e l'Agid (Agenzia per l'Italia digitale) avevano firmato un protocollo d'intesa per la creazione di nuovi servizi digitali nell'ambito del turismo in grado di “facilitare l'accesso di cittadini e visitatori al patrimonio artistico, naturale e culturale”. Il tema ha ora un rilievo centrale nel PNRR, nel quale, in attuazione alla Missione 1 Componente 3 del p.n.r.r., “Turismo e Cultura 4.0”, il piano per la digitalizzazione del patrimonio costituisce uno dei progetti più rilevanti fra quelli presentati. La misura è rivolta principalmente a musei, biblioteche, archivi e luoghi della cultura, per la realizzazione della “Digital Library”. Tuttavia, “il digitale essendo trasversale ad ambiti diversi (come la documentazione, conservazione, restauro, gestione, sicurezza, educazione, comunicazione, marketing), può avere un effetto moltiplicatore di esternalità positive” (Spena). In attuazione del PNRR, l'Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale – Digital Library del Ministero della cultura ha avviato la redazione del Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale (PND, da ultimo nella versione 1.1. “L'esigenza di dotarsi di un Piano è anche funzionale alla piena adesione da parte italiana, quale Stato membro dell'Unione, all'impianto della cooperazione culturale a livello europeo. La costruzione di un patrimonio culturale digitale nazionale, composto da oggetti collocabili nello spazio informativo dell' infosfera può rappresentare per l'Italia l'occasione per recuperare e interpretare un ruolo rilevante sulla scena culturale globale, senza rinunciare alla propria storica tradizione di tutela. In sintesi si può affermare che la digitalizzazione del patrimonio culturale è una realtà acclarata da tempo, ma non ha prodotto quel salto culturale – in termini di conoscenza specialistica e diffusa, valore sociale, immagine del Paese, organizzazione degli Istituti – che è possibile ottenere grazie al nostro immenso patrimonio. Appare necessario, quindi, condividere una linea cooperativa d'azione, in grado di valorizzare al meglio tutto ciò che territorialmente si è prodotto e si produrrà in questo ambito”).

L'incidenza nel settore di diverse tecnologie, accomunate dalla natura digitale (chatbot, blockchain, realtà aumentata, modellazione 3D, BIM, in prospettiva, Metaverso) può essere funzionale ad una concezione multidimensionale della gestione e valorizzazione dei beni culturali, contribuendo a trovare un punto di equilibrio tra interessi che sembravano tradizionalmente in opposizione, come conservazione, da un lato, e divulgazione e fruizione del bene dall'altro.

In particolare, “la tecnologia può ricoprire tre diversi ruoli nella gestione del patrimonio culturale: innanzitutto, la digitalizzazione e la virtualizzazione dei beni – quali cimeli spesso fragili, si pensi ai reperti archeologici – può efficacemente rispondere alla loro stessa conservazione fisica, in ragione della sottrazione del bene all'esposizione; inoltre, come visto, pu ò arricchirne la fruizione – sia virtuale, sia in situ – rendendola pi ù attrattiva e arricchendola; infine, ma con sempre maggiore incidenza, permette la creazione di nuovi prodotti culturali che prendono vita dal riutilizzo delle immagini dei beni” (De Meo).

Le forme speciali di partenariato all'insegna della discrezionalità

Il comma 2 prevede una forma speciale e flessibile di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, diretta a consentire le attività di conservazione e valorizzazione, mediante ricorso alle procedure di cui ai contratti di sponsorizzazione o ad ulteriori procedure che possono essere individuate a iniziativa delle amministrazioni interessate.

La finalità è quella di garantire la massima elasticità e adattabilità alle peculiari esperienze praticate attivando le speciali forme di cooperazione di medio e lungo periodo tra pubblico e privato nel campo dei beni culturali: si tratta di figure difficilmente sussumibili in un unico tipo giuridico, ma caratterizzate dalla pluralità di cause negoziali e di fini economico– sociali, che vanno dalla collaborazione scientifica alla cooperazione in azioni e manifestazioni di valorizzazione del patrimonio in Italia e all'estero, dal concorso in attività prodromiche alla tutela (ricerca sulla tecnologia e le scienze applicate al restauro, catalogazione, redazione di inventari, ricerca archeologica) alla collaborazione nell'attuazione delle misure di valorizzazione e di gestione delle buffer zone annesse ai siti dichiarati UNESCO.

Viene così a delinearsi una peculiare forma di partenariato che assume una valenza più collaborativa in cui appare rilevante la condivisione anche della gestione del bene culturale, nelle plurime forme che essa può assumere: ricerca, studio, catalogazione, restauro, apertura alla fruizione pubblica.

Sotto questo profilo, la disposizione rappresenta una base giuridica per tutte le ipotesi che nella pratica danno luogo a rapporti di durata «che vanno al di là del mero partenariato di tipo contrattuale, ma non pervengono a una forma di vera e propria istituzionalizzazione, come accade nel caso in cui si dia luogo alla creazione di fondazioni o associazioni con la finalità di gestione di siti culturali, e che reclamavano uno specifico riconoscimento» (Albissini).

La giurisprudenza ha sottolineato, con principi seppure elaborati in relazione agli artt. 19 e 151 del d.lgs. n. 50/2016 applicabili anche al codice vigente, che la scelta del partner privato è affidata ad una procedura estremamente semplificata in cui, pur nel rispetto dei principi fondamentali dell'imparzialità e della parità di trattamento, predomina la trattativa individualizzata sull'obiettiva comparazione delle proposte. L'individuazione del contraente può pertanto orientarsi verso il proponente che oggettivamente presenti un ragionevole affidamento di migliore e, comunque più sicura, valorizzazione del bene culturale. Questo comporta una valutazione che, benché non libera, è inevitabilmente connotata da ampia discrezionalità e che ha per risultato da attentamente calcolare la prospettiva de futuro – in principio incerta come assai spesso per le comuni sponsorizzazioni – del sinallagmatico conseguimento di un valore aggiunto, o di un costo risparmiato, per il compito pubblico di valorizzazione culturale di beni culturali in mano pubblica. Tale risultato fronteggia la valorizzazione economica del prodotto o dell'immagine dell'imprenditore che intende assumere il ruolo contrattuale di sponsor e che a tal fine mira, attraverso il suo intervento finanziario (sponsorizzazione pura, o finanziaria) od operativo (sponsorizzazione tecnica) ad accrescere il valore e la capacità attrattiva commerciale dei suoi prodotti che vengono associati al bene culturale oggetto materiale del contratto, facendo leva sulla capacità simbolica insita nel fatto stesso dell'accollamento d'immagine, cioè del collegamento virtuale tra il bene culturale e il suo marchio o prodotto. Peraltro, nel caso di partenariati dove l'impegno del privato si sostanzia nella realizzazione a proprie spese di un intervento sui beni, al pari di quanto previsto per le vere e proprie sponsorizzazioni c.d. tecniche (quando “lo sponsor intenda realizzare i lavori, prestare i servizi o le forniture direttamente a sua cura e spese”, di deroga alle «disposizioni nazionali e regionali in materia di contratti pubblici di lavori servizi, e forniture» ferma restando la necessità «di verificare il possesso dei requisiti degli esecutori» nonché «la qualificazione dei progettisti e degli esecutori»), i profili di più marcata tecnicità entrano in modo rilevante nella valutazione comparativa delle proposte: il che, ovviamente, può avvenire a condizione che esse siano in qualche misura confrontabili (Cons. St. V, n. 8403/2020).

La scelta dello sponsor tra trasparenza e qualità professionale

Il contratto di sponsorizzazione costituisce uno dei principali canali di convoglio delle risorse private nelle attività concernenti i dei beni culturali. La lacuna di una disciplina giuridica dettagliata ha però determinato un utilizzo dello strumento di gran lunga inferiore alle potenzialità (C. conti, Delibera n. 8/2016/G cit.). L'opzione legislativa contenuta nella norma in commento volta a rappresentare – seppure non una disciplina degli obblighi contrattuali tale da poter qualificare il contratto come “tipizzato” – i riferimenti normativi per la scelta dello sponsor è ispirata a semplificazione e basso livello di formalizzazione e dovrebbe costituire la base per il rilancio dell'istituto nella pratica.

La dottrina ha messo in evidenza la “elasticità concettuale di tale istituto, ascrivibile ai contratti cd. atipici, di natura patrimoniale e a prestazioni corrispettive (...) fonte di un rapporto sinallagmatico che impegna lo sponsee ad associare alla propria attività l'immagine dello sponsor; quest'ultimo, ricevendo il vantaggio derivante dalla peculiare autorevolezza o speciale accreditamento della figura dello sponsee, si obbliga ad elargire un corrispettivo di varia natura. Il contratto è fonte di obbligazioni di mezzi, il che rende lo sponsee esente dall'obbligo di assicurare un positivo riscontro in termini di visibilità o pubblicità. Nel settore dei beni culturali, il contratto riceve una specifica – seppur dibattuta – prima definizione normativa ai sensi dell'art. 120 del Codice dei beni culturali, di cui, in primo luogo, si deve riconoscere il pregio di aver opportunamente individuato il limine con altre forme di mecenatismo culturale in una nozione non più affidata alla fonte giurisprudenziale” (Spena).

Sulla base di tale scarna fonte normativa, è stata pertanto elaborata la distinzione tra sponsorizzazione attiva (in cui l'amministrazione funge da sponsor, finanziando e pubblicizzando l'attività di un soggetto terzo), passiva (n cui la P.A. assume la veste di soggetto sponsorizzato e lo sponsor privato paga un corrispettivo; nello specifico, nel campo dei contratti pubblici, il corrispettivo pagato dallo sponsor privato può consistere in danaro ma anche direttamente nella realizzazione di lavori pubblici, servizi o forniture). Inoltre, come indicato, nell'ambito delle sponsorizzazioni passive, si è delineata la distinzione tra: a) sponsorizzazioni “pure” o di “puro finanziamento”, in cui lo sponsor si obbliga a corrispondere alla P.A. unicamente un finanziamento in denaro o ad accollarsi le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi di un appalto dovuti dalla P.A.; b) sponsorizzazioni “tecniche”, in cui lo sponsor si impegna a progettare e realizzare, in tutto o in parte, le prestazioni richieste dalla P.A. interamente a sua cura e a sue spese, curando direttamente le fasi di progettazione ed esecuzione; c) sponsorizzazioni “miste”, ossia che risultano dalla combinazione di una sponsorizzazione pura e tecnica (es. lo sponsor si obbliga a curare solo la parte della progettazione ed erogare i fondi per la realizzazione dei lavori previsti).

Sotto il profilo della procedura di scelta, la norma in commento non presenta divergenze notevoli rispetto alla normativa previgente (art. 19 d.lgs. n. 50/2016). Si prevede, in particolare, che il comma 4 si applica solo ai contratti di valore superiore a 40.000, potendosi prescindere dal rispetto delle indicazioni contenute nella norma in commento per quelli di valore inferiore. Viene sancito, quanto al principio di trasparenza, l'obbligo di pubblicare sul sito internet della stazione appaltante, per almeno trenta giorni, un apposito avviso, il contenuto è però limitato a: a) in primo luogo, rendere nota la ricerca di sponsor per specifici interventi; b) in secondo luogo, a comunicare l'avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto (non vengono pertanto riprodotti i contenuti minimi della comunicazione indicati nel codice previgente).

Tale limitata formalità è però controbilanciata dall'esigenza – da ultimo sottolineata anche dalla Corte Cost. con la sentenza n. 91/2022 sulla quale cfr. commento all'articolo 132 – che sia garantito il possesso da parte dei soggetti partner che assuma l'obbligo di prestazione di lavori (cd. sponsorizzazione tecnica) di tutti i requisiti soggettivi di qualificazione previsti dal codice relativi ai progettisti e agli esecutori. Resta inoltre ferma anche l'esigenza della supervisione in capo all'amministrazione che, nella fase esecutiva, deve impartire le prescrizioni in ordine alla progettazione, esecuzione delle opere o delle forniture, direzione dei lavori e collaudo.

Bibliografia

Albissini, Il nuovo codice dei contratti pubblici – i contratti pubblici concernenti i beni culturali, in Giornale d ir. a mm., 2016, 4, 436; Carpentieri, Appalti nel settore dei beni culturali (e archeologia preventiva), in Urbanis tica e appalti, 2016, 8-9, 1014; De Meo, La riproduzione digitale delle opere museali fra valorizzazione culturale ed economica, in Diritto dell' informazione e dell' i nformatica, 3, 2019, 669;; De Paolis, Il contratto di sponsorizzazione con la PA: il punto di vista delle imprese private, in Azienditalia, 2021, 10, 1731; Dorigo, Il finanziamento dei musei e il ruolo del privato-sociale prima e dopo la pandemia, in Rass. trib., 2021, 2, 362; Spagnuolo, I contratti di sponsorizzazione nella pubblica amministrazione, in ItaliaAppalti, 7 giugno 2017; Spena, La complessa relazione tra valorizzazione dei beni culturali e forme di intervento privato: contratto di sponsorizzazione e digitalizzazione, in Riv. g iur. e d., 2022, 2, 130.

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