Decreto legislativo - 31/03/2023 - n. 36 art. 213 - Arbitrato.Codice legge fallimentare Art. 209 Arbitrato. 1. Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario di cui agli articoli 210 e 211, possono essere deferite ad arbitri. L'arbitrato si applica anche alle controversie relative a contratti in cui sia parte una società a partecipazione pubblica oppure una società controllata o collegata a una società a partecipazione pubblica, ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, o che comunque abbiano a oggetto opere o forniture finanziate con risorse a carico dei bilanci pubblici. 2. La stazione appaltante o l'ente concedente può direttamente indicare nel bando o nell'avviso con cui indice la gara oppure, per le procedure senza bando, nell'invito, se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria. In questi casi, l'aggiudicatario può rifiutare la clausola compromissoria entro venti giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione. In tal caso la clausola compromissoria non è inserita nel contratto. È nella facoltà delle parti di compromettere la lite in arbitrato nel corso dell'esecuzione del contratto. 3. È nulla la clausola compromissoria inserita senza autorizzazione nel bando o nell'avviso con cui è indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito. La clausola è inserita previa autorizzazione motivata dell'organo di governo della amministrazione aggiudicatrice. 4. Il collegio arbitrale è composto da tre membri ed è nominato dalla Camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture di cui all'articolo 214. Ciascuna delle parti, nella domanda di arbitrato o nell'atto di resistenza alla domanda, designa l'arbitro di propria competenza. Il Presidente del collegio arbitrale è designato dalla Camera arbitrale tra i soggetti iscritti all'Albo di cui al comma 2 dell'articolo 214. Il Presidente e gli arbitri sono scelti tra soggetti di provata indipendenza ed esperienza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce. 5. La nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione avviene nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione, oltre che delle disposizioni del codice. 6. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 815 del codice di procedura civile, non possono essere nominati arbitri: a) i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari in servizio, i magistrati e i giudici tributari in servizio nonché gli avvocati e procuratori dello Stato in servizio; b) coloro che nell'ultimo anno hanno esercitato le funzioni di arbitro di parte, o nell'ultimo biennio quelle di difensore in giudizi arbitrali disciplinati dal presente articolo, salvo che l'esercizio della difesa costituisca adempimento di dovere d'ufficio del dipendente pubblico; c) coloro che, prima del collocamento a riposo, hanno trattato ricorsi in sede civile, penale, amministrativa, contabile, militare e tributaria proposti dal soggetto che ha richiesto l'arbitrato; d) coloro che hanno espresso parere, a qualunque titolo, nelle materie oggetto dell'arbitrato; e) coloro che hanno predisposto il progetto o il capitolato di gara o resi i relativi pareri; f) coloro che hanno diretto, sorvegliato o collaudato i lavori, i servizi o le forniture a cui si riferiscono le controversie; g) coloro che hanno partecipato a qualunque titolo alla procedura per la quale è in corso l'arbitrato. 7. La nomina del collegio arbitrale effettuata in violazione delle disposizioni di cui ai commi 4, 5 e 6 determina la nullità del lodo. 8. Per la nomina del collegio arbitrale, la domanda di arbitrato, l'atto di resistenza ed eventuali controdeduzioni sono trasmessi alla Camera arbitrale. Sono altresì trasmesse le designazioni di parte. Contestualmente alla nomina del Presidente, la Camera arbitrale comunica alle parti la misura e le modalità del deposito da effettuarsi in acconto del corrispettivo arbitrale. Il Presidente del collegio arbitrale nomina, se necessario, il segretario, anche scegliendolo tra il personale interno all'ANAC. 9. Le parti determinano la sede del collegio arbitrale; in mancanza di indicazione della sede del collegio arbitrale ovvero di accordo fra le parti, questa deve intendersi stabilita presso la sede della Camera arbitrale. 10. Ai giudizi arbitrali si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dal presente codice. In particolare, sono ammissibili tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, con esclusione del giuramento in tutte le sue forme. 11. I termini che gli arbitri hanno fissato alle parti per le loro allegazioni e istanze istruttorie sono considerati perentori solo se vi sia una previsione in tal senso nella convenzione di arbitrato o in un atto scritto separato o nel regolamento processuale che gli arbitri stessi si sono dati. 12. Il lodo si ha per pronunciato con l'ultima sottoscrizione e diviene efficace con il suo deposito presso la Camera arbitrale. Entro quindici giorni dalla pronuncia del lodo è corrisposta, a cura degli arbitri e a carico delle parti, una somma pari all'uno per mille del valore della relativa controversia. Detto importo è direttamente versato all'ANAC. 13. Il deposito del lodo presso la Camera arbitrale precede quello da effettuarsi presso la cancelleria del tribunale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 825 del codice di procedura civile. Il deposito del lodo presso la Camera arbitrale è effettuato, a cura del collegio arbitrale, in tanti originali quante sono le parti, oltre a uno per il fascicolo d'ufficio, oppure con modalità informatiche e telematiche determinate dall'ANAC. Su richiesta di parte il rispettivo originale è restituito, con attestazione dell'avvenuto deposito, ai fini degli adempimenti di cui all'articolo 825 del codice di procedura civile. 14. Il lodo è impugnabile, oltre che per motivi di nullità, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. L'impugnazione è proposta nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo e non è più proponibile dopo il decorso di centottanta giorni dalla data del deposito del lodo presso la Camera arbitrale. 15. Su istanza di parte la Corte d'appello può sospendere, con ordinanza, l'efficacia del lodo, se ricorrono gravi e fondati motivi. Si applica l'articolo 351 del codice di procedura civile. Quando sospende l'efficacia del lodo, o ne conferma la sospensione disposta dal Presidente, il collegio verifica se il giudizio è in condizione di essere definito. In tal caso, fatte precisare le conclusioni, ordina la discussione orale nella stessa udienza o camera di consiglio, ovvero in una udienza da tenersi entro novanta giorni dall'ordinanza di sospensione; all'udienza pronunzia sentenza a norma dell'articolo 281-sexies del codice di procedura civile. Se ritiene indispensabili incombenti istruttori, il collegio provvede su di essi con la stessa ordinanza di sospensione e ne ordina l'assunzione in una udienza successiva di non oltre novanta giorni; quindi provvede ai sensi dei periodi precedenti. La disciplina relativa ai compensi degli arbitri è disposta dall'allegato V.1. [In sede di prima applicazione del codice, l'allegato V.1 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio arbitrale di cui al comma 4 dell'articolo 214, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.]1 [1] Comma modificato dall'articolo 72, comma 2, lettera gg), del D.Lgs. 31 dicembre 2024, n. 209. InquadramentoL'istituto arbitrale trova applicazione nelle controversie, aventi ad oggetto diritti soggettivi, insorte nell'esecuzione di un contratto pubblico. Al fine di avviare il procedimento arbitrale occorre la proposizione della domanda di arbitrato, che rappresenta l'attuazione della clausola compromissoria, contenente la determinazione delle controversie che si intendono sottoporre al vaglio del collegio arbitrale. Nell'ipotesi in cui, prima del collaudo finale, sorga una controversia con riferimento all'iscrizione di riserve eccedenti gli importi contrattuali nella misura ex lege prevista, si configura l'obbligo di esperire l'accordo bonario, disciplinato dall'artt. 210–211 (ex art. 205) c.c.p. Il tentativo di accordo bonario rappresenta condizione di procedibilità della domanda di arbitrato, dal momento che è possibile avviare immediatamente la procedura arbitrale, senza attendere il collaudo finale, solo nel caso in cui l'accordo bonario non venga raggiunto. Il decreto correttivo (D. Lgs. 209/2024)L’art. 72, comma 2 del Decreto correttivo, ha soppresso l’art. 213, comma 15, ultimo periodo, in relazione all’emanando decreto in materia di compensi agli arbitri a decorrere dal quale l’Allegato V.1 sarebbe stato abrogato. L'arbitrato nel diritto dei contratti pubblici.Nel previgente testo del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), le disposizioni della legge n. 11/2016 e del d.lgs. n. 50/2016 identificavano nell'arbitrato amministrato dalla Camera arbitrale l'unico strumento alternativo alla giurisdizione ai fini della risoluzione delle controversie relative alla esecuzione dei contratti ricompresi nell'ambito di applicazione dell'art. 209 del codice come regola posta a presidio dei principi e dei criteri stabiliti in materia dal legislatore medesimo. La disciplina dettata dal precedente codice dei contratti pubblici nella materia dell'arbitrato era finalizzata ad accrescere gli strumenti pubblici di controllo e di garanzia necessari alla salvaguardia della imparzialità, della economicità, della integrità e del principio di responsabilità dei giudizi arbitrali per le controversie relative ai contratti pubblici. Ciò si è realizzato con l'eliminazione del doppio binario e la conclusione, pertanto, della stagione delle procedure di “arbitrato libero”, vale a dire al di fuori del perimetro della funzione di amministrazione intestata alla Camera arbitrale. La configurazione di una sola tipologia di arbitrato, quello “amministrato”, ha conferito alla Camera arbitrale la competenza in relazione alla nomina del collegio arbitrale, alla verifica delle cause di più stringente incompatibilità e inconferibilità, nonché dei requisiti per la nomina ad arbitro, oltreché la garanzia del rispetto dei limiti legislativi stabiliti per il compenso degli arbitri. La disciplina sull'amministrazione dell'arbitrato ha trovato applicazione in relazione anche alle controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici, per i quali i bandi o avvisi siano stati pubblicati prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016. La regolamentazione codicistica risultava, pertanto, direttamente applicabile a tutti i procedimenti arbitrali nella materia dei contratti pubblici che, sebbene rinvengano il loro fatto generatore nella vigenza della pregressa disciplina, risultano promossi successivamente alla emanazione del d.lgs. n. 50/2016. La disciplina dettata dall'art. 209 del d.lgs. n. 50/2016 risulta attualmente riproposta pedissequamente nell'art. 213 del nuovo codice, con alcune importanti novità. Il testo emerso dai lavori parlamentari in corso non ripropone più il divieto di compromesso di cui alla previgente disciplina. Il nuovo comma 2 introduce un significativo capovolgimento di prospettiva, poiché prevede che le parti abbiano la facoltà di compromettere la lite in arbitrato nel corso dell'esecuzione del contratto. Da ciò consegue che lo strumento dell'arbitrato non sarà subordinato solo ad una aprioristica valutazione di principio, compiuta dall'organo di governo dell'Ente nella fase antecedente la gara, attraverso l'inserimento della clausola compromissoria nel bando di gara ovvero nell'invito, per le procedure senza bando, ma si possa ricorrere all'arbitrato anche successivamente, in fase di esecuzione contrattuale, dopo una ponderata valutazione degli interessi coinvolti e delle circostanze del caso concreto. Il previgente art. 209 del d.lgs. n. 50/2016 andava letto in combinato disposto con l'art. 216 del medesimo decreto, al fine di desumere la disciplina applicabile alle clausole arbitrali contenute nei contratti anteriori all'entrata in vigore del codice del 2016. Emerge, in tal modo, un regime transitorio secondo il quale le procedure di arbitrato di cui all'art. 209 si applicavano anche alle controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici di cui al medesimo art. 209, comma 1, per i quali i bandi o avvisi siano stati pubblicati prima della data di entrata in vigore del presente codice. La giurisprudenza aveva valorizzato l'elemento ermeneutico testuale dell'art. 216, comma 22, d.lgs. n. 50/2016, nel quale si faceva un riferimento che sembra essere circoscritto alle sole norme procedurali contenute nell'art. 209 (“le procedure di arbitrato”, appunto) quali la composizione del Collegio (comma 4), la nomina degli arbitri (comma 5), l'incompatibilità (comma 6, etc.) e non anche a quelle sostanziali quali devono essere considerate quelle che disciplinano la volontà negoziale delle parti (in specie, per quanto attiene all'inserimento della clausola arbitrale e in particolare al comma 3). La norma processuale è infatti quella che disciplina i tempi e le modalità di svolgimento del procedimento giurisdizionale, non quella che precisa particolari forme o modalità necessarie ai fini della validità ed efficacia della norma contrattuale. Da ciò è conseguito che in base al principio tempus regit actum, va affermata la validità ed efficacia della clausola compromissoria, pur non previamente autorizzata dalla stazione appaltante, in forza della quale è stato avviato il giudizio arbitrale, radicando la competenza del Collegio arbitrale (R.L. n. 16/2020). Un istituto di diritto comune, posto a contatto con la pubblica amministrazione, viene trasformato. È quanto accaduto all'arbitrato, che è stato oggetto di numerosi interventi normativi, finalizzati al perseguimento dell'evidenza pubblica, anche nel momento dell'esecuzione negoziale, in ragione della rilevanza degli interessi economici e sociali sottostanti. L'arbitrato nel codice dei contratti pubblici appare “necessariamente” amministrato da apposita Camera arbitrale pubblica. L'amministrazione dell'arbitrato da parte della Camera arbitrale consente di assicurare un procedimento rapido, efficiente e trasparente, di ridurre al minimo i rischi derivanti dalle clausole arbitrali patologiche, di garantire la presenza di arbitri imparziali e professionalmente preparati, di abbassare i costi derivanti dalla procedura. Questa si traduce nell'attribuire alla Camera arbitrale la titolarità della nomina del presidente del collegio arbitrale, individuato obbligatoriamente a seguito di estrazione informatica nell'ambito degli iscritti all'apposito albo tenuto dalla Camera stessa e, previa designazione delle parti degli arbitri di rispettiva spettanza tra soggetti in possesso dei requisiti soggettivi indicati dall'art. 209, dell'intero collegio. Un ulteriore riflesso dell'amministrazione dell'arbitrato si rintraccia nella previsione dell'obbligo per le pubbliche amministrazioni, ai sensi del comma 5 dell'art. 209, di individuare il proprio arbitro nell'area della dirigenza pubblica, ovvero in mancanza, tra gli iscritti all'Albo degli Arbitri tenuto dalla Camera Arbitrale. Suddetta previsione risulta scomparsa dalla nuova formulazione dell'art. 213 che al comma 5, con riferimento all'arbitrato in cui è parte la pubblica amministrazione richiede che la nomina dell'arbitro rispetti i principi di rotazione e di pubblicità, non riproducendo la preferenza di elezione per un dirigente pubblico o, in subordine, per un soggetto iscritto all'Albo degli Arbitri. Secondo un consolidato orientamento della Camera arbitrale, l'art. 216 del d.lgs. n. 50/2016, comma 22, come già integrato dall'art. 128, comma 1, lett. f) del d.lgs. n. 56/2017 deve interpretarsi nel senso che agli arbitrati sulle controversie di cui all'art. 209, comma 1, introdotti successivamente alla entrata in vigore del codice stesso, anche se relativi a contratti stipulati antecedentemente, si applica esclusivamente la disciplina prevista dagli artt. 209 e 210. Sono da intendersi in ogni caso confermate le designazioni degli arbitri di parte eventualmente operate a quella data ancorché per collegi non ancora costituiti, purché gli arbitri designati siano nelle condizioni di poter dichiarare di non versare in alcuna delle situazioni di cui agli art. 209, comma 6, e 210, comma 10, al momento della nomina del collegio disposta dalla Camera arbitrale presso l'ANAC ai sensi dell'art. 209, comma 4. Per quanto riguarda i compensi del collegio arbitrale, le modalità anche parametriche di calcolo e l'importo massimo liquidabile, l'art. 241, comma 12, come successivamente modificato e integrato, del d.lgs. n. 163/2006, deve interpretarsi nel senso che le prescrizioni in esso contenute si applicano ai procedimenti arbitrali in materia di contratti pubblici comunque interamente sottoposti alla disciplina del previgente codice. La validità della clausola compromissoria. La devoluzione della controversia insorta in fase di esecuzione del contratto al Collegio arbitrale presuppone, quale condizione necessaria e sufficiente, che l'amministrazione aggiudicatrice disponga di apposita autorizzazione motivata dell'organo di governo per l'inserimento della clausola compromissoria nel bando o avviso di gara (o nell'invito a trattare), la cui mancanza è sanzionata con la nullità della clausola stessa ai sensi dell'art. 213, comma 3, del codice appalti. La Corte costituzionale, intervenuta più volte a valutare la legittimità costituzionale della disposizione che prevede l'obbligo dell'autorizzazione posto in capo alla pubblica amministrazione, ha respinto le eccezioni di legittimità costituzionale, dal momento che, le modalità secondo le quali l'amministrazione aggiudicatrice è chiamata a esercitare la sua competenza autorizzativa, pur comportando un qualche limite all'autonomia contrattuale, sono tali da non indurre uno squilibrio di facoltà processuali a suo favore, anche in considerazione del fatto che alla parte privata è riconosciuta la facoltà di ricusare dopo l'aggiudicazione la clausola compromissoria) e sono il frutto di una valutazione del legislatore, a fronte degli interessi tutelati, priva del carattere della manifesta irragionevolezza; né per altro verso lo spostamento del compito autorizzativo a favore dell'organo di vertice dell'amministrazione porta un vulnus al principio di separazione tra funzione di indirizzo e funzione di gestione a sua volta espressione dei principi di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione ex art. 97 Cost., involgendo la suddetta autorizzazione “valutazioni di carattere politico-amministrativo sulla natura e sul diverso rilievo degli interessi caso per caso potenzialmente coinvolti nelle controversie derivanti dall'esecuzione di tali contratti” (Corte cost., sent. 13 giugno 2018, n. 123 e ord. 29 marzo, n. 70). L'affidamento dell'autorizzazione alla amministrazione aggiudicatrice per la compromettibilità in arbitrato all'organo di governo della stessa è la conferma che il tema della “giustizia nell'amministrazione” (in senso lato) è tradizionalmente sviluppato nella storia del nostro ordinamento giuridico fino alle soglie della contemporaneità come questione a valenza politica, i cui tratti riemergono dunque anche oggi con mutate forme; per altro verso, la modesta incidenza di questo istituto sulla caduta dei numeri del ricorso all'arbitrato per le controversie relative all'esecuzione dei contratti pubblici di appalto e concessione, rilevata ormai nel corso di un numero non breve di anni, fa pensare che altre siano le ragioni della crisi dell'arbitrato almeno in questo settore del diritto delle amministrazioni pubbliche, e in particolare che il repentino cambiamento di indirizzo del legislatore nel breve volgere di poco più di un anno nella specifica materia (dal divieto di arbitrato stabilito dall'art. 3, comma 19, l. n. 244/2007, legge finanziaria per il 2008, peraltro poi rinviato e mai effettivamente entrato in vigore, alla previsione dell'arbitrato stesso come ordinario mezzo di risoluzione delle suddette controversie alternativo al giudizio civile ex art. 44, comma 3, lett. m), l. n. 88/2009), e comunque il susseguirsi in tempi raccorciati di molteplici normative a orientamento altalenante abbiano provocato una sorta di sconcerto sistemico che, nonostante i progressi dimostrati nell'ultimo periodo, ancora non è stato superato (Massera). Secondo un consolidato orientamento della Camera arbitrale, dalla data di entrata in vigore del codice dei contratti pubblici, il deferimento in arbitrato delle controversie relative a contratti conclusi antecedentemente alla entrata in vigore della l. n. 190/2012 deve intendersi comunque autorizzato, qualora esso sia conseguente a clausola compromissoria contenuta in contratto che sia stato approvato, con atto espresso e in conformità alle norme dell'ordinamento del soggetto pubblico, dall'organo di governo dello stesso, ovvero nel caso in cui sia intervenuta designazione dall'organo di governo dell'arbitro di parte. Il ruolo della Camera arbitrale istituita presso l'ANAC.L'art. 1, comma 1, lett. aaa) della l. 28 gennaio 2016, n. 11/2016, individua quali principi e criteri direttivi per la disciplina legislativa dell'arbitrato in materia di contratti pubblici, la trasparenza, la celerità e l'economicità. Nella materia dell'arbitrato sulle controversie relative all'esecuzione di contratti pubblici di appalto e concessione, vige la regola assoluta della necessaria unicità nell'ordinamento giuridico nazionale del procedimento amministrato dalla Camera arbitrale costituita presso l'Autorità Nazionale Anticorruzione, cui corrisponde altresì il radicamento in capo a parti e arbitri di ogni controversia ricompresa nell'ambito di applicazione dell'art. 213 c.c.p. del dovere di concorrere ad assicurare la rilevata esclusività del procedimento amministrato. La Camera arbitrale istituita presso L'ANAC è composta dal Presidente e dal Consiglio. Quest'ultimo è composto da cinque membri, individuati tra soggetti dotati di particolare competenza nella materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e di requisiti di onorabilità tali da garantire l'indipendenza e l'autonomia dell'istituto. In particolare, il Consiglio arbitrale adotta disposizioni, anche generali, relative all'interpretazione o dirette all'applicazione delle norme rilevanti per l'esercizio delle funzioni assegnate dagli artt. 213 e 214 del nuovo codice appalti. Da ultimo, ai sensi dell'art. 3, comma 2 del Regolamento sulla organizzazione sul funzionamento della Camera arbitrale, pubblicato in G.U., la Camera arbitrale ha adottato la Raccolta, in cui sono state unificate e coordinate le disposizioni anche di ordine generale adottate per l'amministrazione degli arbitrati. La Camera arbitrale ha, inoltre, formulato modelli di clausole-tipo da offrire agli utenti pubblici e privati per la risoluzione alternativa delle controversie relative all'esecuzione dei contratti pubblici. La formulazione di tali modelli è tesa ad evitare clausole ambigue, contraddittorie o, comunque, di difficile interpretazione, quali a volte si riscontrano nella prassi dei contratti pubblici e, quindi, agevolare una spedita attuazione di tali sistemi di risoluzione alternative delle controversie. Risulta, infatti, in linea con la prassi comune delle istituzioni arbitrali italiane e straniere, che amministrano arbitrati, quella di offrire modelli del genere agli utenti, modelli che, pur nella loro semplicità, valgano ad evitare il rischio che l'inizio della procedura arbitrale sia ritardato, o addirittura reso impossibile, da formulazioni equivoche o contraddittorie delle clausole in questione. La Camera arbitrale, alla stregua del previgente codice, ha sollevato dubbi interpretativi sulla disciplina applicabile nella composizione del collegio arbitrale ai sensi artt. 209 ss. (art. 213 ss. nuovo codice contratti pubblici), nell'ipotesi in cui una delle parti non designi l'arbitro di propria competenza. In tal caso si può prospettare un possibile contrasto tra le disposizioni del codice dei contratti pubblici e quelle del codice di procedura civile. L'ANAC aveva evidenziato che l'art. 209 d.lgs. n. 50/2016 non contempla l'ipotesi in cui le parti non procedano a tale designazione; la disciplina applicabile dovrebbe quindi rinvenirsi nelle disposizioni del codice di procedura civile, al quale il comma 10 dell'art. 209 rimanda per gli aspetti del procedimento arbitrale non disciplinati dal codice dei contratti. Al riguardo, l'art. 810 c.p.c., rubricato “nomina degli arbitri”, dispone che quando la nomina degli arbitri spetta alle parti e una di queste rimane inerte nella nomina del proprio arbitro, a seguito dell'invito ricevuto dall'altra parte che già vi ha provveduto, la parte più diligente può chiedere che la nomina sia fatta dal Presidente del tribunale del luogo in cui è stata stipulata la convenzione di arbitrato. A seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, in continuità con la prassi formatasi nel vigore del precedente regime, la Camera arbitrale ha segnalato che il giudice ordinario ha esercitato il potere sostitutivo di cui all'art. 810 c.p.c. per provvedere alla designazione dell'arbitro di parte, poi formalmente investito della nomina con atto della Camera arbitrale. Questo orientamento, tuttavia, è stato disatteso dal Presidente del Tribunale che, investito della domanda di designazione sostitutiva dell'arbitro di parte ai sensi dell'art. 810 c.p.c., ha respinto l'istanza motivando che, con l'accoglimento della stessa, il giudice «verrebbe chiamato ad operare un intervento giurisdizionale non tipizzato, seppur di natura non contenziosa, di mera designazione con nomina rimessa alla Camera arbitrale». In assenza di un'espressa attribuzione legislativa di tale competenza (il comma 4 dell'art. 209 dispone solo con riguardo alla designazione del presidente del collegio arbitrale e non anche nei riguardi degli altri arbitri, seppur in funzione sostitutiva delle parti) la Camera arbitrale ha ritenuto di non poter provvedere alla designazione sostitutiva e, quindi, alla successiva nomina del collegio arbitrale, tenuto anche conto che, ai sensi del comma 7 dell'art. 209, la violazione delle disposizioni previste dal codice dei contratti pubblici per la nomina del collegio arbitrale avrebbe comportato la nullità del lodo eventualmente pronunciato. Rilevato il contrasto di posizioni, sono stati rimessi al Consiglio di Stato i seguenti quesiti: a) se effettivamente vi è una lacuna legislativa in ordine alla previsione dell'organo a cui spetta il potere di designazione sostitutiva nel caso dei procedimenti arbitrali relativi ai contratti pubblici; b) se in via interpretativa, invece, l'arbitro di parte, trattandosi di c.d. arbitrato amministrato, possa essere nominato dalla Camera arbitrale e non dal Presidente del tribunale; in tal caso viene altresì domandato di individuare le modalità “atte a garantire la posizione istituzionale di terzietà della Camera arbitrale”, oppure se, in caso contrario, permanendo il potere di nomina (rectius designazione) da parte del Presidente del tribunale ai sensi dell'art. 810 c.p.c., come vada coordinato tale potere di nomina con quello della Camera arbitrale di verifica del possesso, da parte dell'arbitro designato dal Presidente del tribunale, dei requisiti soggettivi e della insussistenza negli stessi delle condizioni di inconferibilità, dal momento che né l'art. 209, né il successivo art. 210, disciplinano l'ipotesi in cui la parte, cui spetta la nomina dell'arbitro di parte, non vi provveda. Per risolvere la questione, sono possibili due diverse soluzioni basate su distinti approcci interpretativi delle norme citate; infatti, alcuni tribunali – in considerazione del rinvio generico e residuale contenuto nell'art. 209, comma 10, del codice degli appalti al codice di procedura civile – ritengono di poter effettuare, in via sostitutiva, la nomina (rectius designazione) dell'arbitro di parte; mentre altri uffici giudiziari hanno ritenuto che il Presidente del tribunale non possa nominare (rectius designare) l'arbitro di parte, anche in considerazione del fatto che le disposizioni in questione prevedono poteri di controllo da parte della Camera arbitrale – cui spetta il potere di nomina di tutti gli arbitri – sull'esistenza dei requisiti soggettivi e sull'assenza di cause di incompatibilità. Il Consiglio di Stato, in sede consultiva, investito della questione sulla disciplina applicabile per la composizione del collegio arbitrale ex art. 209 del d.lgs. n. 50/2016 e, in particolare, sulla modalità di nomina dell'arbitro di parte, nel caso in cui la parte stessa non abbia provveduto, acquisito il parere del Ministero della Giustizia e del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi delle Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha ritenuto che il rinvio esplicito al codice di procedura civile, contenuto nel comma 10 dell'art. 209, escluda che tecnicamente vi sia una lacuna normativa, inoltre la Sezione conferma che il Presidente del tribunale sia il soggetto istituzionale deputato alla nomina dell'arbitro di parte nel caso di inerzia della parte stessa, fermo restando, in un'ottica di leale collaborazione dei rapporti tra Presidente del Tribunale e Camera arbitrale, la designazione da parte del Presidente del tribunale deve essere effettuata tra coloro che possiedono i requisiti soggettivi richiesti dal codice appalti. La Sezione consultiva del Consiglio di Stato ha messo, inoltre, in evidenza che poiché la designazione è atto di volontaria giurisdizione, non rappresenta un provvedimento giurisdizionale, da ciò consegue la possibilità per la Camera arbitrale di interloquire qualora dovesse ritenere esistenti “imperfezioni” nell'atto di nomina. Il quadro normativo così interpretato in via sistematica appare parzialmente semplificato alla luce della nuova formulazione dell'art. 213 del nuovo codice appalti. Il comma 5 non riproduce pedissequamente il comma 5 dell'art. 209, pertanto, non è riproposta la distinzione tra arbitrati in cui sono parti due pubbliche amministrazioni e arbitrati sorti tra una pubblica amministrazione ed un privato. Nel primo caso, la norma richiedeva che gli arbitri dovessero essere individuati tra i dirigenti pubblici, nel secondo caso, era presente un favor per i dirigenti pubblici, ma in presenza di un atto motivato della pubblica amministrazione, per la designazione dell'arbitro di parte pubblica, si attingeva all'Albo degli Arbitri tenuto dalla Camera arbitrale. La mancata riproposizione di tale disposizione comporta che la pubblica amministrazione nell'individuazione dell'arbitro di sua competenza sia tenuta al rispetto dei principi di rotazione e di pubblicità, non è, pertanto, più sottoposta al vincolo di individuare un soggetto iscritto all'Albo degli Arbitri. Da ciò consegue un alleggerimento della posizione delle amministrazioni parti di un giudizio arbitrale, con una inevitabile riduzione del ricorso allo strumento dell'art. 810 c.p.c. Risulta, infatti, confermata la previsione che in caso di inerzia della designazione dell'arbitro di propria competenza, l'altra parte possa attivare il ricorso previsto dall'art. 810 c.p.c., ai sensi del quale la designazione sostitutiva spetta al Presidente del tribunale del luogo in cui è stata sottoscritta la clausola compromissoria. Entrambe le parti dell'arbitrato amministrato ai sensi dell'art. 213 sono tenute al rispetto della previsione dettata dal comma 6, ai sensi della quale non possono essere nominati arbitri i magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari, in servizio, né gli avvocati e procuratori dello stato in servizio. Si tratta di una disposizione dagli effetti innovativi dirompenti, dal momento che il previgente comma 6 dell'art. 209, conteneva una preclusione assoluta per la categoria dei magistrati, senza operare una distinzione tra coloro che fossero in servizio e a riposo. La nuova formulazione del comma 6 dell'art. 213 conferma la preclusione per i magistrati/avvocati e procuratori dello Stato in servizio, mentre al contrario, riconosce che possano essere designati quali arbitri i magistrati/avvocati e procuratori a riposo. Ulteriore novella normativa è quella rintracciabile nella lett. b ) del comma 6, in precedenza era previsto che non potessero svolgere la funzione arbitrale coloro che nell'ultimo triennio fossero stati arbitri o difensori di parte. Il nuovo codice diversifica le due posizioni, prevedendo che non possano essere arbitri coloro che nell'ultimo anno abbiano ricoperto il ruolo di arbitro e nell'ultimo biennio quello di difensore. La portata di queste novità, che si aggiungono al superamento del divieto del compromesso, appare molto significativa, poiché favorirà la devoluzione delle controversie sorte nella fase di esecuzione di un contratto stipulato con la pubblica amministrazione, a collegi arbitrali costituiti da soggetti più tecnicamente preparati, alleggerendo così il ruolo saturo dell'autorità giudiziaria. 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