La vendita di un terreno inquinato è soggetta alla garanzia per vizi?

06 Novembre 2023

La Corte di Cassazione affronta il tema di quali siano le azioni a tutela dell'acquirente e quando possano essere attivate nel caso in cui il terreno oggetto di compravendita risulti inquinato tanto da far scattare la normativa del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006).

Massima

In caso di vendita immobiliare, la condizione di inquinamento ambientale del terreno alienato non costituisce vizio redibitorio, e resta perciò esclusa la garanzia legale di cui all'art. 1490 e s. c.c. (e così l'azione risarcitoria ex art. 1494 c.c.), non venendo propriamente in rilievo una imperfezione attinente al processo formativo del bene. Per contro, sarà applicabile la disciplina prevista dall'art. 1489 c.c. per l'ipotesi in cui la cosa venduta sia gravata da oneri, ma soltanto a seguito dell'adozione del provvedimento amministrativo che disponga gli interventi di bonifica, derivandone a carico del fondo l'onere reale ex art. 253 D.Lgs. 152/2006 - in virtù del quale il proprietario sopporta i costi di bonifica, nei limiti del valore del bene.

Il caso

La società acquirente di un complesso immobiliare industriale, costituito da un terreno con fabbricati, conveniva in giudizio la venditrice, avendo scoperto, dopo pochi mesi dalla vendita, che il terreno era contaminato da idrocarburi.

Chiedeva quindi al Tribunale di accertare l'obbligo, in capo alla convenuta, di eseguire i necessari interventi di bonifica e messa in sicurezza, e di condannare la stessa venditrice al risarcimento del danno.

In accoglimento della domanda risarcitoria, il giudice di primo grado condannava la convenuta (fallita nelle more, con prosecuzione del giudizio da parte della curatela) a pagare all'acquirente la somma di oltre un milione di Euro.

Pronunciandosi sull'impugnazione proposta dal fallimento, la Corte d'appello confermava la sentenza del Tribunale, ritenendo - per quanto qui rileva - che alla concreta fattispecie fosse applicabile la disciplina dei vizi della cosa venduta, ravvisando nella contaminazione del terreno un vizio occulto.

Il fallimento della società venditrice, soccombente nei gradi di merito, ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando tra l'altro la violazione dell'art. 1489 e s. c.c., osservando che al momento della vendita non era stato adottato alcun atto amministrativo che imponesse la bonifica.

La questione

La questione giuridica in esame è così riassumibile:

  • l'inquinamento ambientale di un terreno oggetto di vendita è qualificabile come vizio redibitorio e dà ingresso alla garanzia legale, e così al rimedio risarcitorio ai sensi dell'art. 1494 c.c.?

ovvero

  • è unicamente applicabile - e a quali condizioni ed effetti - la disciplina di cui all'art. 1489 c.c., riferita alla diversa ipotesi in cui la cosa venduta sia gravata da oneri o diritti reali (nella specie, tenuto conto dell'onere reale a garanzia delle spese di bonifica, previsto dall'art. 253 D.Lgs. 152/2006)?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha cassato il provvedimento impugnato, ritenendo che il giudice d'appello fosse incorso nella falsa applicazione degli artt. 1490 e 1494 c.c., per avere erroneamente ricondotto la concreta fattispecie alla disciplina della garanzia per vizi.

L'iter motivazionale della pronuncia si snoda attorno a due questioni, tra loro connesse:

(a) la considerazione, quale dato strettamente fenomenico, dello stato di inquinamento ambientale, e l'esclusione del suo inquadramento in termini di vizio della cosa, secondo la nozione normativa;

(b) i presupposti di applicabilità dell'art. 1489 c.c., in relazione alla fattispecie costitutiva dell'onere reale contemplato dal cd. codice dell'ambiente a garanzia dei costi di bonifica - onere gravante sull'immobile contaminato e che, pertanto, riguarda anche l'acquirente cui non sia imputabile l'inquinamento.

La Corte ha preso le mosse dai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di vizi redibitori, ravvisabili laddove la cosa “presenti imperfezioni attinenti al processo di formazione, fabbricazione o produzione […] ovvero difetti di qualità essenziali per l'uso cui è destinata”.

Per conseguenza, restano fuori dal perimetro della garanzia per vizi quei fenomeni che non rientrano nella fase di realizzazione del bene, “e che su quest'ultimo vengono ad incidere in un momento successivo”; trattasi di profili riconducibili, al più, all'ipotesi di mancanza di qualità promesse ai sensi dell'art. 1497 c.c., ove se ne diano i presupposti.

In questo senso, ad avviso della Corte la condizione di inquinamento ambientale del terreno non costituirebbe propriamente vizio della cosa venduta, integrando piuttosto un “fattore sopravvenuto che non incide sul formarsi in sé del bene bensì su caratteristiche che vengono a porsi in rapporto con le finalità di utilizzo del bene medesimo”.

Su questo presupposto, ai fini del corretto inquadramento della fattispecie, la Corte ha richiamato il quadro normativo - di matrice pubblicistica - in materia di inquinamento ambientale, come delineato dall'art. 253 D.Lgs. 152/2006. Quel che ne risulta è la netta distinzione tra:

  1. la responsabilità per le condotte di inquinamento ambientale, direttamente imputabile all'autore di tali condotte, in virtù del principio “chi inquina paga”, di ascendenza unionale (cfr. Cass. SU 1 febbraio 2023 n.  3077); in questo senso, il soggetto cd. inquinatore è obbligato alla bonifica del sito contaminato, sopportandone i relativi costi;
  2. la peculiare garanzia prevista per il caso in cui il responsabile resti ignoto, oppure ometta di provvedere alle operazioni di bonifica, che siano quindi realizzate d'ufficio e in sua vece dalle autorità competenti.

Tale garanzia è configurata quale onere reale, gravante sul fondo, con privilegio speciale immobiliare, e vale ad assicurare - sempre nei limiti del valore di mercato del sito, determinato successivamente alla bonifica - il rimborso delle spese per gli interventi effettuati (cfr. sempre Cass. SU 1 febbraio 2023 n.  3077).

Come tale, l'onere reale (di cui al n. 2. del precedente elenco) in cui si sostanzia la garanzia riguarda anche il successivo acquirente dell'immobile contaminato, benché del tutto estraneo alla condotta inquinatoria, e quindi esente dalla responsabilità diretta (di cui al n. 1. del precedente elenco).

Colui che acquista la titolarità del fondo, gravato dell'onere, viene cioè a rispondere dei costi di bonifica e ripristino ambientale - sempre nei limiti del valore di mercato del sito -, ma soltanto in presenza di un provvedimento emanato dall'autorità, che disponga tali interventi a seguito dell'approvazione del progetto di bonifica (cfr. sul punto anche Cass. SU 16 settembre 2021 n. 25039 e Cass. 28 dicembre 2017 n. 31005).

Quest'ultima precisazione assume un rilievo significativo, per cogliere appieno la ratio decidendi adottata dalla Corte con la pronuncia in commento.

L'onere reale in discorso (cui è soggetto di riflesso il titolare del fondo, atteso che egli risponde patrimonialmente, con quel bene, dei costi di bonifica) non sorge invero, ipso facto, “per la mera condizione di inquinamento del terreno”, richiedendo piuttosto l'adozione del provvedimento amministrativo, che prescriva gli interventi necessari (cfr. Cass. 28 dicembre 2017 n. 31005). In termini formali, l'emissione del provvedimento è elemento della fattispecie costitutiva dell'onere reale ex art. 253 D.Lgs. 152/2006; in mancanza, quest'ultimo non può dirsi neppure sorto, e non grava quindi il fondo contaminato.

Sulla scorta di quanto precede, la pronuncia in commento ha concluso che:

  1. la condizione di inquinamento ambientale del terreno oggetto di vendita può dar luogo all'applicazione dell'art. 1489 c.c. (per cui “se la cosa […] è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e non sono stati dichiarati nel contratto, il compratore che non ne abbia avuto conoscenza può domandare la risoluzione del contratto oppure una riduzione del prezzo”);
  2. agli effetti dell'art. 1489 c.c. non rileva la condizione di inquinamento tout-court, bensì l'effettiva, giuridica esistenza dell'onere reale, necessariamente legata all'adozione del provvedimento autoritativo;
  3. per contro, la contaminazione del terreno non costituisce vizio redibitorio soggetto alla garanzia codicistica, stante la divergenza tra la fattispecie ex art. 1490 e s. c.c. e quella “forma di responsabilità patrimoniale assistita da un privilegio speciale”, inscrivibile nel perimetro dell'art. 1489 c.c.
  4. non trovando applicazione la disciplina della garanzia per vizi -e così neppure l'azione risarcitoria di cui all'art. 1494 c.c.- è da escludersi che l'acquirente, “non ancora attinto dal provvedimento amministrativo che dispone la bonifica del terreno, possa agire direttamente nei confronti del […] responsabile dell'inquinamento allo scopo di conseguire, sotto forma di risarcimento del danno, l'integralità delle spese di bonifica”.

Osservazioni

Il percorso argomentativo della sentenza in commento appare senz'altro lineare, laddove ha ricondotto alla disciplina della “cosa gravata da oneri” la concreta fattispecie della vendita del terreno contaminato.

A fronte del peculiare modo di costituzione dell'onere reale che viene a gravare sul fondo, la Corte (sulla scia di Cass. 28 dicembre 2017 n. 31005) ha chiarito che il necessario presupposto logico-giuridico, affinché l'acquirente possa accedere alla tutela ai sensi dell'art. 1489 c.c., è l'emissione del provvedimento della pubblica autorità che prescriva la bonifica; prima di tale momento, non essendo ancora giuridicamente tenuto a sopportarne i costi, il compratore non avrà azione nei confronti del suo dante causa.

Le condizioni di operatività dei rimedi di cui all'art. 1489 c.c. non danno quindi luogo a equivoci di sorta.

Peraltro, in ordine all'esatta consistenza dell'onere reale di cui si tratta (in particolare per quanto attiene al contenuto della prestazione cui è soggetto il titolare del bene contaminato), meritano di essere richiamate le precisazioni svolte dalle Sezioni Unite (Cass. SU 1 febbraio 2023 n. 3077). Tale pronuncia, in conformità a Cons. Stato 25 settembre 2013 n. 21 (Adunanza plenaria), Cons. Stato 5 ottobre 2016 n. 4099 e Cons. Stato 5 ottobre 2016 n. 4119, ha evidenziato che “il Ministero non può imporre al proprietario di un'area contaminata (non responsabile dell'inquinamento) l'obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza (m.i.s.e.) e di bonifica, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto previsto dall'art. 253 cod. amb. in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'autorità competente nei limiti del valore di mercato del sito determinato dopo l'esecuzione)”. In questa prospettiva, al proprietario incolpevole è lasciata la mera “facoltà di eseguire volontariamente gli interventi di bonifica (art. 245 c. 1 cod. amb.) al fine di limitare le conseguenze patrimoniali che derivano dall'imposizione degli oneri reali sul bene immobile contaminato”. Per tali ragioni (sempre secondo Cass. SU 1 febbraio 2023 n. 3077) in virtù dell'onere reale gravante sul fondo, il proprietario è soggetto a una obbligazione di solvere (avente cioè ad oggetto i costi della bonifica) più che di facere (non essendo tenuto ad eseguire gli interventi).

D'altro canto, come si è visto, la Corte ha fermamente escluso che lo stato di inquinamento ambientale possa integrare un vizio redibitorio, e dare così ingresso alla garanzia di cui all'art. 1490 s. c.c.; ciò in quanto non verrebbe oggettivamente in rilievo una imperfezione del bene, riconducibile al suo processo di formazione, bensì soltanto il risultato di una successiva condotta inquinatoria.

Anche tale assunto appare condivisibile, nel suo rigore argomentativo. Meno persuasiva sembra però una esclusione tout-court della possibilità di invocare, se del caso, la disciplina di cui all'art. 1497 c.c., per la mancanza di qualità essenziali all'uso cui è destinata la cosa venduta (e non solo di quelle specificamente “promesse”).

Si pensi, ad esempio, al caso della vendita di un terreno adibito a coltura, il cui fisiologico utilizzo sia certamente precluso dalla situazione di contaminazione, già presente (anche se non agevolmente riconoscibile) al tempo della vendita. In una simile ipotesi, anche avuto riguardo all'obiettivo interesse dell'acquirente, e nella misura in cui ciò si riverbera sulla stessa causa negoziale, sembra difficile sostenere che lo stato di inquinamento non si risolva nella mancanza di qualità essenziali (in casi di particolare gravità, arrivando anche a lambire la contigua fattispecie dell'aliud pro alio), secondo i principi elaborati dalla stessa giurisprudenza di legittimità (v. tra le tante Cass. 16 dicembre 2019 n. 33149)

Un'ultima considerazione va svolta con riguardo alla tutela risarcitoria invocabile dall'acquirente del sito contaminato.

Con la sentenza in commento, la Corte ha coerentemente negato l'operatività dell'art. 1494 c.c., cioè l'azione di risarcimento del danno, specificamente prevista per l'ipotesi di vizi della cosa venduta.

È però da chiedersi se, qualora il compratore possa giovarsi dei rimedi di cui all'art. 1489 c.c. (cioè la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo), risulti al contempo esperibile anche una domanda risarcitoria. La risposta è sicuramente affermativa: per consolidato orientamento di legittimità, infatti, “nell'ipotesi di vendita di cosa gravata da diritti o da oneri ai sensi dell'art. 1489 c.c., l'acquirente ha diritto, oltre alla risoluzione del contratto o alla riduzione del prezzo, secondo quanto stabilito dall'art. 1480 c.c., anche al risarcimento del danno, fondato sulle norme generali degli artt. 1218 e 1223 c.c., in base al richiamo di quest'ultima disposizione da parte dell'art. 1479 c.c., a sua volta richiamato dall'art. 1480 c.c., cui rinvia ancora il citato art. 1489 c.c.” (Cass. 28 dicembre 2011 n. 29367, con richiamo a Cass. 28 febbraio 2007 n. 4786 e Cass. 15 novembre 2002 n. 16053).

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