Responsabilità del liquidatore di s.r.l. per ammanchi di cassa: la natura contrattuale e l’onere della prova
13 Novembre 2023
Massima La responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché la società stessa (o il curatore, nel caso in cui l'azione sia proposta ex art. 146 l. fall.) è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori provare, con riferimento agli addebiti contestatigli, l'osservanza dei predetti doveri. In conseguenza, a fronte di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite, senza apparente giustificazione, dall'attivo della società, questa, nell'agire per il risarcimento del danno nei confronti dell'amministratore, può limitarsi ad allegare l'inadempimento, consistente nella distrazione o dispersione delle dette risorse, mentre compete allo stesso amministratore la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali in questione all'estinzione di debiti sociali o il loro impiego per lo svolgimento dell'attività sociale, in conformità della disciplina normativa e statutaria. Il caso Il Tribunale di Napoli aveva pronunciato ordinanza ex art. 186 quater c.p.c. riconoscendo la responsabilità del liquidatore di una società a responsabilità limitata per aver distratto a suo favore la somma di euro 38.794,41 a titolo di compensi nonostante la società fosse da tempo inattiva, per aver impiegato euro 39.223,00 per la copertura di costi fittizi, per aver destinato euro 31.246,80 al rimborso delle anticipazioni eseguite in favore dei soci in assenza di alcuna documentazione giustificativa; il tribunale condannava il liquidatore al risarcimento del danno pari al totale complessivo delle somme distratte ovvero pari ad euro 109.267,21, oltre rivalutazione e interessi. La Corte di Appello accoglieva in parte l'impugnazione proposta dal liquidatore e riduceva l'entità del risarcimento del danno, riconoscendogli il compenso per l'attività svolta. Tale sentenza veniva quindi impugnata per Cassazione per alcuni motivi di rito, che non sono oggetto del presente contributo, e per violazione delle norme aventi ad oggetto l'onere della prova in materia di responsabilità del liquidatore. In estrema sintesi il liquidatore deduce che i fatti contestati non erano in se illegittimi, in quanto sia il pagamento delle obbligazioni sociali che il rimborso delle anticipazioni eseguite dai soci costituivano atti doverosi. I giudici di legittimità hanno tuttavia rigettato il ricorso: ritenendo contrattuale la natura della responsabilità degli amministratori e quindi anche del liquidatore di società a responsabilità limitata, hanno concluso sostenendo che era onere del convenuto liquidatore provare l'osservanza dei propri doveri in relazione ai fatti contestati, onere della prova non assolto nel caso di specie in quanto il liquidatore non aveva dimostrato la destinazione delle disponibilità di cassa al soddisfacimento delle esigenze da lui indicate; inoltre i giudici hanno fondato la loro decisione sull'accertamento di precise anomalie nella gestione sociale e, in generale, sul comportamento del liquidatore, che hanno condotto a ritenere che le passività da lui indicate fossero insussistenti. Le questioni giuridiche e le soluzioni La Suprema Corte, dopo essersi occupata di alcune questioni processuali di rito che non saranno oggetto della presente disamina, affronta la questione riguardante l'accertamento della responsabilità del liquidatore di una società a responsabilità limitata, al quale sono stati addebitati ammanchi nella cassa della società, per i quali in primo e secondo grado è stato condannato al risarcimento dei danni subiti dalla società. Il liquidatore sosteneva che i fatti contestati non erano illegittimi, ma atti doverosi cui non si poteva sottrarre, e riteneva che l'approvazione del bilancio dell'esercizio influisse sull'onere della prova a suo carico circa la legittimità dei pagamenti effettuati. Quanto a questo ultimo aspetto i giudici di legittimità richiamando correttamente il dettato testuale l'art. 2476, ultimo comma, c.c. ai sensi del quale “l'approvazione del bilancio da parte dei soci non implica la liberazione degli amministratori e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale”. Quanto invece alla responsabilità degli amministratori per la gestione sociale e quindi per i danni cagionati alla società, la Suprema Corte – richiamando e ricalcando il solco della consolidata giurisprudenza di legittimità a riguardo – ha ritenuto che la responsabilità degli amministratori sociali per i danni alla società amministrata ha natura contrattuale, con le ovvie conseguenze in tema di riparto dell'onere della prova: all'attore spetterà (i) allegare le violazioni compiute dagli amministratori – dal liquidatore nel caso de quo – ai loro doveri, (ii) provare il danno subito dalla società e (iii) il nesso di causalità tra la violazione e il danno; al convenuto spetta provare l'osservanza dei propri doveri in relazione agli addebiti contestati. Tuttavia alla affermazione di tale principio ormai consolidato non ne è seguita una completa applicazione al caso di specie: i giudici di legittimità sostengono che a fronte di disponibilità patrimoniali fuoriuscite dalle casse della società senza apparente giustificazione, l'attore può limitarsi ad allegare l'inadempimento consistente nella distrazione o dispersione delle risorse, mentre compete all'amministratore (il liquidatore nel caso di specie) la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle suddette risorse all'estinzione di debiti sociali o nel loro impiego per lo svolgimento dell'attività sociale. Nessun riferimento, tuttavia, viene dai giudici espressamente fatto all'onere della prova circa il danno subito dalla società e il nesso di causalità tra questo e la condotta contestata. La Corte richiama a tale riguardo due propri precedenti (Cass. n. 16952/2016; Cass. n. 12567/2021), evidenziando che in tali casi, muovendo dalla natura contrattuale della responsabilità dell'amministratore, era stato stabilito che la società richiedente il risarcimento del danno deve dedurre gli inadempimenti dell'amministratore (quanto alle giacenze di magazzino in un caso, quanto alla distrazione di importi per il pagamento del proprio compenso e alla distribuzione di utili ai soci nell'altro caso), mentre l'amministratore deve fornire la prova del proprio adempimento nell'utilizzo delle risorse (l'utilizzazione delle merci nell'esercizio dell'attività di impresa nel primo caso, la destinazione effettiva delle somme alle esigenze da lui indicate nel secondo caso) distratte per l'attività di impresa. I giudici concludono quindi positivamente circa la responsabilità del liquidatore, nel caso di specie, non avendo egli dato prova della destinazione delle risorse di cassa al soddisfacimento delle esigenze da lui stesso indicate ed essendo state individuate anomalie nella gestione sociale tenuta dall'amministratore (rectius liquidatore) che hanno condotto la Corte di Appello a ritenere, sulla base di presunzioni, che le passività indicate dal liquidatore fossero insussistenti. Osservazioni Responsabilità dei liquidatori verso la società: natura contrattuale Nel caso di specie si controverte della responsabilità del liquidatore di una società a responsabilità limitata per ammanchi di cassa. L'azione di responsabilità è stata proposta da un socio della società. In primo luogo giova premettere che la responsabilità dei liquidatori di società di capitale per l'inosservanza dei loro doveri, consistenti essenzialmente nel compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società con diligenza e professionalità, è disciplinata secondo le norme in tema di responsabilità degli amministratori, in forza del rinvio espresso operato dall'art. 2489, comma 2, c.c.. In forza di tale rinvio, quindi, al liquidatore della s.r.l. si applica l'art. 2476 c.c.: il liquidatore gestisce il patrimonio della società nell'ottica degli obiettivi della liquidazione, consistenti nella massimizzazione della realizzazione del patrimonio sociale nel più breve tempo possibile, e risponde dei danni cagionati alla società dall'inosservanza di tali doveri. L'azione di responsabilità può essere promossa dal singolo socio: la sua legittimazione è da inquadrare proprio nella matrice contrattualistica della fattispecie, anche in considerazione della più stretta partecipazione dei soci all'affare sociale anche in virtù del fatto che ciascun socio ha il diritto di ottenere notizie dagli amministratori in merito allo svolgimento degli affari sociali e ispezionare i libri sociali ed i documenti inerenti l'amministrazione della società (in tal senso Teti, La responsabilità degli amministratori di s.r.l., in Abbadessa, Portale, Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006., 646). Il socio – secondo la dottrina (Rossi, La revoca cautelare degli amministratori nella nuova società a responsabilità limitata: spunti per una ricerca, in Riv. dott. Comm., 2007, 97 ss.; Dalmotto, Il nuovo diritto societario, in Commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, II, 1, Bologna, 2004, 790 ss.; Oppo, L'azione «sociale» di responsabilità promossa dalla minoranza nelle società quotate, in Riv. dir. civ., 1998, II, 408 ss.; Amato, La riforma del diritto societario, a cura di Lo Cascio, VIII, Milano, 2003, 205 ss.) e la giurisprudenza (Cass., 26 maggio 2016, n. 10936; Tribunale Catania, 14 ottobre 2004; Tribunale Napoli, 20 ottobre 2005; Tribunale Verona, 1 settembre 2004) – è da ritenere un sostituto processuale della società: a tale riguardo si consideri che del provento dell'azione giova il patrimonio sociale, che l'azione intentata dal singolo socio può essere rinunciata o transata dalla sola società ai sensi dell'art 2476, comma 5, c.c. e che il socio ha diritto di ottenere dalla società il rimborso delle spese legali sostenute per il giudizio e per l'accertamento dei fatti. È ormai pacificamente riconosciuto in dottrina e in giurisprudenza che, sia nel caso di società per azioni che nel caso di società a responsabilità limitata, la responsabilità degli amministratori verso la società ha natura contrattuale, per colpa (cfr. ex multis Bonelli, Gli obblighi e la responsabilità degli amministratori, in Trattato delle Società per Azioni , diretto da Colombo – Portale, Torino, 1991, 323 ss.). Si tratta infatti di una responsabilità che deriva da un inadempimento contrattuale, in quanto il rapporto di amministrazione che lega la società e gli amministratori è un contratto riconducibile allo schema del mandato secondo la tradizione più risalente: la violazione di specifici compiti attribuiti all'amministratore o la violazione da parte sua del generale dovere di diligente gestione e di non agire in conflitto di interessi configura quindi un inadempimento contrattuale che obbliga al risarcimento dei danni cagionati alla società dalla condotta lesiva o omissiva dell'amministratore. Come noto l'attività degli amministratori è imperniata sulla business judgment rule (ex multis Montalenti, La responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Giur. comm., 2017, 775 ss.): essa è sottratta al sindacato di merito del giudice, salvo il caso di scelte del tutto arbitrarie e prive di giustificazione logica, tuttavia il giudice potrà valutare se le scelte adottate dall'amministratore sono frutto di informazioni e verifiche complete, necessarie per l'adozione responsabile dell'atto in questione, tali da non configurare la violazione dell'obbligo di adempiere con diligenza il mandato dell'amministratore (Cass., 13 marzo 2023, n. 7279; Cass., 17 ottobre 2022, n. 30383; Trib. Milano, 17 maggio 2007 n. 6016). Applicando il principio al caso di specie, poiché la responsabilità della cassa della società è in capo agli amministratori (prima della apertura della liquidazione e al liquidatore successivamente), essi devono utilizzare i fondi di cassa per scopi sociali e quindi per adempiere ad obbligazioni sociali dopo averne accertato la reale esistenza e consistenza: diversamente, pur non potendo il giudice entrare nel merito delle scelte dell'amministratore, egli potrà sindacare se l'amministratore ha verificato o meno l'esistenza reale e non fittizia del debito e condannarlo al risarcimento dei danni subiti dalla società per aver egli compiuto l'atto senza averne verificato la sua corrispondenza alle esigenze della società. Riparto dell'onere della prova Si inserisce a tal punto la problematica del riparto dell'onere della prova. Poiché è pacifico in giurisprudenza (Cass., 17 ottobre 2022, n. 30383; Cass., 7 febbraio 2020, n. 2975; Cass., 31 agosto 2016, n. 17441; Cass., 20 settembre 2012, n. 15955; Cass., 11 novembre 2010, n. 22911; Cass., 29 ottobre 2008, n. 25977; Cass., 30 ottobre 2001, n. 13533; Tribunale di Milano, 23 maggio 2022, n. 4554; Tribunale Milano, 20 ottobre 2016) e in dottrina (cfr. Bonelli, op. cit., 324-327; Teti, op. cit., 637 ss.; Romano, Azione di responsabilità contro gli organi sociali e onere della prova, in Giur. It., 2023, 1605 ss.; Salafia, L'azione di responsabilità contro gli amministratori delle società di capitali, in Società, 2008, pag. 162 ss.) che la responsabilità degli amministratori ha natura contrattuale, chi agisce in responsabilità deve provare:
Infatti, secondo i principi generali in materia di inadempimento di una obbligazione, il creditore deve provare la fonte del suo diritto e il termine di scadenza, limitandosi all'allegazione dell'altrui inadempimento, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova dell'avvenuto adempimento. I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, fanno riferimento a tale riparto dell'onere della prova in forza della natura contrattuale della responsabilità in questione, richiamando poi nella specie due precedenti, nel primo dei quali il curatore aveva dedotto che il magazzino era svanito e l'amministratore non aveva assolto all'onere della prova di aver utilizzato le merci nell'attività di impresa (Cass., 10 agosto 2016, n. 16952), nel secondo dei quali la società attrice aveva allegato l'inadempimento consistente nella distrazione di risorse della società mentre l'amministratore non aveva provato la destinazione delle risorse all'estinzione di debiti sociali o il loro impiego per lo svolgimento dell'attività sociale (Cass., 12 maggio 2021, n. 12567). Applicando i principi sopra enunciati al caso di specie, i giudici hanno concluso che in caso di ammanchi di cassa l'onere della prova nella controversia insorta contro gli amministratori per far valere la loro responsabilità risulta ripartito tra l'attore che deve allegare che le somme sono state distratte o disperse ed il liquidatore che deve provare che le somme sono state spese per il soddisfacimento delle esigenze da lui indicate, ovvero nell'interesse della società. I giudici di legittimità non sono quindi entrati nel merito del sindacato dei giudici della Corte di Appello che hanno ritenuto, per presunzioni anche alla luce delle anomalie riscontrate nella gestione sociale e nella condotta tenuta dall'amministratore, che le passività indicate dal liquidatore fossero insussistenti. In casi simili relativi ad ammanchi di cassa si è recentemente pronunciata la giurisprudenza (Cass., 16 giugno 2016, n. 12454; Tribunale di Milano 5 settembre 2019 n. 7988; Tribunale di Grosseto 27 giugno 2020 n. 400) affermando che la responsabilità per la gestione della cassa sociale grava sull'amministratore al quale spetta ai sensi dell'art. 2697 c.c. giustificare tutte le uscite e il saldo finale e provare che le somme che secondo la contabilità sociale avrebbero dovuto costituire il saldo di cassa e non sono state reperite sono state utilizzate per scopi sociali. Nel caso di specie, in particolare, il liquidatore non aveva fornito giustificazione circa l'uso delle risorse per coprire gli asseriti costi della società (che peraltro non trovavano giustificazione in considerazione dell'inattività e della successiva liquidazione della società e che pertanto i giudici di merito avevano ritenuto inesistenti) e non aveva fornito la documentazione giustificativa delle anticipazioni asseritamente effettuate dai soci e da egli stesso restituite. Correttamente, quindi, la Corte di Cassazione ha ritenuto assolto l'onere probatorio circa gli inadempimenti contestati dal socio al liquidatore. La prova del danno e del nesso di causalità con gli ammanchi di cassa In materia di danno, il principio fondamentale nell'ambito della responsabilità gestoria è quello di causalità: gli amministratori rispondono dei danni che sono conseguenza immediata e diretta della loro condotta (in tal senso Montalenti, op. cit.). Il nesso di causalità, come sopra esposto, deve essere provato dall'attore che agisce per la responsabilità dell'amministratore. Ardua risulta anche la quantificazione del danno, oggetto nel corso degli anni di un dibattito dottrinale e giurisprudenziale, in particolare sulla possibilità di utilizzare, in caso di azioni di responsabilità promosse dalla curatela, il criterio del deficit fallimentare (ovvero la differenza tra attivo e passivo fallimentare). Tale criterio ha infatti dato origine ad un forte dibattito circa la sua applicazione automatica da ultimo sostenuta dalla giurisprudenza: se è pur vero che è spesso difficile provare l'entità del danno causato dalla condotta degli amministratori e tale criterio può essere quindi di ausilio soprattutto nel caso di assoluta mancanza di contabilità sociale, è anche vero che esso costituisce quasi una sanzione per gli amministratori, la cui condotta avrà pure causato un danno che però è solo una parte del complessivo deficit patrimoniale, spesso cagionato anche da altri motivi contingenti. Non basta infatti una gestione diligente dell'impresa per garantirne risultati positivi. Una soluzione al problema è stata fornita dalla Suprema Corte, le cui Sezioni Unite, hanno chiarito che “nell'azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell'amministratore della stessa l'individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, onde possa essere verificata l'esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento” (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100). Viene così superato l'automatismo del criterio del deficit fallimentare imponendo la prova rigorosa dell'inadempimento, del danno e del nesso di causalità: la liquidazione del danno presuppone che venga provato quale comportamento inadempiente si imputa all'amministratore e specificamente e non genericamente il nesso di causalità tra la condotta colpevole e il danno sofferto dal patrimonio sociale (in tal senso Cossu, Azione di responsabilità della curatela fallimentare e quantificazione del danno risarcibile, in Giur. comm., 2016, 529 ss.; Montalenti, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, in Giur. comm., 2015, 651 ss.). La dottrina, commentando la sentenza delle Sezioni Unite, ha chiarito che solo nel caso in cui l'attore ha indicato ben individuati comportamenti illegittimi dell'amministratore ed il danno specifico riconducibile al suo comportamento, l'attore è da considerare esonerato dalla prova del nesso di causalità (in tal senso Sacchi, Differenza tra attivo e passivo e quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, in Giur. comm., 2015, 651 ss.). Si dovrebbe quindi ricorrere al criterio dei netti patrimoniali solo in via residua, ovvero quando risulta non possibile accertare gli specifici effetti riconducibili alla condotta degli amministratori; diversamente la perdita (il danno) subito dalla società è da commisurare al comportamento dell'amministratore e nel caso di distrazione di risorse sociali al valore dei beni sottratti. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto accertati gli specifici addebiti contestati al liquidatore dal socio, addebiti consistenti in specifiche e quantificate distrazioni dei fondi sociali dagli scopi dell'attività di liquidazione dell'impresa, e conseguentemente anche l'entità dei corrispondenti ammanchi di cassa: in tal senso quindi probabilmente la Suprema Corte ha ritenuto superata la prova del nesso di causalità ed esonerato quindi il socio da doverne fornire la prova. Certamente un cenno chiarificatorio in tal senso sarebbe stato auspicabile al fine di evitare ogni possibile futuro equivoco in tal senso. Le novità del CCII Il Codice della Crisi e dell'Insolvenza dell'Impresa (CCII) ha introdotto il comma 6 dell'art. 2476 c.c., il quale prevede che gli amministratori “rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione dell'integrità del patrimonio sociale”, per tale via responsabilizzando maggiormente gli amministratori rispetto agli obblighi di conservazione del patrimonio sociale e prevedendo la loro responsabilità qualora il patrimonio sociale non sia sufficiente al soddisfacimento dei debiti sociali. Poiché gli obblighi degli amministratori si applicano mutati smutandi anche ai liquidatori, il liquidatore risulta responsabile per il pregiudizio causato all'integrità del patrimonio sociale: anche in tale ottica, quindi, risulta corretto attribuirgli responsabilità per condotte distrattive di beni sociali. Inoltre il CCII ha aggiunto all'art. 2486 c.c. il comma 3, in base al quale viene recepito nel codice civile il criterio giurisprudenziale automatico di quantificazione dei danni subiti dalla società a causa delle condotte degli amministratori, prendendo le distanze da quanto sancito dalle Sezioni Unite della Cassazione: quando è accertata la responsabilità degli amministratori viene sancito che, salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza dei netti patrimoniali o al differenziale fallimentare in caso di fallimento. La relazione al CCII precisa che la norma riguarda tutte le azioni di responsabilità, anche quando promosse senza che sia stata aperta una procedura concorsuale. Nessun cenno viene operato alla prova del danno e del nesso di causalità tra gli adempimenti contestati e il danno di cui si pretende il risarcimento: il danno si presume esistente, spetta all'amministratore eventualmente provare che il danno è inferiore al criterio automatico. Nelle fattispecie concrete risulta difficile per l'amministratore riuscire a provare l'entità precisa del danno cagionato, esponendosi così al risarcimento quantificato in via automatica secondo i criteri di cui all'art. 2486 comma 3 c.c.: si tratta per lo più di casi come quello affrontato dai giudici di legittimità nella sentenza in commento, ovvero casi in cui la quantificazione del danno è così palese da esonerare perfino dalla prova del nesso di causalità tra condotta e danno imposta dalle Sezioni Unite. Conclusioni In conclusione, la sentenza in commento risulta in linea con l'evoluzione giurisprudenziale in materia di responsabilità degli amministratori, che correttamente applica anche ai liquidatori, oltre a corrispondere a criteri di economicità e vicinanza della prova e a corretti criteri di imputazione di responsabilità per ammanchi di cassa non documentati in alcun modo. |