Risarcimento danni da diffamazione: la corretta applicazione delle Tabelle di Milano

12 Dicembre 2023

Il caso in esame concerne la delicata questione della quantificazione dei danni non patrimoniali nelle fattispecie di diffamazione tramite mass-media.

Massima

L'impiego, per la liquidazione equitativa del danno da diffamazione a mezzo stampa, dei criteri della "tabella di Milano" impone al giudice di dar conto, nella motivazione, dell'effettivo riscontro degli elementi di fatto riferibili a detta tabella, ai fini della riconduzione della fattispecie concreta ad una delle fasce di gravità ivi contemplate.

Incorre nel vizio di motivazione apparente, non potendosi riscontrare conseguenzialità logica tra i criteri fissati nelle premesse e quelli seguiti in conclusione, la decisione che nel liquidare il danno da diffamazione a mezzo stampa, dopo aver premesso di volersi conformare ai criteri di valutazione equitativa consacrati nelle tabelle milanesi, omette di applicare i suddetti criteri - liberamente adottati - nel procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva apoditticamente ricondotto la diffamazione alla categoria di quelle di tenue gravità, omettendo, da un lato, qualsivoglia riferimento ai relativi parametri tabellari e, dall'altro, la considerazione di alcune circostanze di fatto, acquisite al giudizio, che si ponevano palesemente in contrasto con i suddetti parametri).

Il caso

Un noto quotidiano nazionale pubblicava un articolo di cronaca giudiziaria (reiterato anche il giorno successivo) nel quale riferiva che un soggetto, di professione geologo, era stato iscritto nel registro degli indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. Si trattava tuttavia di un errore di persona, in quanto il vero soggetto indagato era un altro geologo.

A causa della pubblicazione della notizia, il soggetto erroneamente indicato nell'articolo subiva la perdita di diverse collaborazioni professionali e provava un forte turbamento d'animo che gli causava un malore mentre si trovava alla guida dell'autovettura, rimanendo così vittima di un incidente stradale.

Per tali ragioni, richiedeva la rettifica della notizia, che veniva però pubblicata solo parzialmente nella rubrica “La parola dei lettori”, e presentava denuncia ex art. 595 c.p. nei confronti del giornalista e dell'editore. Il giudizio penale, tuttavia, si concludeva con la sentenza di non luogo a procedere nei confronti del giornalista, perché il fatto - in mancanza del dolo - non costituiva reato, e nei confronti del direttore responsabile in quanto la responsabilità colposa del direttore ex art. 57 c.p. presuppone la commissione di reati col mezzo di pubblicazione. Tuttavia, il giudice penale precisava che l'evento poteva essere «fonte di risarcimento in sede civile per le gravi conseguenze apportate al professionista» e gli imputati potevano «rispondere in sede civile per il danno causato da colpa ex art. 2043 c.c.».

Veniva così instaurata la causa in sede civile nella quale la parte lesa conveniva avanti al Tribunale di Catania l'editore, il direttore responsabile e il giornalista autore dell'articolo, per sentirli condannare al pagamento a titolo di risarcimento danni di € 147,670,72 per i danni patrimoniali patiti (di cui € 139.874,99 per mancato guadagno ed € 7.795,73 per i danni all'autovettura riportati nel sinistro stradale) oltre € 80.000,00 per i danni non patrimoniali; nonché per sentirli condannare ad oscurare la pagina internet del sito ufficiale del quotidiano o, in alternativa, ove ciò non fosse possibile, ad aggiungere in quella stessa pagina una postilla esplicativa dell'errore di persona commesso dal giornalista.

Il Tribunale di Catania con sentenza parziale accoglieva in parte la domanda attorea, condannando i convenuti, in solido al risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in € 50.000,00; nonché al risarcimento del danno patrimoniale subito quantificato in € 139.874,99. Mentre non riteneva provato il nesso causale tra la pubblicazione dell'articolo e l'incidente stradale. La causa veniva poi rimessa sul ruolo per la restante domanda, inerente all'oscuramento dell'articolo dannoso sul sito internet del quotidiano o, in alternativa, ove non più possibile, l'aggiunta di una postilla che indicasse l'errore commesso dal giornale e la completa estraneità della parte all'intera vicenda di cui trattasi.

La sentenza veniva impugnata dagli originari convenuti e la Corte d'appello di Catania in parziale accoglimento dell'impugnazione riduceva da € 50.000,00 ad € 10.000,00 il risarcimento del danno non patrimoniale ed escludeva il risarcimento del danno patrimoniale, compensando per tre quarti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso tale sentenza l'originario attore in primo grado proponeva ricorso avanti alla Corte di cassazione che decideva con la sentenza qui in commento.

La questione

Il caso in esame concerne la delicata questione della quantificazione dei danni non patrimoniali nelle fattispecie di diffamazione tramite mass-media.

Come sopra evidenziato l’originaria liquidazione del danno non patrimoniale in € 50.000,00, operata dal Tribunale di Catania, era stata sensibilmente ridotta dalla Corte d’Appello di Catania ad € 10.000,00. Nel motivare la quantificazione del danno, la Corte d’Appello aveva espressamente dichiarato di applicare i criteri risarcitori indicati nelle oramai note Tabelle di Milano (le tabelle di Milano si possono consultare al seguente link:  Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale - Edizione 2021 (milanosservatorio.it) e, in particolar modo aveva dichiarato di aver fatto applicazione dei criteri indicati alla voce “diffamazione di tenue entità”. L’attore ricorrente, tuttavia, ha ritenuto viziata tale motivazione, giacché aveva apoditticamente ricondotto la diffamazione alla categoria di ipotesi diffamatorie di “tenue gravità”, omettendo, però qualsivoglia riferimento ai relativi parametri tabellari ed omettendo di considerare alcune circostanze di fatto, acquisite al giudizio, che si ponevano palesemente in contrasto con i criteri indicate nelle tabelle per la “tenue gravità”.

In proposito, per una migliore comprensione della fattispecie in commento, si ricorda che le Tabelle di Milano enucleano, cinque diverse tipologie di diffamatorietà crescente alle quali applicare range di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, oscillanti tra un importo minimo ed uno massimo:

1) diffamazioni di tenue gravità (€ 1.000,00 - € 10.000), individuabile dalla presenza dei seguenti indici: limitata/assente notorietà del diffamante; tenuità dell’offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento; minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio; minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria; assenza di risonanza mediatica; tenue intensità elemento soggettivo;  intervento riparatorio/rettifica del convenuto;

2) diffamazioni di modesta gravità (€ 11.000,00 - € 20.000,00), individuabile dalla presenza dei seguenti indici: limitata/modesta notorietà del diffamante; limitata diffusione del mezzo diffamatorio (un episodio diffamatorio a diffusione limitata); modesto spazio della notizia diffamatoria; modesta/assente risonanza mediatica; modesta intensità elemento soggettivo;

3) diffamazioni di media gravità (€ 21.000,00 - € 30.000,00), individuabile dalla presenza dei seguenti indici: media notorietà del diffamante; significativa gravità delle offese attribuite al diffamato sul piano personale e/o professionale; uno o più episodi diffamatori; media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio (diffusione a livello nazionale/significativa diffusione nell’ambiente locale di riferimento); eventuale pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale e professionale; natura eventuale del dolo;

4) diffamazioni di elevata gravità (€ 31.000,00 - € 50.000,00), individuabile dalla presenza dei seguenti indici: elevata notorietà del diffamante; uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione (diffusione su quotidiano/trasmissione a diffusione nazionale); notevole gravità del discredito e eventuale rilevanza penale/disciplinare dei fatti attribuiti al diffamato; eventuale utilizzo di espressioni dequalificanti/denigratorie/ingiuriose; elevato pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale, professionale e istituzionale; risonanza mediatica della notizia diffamatoria; elevata intensità elemento soggettivo; 5) diffamazioni di eccezionale gravità per le quali le tabelle suggeriscono una condanna al pagamento di una somma in misura superiore a € 50.000,00.

Le soluzioni giuridiche

Com’è da tempo noto, e come ricordato anche nella sentenza in commento, l’attuale assetto risarcitorio dei danni non patrimoniali, non può prescindere, da un lato, dall'unitarietà del danno non patrimoniale, da intendersi come «unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica»; e, dall’altro lato, dall’onnicomprensività del danno non patrimoniale da intendersi come «obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall'evento di danno, con il concorrente limite di evitare duplicazioni (attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici). In quest’ottica si richiede alle corti di merito di procedere con un «accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni».

Nell’operare tale “accertamento concreto” occorre poi considerare – come evidenziato nella sentenza in commento - che il danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello alla reputazione (Cass. civ., n. 20345/2023), deve valutarsi sotto un duplice aspetto: quello interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, turbamento emotivo, patema d’animo causata dal reato) e quello dinamico-relazionale (c.d. danno relazionale), destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto.  Il danno morale, dunque, postula l’allegazione e la prova di una sofferenza interiore del soggetto leso, mentre quello relazionale, postula l’allegazione e la prova delle mutate dinamiche di relazione nella vita della vittima che a seguito dell’illecito si modifica (in pejus). La Corte di cassazione ricorda in proposito che secondo il costante orientamento giurisprudenziale si tratta di danni autonomamente risarcibili, che vanno però provati – caso per caso – con tutti i mezzi di prova normativamente previsti, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni (Cass. civ., n. 4005/2020).

Accertata l’esistenza del danno, la sua liquidazione – per i casi di diffamazione a mezzo stampa – dovrà avvenire secondo una valutazione equitativa, non censurabile in Cassazione, salvo che i criteri enunciati non siano manifestamente incongrui, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto (Cass. civ., n. 31358/2021 e Cass. civ., n. 13153/ 2017). In questo contesto, è stato osservato come le tabelle milanesi rappresentino uno strumento di concreta realizzazione di “eguaglianza equitativa”, dal momento in cui individuano parametri monetari di riferimento coerenti ed uniformi, da adattarsi poi al caso concreto (Cass. civ., n. 12408/2011).

Ciò posto, tuttavia, la Cassazione nella sentenza qui in esame osserva che nella fattispecie sottoposta al suo esame dette tabelle vengono in rilievo «non già perché debba essere loro riconosciuto un valore sostanzialmente obiettivo, come avvenuto per altri campi della materia risarcitoria (…), ma esclusivamente perché la corte territoriale ha premesso e si è prefissa di adottarle quale criterio di valutazione, scegliendole tra le alternative possibili e, quindi, erigendole a parametro della concreta determinazione del danno non patrimoniale da liquidare». Nel far ciò – osserva ancora la Corte di cassazione - la corte territoriale ha però errato, giacché dopo aver «premesso di volersi conformare ai criteri di valutazione equitativa consacrati nelle tabelle milanesi, non ha poi applicato i suddetti criteri - liberamente adottati - nel procedere alla quantificazione del danno non patrimoniale. E, così facendo, è incorsa nel denunciato vizio motivazionale».

In particolare l’errore della corte territoriale d’appello è consistito nel sussumere il fatto nella fattispecie generale ed astratta degli eventi di tenue gravità, considerati suscettibili di liquidazione ridotta ritenendo in proposito che: «a) l'errore in questione era stato del tutto involontario ed episodico; b) il quotidiano aveva pubblicato la lettera inviata alla redazione dal legale; c) lo stesso quotidiano aveva successivamente pubblicato articoli che contenevano l'esatto nominativo del geologo coinvolto nelle indagini e che davano la notizia dell'avvenuto arresto di quest'ultimo». Senza nulla, invece, argomentare circa l’effettivo «riscontro dei parametri delle tabelle milanesi, liberamente adottate come misura della liquidazione, secondo le quali il fatto illecito è di tenue gravità solo in presenza dei seguenti elementi: limitata/assente notorietà del diffamante, tenuità dell'offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento, minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio, minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria, assenza di risonanza mediatica tenue intensità elemento soggettivo, intervento riparatorio/rettifica del convenuto». Ciò ha contraddittoriamente portato la corte di merito a ricondurre la fattispecie concreta ad «una astratta non pertinente secondo i parametri liberamente adottati a base della liquidazione».

La corte di merito difatti aveva omesso di considerare alcune circostanze rilevanti della fattispecie concreta, non sussumibili nel parametro della “tenue gravità”. Tali circostanze sono state dalla Corte di cassazione individuate nella «gravità del fatto ascritto al danneggiato (il concorso esterno in associazione mafiosa quale anello di collegamento fra i sodali e gli esponenti politici); nella potenzialità dannosa della diffusione di una simile, inesatta informazione, per la reputazione di soggetto operante nell'ambito professionale, necessariamente improntato al permanere di un forte senso di fiducia personale; nel tardivo e insufficiente ridimensionamento dell'errore di persona commesso mediante pubblicazione della lettera di smentita del difensore (avente un risalto editoriale di gran lunga più limitato rispetto alla pubblicazione della notizia diffamatoria, stante anche il disinteresse che il lettore medio di un quotidiano riserva alle rubriche dedicate alla posta dei lettori); nella circostanza che, al momento del successivo coinvolgimento nelle indagini e dell'arresto di quest'ultimo quale concorrente esterno al sodalizio criminale, l'organo di stampa diffamante ha mostrato disinteresse a rettificare l'originaria, errata, informazione (non producendo di per sé la semplice divulgazione della notizia, riferita alla persona esattamente individuata, un effetto di correzione della precedente, errata, informazione resa: il lettore medio è portato a distinguere fra due persone recanti lo stesso cognome e, per di più, svolgenti la medesima professione di geologo, solo se tale circostanza sia specificamente enfatizzata dal mezzo di informazione)».

Osservazioni

Nei casi di diffamazione tramite mass-media, la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale ha sempre presentato elementi di difficoltà.

In quest’ottica le Tabelle di Milano, negli anni sono diventate un punto di riferimento da parte delle varie corti di merito. La loro adozione ovviamente è, e rimane, meramente facoltativa essendo rimessa alla piena discrezionalità dei giudici di merito.

Ciò posto la Corte di cassazione con la sentenza in commento ha espresso il principio in forza del quale nel momento in cui il giudice di merito nella motivazione della sentenza da atto di adottare i parametri indicati nelle tabelle, deve poi correttamente inquadrare gli elementi fattuali della fattispecie concreta con i criteri generali ed astratti enunciati nelle cinque categorie di gravità dell’illecito diffamatorio enucleati nelle Tabelle di Milano.

Nel caso deciso nella sentenza in commento i criteri fattuali sopra descritti erano in evidente contrasto con i criteri enunciati dalle citate tabelle per sussumere la violazione dell'onore e del decoro in un alveo di tenue gravità e la sentenza è così incorsa nel vizio di «motivazione apparente, non potendosi riscontrare conseguenzialità logica tra i criteri fissati nelle premesse e quelli seguiti in conclusione»

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